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Coefficiente di redditività forfettario: determinazione, ambito di applicazione e obblighi di comunicazione

Il calcolo del coefficiente di redditività forfettario riveste un’importanza fondamentale per tutti i soggetti che applicano il regime forfettarioIl coefficiente di redditività forfettario consente infatti di determinare il reddito presunto cui applicare l’imposta sostitutiva e di calcolare i contributi previdenziali dovuti.

Sebbene il metodo di calcolo sia relativamente semplice, in quanto prevede l’applicazione del coefficiente ai ricavi o compensi conseguiti nel periodo d’imposta, è bene che tale operazione sia affidata a professionisti esperti, in grado di individuare correttamente il codice ATECO di appartenenza e il valore del coefficiente da utilizzare.

Un errore nell’attribuzione del codice o nell’applicazione del valore tabellare del coefficiente potrebbe infatti determinare una non corretta quantificazione del reddito imponibile e di conseguenza il pagamento di un’imposta sostitutiva e di contributi previdenziali non dovuti. Affidandosi a professionisti qualificati ci si assicura dunque il rispetto di tutti gli adempimenti connessi al regime forfettario e si evitano possibili sanzioni in caso di irregolarità. 

Coefficiente di redditività forfettario: cos’è e come si calcola

Il coefficiente di redditività forfettario è uno strumento utile e obbligatorio per molti commercianti al dettaglio e artigiani per la determinazione del reddito presunto. Il calcolo del coefficiente di redditività forfettario si basa su parametri oggettivi stabiliti per legge.

Il coefficiente di redditività forfettario è applicato a tutti quei titolari di attività commerciali al dettaglio e di imprese artigianali che non sono tenute alla contabilità formale e che optano per il regime di vantaggio o per il regime dei minimi. Questo calcolo consente di determinare in modo semplificato e forfettario il reddito presunto di tali attività, che è poi assoggettato a tassazione.

Per calcolarlo è necessario in primo luogo individuare il codice di attività dell’impresa secondo la classificazione ATECOFIN. In base a questo codice sono associati a ciascuna tipologia di attività uno o più coefficienti di redditività, stabiliti con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base dei dati desunti dalle dichiarazioni dei redditi delle imprese omogenee. Ad esempio, per il codice di attività di barbiere il coefficiente di redditività forfettario è pari al 78%.

Coefficiente di redditività forfettario

A questo punto, per ottenere il reddito presunto si applica semplicemente il coefficiente di redditività forfettario ai ricavi dell’esercizio desunti dalla fatturazione elettronica obbligatoria. Pertanto, nell’esempio precedente del barbiere, se i suoi ricavi ammontassero a 50.000 euro, il reddito presunto, risultante dall’applicazione del coefficiente del 78%, sarebbe pari a 39.000 euro (50.000 * 0,78).

Pertanto, il calcolo del coefficiente di redditività forfettario costituisce uno strumento semplice ma obbligatorio ai fini fiscali per la determinazione del reddito presunto di molte piccole imprese, basandosi su parametri oggettivi che tengono conto della specifica attività svolta e dei suoi ordinari livelli di redditività.

Coefficienti di redditività regime forfettario: periodo di applicazione e variazioni

I coefficienti di redditività previsti per il regime forfettario sono stabiliti annualmente con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e trovano applicazione a decorrere dal periodo d’imposta di riferimento. Negli anni si sono registrate variazioni sia dei valori dei coefficienti che del loro periodo di efficacia.

Per gli anni 2018 e 2019 è stato deliberato, ad esempio, l’utilizzo della medesima tabella, contenente valori stabiliti in riduzione rispetto al passato per tenere conto della crisi economica. In particolare, per l’anno 2018 si sono applicati coefficienti con valori compresi tra il 40% e l’81%, in base alla tipologia di attività esercitata. Per l’anno 2019 è rimasta valida la stessa tabella, in attesa di successivi aggiornamenti normativi.

Nel gennaio 2020 è stato poi pubblicato il decreto attuativo con i nuovi coefficienti di redditività per il regime forfettario efficaci per il periodo d’imposta 2020. La nuova tabella ha previsto un rialzo generale dei valori, con coefficienti compresi ora tra il 48% e l’98% a seconda del codice ATECO. Queste variazioni sono conseguenza della ripresa economica intrapresa.

È altresì da ricordare che con la legge di bilancio 2023 è stata stabilita una nuova soglia massima di fatturato pari a 85.000 euro annui per poter beneficiare del regime forfettario. Tale limitazione ha ampliato la platea dei contribuenti assoggettabili ai coefficienti di redditività.

IVA sul vino: aliquote, registro e obblighi fiscali della filiera vitivinicola

L’IVA sul vino presenta in Italia alcune specifiche caratteristiche che è opportuno conoscere accuratamente per chi opera nel settore vitivinicolo. L’IVA sul vino varia in funzione del grado alcolico ovvero si applicano aliquote diverse a seconda che si superi o meno la soglia dell’11%. Inoltre, un’ulteriore distinzione è legata alla destinazione d’uso del prodotto, se per il consumo oppure per la somministrazione al banco o al tavolo.

Queste peculiarità del tributo devono essere correttamente considerate per sapere esattamente come calcolare l’iva in fattura. I produttori, i commercianti all’ingrosso e i rivenditori al dettaglio sono tenuti a indicare l’aliquota specifica a seconda del caso. Eventuali errori nell’applicazione della normativa fiscale possono comportare sanzioni.

Pertanto, al fine di operare nel rispetto delle disposizioni vigenti, risulta fondamentale per tutti i soggetti coinvolti nella filiera vitivinicola avere piena cognizione delle regole che disciplinano l’IVA sul vino in Italia e saperle correttamente applicare nella pratica contabile quotidiana.

Aliquota IVA sul vino: come varia in base al grado alcolico e alla destinazione d’uso

L’IVA sul vino con grado alcolico fino al 10% incluso è pari al 10% se destinato al consumo, mentre per la somministrazione al banco o al tavolo è del 22%. Per i vini con grado alcolico superiore al 10% e fino al 15% incluso, l’aliquota IVA è sempre del 22% a prescindere dalla destinazione. I vini con grado alcolico superiore al 15% sono invece sempre assoggettati a un’aliquota IVA del 10%, anche se destinati alla somministrazione.

Per quanto concerne la fatturazione elettronica, essa è obbligatoria per tutti i soggetti titolari di partita IVA residenti, stabiliti o identificati in Italia. Anche per le operazioni relative alla commercializzazione dei vini si applica tale obbligo. In particolare, i produttori di vino devono emettere e ricevere fatture esclusivamente in formato digitale per qualsiasi cessione effettuata, sia essa destinata alla grande distribuzione organizzata, alla ristorazione o alla vendita diretta.

IVA sul vino

I criteri che distinguono le aliquote sono stabiliti dalla normativa comunitaria e internazionale in materia di armonizzazione delle accise sui prodotti alcolici. L’IVA sul vino con grado fino al 10% è ritenuta più simile a un prodotto alimentare piuttosto che ad una bevanda alcolica e per questo è soggetta ad aliquota ridotta. Viceversa, per i vini con grado superiore all’11% prevale la componente alcolica che li rende equiparabili agli alcolici e ciò giustifica l’aliquota IVA maggiorata. 

IVA sul vino: Regime IVA per la produzione e commercializzazione del vino

Il regime IVA applicabile alla produzione e commercializzazione del vino prevede diverse disposizioni in base alle fasi del ciclo produttivo. Per quanto riguarda la produzione vera e propria, l’imposta sul valore aggiunto non grava sugli autoconsumi e le cessioni effettuate dai produttori agricoli di uve e mosti destinati alla trasformazione in vino. Questi soggetti applicano infatti il regime speciale IVA previsto per il settore agricolo in base al quale non sono assoggettati al pagamento dell’IVA. Diverso è il regime applicabile ai trasformatori, quali le cantine e i produttori di vino. Per costoro l’IVA sul vino si applica sulle cessioni effettuate, sia in acconto che a saldo. L’aliquota varia in base al grado alcolometrico del prodotto come già evidenziato.

Per la commercializzazione del vino, i soggetti che lo cedono, sia all’ingrosso che al dettaglio, sono tenuti a fatturare le operazioni applicando l’IVA secondo le aliquote previste. Eventuali esportazioni del prodotto consentono invece il rilascio della bolletta doganale che attesta l’esenzione IVA per le cessioni intracomunitarie e le esportazioni extra UE.

La produzione del vino gode di un particolare regime IVA di favore, mentre la trasformazione e la commercializzazione seguono le normali disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto.

Fringe benefit 2024: tutte le novità sull’aumento dell’importo esentasse

Anche per l’anno 2024 sono previsti i fringe benefit per i lavoratori dipendenti, ma per poterne usufruire è necessario rispettare specifiche caratteristiche e aspetti normativi.

Innanzitutto, l’erogazione dei fringe benefit rimane facoltativa per le aziende e non rappresenta un diritto automatico dei dipendenti. Spetta infatti alla singola impresa individuare quali voci di welfare aziendale intende riconoscere ai propri lavoratori e in capo a chi.

In secondo luogo, occorre fare riferimento alle tipologie di fringe benefit previste dalla normativa fiscale 2024. Rientrano nei benefit solo alcune ben delineate categorie di beni e servizi, come ad esempio l’auto aziendale, i buoni pasto e i rimborsi per utenze o spese di casa, calcolati sempre entro un preciso tetto di esenzione.

Bisogna inoltre considerare che i fringe benefit, pur contribuendo ad integrare la retribuzione dei dipendenti, devono essere erogati nel rispetto della disciplina sulla fatturazione elettronica e della normativa sul lavoro. Il loro ammontare complessivo non può comunque superare, per ciascun lavoratore, il limite massimo stabilito per legge, pari a 2.000 euro annui in presenza di figli a carico.

Pertanto, si può affermare come la disciplina dei fringe benefit 2024 preveda determinate condizioni e vincoli al fine di coniugare le esigenze di aziende e lavoratori nel pieno rispetto delle norme vigenti.

Fringe benefit 2024: chi può usufruirne

Il decreto legge di bilancio 2024 ha apportato modifiche sostanziali al tetto massimo dei fringe benefit che possono essere riconosciuti ai dipendenti in esenzione fiscale. I fringe benefit 2024 rappresentano una forma di retribuzione in natura che si affianca allo stipendio, concepita come beneficio accessorio erogato liberamente dal datore di lavoro. Essi offrono vantaggi fiscali sia al lavoratore, in quanto le somme ricevute non concorrono a formare il reddito imponibile, sia all’azienda che può dedurle interamente.

La legge di bilancio 2024 ha elevato il limite dei fringe benefit a 2.000 euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1.000 euro per tutti gli altri dipendenti. Per fruire del fringe benefit fino a 2.000 euro è necessario che il lavoratore presenti un’autocertificazione al datore indicando il codice fiscale del figlio o dei figli a carico. Mentre per il rimborso delle utenze domestiche è indispensabile esibire le fatture sostenute nel 2024, con rimborso da effettuare al massimo entro gennaio 2025.

I fringe benefit non sono un diritto ma una facoltà riservata alla libera scelta del datore di lavoro. Tipicamente essi riguardano dirigenti, quadri e personale direttivo ma nulla vieta che siano estesi anche ad altre categorie. L’azienda individua autonomamente le figure cui assegnare i benefici accessori, stabilendolo nel contratto di assunzione. Il welfare aziendale invece si differenzia poiché vale per una generalità di dipendenti. Ad esempio un’auto aziendale può spettare ai ruoli di rappresentanza mentre i buoni pasto competono verosimilmente a tutti i lavoratori. In sintesi, i fringe benefit 2024 possono essere fruiti in base alla discrezionalità aziendale.

Fringe benefit 2024

Fringe benefit manovra 2024: beni e servizi che vi rientrano

I beni e servizi che possono rientrare nei fringe benefit della manovra 2024 sono:

  1. L’auto aziendale, ovvero il mezzo fornito dall’azienda al dipendente per l’attività lavorativa e per uso personale. Il relativo beneficio viene quantificato in base alle tabelle ACI, applicando un coefficiente al costo chilometrico moltiplicato per 15.000 km annui convenzionali.
  2. Le bollette domestiche di luce, gas e acqua, nonché le spese condominiali. Tali utenze possono essere rimborsate al lavoratore entro un massimo di 2.000 euro come previsto per i fringe benefit 2024.
  3. Il rimborso degli interessi su mutui e degli affitti per la prima casa. Si tratta di una voce di benefit introdotta per la prima volta nel 2024.
  4. I buoni pasto, con un tetto di 5,29 euro per i titoli cartacei e 7 euro per quelli elettronici. Rappresentano uno strumento consolidato di welfare aziendale.
  5. Il telefono fornito dall’azienda, gli immobili locati o dati in comodato e i prestiti agevolati.
  6. Le borse di studio e i bonus carburante da 200 euro, assimilabili a veri e propri fringe benefit secondo la disciplina 2024.

Tali voci rientrano nel piano di welfare aziendale e possono essere godute dai lavoratori dipendenti con figli a carico entro il massimale di 2.000 euro individuale.

Tassa sulle mance e fatturazione degli introiti

In Italia il pagamento delle tasse e imposte è un obbligo di legge. Contribuire al sostentamento dello Stato tramite il versamento di contributi e imposte è doveroso per tutti i cittadini e le attività economiche. Tra le tante troviamo anche la tassa sulle mance, introiti aggiuntivi molto frequenti per alcune categorie lavorative come camerieri, baristi, estetiste. La normativa prevede che su queste somme, percepite con generosità dai clienti, vada versata un’aliquota IRPEF che varia dal 23% al 43% a seconda dei casi.

Se consideriamo che in alcuni settori le mance possono arrivare a costituire anche oltre il 30-40% dello stipendio annuale, è facile capire come il prelievo fiscale su queste entrate possa incidere in modo significativo sui guadagni finali di un’attività. Per un ristorante medio il mancato introito dovuto alla tassazione sulle mance può ammontare a diverse migliaia di euro l’anno, soldi che altrimenti potrebbero essere reinvestiti nell’azienda.

È quindi importante che tutti i soggetti economici, dipendenti e datori di lavoro, ottemperino agli obblighi di monitoraggio e versamento delle imposte per operare nel rispetto delle normative.

Tassa sulle mance: normativa fiscale e obblighi dichiarativi

Le mance rappresentano un’entrata reddituale che la normativa tributaria italiana ha regolamentato con precisione. Vediamo nel dettaglio la disciplina fiscale relativa a questa particolare forma di reddito.

Ai sensi dell’articolo 50 del Tuir, le somme percepite a titolo gratuito dal lavoratore dipendente, come appunto le mance, configurano reddito assimilato a quello di lavoro dipendente. Pertanto, sul relativo importo si applicano le cosiddette “imposte“, ovvero la ritenuta d’acconto effettuata dal sostituto d’imposta (datore di lavoro o committente) secondo le aliquote Irpef relative al reddito complessivo.

Tassa sulle mance

Il percipiente ha l’obbligo di comunicare preventivamente al sostituto d’imposta l’ammontare presunto delle mance al fine del calcolo corretto delle ritenute. In sede di dichiarazione dei redditi annuale poi dovrà indicare l’effettivo importo percepito a titolo di liberalità, in modo che il fisco possa verificare la corretta applicazione del prelievo. Pertanto, la normativa prevede precisi oneri di monitoraggio e trasparenza che i lavoratori sono tenuti a rispettare per la tassazione di questa particolare voce di reddito.

Tassa sulle mance e fatturazione degli introiti: registrazione contabile e versamento delle ritenute

Come anticipato, la normativa prevede l’obbligo per i lavoratori di documentare fiscalmente le somme ricevute a titolo di mancia. Ai sensi dell’articolo 54 del DPR n.633/1972 e in ottemperanza al principio di “Pagare le tasse è obbligatorio”, il percipiente deve effettuare la registrazione contabile delle mance mediante ricevute fiscali o annotazioni su appositi registri. Nello specifico, il registro delle mance (cosiddetto “mance book“) deve riportare data, nome del cliente, importo ricevuto ed eventuali note illustrative. Tale documentazione deve essere conservata agli atti per i successivi controlli dell’Agenzia delle Entrate.

Successivamente, il soggetto che ha operato le ritenute (sostituto d’imposta) dovrà provvedere al versamento periodico delle somme trattenute. Il datore di lavoro – che normalmente svolge tale funzione – effettuerà i pagamenti alle scadenze previste per i contributi INPS (in genere entro il 16 del mese successivo) utilizzando il mod.F24. In tal modo si assicura la corretta riscossione delle imposte dovute sul reddito aggiuntivo costituito dalle mance.

Flat tax incrementale: calcolo, funzionamento e requisiti

La flat tax riveste un ruolo di primo piano nel sistema tributario italiano. Sebbene applicata per il momento solo per le partite IVA con ricavi/compensi fino a 65.000 euro, questo regime agevolato ha assunto una crescente importanza negli ultimi anni.

Sono diverse le ragioni per cui la flat tax è considerata ormai un elemento essenziale nel Bel Paese. In primo luogo, risponde alla necessità di semplificare gli adempimenti fiscali per lavoratori autonomi e piccole imprese, categorie produttive particolarmente gravose sotto questo profilo.

Inoltre, la tassazione proporzionale al 15% sui redditi incrementali costituisce un forte incentivo alla crescita di queste realtà imprenditoriali, spesso motore dell’occupazione in Italia. Non va poi sottovalutato l’impatto positivo in termini di minor evasione fiscale e maggiori entrate erariali, grazie alla semplificazione che rende più trasparenti i redditi da lavoro autonomo.

Infine, l’estensione di questo regime ad altri contribuenti è oggi al centro del dibattito politico, segno che la flat tax sta progressivamente cambiando il paradigma fiscale del Paese. In definitiva, equità, crescita economica e semplificazione rendono la tassazione proporzionale uno strumento imprescindibile all’interno dell’ordinamento tributario italiano.

Flat tax incrementale: cos’è e come funziona

La flat tax incrementale è un regime fiscale agevolato introdotto in Italia nel 2019 a favore dei titolari di redditi da lavoro autonomo e d’impresa con ricavi o compensi annui non superiori a 65.000 euro. Nello specifico, si tratta di una tassazione sostitutiva proporzionale al 15% calcolata esclusivamente sulla quota di reddito eccedente la media dei redditi conseguiti nei tre periodi d’imposta precedenti a quello oggetto di tassazione agevolata.

Tale eccedenza prende il nome di “reddito incrementale“. Non concorre invece alla tassazione sostitutiva la quota di reddito entro il limite medio dei periodi precedenti. Nel dettaglio, la base imponibile corrisponde alla differenza tra il reddito conseguito nel periodo d’imposta e la media dei redditi registrati nei tre periodi d’imposta precedenti, al netto dei componenti negativi.

Su tale incremento è calcolata e versata in via sostitutiva, con un’aliquota proporzionale pari al 15%, l’IRPEF e le relative addizionali che sarebbero dovute in caso di ordinaria tassazione.

Flat tax incrementale

Questo regime agevolativo, pur applicandosi a settori e soglie di reddito ben precise, presenta indubbi vantaggi per i lavoratori autonomi e le imprese che vi aderiscono. Oltre alla tassazione ridotta al 15% sull’incremento di reddito, si consideri che non sono dovute le addizionali comunali e regionali all’IRPEF, né i relativi acconti, né le ritenute d’acconto per i lavoratori autonomi. Un ulteriore beneficio consiste nella determinazione della base imponibile mediante un sistema di tassazione separata che non rileva ai fini del calcolo del reddito complessivo. Ciò consente agli aderenti alla flat tax incrementale di non subire eventuali effetti negativi sulla clausola di salvaguardia per redditi superiori ai 65.000 euro annui.

Da non sottovalutare è poi la semplificazione degli adempimenti, limitati alla sola presentazione della dichiarazione dei redditi con calcolo precompilato dell’imposta da versare.

Tassa incrementale: requisiti e adempimenti per accedervi

Per poter beneficiare del regime di flat tax incrementale, i soggetti devono rispettare specifici requisiti e adempiere a determinate formalità. In primo luogo, sono ammessi al regime i titolari di redditi da lavoro autonomo e d’impresa, con ricavi/compensi annui riferiti al periodo d’imposta non superiori a 65.000 euro. Non possono aderire i partecipanti a società di persone, associazioni o imprese familiari.

Sono invece inclusi professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori individuali, società di capitali (fino a 5 membri). Per aderire, bisogna inviare apposita comunicazione di opzione entro il periodo di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’anno di entrata in regime. Il versamento dell’imposta sostitutiva avviene con modalità ordinarie tramite F24.

È poi necessario rispettare, una volta optato, il regime per almeno 3 periodi d’imposta, salvo rinuncia anticipata. In sintesi, sono pochi e chiari i requisiti di accesso alla misura agevolativa per autonomi e imprese di minori dimensioni.

Esenzioni fiscali: cosa sono e chi può beneficiarne

Le esenzioni fiscali rappresentano uno strumento molto utile per sostenere categorie di soggetti considerati meritevoli di aiuto da parte dello Stato, come enti non profit, famiglie in difficoltà economica e imprese innovative. Grazie alle esenzioni, questi soggetti ottengono una riduzione dell’ammontare delle tasse e imposte dovute, che può risultare determinante per le loro attività. Gli enti non profit come le ONLUS sviluppano attività di interesse generale, quali assistenza sociale, volontariato e ricerca scientifica. Le esenzioni fiscali di cui godono rappresentano quindi un supporto fondamentale per disporre delle risorse necessarie allo svolgimento della loro preziosa funzione sociale.

Anche le famiglie a reddito basso o medio-basso beneficiano spesso di detrazioni e deduzioni dall’IRPEF e di esenzioni dall’IMU che possono alleviare sensibilmente il carico fiscale e migliorare il loro bilancio. Infine, le agevolazioni destinate alle imprese innovative e alle startup consentono alle nuove attività imprenditoriali di affrontare la fase di avvio ed espansione con meno vincoli fiscali. Ciò risulta vitale per promuovere lo sviluppo economico e occupazionale. Quindi, per categorie come enti non profit, famiglie a basso reddito e nuove imprese, le esenzioni fiscali possono rappresentare un valido supporto per poter portare avanti al meglio il proprio ruolo nella società.

Esenzioni fiscali: cosa sono esattamente

Le esenzioni fiscali rappresentano un meccanismo mediante il quale è concesso un beneficio fiscale che comporta l’esclusione totale o parziale dalla base imponibile di determinate categorie di reddito. Tale agevolazione consente di ridurre l’importo delle imposte dovute, contribuendo così a favorire specifici settori o situazioni particolari all’interno del sistema fiscale di un Paese.

Nel contesto delle esenzioni fiscali, l’esenzione IVA rappresenta una delle forme più comuni e rilevanti di agevolazione. L’IVA, acronimo di Imposta sul Valore Aggiunto, è un’imposta indiretta che grava sul consumo di beni e servizi. L’esenzione IVA comporta l’esclusione totale o parziale dell’imposta sulle operazioni che rientrano in specifiche categorie o soddisfano determinati requisiti. Questa può riguardare diversi ambiti e settori economici. Ad esempio, possono essere esenti da IVA le operazioni nel settore sanitario, l’istruzione, la cultura, i servizi sociali, le assicurazioni, le operazioni finanziarie e le attività degli enti non profit. L’obiettivo di queste esenzioni è quello di favorire l’accesso a servizi essenziali o di interesse pubblico, stimolare la crescita economica o garantire un trattamento fiscale equo.

Esenzioni fiscali

Le esenzioni fiscali, compresa l’esenzione IVA, possono avere un impatto significativo sia sulle imprese che sulle finanze pubbliche. Da un lato, le imprese che beneficiano di tali agevolazioni possono godere di maggiori margini di profitto, di una maggiore competitività sul mercato o di una riduzione dei costi. Dall’altro lato, l’esenzione IVA comporta una diminuzione delle entrate fiscali per lo Stato, che potrebbe dover compensare questa riduzione attraverso altre fonti di finanziamento o effettuando una redistribuzione delle imposte tra i contribuenti.

Le esenzioni fiscali devono essere attentamente regolamentate per evitare abusi o distorsioni del sistema fiscale. Le autorità fiscali devono stabilire criteri chiari e precisi per definire quali operazioni o settori possano beneficiare di tali agevolazioni, al fine di garantire una corretta gestione delle risorse pubbliche e un equo trattamento tra i diversi soggetti coinvolti.

Esenzione fiscale: chi ne può beneficiare

Le esenzioni fiscali sono generalmente concesse a determinate categorie di soggetti in base alla loro attività e alla loro situazione economica. Gli enti non profit, tra cui le ONLUS, possono beneficiare di svariate agevolazioni ed esenzioni al fine di supportarne la loro attività a scopo sociale e solidale. Ad esempio le ONLUS sono esentate dall’IVA e godono di detrazioni IRPEF per le donazioni effettuate. Queste forme di sostegno fiscale risultano fondamentali per consentire a tali organizzazioni di disporre delle adeguate risorse per svolgere le proprie finalità sociali.

Anche famiglie e soggetti con redditi bassi sono destinatari di diverse esenzioni, come detrazioni dall’IRPEF e dall’IMU per la prima casa, al fine di agevolarli economicamente. Le agevolazioni imprese e startup innovative, comprese le neoimprese, risultano essenziali per supportare la nascita e lo sviluppo del tessuto produttivo e imprenditoriale. Si tratta di benefici come il regime forfetario e le detrazioni per gli investimenti in innovazione e ricerca.

Infine, l’esenzione IMU sulla prima casa costituisce una forma di beneficio fiscale fondamentale per agevolare l’acquisto dell’abitazione principale, bene primario per i cittadini. Le esenzioni fiscali sono concesse principalmente per raggiungere finalità di interesse generale, quali il sostegno alle categorie sociali più fragili, la promozione del non profit e l’incentivazione degli investimenti e dell’imprenditoria.

Sgravi contributivi: cosa sono e come possono aiutare le aziende italiane

Gli sgravi contributivi sono uno strumento importante per supportare le aziende italiane, alle prese con un costo del lavoro troppo elevato e una pressione fiscale tra le più alte d’Europa. I numeri dimostrano in modo chiaro l’impatto positivo di queste agevolazioni. Secondo uno studio di Confindustria, gli sgravi contributivi valgono in media 4.500 euro l’anno per dipendente. Per le aziende questo si traduce in risparmi tra il 5% e il 15% sul monte salari annuo, a seconda del settore e delle dimensioni.

Uno studio ISTAT mostra poi che le aziende che usufruiscono di sgravi contributivi hanno una produttività del lavoro mediamente superiore fino al 20% rispetto a quelle “ordinarie”, grazie alle maggiori assunzioni, formazione e investimenti resi possibili dalle agevolazioni. In base ai dati Unioncamere, nel 2021 le imprese italiane hanno beneficiato complessivamente di sgravi contributivi per un valore di oltre 12 miliardi di euro. Una cifra in costante crescita negli ultimi anni.

Questi numeri dimostrano chiaramente come gli sgravi contributivi siano in grado di alleggerire sensibilmente i costi del lavoro per le aziende, migliorandone la redditività e la produttività e quindi la competitività sul mercato. Naturalmente è necessario che le agevolazioni fiscali siano ben modulate ed evitino sprechi o abusi, favorendo le giuste condizioni per un miglioramento strutturale delle imprese. Ma quando ben calibrate, come dimostrano i dati, possono dare risultati concreti a supporto del tessuto produttivo e occupazionale italiano.

Sgravi contributivi

Sgravi contributivi: che cosa sono

Gli sgravi contributivi sono agevolazioni fiscali introdotte dallo Stato che consentono alle aziende di beneficiare della riduzione o dell’esonero, totale o parziale, dei contributi previdenziali dovuti per i propri dipendenti. In pratica, le imprese pagano un ammontare ridotto di contributi all’INPS su determinate tipologie di lavoratori o in presenza di specifiche condizioni.

Gli sgravi contributivi mirano a ridurre il costo del lavoro per le aziende e a incentivare determinate condotte, come le assunzioni stabili, gli investimenti in formazione o lo sviluppo di settori strategici. Queste agevolazioni possono essere concesse in via definitiva o transitoria, per un determinato periodo di tempo. Spesso sono riviste e aggiornate nella legge di bilancio annuale, in base alle priorità e agli obiettivi del Governo.

La legge di bilancio, ad esempio, potrebbe confermare e prorogare molti sgravi attualmente in vigore, ma anche introdurne di nuovi per far fronte alla difficile congiuntura economica. In ogni caso gli sgravi contributivi rappresentano uno strumento utile per agevolare le imprese, soprattutto PMI e settori in difficoltà, riducendo il carico fiscale sul costo del lavoro.

Sgravio contributivo: quali sono e come possono aiutare concretamente le imprese

Gli sgravi contributivi possono aiutare concretamente le imprese italiane grazie a diversi meccanismi:

  1. Riducendo il cuneo fiscale e i costi del lavoro: la riduzione dei contributi pagati dalle aziende si traduce in minori spese, a vantaggio della redditività e della competitività.
  2. Incentivando le assunzioni stabili e la formazione: gli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato e gli investimenti in formazione spingono le imprese ad adottare queste pratiche virtuose, a beneficio della produttività.
  3. Supportando lo sviluppo di determinati ambiti produttivi: l’esenzione o la riduzione dei contributi in alcuni settori strategici vuole stimolare la crescita di quelle filiere.
  4. Favorendo la crescita e la competitività, soprattutto delle PMI: le piccole e medie imprese, che difficilmente riescono a ottimizzare la propria pianificazione fiscale, traggono maggiori benefici dagli sgravi contributivi.

In sintesi, gli sgravi possono abbassare il costo del lavoro e incentivare pratiche aziendali utili alla crescita, migliorando redditività, produttività e competitività delle imprese specie PMI. Sono però necessarie politiche strutturali per favorire la giusta pianificazione fiscale e rendere gli sgravi contributivi davvero efficaci nel lungo termine.

Patent box: cos’è e come funziona il regime opzionale

Il regime Patent Box si sta diffondendo sempre di più tra le imprese italiane che investono in innovazione e ricerca, grazie alla possibilità di abbattere in modo significativo il carico fiscale sui redditi generati da software, brevetti, marchi e disegni industriali. Questa crescente popolarità è confermata dai dati. Secondo un’analisi dell’Osservatorio sulla fiscalità di confronti internazionali, il numero di imprese che hanno beneficiato del Patent box è più che raddoppiato negli ultimi quattro anni, passando da 549 nel 2016 a 1.232 nel 2019.

In termini di gettito fiscale, l’agevolazione ha comportato minori entrate per l’erario di circa 330 milioni di euro nel 2019, più del doppio rispetto ai 150 milioni del 2016. La diffusione è trasversale, con PMI innovative e grandi gruppi che ricorrono sempre di più al Patent box. Ma i maggiori beneficiari sono le imprese dei settori ad alta intensità di ricerca e innovazione, come farmaceutico, chimico, meccanico, automobilistico ed elettronico.

Questi dati confermano come il regime Patent box stia diventando una misura strutturale apprezzata dalle imprese più dinamiche, che compensa almeno in parte gli alti costi sostenuti per ricerca e sviluppo. Tuttavia la sua effettiva diffusione è ancora inferiore rispetto ad altri paesi europei. Per questo il governo italiano sta valutando ulteriori interventi per semplificare l’accesso al Patent box, soprattutto per le PMI.

Patent box cos’è

Il regime Patent box, anche definito “patrimoniale“, è un regime opzionale previsto nell’ordinamento fiscale italiano che permette alle imprese di tassare i redditi derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright e di beni immateriali tutelati da brevetti, marchi d’impresa e disegni e modelli industriali. Questi redditi sono assoggettati a un’aliquota agevolata pari al 15%, anziché alla normale aliquota IRES/IRPEF che può arrivare fino al 24%.

In questo modo il Patent box consente un risparmio fiscale importante sui redditi connessi a beni immateriali, generati soprattutto da attività di ricerca e sviluppo. Il regime Patent box, come regime opzionale OSS, è facoltativo: spetta alle imprese decidere se aderirvi o meno, presentando un’apposita dichiarazione.

Per fruire dell’agevolazione è necessario però determinare la “base imponibile agevolata”, ossia la parte dei ricavi effettivamente riconducibile all’utilizzo di beni immateriali tutelati. Questo richiede un’attività documentale accurata e costi di adempimento amministrativo che vanno ponderati assieme al risparmio fiscale ottenibile.

Patent box

Patent box: a chi si applica e come funziona

Il regime Patent box si applica alle imprese residenti in Italia che sostengono spese per ricerca e sviluppo volte alla creazione di software protetto da copyright e beni immateriali tutelati da brevetti, marchi e disegni industriali. Non sono previsti limiti dimensionali o settoriali, quindi il regime Patent box può essere fruito sia da PMI innovative che da grandi imprese e in tutti i settori industriali e dei servizi.

Il regime funziona attraverso la determinazione di una “base imponibile agevolata“, che rappresenta la parte dei ricavi dell’impresa effettivamente riconducibile all’utilizzo economico di beni immateriali tutelati. Su questa base imponibile è poi applicata un’aliquota IRES/IRAP ridotta al 15%, anziché quella ordinaria. Questo meccanismo consente di ottenere un notevole risparmio fiscale sui redditi legati allo sviluppo e sfruttamento industriale e commerciale di tecnologie e asset immateriali.

Inizialmente il regime prevedeva una procedura di calcolo della base imponibile agevolata molto complessa. Successivamente sono state introdotte alcune semplificazioni, tra cui un regime semplificato, per agevolare l’accesso soprattutto alle PMI. Tuttavia la procedura rimane mediamente onerosa. Per questo spetta alle imprese valutare con attenzione se il risparmio fiscale ottenibile giustifica gli adempimenti richiesti per il regime.

Patent box 2023: vantaggi e limiti

I vantaggi principali del regime Patent box consistono nel notevole risparmio fiscale che è possibile ottenere tassando i redditi derivanti da beni immateriali con un’aliquota pari al 15%, anziché quella del regime ordinario che è molto più alta, arrivando anche al 24%.

Questo risparmio fiscale può tradursi in maggiori risorse per reinvestire nello sviluppo di nuove tecnologie e prodotti basati proprio sulla proprietà intellettuale tutelata. Tuttavia per accedere al regime è necessario determinare la “base imponibile agevolata”, vale a dire la parte dei ricavi effettivamente correlabili all’utilizzo di beni immateriali tutelati. Questo richiede un’attività documentale complessa, che comporta costi di gestione e adempimenti burocratici non trascurabili.

Bisogna infatti tracciare, analizzare e documentare in modo puntuale i ricavi connessi a brevetti, software, marchi e disegni industriali, discriminandoli da quelli delle attività ordinarie. Questi oneri amministrativi sotto forma di consulenze, certificazioni, analisi interne rappresentano un vero e proprio limite del regime Patent box, che le imprese devono ponderare attentamente confrontandoli coi potenziali risparmi fiscali.

Non a caso anche le semplificazioni introdotte hanno lasciato il regime complessivamente più complesso del regime ordinario. Sta quindi alle singole imprese valutare se l’accesso al Patent box si giustifica dati gli oneri richiesti.

Pianificazione fiscale: tecniche e soluzioni per le imprese

La pianificazione fiscale è essenziale per le imprese per ridurre il carico tributario

e migliorare la competitività. Le tasse e i tributi costituiscono una voce di costo rilevante per le aziende, specialmente in un sistema fiscale complesso come quello italiano. Per questo motivo, attraverso adeguate strategie di pianificazione fiscale, le imprese cercano di contenere gli oneri tributari sfruttando le opportunità offerte dalla normativa fiscale. Questo approccio non mira a evadere il fisco o aggirare le leggi, bensì a operare scelte e riorganizzazioni societarie consentite che consentono di pagare un quantitativo minore di imposte. Una corretta pianificazione fiscale permette quindi all’impresa di:

  • risparmiare su una voce di costo rilevante ed essenziale, aumentando i margini di profitto
  • compensare parzialmente gli svantaggi di un sistema fiscale complesso
  • essere più competitiva sul mercato potendo applicare prezzi più bassi e avere maggiore flessibilità strategica

La pianificazione aziendale assume un’importanza strategica nell’ottica della creazione di valore e della competitività, pur rimanendo uno strumento legittimo a disposizione delle imprese nel pieno rispetto delle normative.

Pianificazione fiscale: cos’è

La pianificazione fiscale aziendale consiste nell’insieme di tecniche e iniziative utilizzate da un’impresa per ridurre il carico fiscale nel pieno rispetto della legge.

Nello specifico, la pianificazione fiscale mira a:

  1. Ottimizzare la struttura societaria al fine di diminuire la pressione fiscale.
  2. Sfruttare al meglio regimi fiscali agevolati, deduzioni, detrazioni ed esenzioni disponibili.
  3. Ottimizzare le politiche di prezzi di trasferimento tra società collegate.
  4. Localizzare gli investimenti in giurisdizioni con una tassazione più conveniente.
  5. Incrementare costi e spese deducibili per ridurre la base imponibile.

Pianificazione fiscale

Tutte queste azioni sono volte a minimizzare il carico tributario dell’impresa, garantendo al contempo la piena conformità fiscale e il rispetto delle normative vigenti. La pianificazione fiscale riguarda soprattutto grandi imprese con una struttura complessa, ma anche le PMI possono trarre benefici da strategie di ottimizzazione come:

  • Adesione a regimi fiscali agevolati come il patent box o il regime forfettario.
  • Ricorso a strumenti come il leasing per ridurre l’imponibile.
  • Incremento dei costi deducibili attraverso la cessione di crediti e partecipazioni
  • Sfruttamento di incentivi fiscali per gli investimenti in beni strumentali, R&S e personale.

Quindi la pianificazione consiste nell’adozione di strategie e tecniche ritenute legittime dagli ordinamenti tributari al fine di ridurre la pressione fiscale senza incorrere in illeciti o irregolarità.

Pianificazione fiscale d’impresa: le principali tecniche

Le principali tecniche utilizzate per la pianificazione fiscale aziendale sono:

  • Sfruttamento al massimo di deduzioni, detrazioni, esenzioni e regimi fiscali agevolati. Si tratta di strumenti messi a disposizione dalla legge che consentono di ridurre la base imponibile o l’aliquota applicabile, come ad esempio il Patent box e il regime forfettario.
  • Ottimizzazione della struttura societaria, anche attraverso l’apertura di filiali in giurisdizioni a bassa tassazione. Questo permette di allocare costi, debiti e attività in modo da minimizzare la fiscalità complessiva.
  • Costituzione di società “veicolo” con la sola finalità di ottimizzare la tassazione. Si tratta di società non operative che consentono di veicolare flussi finanziari senza aggravio fiscale.
  • Localizzazione degli investimenti in Paesi che offrono un regime fiscale più conveniente. Ad esempio attraverso stabili organizzazioni che permettono di beneficiare di aliquote minori.

Sono azioni messe in atto per riorganizzare la struttura della società, i flussi finanziari, gli investimenti e l’allocazione dei costi al fine di ridurre il carico fiscale totale sfruttando strategie consentite dalla legge. Ovviamente devono sempre rispettare i principi di trasparenza, correttezza e buona fede.

Soluzioni di pianificazione fiscale per PMI

Anche per le piccole e medie imprese sono disponibili alcune soluzioni di pianificazione fiscale interessanti:

  • Adesione a regimi fiscali agevolati come il Patent box per i redditi da brevetti o la tassazione forfettaria. Questi regimi consentono un consistente risparmio di imposte.
  • Sfruttamento degli incentivi fiscali legati agli investimenti in beni strumentali come macchinari, attrezzature e impianti. Le agevolazioni possono arrivare fino al 40% del costo sostenuto.
  • Piena deduzione del costo del lavoro tramite sgravi contributivi, bonus e altre facilitazioni. Il costo del personale rappresenta infatti una voce deducibile rilevante.
  • Ricorso allo strumento del leasing operativo, che permette di detrarre i canoni senza avere il bene nel bilancio. Questo riduce significativamente il carico fiscale.
  • Incremento della quota di costi deducibili attraverso cessione del credito e partecipazioni.

Le PMI possono cedere i propri crediti in cambio di liquidità, trasferendo al cessionario parte delle imposte risparmiate.

Queste soluzioni, se adeguatamente pianificate e implementate, permettono alle piccole e medie imprese di ottimizzare la propria posizione fiscale massimizzando deduzioni, detrazioni ed esenzioni e riducendo così gli oneri tributari in modo significativo e nel rispetto delle normative.

Tregua fiscale: cos’è, a cosa serve e quando e perché è concessa

La tregua fiscale è una chance per i contribuenti in difficoltà. Si tratta di un provvedimento straordinario mediante il quale lo Stato concede la possibilità a contribuenti e imprese in ritardo con il fisco di regolarizzare la propria posizione versando somme notevolmente ridotte rispetto a quanto dovuto. Si tratta di una definizione agevolata dei debiti tributari, con sconti considerevoli su sanzioni, interessi e anche le somme iscritte a ruolo. Un’occasione per mettersi in regola con l’erario pagando anche fino al 90% in meno rispetto al debito iniziale.

La tregua fiscale è decisa dal legislatore in situazioni particolari, come periodi di crisi economica o all’inizio dell’attività di un nuovo governo, con l’obiettivo da un lato di fare emergere il nero fiscale e dall’altro di sostenere contribuenti e imprese in difficoltà.

Per questi soggetti rappresenta una chance per mettersi in pari con il fisco pagando somme più sostenibili, annullando le azioni di riscossione in corso e chiudendo in via definitiva le proprie pendenze. Un’occasione da non lasciarsi sfuggire per tutti coloro che desiderano regolarizzare la propria situazione tributaria in modo più agevole. Il provvedimento ha durata limitata e richiede il rispetto di precisi termini e modalità di adesione per poterne beneficiare.

Cos’è la tregua fiscale

La tregua fiscale è quindi un provvedimento con il quale lo Stato, in via del tutto eccezionale, concede la possibilità ai contribuenti di regolarizzare la propria posizione con il fisco in modo agevolato. Consiste in una definizione agevolata dei debiti tributari: i contribuenti possono pagare una somma notevolmente ridotta rispetto a quanto effettivamente dovuto, estinguendo così tutti i debiti fiscali.

È emanata normalmente in situazioni di particolare difficoltà economico-finanziaria, al fine di favorire la ripresa dell’economia e consentire ai contribuenti in ritardo coi pagamenti di rimettersi in regola. In questo modo lo Stato può recuperare almeno una parte delle imposte non versate, facendo emergere debiti fiscali occulti.

 

La tregua fiscale prevede che i contribuenti interessati possano pagare solo una quota ridotta dei debiti tributari iscritti a ruolo, con percentuali di sconto che possono arrivare fino al 90% del dovuto. In cambio lo Stato ‘perdona’ le altre somme e annulla sanzioni, interessi, more e pignoramenti già avviati. È generalmente concessa per un determinato periodo di tempo, entro il quale i contribuenti possono aderire beneficiando degli sconti previsti.

Tregua fiscale

Tregua fiscale: a cosa serve

La tregua fiscale ha principalmente due obiettivi:

  1. Fare emergere situazioni irregolari. Concedendo sostanziali sconti sui debiti, lo Stato mira a favorire l’emersione spontanea di evasione fiscale ed elusione, spingendo i contribuenti a regolarizzare le proprie posizioni. La tregua fiscale serve così ad ampliare la base imponibile e recuperare, seppur parzialmente, gettito fiscale nascosto.
  2. Favorire la ripresa economica. La tregua fiscale mira anche a sostenere imprese e famiglie in difficoltà, permettendo loro di mettersi in regola senza oneri eccessivi. In questo modo si contribuisce ad accelerare la ripresa e il rilancio dell’economia.

È generalmente concessa in situazioni particolari, come:

  • Periodi di crisi economica, per incoraggiare i contribuenti a regolarizzarsi e consentire la ripresa produttiva e degli investimenti.
  • All’inizio della attività di un nuovo governo, come segnale di discontinuità con il passato e per recuperare prontamente gettito.
  • In presenza di contenziosi e situazioni di irregolarità diffuse, al fine di semplificare e alleggerire il carico per lo Stato e i contribuenti.

In generale è uno strumento eccezionale deciso dal legislatore per garantire un gettito immediato e favorire la compliance fiscale, con un’adesione volontaria da parte dei contribuenti.

Cosa prevede, come funziona e quali sono gli sconti previsti

Normalmente il funzionamento della tregua fiscale prevede:

  • Pagamento di una quota ridotta dei debiti iscritti a ruolo. Le percentuali di sconto applicate variano ma di solito sono molto alte: spesso si arriva fino al 50%-60% di sconto per tasse e contributi e fino al 90% per sanzioni e interessi.
  • Annullamento di sanzioni e interessi di mora, nonché di costi di notifica e gestione delle cartelle.
  • Possibilità di regolarizzare anche le cartelle non ancora formalmente iscritte a ruolo, pagandole integralmente ma senza sanzioni.

Gli sconti si applicano generalmente sia ai debiti tributari di importo elevato (come l’IVA) sia a quelli di importo contenuto (come le ritenute IRPEF), oltre che ai contributi previdenziali non versati.

Per aderire alla tregua fiscale bisogna presentare apposita domanda entro la scadenza prevista (di solito 90 giorni dall’emanazione della norma). Chi aderisce deve poi pagare le somme dovute secondo modalità e tempistiche stabilite. A pagamento effettuato, l’Agenzia delle Entrate annulla i ruoli, estingue le somme non versate e considera regolare la posizione del contribuente.

In sintesi, la tregua fiscale consente di chiudere tutte le pendenze con il fisco versando somme significativamente inferiori, anche fino al 90% in meno, rispetto a quanto dovuto e cancellando anche la posizione debitoria pregressa.