Internazionalizzazione d’impresa: fiscalità nei processi di espansione

L’internazionalizzazione rappresenta oggi una necessità strategica per le imprese italiane che devono affrontare mercati sempre più competitivi e interconnessi. Non si tratta più semplicemente di esportare prodotti oltre confine, ma di strutturare una presenza operativa all’estero che richieda un approccio integrato tra aspetti commerciali, giuridici e fiscali.

La scelta del modello operativo più adeguato per l’espansione internazionale – che si tratti di un ufficio di rappresentanza, una stabile organizzazione o una joint venture – comporta implicazioni fiscali dirette e significative, influenzando la distribuzione dei profitti, la gestione dei rischi tributari e la compliance con le normative nazionali e internazionali.

Internazionalizzazione attraverso l’ufficio di rappresentanza: strategia conservativa

L’ufficio di rappresentanza costituisce il primo strumento per testare un mercato estero senza assumere rilevanza fiscale diretta. Questa struttura “leggera” consente alle imprese di svolgere attività meramente ausiliarie come promozione commerciale, ricerche di mercato e supporto alla comunicazione istituzionale, senza generare ricavi diretti nel territorio estero.

Dal punto di vista della internazionalizzazione fiscale, l’ufficio di rappresentanza non è considerato una stabile organizzazione e quindi non è soggetto a imposte locali. I costi sostenuti per il suo mantenimento rimangono deducibili dalla casa madre italiana, mentre la struttura non deve presentare dichiarazioni fiscali o versare imposte nel paese estero.

Tuttavia, la gestione richiede particolare rigore per evitare che un’eccessiva autonomia operativa possa determinare una riqualificazione in stabile organizzazione “di fatto”, con conseguenti obblighi fiscali non previsti. Le autorità fiscali internazionali applicano sempre più rigorosamente il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, rendendo fondamentale una documentazione precisa delle attività effettivamente svolte.

Internazionalizzazione mediante stabile organizzazione e regime branch exemption

Quando l’attività estera assume carattere continuativo e sostanziale, si configura una stabile organizzazione che diventa fiscalmente rilevante nel territorio estero. La stabile organizzazione viene tassata localmente per i redditi prodotti, ma tali redditi devono essere inclusi anche nella dichiarazione italiana secondo il principio della tassazione mondiale.

Per evitare fenomeni di doppia imposizione, il sistema italiano offre due alternative: il credito d’imposta estero ex art. 165 TUIR o l’esenzione integrale tramite il regime branch exemption ex art. 168-ter TUIR. Il regime di internazionalizzazione fiscale branch exemption, introdotto nel 2015, consente di esentare dalla tassazione italiana gli utili e le perdite delle stabili organizzazioni estere.

L’opzione per la branch exemption è irrevocabile e deve essere esercitata al momento della costituzione della prima stabile organizzazione, estendendosi automaticamente a tutte le future strutture estere dell’impresa. Questo regime risulta particolarmente vantaggioso quando il livello di tassazione del paese estero è più favorevole rispetto a quello italiano, consentendo di ottimizzare il carico fiscale complessivo.

Internazionalizzazione attraverso joint venture: collaborazione strategica

Le joint venture rappresentano una strategia di internazionalizzazione sempre più diffusa per condividere rischi, risorse e know-how con partner locali o internazionali. Questo modello può assumere due forme principali con riflessi fiscali distinti: la joint venture societaria, che comporta la costituzione di una nuova entità giuridica autonoma, e la joint venture contrattuale, basata su un accordo di collaborazione senza creazione di un nuovo soggetto.

Nella joint venture societaria, la nuova entità è soggetta agli obblighi fiscali del paese di costituzione, mentre gli utili distribuiti seguono le regole sui dividendi internazionali con possibili ritenute alla fonte. La joint venture contrattuale prevede invece l’attribuzione “per trasparenza” dei redditi alle imprese partecipanti, con tassazione nei rispettivi stati di residenza.

La gestione delle joint venture nell’ambito dell’internazionalizzazione richiede particolare attenzione ai profili di transfer pricing, soprattutto quando vi sia condivisione di costi, beni e personale tra i partner. È inoltre necessario valutare il rischio di configurazione di una stabile organizzazione “di fatto” per uno o più partner quando la joint venture implichi presenza fisica o funzionale significativa in un paese estero.

Sfide della fiscalità internazionale contemporanea

Il contesto fiscale internazionale è caratterizzato da trasformazioni continue che impongono alle imprese un aggiornamento costante delle strategie di internazionalizzazione. Il progetto BEPS dell’OCSE ha rafforzato i controlli sui prezzi di trasferimento, richiedendo documentazione puntuale per dimostrare che i prezzi praticati nelle transazioni infragruppo siano conformi al principio arm’s length.

La proposta di direttiva europea ATAD 3 “Unshell” rappresenta una nuova sfida per l’internazionalizzazione, mirando a contrastare le entità prive di sostanza economica costituite unicamente per accedere a regimi fiscali più favorevoli. Le imprese dovranno dimostrare attraverso indicatori oggettivi che le strutture estere sono genuine e funzionali, non semplici involucri giuridici.

L’Amministrazione finanziaria italiana ha rafforzato il controllo sulle operazioni transfrontaliere, ponendo enfasi sulla coerenza tra struttura legale e operatività effettiva. La normativa CFC (Controlled Foreign Companies) è stata aggiornata con nuovi criteri per il calcolo della tassazione effettiva e la possibilità di applicare un’imposta sostitutiva del 15%.