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Uscita dal regime forfettario cespiti: cauzioni generali e le specifiche implicazioni in caso di acquisto di beni strumentali

L’uscita dal regime forfettario a seguito del superamento delle soglie di compensi o ricavi, oppure per l’acquisto di beni strumentali oltre i limiti previsti, comporta l’obbligo di assoggettarsi al regime ordinario a partire dal periodo d’imposta successivo. Tale passaggio risulta vincolato al rispetto di alcune regole contabili e di calcolo degli indici di reddito.

In particolare, l’uscita dal regime forfettario cespiti impone di valutare i beni ammortizzabili ancora non interamente ripristinati facendo riferimento al loro costo non dedotto o dedotto in regime agevolato. Successivamente, si deve procedere all’iscrizione nel registro dei beni ammortizzabili previsto per gli operatori IVA e al calcolo delle relative quote di ammortamento.

Le rimanenze finali devono essere rivalutate sulla base del loro costo fiscalmente rilevante e iscritte nell’attivo circolante dello stato patrimoniale aperto con l’applicazione del regime ordinario. Infine, i compensi percepiti prima del cambio di regime devono essere ricondotti ai fini del calcolo dell’indice di redditività al nuovo anno iniziato con il regime operativo.

Il rispetto di queste procedure garantisce la corretta contabilizzazione degli elementi avviati in regime agevolato e il corretto calcolo della redditività aziendale. In caso di inosservanza potrebbero emergere profili di natura fiscale da sanare mediante ravvedimento operoso o voluntary disclosure.

Uscita dal regime forfettario cespiti: Casi di esclusione e uscita dal regime forfettario

Il regime forfettario prevede alcuni casi di esclusione e uscita obbligatoria dal suo campo di applicazione. Quando il contribuente supera determinati limiti di ricavi o compensi annui, oppure la natura dell’attività esercitata perde i requisiti richiesti per poter accedere al regime agevolato, scatta l’obbligo di uscita.

Uno dei casi più comuni è il superamento del tetto annuo di ricavi o compensi pari a 85.000 euro. Oltre tale soglia, a decorrere dal periodo d’imposta successivo, non è più possibile avvalersi della tassazione forfettaria. Un altro motivo che comporta l’esclusione dal regime è la perdita dei requisiti legati all’attività esercitata. Ad esempio, se un contribuente iscritto come gestore di negozio al dettaglio inizia a svolgere anche attività di ingrosso, decade l’agevolazione in quanto tale categoria è esclusa.

Un terzo caso di uscita dal regime forfettario cespiti è dato dall’eventuale acquisto di beni strumentali di valore superiore a 20.000 euro annui al netto dell’IVA. Tale soglia, da verificare per ciascun periodo d’imposta, comporta il passaggio all’ordinario regime IVA e delle imposte sui redditi. Dal 1° gennaio 2019, si è aggiunto l’obbligo di fatturazione elettronica anche per i contribuenti in regime agevolato. Pertanto, chi rientra in una delle cause di esclusione descritte, dovrà regolarizzare la propria posizione in accordo con i nuovi adempimenti fiscali.

Pertanto, l’uscita dal regime forfettario cespiti e l’obbligo di fattura elettronica forfettari costituiscono aspetti strettamente correlati che il professionista deve saper analizzare applicando la normativa vigente. È importante valutare attentamente i casi di decadenza agevolata per trasferire correttamente il contribuente verso il regime ordinario, adempiendo a tutti gli obblighi del caso (trovate tutte le specifiche sulle novità del regime forfettario nella nostra guida: “Regime Forfettario 2024“).

Uscita dal regime forfettario

Regime forfettario beni strumentali ammortamento: Gestione dell’uscita dal regime forfettario per cespiti

Nel regime forfettario, i beni strumentali acquistati dal contribuente con valore superiore a 516 euro sono registrati nel libro cespiti, ma non è consentita la loro deduzione o l’ammortamento fiscale. L’agevolazione prevede infatti che tutte le spese, incluso l’acquisto dei cespiti, siano stimate tramite il coefficiente di redditività legato alla specifica attività esercitata.

Uno dei casi di uscita obbligatoria dal regime forfettario è dato dall’acquisto nel periodo d’imposta di beni strumentali per un valore complessivo superiore a 20.000 euro al netto dell’IVA. In questa situazione, il contribuente deve passare al regime ordinario a partire dal periodo successivo. Ciò comporta anche l’obbligo di fatturazione elettronica a decorrere dalla nuova annualità fiscale.

L’ammortamento fiscale dei cespiti acquistati in regime forfettario e la loro deduzione è ammessa solo a partire dal primo periodo d’imposta in cui si applica il regime ordinario, attraverso un computo analitico sul quale calcolare annualmente la quota di ammortamento. Pertanto, la gestione dei beni strumentali nel passaggio al regime ordinario prevede specifiche regole contabili per la loro corretta imputazione ai fini delle imposte sui redditi.

La disciplina del regime forfettario beni strumentali ammortamento e l’uscita obbligatoria per superamento della soglia dei cespiti acquistati comporta, oltre all’applicazione delle normali regole civilistiche, anche l’assoggettamento all’obbligo di fatturazione elettronica. Il commercialista deve saper supportare il contribuente fornendo tutte le informazioni per garantire il rispetto degli adempimenti in caso di passaggio al regime ordinario.

Scritture contabili obbligatorie: ecco come avere sempre i conti in regola con il Fisco

Aprire una partita IVA e iniziare un’attività d’impresa è sicuramente un passo importante, che però richiede anche una buona dose di consapevolezza sulle incombenze burocratiche e sugli adempimenti fiscali da rispettare.

Tra gli aspetti più rilevanti ci sono le scritture contabili obbligatorie che l’Agenzia delle Entrate impone a tutte le attività economiche. Tenere registri come il libro giornale, i registri IVA, le fatture emesse e ricevute secondo le scadenze corrette è fondamentale per tracciare in modo trasparente i flussi economici in entrata e uscita.

Tuttavia, capire e rispettare tutte le regole non è sempre semplice, soprattutto per chi non ha dimestichezza con la contabilità e gli adempimenti fiscali. Proprio per questo, la cosa migliore quando si apre un’attività è rivolgersi sin da subito a un commercialista o consulente del lavoro qualificato.

Affidandosi a un professionista esperto e in regola con i corsi di aggiornamento, si avrà la certezza che i libri contabili e gli altri registri vengano tenuti correttamente e rispettando tutte le scadenze. In questo modo si eviteranno spiacevoli sorprese in caso di controllo e si potrà gestire la propria impresa con serenità, focalizzandosi sulla crescita del business.

 

Scritture contabili obbligatorie: i registri richiesti per legge

Le scritture contabili obbligatorie previste per legge costituiscono un adempimento di fondamentale importanza per ogni attività economica. I registri che devono essere compilati correttamente sono stabiliti dal Codice Civile, Codice Penale e decreto fiscale.

In particolare, l’imprenditore commerciale è tenuto alla tenuta del Registro IVA, delle Fatture Emesse e Ricevute con relativa Numerazione, del Giornale e della scrittura IVA, eventualmente anche del Registro bene ammortizzabili. Tali documenti contabili sono progettati per tracciare in modo analitico e indiscutibile il quantum delle operazioni effettivamente poste in essere, al fine di una corretta liquidazione dell’IVA e redazione delle dichiarazioni periodiche.

Il Registro IVA consente di rilevare e riportare in modo dettagliato e differenziato gli acquisti e le vendite effettuati distintamente per aliquota, in modo da poter calcolare i relativi debiti/crediti trimestralmente. Le fatture, sia passive che attive, devono essere annotate con univoca numerazione progressiva su appositi Registri, allegando anche la relativa documentazione contabile. Il Giornale deve contenere l’annotazione giornaliera degli eventi aziendali, utilizzando partite doppie che esprimono il principio di causalità.

Tali documenti devono essere conservati per 10 anni dal termine dell’annualità a cui si riferiscono o dalla data di presentazione della dichiarazione, in modo da poter essere esibiti in caso di verifiche. Pertanto, l’imprenditore commerciale è tenuto a dotarsi di tale strumentazione contabile per assolvere correttamente agli obblighi di tracciabilità imposti dalla normativa. Solo attraverso il puntuale rispetto di tali scritture obbligatorie sarà in grado di documentare in ogni momento la propria posizione fiscale.

Scritture contabili obbligatorie

Libri contabili obbligatori: le scadenze e gli adempimenti fiscali correlati

I libri contabili obbligatori devono essere redatti secondo precisi obblighi fiscali cui è soggetto l’imprenditore.

Le scritture contabili, come regole generali, devono essere tenute entro il mese successivo a quello cui si riferiscono. Fatta eccezione per il Registro acquisti che può essere compilato entro il 15° giorno successivo al mese di effettuazione delle operazioni.

Verso lo Stato sono poi previsti adempimenti periodici quali liquidazione dell’IVA con modello F24 entro il 16 del mese successivo a quello cui si riferisce; presentazione della dichiarazione IVA annuale entro il 30 novembre dell’anno successivo a quello cui si riferisce il periodo d’imposta.

I dati contabili obbligatori devono essere conservati per 10 anni con originale o copia autenticata, fatta eccezione per fatture elettroniche che possono beneficiare della sola conservazione digitale.

Tali scadenze e modalità di conservazione sono stabilite chiaramente dalla normativa vigente al fine di assicurare la corrispondenza tra contabilità e dichiarazione, nonché di consentire gli accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Pertanto, gli operatori economici sono tenuti a monitorare con attenzione le scadenze previste e le corrette modalità di archiviazione dei dati.

Quanto costa aprire partita iva in Italia e all’estero

Se siete imprenditori o avete preso la decisione di realizzare le vostre idee imprenditoriali, è giunto il momento di intraprendere il percorso dell’autonomia lavorativa. Diventare lavoratori autonomi o professionisti indipendenti è un processo più accessibile di quanto possa sembrare.

Il primo passo fondamentale consiste nell’ aprire una partita IVA in Italia. Nel Bel Paese, infatti, i lavoratori autonomi devono aprire una Partita IVA per fini fiscali, come l’emissione di fatture elettroniche e il pagamento dei contributi dovuti alle autorità fiscali e previdenziali. Cerchiamo quindi di capire quanti e quali sono i costi associati alla Partita IVA, sia in Italia che all’estero.

Quanto costa aprire partita IVA in Italia?

Costi associati all’apertura della Partita IVA come ditta individuale variano tra 130 e 150 euro, includendo le spese di iscrizione al Registro delle Imprese, che comprendono diritti camerali, imposte di segreteria e imposte di bollo. La complessa procedura burocratica, specialmente nel caso delle ditte individuali, può essere intimidatoria, spingendo molte persone a rivolgersi a un professionista. Tuttavia, i costi per l’assistenza di un commercialista nell’apertura della Partita IVA possono essere significativi, aumentando considerevolmente l’importo iniziale.

Quanto costa aprire la partita IVA e mantenerla in Italia? Le imposte

La tassazione varia in base al regime fiscale adottato e riguarda le aliquote, le scadenze dei pagamenti, le possibili agevolazioni, le rateizzazioni, ecc. Queste regole si applicano a tutti i contribuenti, indipendentemente dall’attività svolta. Per i giovani e le nuove attività, il regime forfettario è spesso la soluzione migliore. Infatti offre una tassazione vantaggiosa e una gestione semplificata della contabilità e delle fatture. Nel regime forfettario, i costi della Partita IVA includono l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 15% (5% per le nuove attività nei primi 5 anni) che si applica sul reddito imponibile e non sull’intero fatturato. È importante considerare anche le spese relative ai contributi.

Contributi previdenziali: a quanto ammontano?

I contributi dipendono dalla Cassa o dalla Gestione a cui ci si iscrive e ogni entità stabilisce le proprie aliquote, le scadenze dei versamenti e altri aspetti. Per i liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata dell’INPS, i contributi sono calcolati in proporzione al volume d’affari effettivamente prodotto. Si basano sul reddito imponibile e sono soggetti a un’aliquota del 25,72%. Nel caso delle ditte individuali, la Cassa di riferimento è la Gestione Artigiani e Commercianti dell’INPS. In questo caso, è previsto un contributo fisso di circa 3.850 euro annui, da versare anche in caso di reddito zero. In aggiunta, vi è un contributo “extra” che si applica solo sulla parte eccedente il “reddito minimo INPS” (attualmente pari a 15.953 euro) con un’aliquota del 24% (o del 21,90% per i professionisti sotto i 21 anni). I contributi possono rappresentare un ostacolo, soprattutto per i giovani che intendono aprire una Partita IVA. Tuttavia, è importante sapere che alcune categorie di lavoratori autonomi possono beneficiare di agevolazioni legate all’età, e alcune Casse Previdenziali riservate ai professionisti offrono riduzioni di aliquote o richiedono il versamento di una percentuale ridotta dei contributi fissi. Queste agevolazioni consentono una riduzione dei costi della Partita IVA per i giovani professionisti.

Quanto costa aprire partita iva

Quanto costa aprire una partita IVA

Aprire una Partita IVA all’estero comporta costi e procedure specifiche che variano a seconda del paese di destinazione. Prima di intraprendere tale percorso, è fondamentale compiere una ricerca accurata e consultare esperti del settore per valutare attentamente i costi associati e i requisiti richiesti.

Innanzitutto, è necessario considerare i costi legati alla registrazione e all’iscrizione nel paese straniero. Questi costi possono variare notevolmente a seconda della nazione e delle sue normative fiscali. In alcuni paesi potrebbero essere richiesti diritti di registrazione, tasse amministrative e spese legali per avviare l’attività. È importante tenere conto di questi fattori nel budget di apertura della Partita IVA all’estero.

Occorre considerare gli oneri fiscali e le imposte annuali che saranno applicate nell’ambito dell’attività commerciale all’estero. Ogni paese ha il proprio sistema fiscale con regole e aliquote specifiche. È necessario comprendere come tali imposte saranno calcolate e come influiranno sui profitti dell’attività. Spesso, è necessario avvalersi di consulenti fiscali locali per garantire la conformità alle normative e per gestire correttamente le questioni fiscali.

Facciamo un esempio. L’apertura di una Partita IVA in Inghilterra comporta una serie di costi da considerare. Ad esempio, i costi iniziali per la registrazione e l’iscrizione nel Registro delle Imprese possono variare da circa £12 a £100, a seconda del tipo di servizio richiesto. È necessario prendere in considerazione le spese legali che possono ammontare a diverse centinaia di sterline, soprattutto se si richiede l’assistenza di un avvocato per la creazione di contratti o accordi commerciali. Altri costi da considerare sono le tasse annuali di iscrizione alla Camera di Commercio e le spese per la consulenza fiscale per garantire la conformità alle leggi fiscali britanniche. È importante tenere conto di queste voci di spesa al fine di pianificare in modo adeguato l’apertura di una Partita IVA in Inghilterra.

Chi non può aprire una partita iva: categorie e casistiche

L’apertura di una partita IVA rappresenta il primo passo per diventare imprenditore o professionista autonomo. Ma non tutti possono aprire una partita IVA. Ci sono categorie di persone che non possono farlo per diverse ragioni. In questo articolo, vedremo chi non può aprire partita IVA e le casistiche che ne derivano.

Chi non può aprire una partita iva: dipendenti pubblici

Una delle categorie di persone che non può aprire una partita IVA sono i dipendenti pubblici. Questi lavoratori, infatti, non possono aprire una partita IVA per le attività che svolgono all’interno della propria istituzione, a meno che non si tratti di attività accessorie e non concorrenti con il lavoro principale. In altre parole, un professore universitario non può aprire una partita IVA per insegnare nella propria università, ma può farlo per dare lezioni private. Lo stesso vale per un medico delle strutture pubbliche. Non può aprire una partita IVA per svolgere attività medica all’interno dell’ospedale, ma può farlo per esercitare la professione in studio privato.

È importante sottolineare che i dipendenti pubblici non possono aprire una partita IVA per svolgere attività che possono interferire con il loro lavoro principale o che potrebbero causare conflitti di interesse. Questo perché, come previsto dalla normativa, i dipendenti pubblici devono svolgere il proprio lavoro con imparzialità, neutralità e trasparenza.

In ogni caso, i dipendenti pubblici che desiderano avviare un’attività imprenditoriale o professionale possono farlo solo se ottemperano alle normative vigenti e ottenendo preventivamente l’autorizzazione del proprio datore di lavoro. In questo modo, è possibile evitare problemi di conflitto d’interesse e garantire il rispetto della legge.

Chi non può aprire una partita ivaRequisiti per aprire partita IVA: maggiorenni VS minori di 18 anni

Un altro aspetto importante da considerare riguarda i requisiti per aprire una partita IVA. In particolare, i minori di 18 anni non possono aprire una partita IVA in quanto non hanno la capacità giuridica necessaria per svolgere un’attività economica in proprio. In questo caso, il minore può comunque lavorare come dipendente o come collaboratore di un’impresa o di un professionista già registrato. Al contrario, i maggiorenni possono aprire una partita IVA, purché siano in possesso dei requisiti richiesti. Tra questi, vi è la necessità di avere la residenza o la sede legale in Italia, essere in possesso di un codice fiscale e non essere già titolari di una partita IVA attiva.

Sebbene i maggiorenni possano aprire una partita IVA, ci sono alcune limitazioni e obblighi da rispettare. Ad esempio, è necessario iscriversi alla Camera di Commercio competente per territorio e pagare il relativo diritto camerale. Bisogna poi scegliere la forma giuridica più adatta alle proprie esigenze, tra cui la ditta individuale, la società di persone o la società di capitali. Inoltre, è necessario avere una conoscenza approfondita delle norme fiscali e delle procedure amministrative che regolamentano l’apertura di una partita IVA. Da non sottovalutare, inoltre, sono le responsabilità fiscali e legali che si assumono nel momento in cui si decide di aprire una partita IVA. Infatti, i titolari di una partita IVA sono tenuti a gestire in modo autonomo la propria attività e a rispettare le normative fiscali e contabili in vigore. In caso di violazione di queste norme, si rischia di incorrere in sanzioni pecuniarie.

Come funziona partita IVA per i pensionati

Infine, vi è la casistica dei pensionati. In questo caso, i pensionati che ricevono una pensione di vecchiaia o di invalidità dall’INPS non possono aprire una partita IVA per la stessa attività per cui percepiscono la pensione. Tuttavia, possono aprire una partita IVA per un’altra attività, sempre che questa non confligga con la loro pensione e non superi determinati limiti di reddito. Possono comunque diventare collaboratori occasionali di un’azienda o di un professionista, senza aprire una partita IVA.

In generale, l’apertura di una partita IVA richiede l’attenta valutazione dei requisiti e delle casistiche che possono impedirne l’apertura. È necessario rispettare le normative in vigore per evitare problemi fiscali e legali. Chi desidera può rivolgersi a un commercialista o a un esperto del settore per avere maggior i informazioni e un supporto adeguato.

Conoscere le modalità e le scadenze per la presentazione delle dichiarazioni fiscali e per il pagamento delle tasse e dei contributi previdenziali è molto importante. Infatti, avere partita IVA comporta anche una serie di obblighi e responsabilità che devono essere rispettati per evitare sanzioni e problemi con l’amministrazione fiscale.

Scadenze fiscali: calendario 2023

Le scadenze fiscali rappresentano un impegno annuale per tutti i contribuenti e le imprese che operano sul territorio italiano. Nel corso del 2023, ci sono importanti appuntamenti fiscali che è bene conoscere e programmare in anticipo per evitare sanzioni e problemi con il Fisco. Esaminiamo quindi le scadenze fiscali del calendario 2023, suddividendo l’argomento in tre sezioni principali.

Scadenze fiscali per i contribuenti

Le scadenze fiscali per i contribuenti sono molteplici e coprono un’ampia gamma di tasse e imposte. Di seguito, elenchiamo le principali scadenze fiscali per il 2023:

  1. 16 giugno: scadenza per il pagamento del saldo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi entro il 2 ottobre 2022, oppure entro il 30 novembre 2022 se presentata via telematica.
  2. 30 giugno: scadenza per il versamento della seconda rata dell’imposta municipale propria (IMU) e della tassa sui rifiuti (TARI) per le abitazioni principali e le relative pertinenze.
  3. 16 settembre: scadenza per il versamento della seconda rata dell’acconto IRPEF e delle addizionali regionali e comunali per i contribuenti che hanno optato per il pagamento in due rate.
  4. 30 novembre: scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi per i contribuenti che hanno percepito redditi da lavoro autonomo o assimilati nel 2022.
  5. 16 dicembre: scadenza per il versamento del saldo dell’acconto IRPEF e delle addizionali regionali e comunali per i contribuenti che hanno optato per il pagamento in due rate.

Queste sono solo alcune delle scadenze fiscali più importanti per i contribuenti nel 2023. Per una lista completa, si può consultare il sito dell’Agenzia delle Entrate.

Scadenze fiscali

Scadenze fiscali annuali per le imprese

Anche le imprese hanno obblighi fiscali annuali da rispettare, che variano in base alla loro forma giuridica e alle loro attività. Di seguito, elenchiamo le principali scadenze fiscali annuali per le imprese nel 2023:

  1. 28 febbraio: scadenza per la presentazione del modello Redditi 2022 per le società di capitali (S.p.A., S.r.l., ecc.), dei relativi allegati e della dichiarazione IVA annuale.
  2. 30 aprile: scadenza per la presentazione del modello Unico 2023 per le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice), dei relativi allegati e della dichiarazione IVA annuale.
  3. 31 maggio: scadenza per la presentazione del modello IVA annuale per tutte le imprese che hanno effettuato operazioni soggette a IVA nel corso dell’anno precedente.
  4. 16 giugno: scadenza per il versamento del saldo dell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) per le imprese che hanno optato per il pagamento in due rate.
  5. 30 giugno: scadenza per il versamento della seconda rata dell’IMU e della TARI per le attività produttive.
  6. 16 settembre: scadenza per il versamento della seconda rata dell’acconto IRPEF e delle addizionali regionali e comunali per le imprese che hanno optato per il pagamento in due rate.
  7. 30 settembre: scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi delle persone giuridiche per l’anno 2022.

Anche in questo caso, si tratta solo delle scadenze fiscali annuali più importanti per le imprese nel 2023. Per una lista completa, si può consultare il sito dell’Agenzia delle Entrate.

Calendario fiscale: consigli per la pianificazione fiscale

Pianificare le scadenze fiscali può essere complicato, ma esistono alcuni consigli che possono aiutare a semplificare il processo:

  1. Utilizzare un calendario fiscale: scaricare un calendario fiscale dall’Agenzia delle Entrate o da un sito specializzato può essere utile per tenere traccia delle scadenze fiscali e programmare i versamenti in anticipo.
  2. Automatizzare i pagamenti: utilizzare servizi di home banking o di addebito diretto può semplificare i pagamenti delle tasse e ridurre il rischio di ricevere una cartella esattoriale e sanzioni per ritardi o omissioni.
  3. Conoscere le agevolazioni fiscali: informarsi sulle agevolazioni fiscali previste dalla normativa può consentire di ridurre l’imponibile e, di conseguenza, l’importo delle tasse da pagare.
  4. Affidarsi a un commercialista: in caso di dubbi o di complessità fiscale, è sempre consigliabile affidarsi a un commercialista o a un esperto fiscale che possa fornire assistenza e consulenza personalizzata.
  5. Controllare le fatture elettroniche e le spese: è importante tenere sotto controllo le fatture elettroniche e le spese per poter dedurre le spese e ottenere crediti d’imposta. Un’attenta gestione delle fatture e delle spese può consentire di ottenere una riduzione del reddito imponibile e, di conseguenza, una riduzione dell’imposta dovuta.
  6. Mantenere i documenti in ordine: tenere in ordine i documenti contabili e fiscali è fondamentale per non incorrere in sanzioni e per semplificare le operazioni di dichiarazione dei redditi e di versamento delle tasse. Utilizzare un software di contabilità può essere utile per tenere traccia delle entrate e delle uscite e per generare documenti contabili e fiscali in modo automatico.

In generale, una buona pianificazione fiscale richiede una conoscenza approfondita delle normative fiscali, una corretta gestione dei documenti e delle scadenze, e un’attenta valutazione delle possibili agevolazioni e delle deduzioni fiscali. Con un po’ di impegno e di organizzazione, è possibile evitare problemi con il Fisco e ottenere una maggiore tranquillità e sicurezza nella gestione delle finanze aziendali.

Come trovare codice Ateco da partita iva

Il codice ATECO è un identificativo numerico assegnato a ogni attività economica presente in Italia dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT). Questo codice, composto da 7 cifre, permette di classificare le attività economiche in base alla loro natura e al loro scopo. Il codice ATECO è un elemento fondamentale per molte procedure fiscali e burocratiche, come la registrazione della Partita IVA, la dichiarazione dei redditi e la presentazione del modello Unico. La conoscenza precisa del codice ATECO della propria attività economica è quindi importante per assicurarsi di adempiere correttamente a tutti gli obblighi fiscali. Fortunatamente, esistono diversi modi per trovare il codice ATECO, sia utilizzando metodi tradizionali che strumenti online.

Codice Ateco: un breve ripasso

Il codice Ateco è uno strumento molto importante per la categorizzazione delle attività economiche in Italia e per il loro riconoscimento a livello statistico e fiscale. Questo codice consente d’identificare in modo univoco l’attività economica, permettendo allo Stato di tenere traccia delle attività presenti sul territorio e di calcolare la loro incidenza sull’economia del paese.

La classificazione delle attività economiche tramite il codice Ateco è effettuata sulla base di una serie di criteri. Questi tengono conto di diversi fattori:

  1. natura e caratteristiche dell’attività stessa
  2. prodotto o servizio offerto
  3. mercato di riferimento
  4. altri fattori che possono influire sulla definizione dell’attività

Il codice è molto utile per le aziende, in quanto consente loro di comprendere meglio la loro posizione sul mercato e di adattarsi alle esigenze del mercato stesso. È uno strumento fondamentale per le istituzioni pubbliche, che possono utilizzarlo per effettuare analisi statistiche e valutare l’impatto delle politiche economiche sulla vita delle imprese.

Come trovare codice Ateco da partita iva

Come trovare codice Ateco da partita IVA: metodi tradizionali.

Il codice Ateco è un elemento importante per le attività economiche, poiché è utilizzato per classificare e identificare le attività stesse. La sua importanza deriva dal fatto che è necessario per molte pratiche burocratiche e fiscali, come la registrazione della Partita IVA, la dichiarazione dei redditi e la presentazione del modello Unico.

Il primo metodo per riuscire a trovarlo è quello di consultare il sito web dell’Agenzia delle Entrate o di altri enti pubblici competenti. Questi siti solitamente hanno una sezione dedicata alla ricerca del codice Ateco, dove basta inserire la Partita IVA per ottenere il codice corrispondente. Lo stesso meccanismo funziona anche per trovare la partita IVA con il nome dell’azienda, sempre in modo gratuito.

In alternativa, ci si può rivolgere a un commercialista o a un consulente fiscale. Questi professionisti possono aiutare a trovare il codice Ateco e fornire assistenza nella compilazione dei modelli fiscali, offrendo anche un supporto prezioso per la gestione delle pratiche burocratiche.

In ogni caso, è importante tenere presente che il codice Ateco è un elemento fondamentale per le attività economiche e che la sua corretta identificazione. È fondamentale per garantire la regolarità fiscale e per evitare sanzioni e problemi burocratici.

Trovare codice ATECO tramite partita IVA: strumenti online per la ricerca rapida

Oltre ai metodi tradizionali, esistono anche strumenti online che permettono di trovare il codice Ateco in modo rapido e semplice. Ad esempio, è possibile utilizzare il sito web di una società d’informazioni commerciali, che offre un servizio di ricerca avanzato basato sulla Partita IVA. Questi strumenti online forniscono informazioni dettagliate sull’attività economica, incluso il codice Ateco, la descrizione dell’attività, i dati fiscali e altre informazioni rilevanti.

 

Questi strumenti possono essere utilizzati in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo con una connessione internet, il che li rende molto convenienti per chi è alla ricerca del codice. La ricerca avanzata basata sulla Partita IVA offre risultati precisi e affidabili, che possono essere utilizzati per la compilazione dei modelli fiscali, la registrazione della Partita IVA e per altre procedure fiscali e burocratiche. Gli strumenti online sono spesso molto più efficienti rispetto ai metodi tradizionali e possono aiutare a risparmiare tempo e denaro. Tuttavia, è importante utilizzare solo fonti affidabili e verificate per evitare errori o informazioni obsolete.

Quanto può fatturare una srls? Come funziona? Quando aprirne una?

Le SRLS (Società a Responsabilità Limitata Semplificata) sono una forma di società a responsabilità limitata che si caratterizzano per la semplicità e la flessibilità nella loro gestione. Sono state introdotte dalla Legge di Stabilità del 2014, con lo scopo di agevolare la creazione di nuove imprese e di favorire l’accesso al credito. Con questo articolo vogliamo fornire qualche utile informazione per capire cosa sono, come si costituiscono e quanto può fatturare una srls effettivamente, con limiti massimi e minimi da rispettare.

SRLS società a Responsabilità Limitata Semplificata

Le SRLS sono caratterizzate da una struttura semplificata rispetto alle altre società a responsabilità limitata, sia per quanto riguarda la loro costituzione che per la loro gestione.

Una SRLS può essere costituita da un minimo di uno a un massimo di cinquanta soci, che possono essere persone fisiche o giuridiche. Non è necessario redigere un atto costitutivo, né è richiesto il deposito di un capitale sociale minimo. I soci di una SRLS sono responsabili solo in misura proporzionale al loro conferimento, senza che vi sia il rischio di responsabilità personale.

Tassazione SRLS

Prima di arrivare a capire quanto può fatturare una srls, vediamo, nel dettaglio, la tassazione a cui sono soggette le società a responsabilità limitata semplificata. Si tratta di una tassazione ordinaria, come per le altre società a responsabilità limitata. Ciò significa che devono versare le seguenti imposte:

  • IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche) per i soci, in base alla quota di partecipazione al reddito della società.
  • IRES (Imposta sul reddito delle società) per la società, in base al reddito prodotto.
  • IVA (Imposta sul valore aggiunto) per le operazioni commerciali effettuate dalla società.

SRLS costi

Aprire una SRLS comporta dei costi che vanno considerati nella fase di pianificazione dell’impresa. I costi principali sono i seguenti:

  1. Costo della visura camerale, che varia in base alla regione in cui è richiesta.
  2. Iscrizione al Registro delle Imprese, che comprende il bollo e la tassa d’iscrizione.
  3. Costo per la redazione del libro soci, che può essere sostenuto presso un commercialista o un avvocato.

Inoltre, è necessario considerare i costi per la gestione della società, come ad esempio i compensi per il consiglio di amministrazione, il commercialista e l’eventuale contabile.

Quanto può fatturare una srls? Ecco i limiti di fatturato delle SRLS

Le SRLS non hanno limiti di fatturato. Ciò significa che una SRLS può generare un reddito illimitato, a patto che sia rispettata la normativa fiscale e commerciale in vigore.

Fatturazione elettronica SRLS

A partire dal 2019, le SRLS sono obbligate alla fatturazione elettronica per le operazioni commerciali con altre imprese e con la pubblica amministrazione. Ciò significa che le fatture emesse e ricevute devono essere trasmesse in formato elettronico, utilizzando il Sistema d’Interscambio (SdI) messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate.

La fatturazione elettronica permette di semplificare l’emissione e la gestione delle fatture, riducendo gli errori e i tempi di lavoro. Inoltre, consente di avere un maggiore controllo e tracciabilità delle operazioni commerciali.

Quanto può fatturare una srls

Aprire una SRLS

Per aprire una SRLS, è necessario soddisfare i seguenti requisiti:

  1. Avere la maggiore età.
  2. Non essere stati dichiarati falliti.
  3. Non essere sottoposti a procedure concorsuali.
  4. Inoltre, è necessario scegliere una denominazione per la società che rispetti le norme sulla registrazione dei marchi e sulla tutela della proprietà industriale.
  5. Scegliere la sede della società, che può essere l’abitazione del socio o un locale commerciale.
  6. Scegliere un legale rappresentante per la società, che può essere uno dei soci o un terzo.
  7. Comunicare l’avvio dell’attività all’ufficio del registro delle imprese e all’agenzia delle entrate.
  8. Redigere il libro soci, che contiene l’elenco dei soci, i conferimenti e le quote di partecipazione.

Srls vantaggi

Aprire una SRLS (Società a Responsabilità Limitata Semplificata) può comportare diversi vantaggi per chi desidera fare impresa:

  • Semplicità e velocità nella costituzione: le SRLS non richiedono un atto costitutivo né un capitale sociale minimo, il che le rende più semplici da aprire rispetto ad altre forme societarie. Inoltre, il processo di iscrizione al Registro delle Imprese è più rapido rispetto ad altre forme di società a responsabilità limitata.
  • Responsabilità limitata dei soci: i soci di una SRLS sono responsabili solo in misura proporzionale al loro conferimento, senza il rischio di responsabilità personale. Ciò significa che il patrimonio personale dei soci non può essere utilizzato per soddisfare i debiti della società.
  • Flessibilità nella gestione: le SRLS possono essere gestite in modo flessibile, senza l’obbligo di un consiglio di amministrazione o di un organo di controllo. Ciò le rende adatte sia a piccole imprese che a società di maggiori dimensioni.
  • Possibilità di ottenere finanziamenti: le SRLS possono accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali destinati alle nuove imprese, come ad esempio il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali o il superammortamento.
  • Tassazione ordinaria: le SRLS sono soggette alla tassazione ordinaria, come le altre società a responsabilità limitata, con l’applicazione dell’IRPEF per i soci e dell’IRES e dell’Iva per la società. Ciò le rende più convenienti rispetto ad altre forme societarie, come ad esempio le società per azioni, che sono soggette a tassazione più elevata.

Sviluppatore app: partita IVA, regime fiscale e fatture elettroniche

Esperto di programmazione e informatica, lo sviluppatore app è simile al programmatore informatico, ma con qualche differenza. Per svolgere questo lavoro è necessario aprire una partita IVA, adempiere a precisi obblighi fiscali e scegliere un determinato regime fiscale in base alla natura dell’attività svolta.

Sviluppatore app: chi è e cosa fa

Esperto d’informatica, lo sviluppatore app, progetta e realizza applicazioni destinate a vari utilizzi. Dalla stampa di fotografie, a quelle utili a parcheggiare o a fare la spesa, le applicazioni oggi sono sempre più diffuse e utilizzate e si possono trovare in molti store online, gratis o a pagamento. Lo sviluppatore app può svolgere le proprie mansioni come dipendente, oppure come libero professionista.

La categoria di sviluppatori informatici non hanno una precisa disciplina fiscale. Se ne distinguono però due differenti casistiche:

  1. Sviluppatori che realizzano app per uno o più committenti – svolge attività professionale. Se continuativa deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/12 e consegnarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio della propria attività.
  2. Sviluppatori informatici che creano app per rivenderle direttamente negli store di app.

Ci sono poi sviluppatori che fanno entrambe le cose. Chi non pratica questa attività in modo continuativo, può avvalersi della prestazione occasionale. Gli sviluppatori autonomi, quando aprono partita iva devono anche scegliere il relativo e corretto codice ATECO. Per farlo possono rivolgersi direttamente ad AdE (Agenzia delle Entrate), oppure attraverso un intermediario.

Sviluppatori app e codici ATECO

Il codice ATECO cambia a seconda della professione svolta. Gli sviluppatori di app possono scegliere tra:

  • 01.00 – produzione di software non connesso all’edizione;
  • 02.00 – consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica;

La scelta deve ricadere sul codice maggiormente inerente alla propria attività. Nel dubbio è possibile chiedere consiglio ad AdE, oppure a un dottore commercialista. I soggetti che decidono di creare app e venderle direttamente negli store online, devono scegliere il codice 49.91.10, relativo al commercio elettronico diretto.

Sviluppatore app

Sviluppatori di app e regimi fiscali

Il regime fiscale determina il modo con il quale lo sviluppatore app deve pagare le tasse allo Stato. Le imposte sono applicate in base alla diversa tipologia di ricavi prodotti. In questo caso, gli sviluppatori di applicazioni sono artefici di una vera e propria attività commerciale. Quindi, lo sviluppatore che crea app  e lavoro autonomamente deve:

  • aprire partita IVA
  • scegliere il regime fiscale migliore (ad esempio quello forfettario)
  • iscriversi all’INPS.

Invece, lo sviluppatore di app che crea e rivende applicazioni deve:

Gli sviluppatori di applicazioni possono aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Per quanto riguarda il secondo, presenta dei notevoli vantaggi, ma tutto dipende dal fatturato annuo che non può superare i 65.000€ annui. Inoltre, non è possibile aderire a questo regime nemmeno quando il soggetto interessato partecipa ad associazioni o imprese familiari, oppure a società di persone o Srl.

I vantaggi del regime forfettario permettono allo sviluppatore app di non applicare l’IVA sulle fatture elettroniche e l’IRPEF. Inoltre, l’imposta sostitutiva è al 15% e si abbassa al 5% per i primi 5 anni. Le tasse sono applicate sulla base del coefficiente di redditività, che per lo sviluppatore di app è del 67%.

Programmatore app e previdenza sociale

Aperta la partita IVA è necessario comunica all’INPS l’inizio dell’attività. La comunicazione è necessaria per iniziare a versare i contributi che permettono di accedere alla pensione. In regime fiscale ordinario e forfettario è possibile l’iscrizione alla Gestione Separata INPS rivolta a tutti i professionisti.

I contributi da versare per questa categoria, ammontano a 25,98% del reddito imponibile sulla base del fatturato annuo. Se il fatturato annuo è inferiore o pari a 15.953€ esiste una quota minima di contributi da versare all’INPS pari a 3.850€.

Sospensione Partita IVA: quando e come è possibile

Lo svolgimento di un’attività autonoma presuppone di aprire una partita IVA. Indipendentemente dal regime fiscale scelto, l’apertura della partita IVA e l’adempimento di obblighi fiscali e previdenziali, è assodato per tutti. Può capitare, però, che il lavoratore autonomo abbia necessità di sospendere partita IVA per un determinato periodo di tempo. La sospensione della partita IVA non è possibile per legge. Sospendere e riprendere dopo un certo lasso di tempo non è quindi fattibile.

Sospensione Partita IVA: regime ordinario e forfettario

Che si tratti di regime ordinario, piuttosto che del forfettario, la legge italiana non prevede in alcun caso la possibilità di sospendere temporaneamente la propria partita IVA. Questo significa che, se necessario, il lavoratore autonomo deve chiudere partita IVA, per poi riaprirla in futuro se c’è volontà di farlo.

I motivi che possono portare alla necessità di sospendere partita IVA sono molteplici, ma nessuno valido affinché ciò possa essere attuato da normativa vigente. Mantenere aperta una partita IVA ha un costo. Per lasciarla aperta, anche se non è utilizzata, il commercialista deve comunque essere pagato e, allo stesso modo, devono essere saldati i costi fissi come la contribuzione INPS.

Anche se non è possibile sospendere la partita IVA è comunque possibile sospendere la propria attività per un certo periodo di tempo. Le possibilità, in questo caso, sono:

  • chiudere definitivamente la partita IVA e riaprirne una nuova in un secondo momento
  • chiudere definitivamente la partita IVA
  • cambiare il regime fiscale
  • diventare ditta individuale che affitta ad azienda

Chiudere definitivamente la partita IVA

È necessario compilare il modello AA 9/12 e presentarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dal momento in cui termina del tutto l’attività svolta. Il documento può essere inviato telematicamente o consegnato di persona allo sportello. Infine, è necessario comunicare a INPS e al Registro delle Imprese, o ad altra cassa previdenziale, la chiusura dell’attività.

Aprire e chiudere partita IVA stesso anno

Chiusura e riapertura è possibile sia in regime ordinario che forfettario. La nuova partita IVA non potrà essere uguale a quella vecchia. Varia il numero, probabilmente anche il codice ATECO e le varie informazioni fiscali. In caso di chiusura partita per fallimento, prima di aprire quella nuova, è obbligo aspettare il termine della procedura amministrativa.

Sospensione Partita IVA

Cambio regime fiscale in corso d’anno

È sempre possibile, in qualunque momento cambiare regime fiscale. È possibile passare a quello ordinario, a quello forfettario, oppure a quello semplificato. Da ordinario a forfettario è sufficiente rimanere sotto i 65.000€ annui di fatturato. Mentre da forfettario a ordinario non c’è bisogno di fare praticamente niente, se non avvalersi dell’aiuto di un buon commercialista e aggiungere l’IVA alle fatture. In tutti casi, quindi, non è necessario chiudere e riaprire partita IVA. Si tratta, forse, dell’esempio che più di tutti assomiglia alla sospensione partita IVA.

Affitto unica azienda ditta individuale

Una ditta individuale che affitta a un’azienda, è forse l’unico caso di vera e propria sospensione partita IVA. Si tratta infatti di una soluzione che permette a un’azienda di pagare un canone per utilizzare un’azienda di un’altra impresa. Questo esempio è l’unico nel quale la partita IVA è sospesa, congelata. L’imprenditore considerato ditta individuale che affitta l’unica attività di cui è titolare, può conservare la propria partita IVA. Da considerare che nell’affitto unica azienda ditta individuale sono comunque da pagare alcune imposte, come ad esempio l’imposta sul registro per effettuare il passaggio stesso.

Prop trader: chi sono e quale regime fiscale scegliere

Un prop trader è un professionista che si occupa di prop trading. Si tratta di una professione nata recentemente grazie al web. Una figura molto particolare che lavora per conto delle Prop House. Non si tratta di comuni promotori finanziari o di gestori diretti del rischio. Trattandosi di una nuova forma di lavoro cerchiamo di capire meglio quale sia il regime fiscale migliore da adottare per svolgere questa attività.

Prop Trader: chi è e cosa fa

Il Prop Trader gestisce un portafogli d’investimento per conto delle Prop House che altro non è che una società finanziaria che gestisce vari portafogli finanziari d’investitori. La gestione di questi portafogli è affidata proprio ai Prop Trader. Il professionista ha a disposizione una data somma di denaro da gestire, ma non risponde di eventuali perdite subite dall’attività d’investimento.

Beneficia esclusivamente di parte dei proventi ottenuti dalle attività d’investimento. Infatti, la gestione dell’investimento riguarda solo il rapporto tra l’investitore e la Prop House. Il Prop Trader lavora per la Prop House. Questo significa che, in caso di eventuale perdita subita dal committente, il trader può decidere di recedere dal contratto e dalla collaborazione professionale con il singolo professionista.

Prop Trader: lavoro, partita iva e regime fiscale

Per svolgere l’attività di prop trader, se continuativa e abituale, è necessario aprire una partita IVA. La partita IVA è quindi sempre richiesta e non esiste una soglia minima sotto la quale è possibile operare in assenza di partita IVA. È obbligo inoltre dichiarare i proventi relativi all’attività svolta. Il professionista che vuole esercitare tale attività deve anche stabilire la gestione previdenziale e scegliere il codice ATECO corretto.

Agenzia delle Entrate, per il momento, non avendo discusso di questa professione, non ha stabilito un codice ATECO preciso. Quindi, è necessario scegliere un codice già esistente tra i tanti presenti nelle attività residuali. Durante la scelta è d’uopo tenere in considerazione anche la diversa tipologia di contratto che il professionista va a sottoscrivere con la società d’investimento committente.

Allo stesso modo, non esistono specifiche, almeno per adesso, sugli aspetti previdenziali di questa attività professionale. In linea generale, quindi, è possibile farla rientrare nei casi di gestione separata INPS che prevede un’aliquota variabile di anno in anno, da applicare sul valore del reddito prodotto su ogni annualità. Come per il codice, anche in questo caso, la situazione deve essere valutata caso per caso con un dottore commercialista tenendo conto anche del contratto sottoscritto con la Prop House.

Prop trader

Organismo OCF: iscrizione e aspetti amministrativi

L’organismo OCF è un ente che tutela e vigila l’Albo Unico dei Consulenti Finanziari. Per potersi iscrivere all’OCF occorre superare un esame specifico. Per quanto riguarda i prop trader, non essendoci chiarimenti ufficiali, non è chiaro se debbano o no iscriversi a questo organismo. Analizzando il loro operato sembra non essere necessaria l’iscrizione, essendo professionisti che operano al di fuori delle normative che regolano l’attività dei consulenti finanziari.

Prop trader lavoro e regime fiscale

I prop trader possono ricorrere al regime forfettario, fuori campo IVA. Così facendo hanno un’aliquota molto bassa del 5% (nei primi 5 anni) o del 15% e non si pagano IRPEF, IRAP o altre imposte addizionali. Per accedere al forfettario devono sempre essere rispettati determinati criteri:

  1. ricavi annui non superiori ai 65.000€
  2. redditi da lavoro dipendente o pensioni non superiori a 30.000€
  3. non superare i 20.000€ annui di spese per i dipendenti
  4. non possedere quote di partecipazione a società di persone o associazioni
  5. non possedere partecipazioni di controllo in SRL che svolgono attività analoghe

In alternativa al regime forfettario, è possibile, per il Prop Trader, aprire partita IVA individuale in contabilità semplificata, oppure aprire una SRL. Meglio, comunque, valutare ogni situazione caso per caso avvalendosi dell’ausilio di un commercialista esperto in materia.