Cuneo Fiscale: cos’è e perché è necessario ridurlo

In un nostro precedente articolo: “Evasione fiscale: un fenomeno dilagante” abbiamo visto cos’è l’evasione fiscale, l’elusione fiscale e come il Governo italiano ha deciso di affrontare una volta per tutte questa piaga dilagante nel nostro paese. I primi veri passi sono stati mossi con l’adozione della fattura elettronica e dei corrispettivi telematici. Strumenti innovativi suggeriti dall’Unione Europea e prontamente adottati anche nel nostro Paese. Uno Stato che, come purtroppo ben sappiamo, vanta uno dei primati più tristi che ci siano. È infatti in vetta alla classifica europea degli Stati Membro con la percentuale di evasione fiscale più alta che ci sia. Altro grande fenomeno italiano, identificato con il nome di cuneo fiscale, è un ulteriore fenomeno che piaga l’Italia ormai da diversi decenni. Legato all’evasione perché sempre di tasse si tratta e del costante scoraggiamento che queste provocano nell’impiego privato e pubblico. In poche parole il cuneo fiscale è un indicatore. Vuole infatti segnalare gli effetti che la tassazione ha sul reddito dei lavoratori, sull’occupazione e il mercato di lavoro (di conseguenza anche sull’elusione e l’evasione fiscale).

Cuneo Fiscale: il costo del lavoro

Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette e contributi previdenziali) che gravano sul costo del lavoro. Un peso che schiaccia sia i lavoratori dipendenti, i liberi professionisti, ma anche i datori di lavoro stessi.

In altre parole il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta incassata dai dipendenti. A verifica del gravame su imprese e dipendenti, l’ISTAT ha condotto delle ricerche dalle quali è emerso che nel 2016, questo era pari al 46% del costo del lavoro. Un dato sconcertante. Per essere precisi il costo del lavoro è dato dalla somma delle retribuzioni lorde dei lavoratori e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Dallo studio ISTAT è quindi emerso che quello che rimane a disposizione dello stipendio al lavoratore, è poco più della metà del costo del lavoro stesso.

Tutto quello che rimane è il cuneo fiscale e contributivo, vale a dire la somma dell’imposta personale sul reddito da lavoro dipendente e dei contributi sociali del lavoratore e del datore di lavoro. La maggior parte è composto soprattutto dai contributi sociali dei datori di lavoro.

Inoltre è stata rilevata una sostanziale differenza di incidenza tra nord e sud Italia. Infatti nel nord Italia il costo del lavoro è nettamente superiore.

Lavoratore dipendente e cuneo fiscale

Per il lavoratore dipendente il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali

Cuneo Fiscale

Lavoratore autonomo e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Libero professionista e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito dalle seguenti imposte:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Taglio del cuneo fiscale

Quest’anno è stato finalmente approvato il taglio del cuneo fiscale (l’ok da parte del Senato con a favore 254 voti). Con il decreto legge è attuata la norma della Legge di Bilancio con la quale sono stanziati oltre 3 miliardi per il 2020 e 5 miliardi per il 2021, atti a ridurre il carico fiscale.

Nonostante tutte le buone intenzioni dei vari Governi che si sono succeduti dal 2014 ad oggi, l’Italia è ancora uno dei paesi al mondo con il gravame fiscale più alto di tutti. Secondo il Taxing wages OCSE il peso delle tasse sul lavoro in Italia è infatti salito sopra il 49%, in confronto alla media che lo stesso ente ha registrato negli anni precedenti (pari a 35,9%).

Quindi il cuneo in Italia è da sempre uno dei più alti in Europa. In quasi tutti i paesi membri il maggior carico del cuneo è rappresentato dalla quota spettante all’impresa per i contributi fiscali e contributivi. Unica eccezione è la Germania dove tale quota grava maggiormente sul dipendente e non sul datore di lavoro.

Internazionalizzazione d’impresa: un futuro possibile e sempre più vicino

L’internazionalizzazione è un processo di penetrazione in nuovi mercati esteri da parte delle aziende nostrane. Le società si aprono sempre più frequentemente ai mercati esteri. I motivi di questa scelta sono svariati. Alcuni ad esempio lo fanno perché i mercati sui quali stanno già operando stagnano e non progrediscono (o addirittura retrocedono), in altri casi invece si prospettano semplicemente delle nuove opportunità di guadagno. Qualunque sia la motivazione di questa scelta è opportuno ponderarla e munirsi degli strumenti amministrativi e gestionali adatti a dirigere i vari aspetti economici e fiscali, per far fronte alle eventuali necessità (ne è un esempio il connubio “valuta estera e fatturazione elettronica”).

Internazionalizzazione: un nuovo modo di fare impresa

L’internazionalizzazione è evoluzione del tradizionale “fare impresa”. Si tratta infatti dell’apertura delle società locali ai mercati esteri, con i quali sono instaurati rapporti atti a vendere, e/o scambiare merce e servizi, produrre, acquistare materie prime e trovare, perché no, nuove fonti di finanziamento.

In questo processo le aziende presenti su un certo territorio entrano in contatto con aziende ed enti esteri, consumatori ed istituzioni operanti su diversi territori stranieri.

Molto spesso le società italiane decidono di ricorrere all’internazionalizzazione  perché:

  • il mercato locale è saturo
  • la concorrenza dei competitors è troppo alta e agguerrita
  • mancano stimoli al consumo
  • è presente un’eccessiva burocratizzazione che rallenta la produttività
  • le società sono oppresse da un elevato carico fiscale

I mercati stranieri allettano le imprese italiane per la presenza di una burocrazia snella  e una tassazione semplificata. Il processo di internazionalizzazione non è comunque privo di ostacoli. Per avvicinarsi ad un dato mercato estero è importante prima conoscere l’ambiente politico, sociale, economico e fiscale del paese con il quale si intende intrattenere rapporti commerciali.

In cosa consiste l’internazionalizzazione

In buona sostanza un’azienda sta compiendo il processo di internazionalizzazione quando svolge una delle seguenti attività:

  • produzione all’estero
  • esportazione all’estero dei propri prodotti
  • vendita all’estero dei propri prodotti
  • alleanze e coalizioni con partner stranieri
  • apporti di capitali di azionisti stranieri
  • creazione nei paesi stranieri di unità produttive locali

si tratta di un’ottima occasione di fare business all’estero.

Obiettivi dell’internazionalizzazione

Un’impresa italiana si interessa ai vari processi di internazionalizzazione per:

  • aumentare i propri ricavi
  • ridurre i costi di produzione
  • affacciarsi a nuovi sbocchi commerciali
  • delocalizzazione aziendale
  • ottimizzazione e/o riduzione del carico fiscale e del cuneo fiscale
  • trovare nuovi acquirenti

Internazionalizzazione

è possibile aspirare all’internazionalizzazione della propria azienda quando:

  • è ideato è ideato un nuovo prodotto adatto al mercato estero sul quale si vuole operare
  • esistono particolari opportunità di business
  • si hanno contatti e/o clienti all’estero
  • si hanno partner o contatti con papabili partner per la produzione all’estero
  • è possibile attirare eventuali investitori stranieri grazie a particolari prodotti e/o metodologie di produzione/lavoro
  • necessità di approvvigionamento presso fornitori esteri
  • è necessario ridurre i costi e trovare delle migliori condizioni economiche e fiscali all’estero

Internazionalizzazione: i requisiti

Non è possibile prendere in considerazione un processo di internazionalizzazione se prima non si valuta lo stato di “salute” della propria ditta. Non esistono regole precise da seguire, ma indubbiamente volersi affacciare ai mercati esteri è possibile quando la società ha una discreta solidità economica-finanziaria alle spalle, produce prodotti di qualità e adatti al target straniero, vanta prezzi competitivi sui mercati di destinazione, dispone di un sistema d’informazione affidabile e dispone infine di risorse temporali, economiche e umane per investire su un’altra piazza.

Immancabili dovrebbero essere anche interlocutori e controparti estere affidabili. Infatti poter fare affidamento su uno o più partner già presenti sul mercato straniero, significa riuscire a far fronte ad eventuali problematiche legate alla logistica, agli investimenti, ai pagamenti, ecc.

La migliore strategia

L’internalizzazione è sicuramente una buona carta da giocare per un’impresa che voglia avere maggiori opportunità di business. Affrontarla nel modo giusto però, significa fare affidamento ed essere affiancati durante il processo da professionisti in grado di stilare e strutturare un’adeguata strategia. Il tutto infatti deve essere realizzato tenendo conto delle caratteristiche intrinseche dell’azienda e degli specifici mercati d’interesse. Per questi obiettivi sono erogati anche diversi contributi a fondo perduto pubblici  nonché finanziamenti agevolati.

Istruzioni certificazione unica: modello, informazioni e aggiornamenti 2021

Il 15 gennaio 2021 Agenzia delle Entrate(AdE) ha emesso un nuovo provvedimento con il quale ha pubblicato il nuovo modello CU definitivo per l’anno in corso. Allegato al modello sono state inserite le relative istruzioni certificazione unica per una corretta compilazione. Molteplici le novità inserite da AdE, sia per quanto riguarda le voci aggiuntive (come ad esempio il nuovo bonus IRPEF 2021, o le voci relative all’emergenza Covid-19), che la nuova scadenza prevista per il 16 marzo per la trasmissione ad Agenzia delle Entrate. Rimane invece invariata la data del 31 ottobre 2021 il termine ultimo per la trasmissione della CU contenente i redditi esenti o non dichiarabili tramite certificazione unica precompilata.

Istruzioni certificazione unica: modello e novità

I sostituti d’imposta usano la CU per dichiarare i redditi di lavoro dipendente e assimilati, redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. In CU inoltre sono inseriti anche tutti i redditi derivanti dai contratti di locazione brevi relativi al periodo di imposta 2020.

Il 15 gennaio Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento “dichiarazioni fiscali 2021 modelli definitivi 730, CU, IVA e 770″. Provvedimento con il quale è stato quindi messo finalmente a disposizione il modello definitivo della CU con le relative istruzioni certificazione unica. Il modello è quindi quello che deve essere obbligatoriamente utilizzato da:

  • tutti i soggetti che durante il 2020 hanno ricevuto denaro o valori soggetti a ritenute alla fonte
  • coloro che hanno corrisposto contributi previdenziali e assistenziali e/o premi assicurativi dovuti all’INAIL
  • tutti i coloro che sono assoggettati alla contribuzione INPS, anche se hanno corrisposto somme e valori per i quali non è prevista l’applicazione delle ritenute alla fonte
  • titolari posizione assicurativa INAIL
  • Amministrazioni che operano come sostituto d’imposta

CU: le novità sulle informazioni contenute nel documento

Il provvedimento  di AdE ha introdotto una serie di novità sui contenuti della CU. Ogni certificazione unica infatti, deve contenere:

  • frontespizio – dove sono riportate le informazioni relative alla tipologia di comunicazione, ai dati del soggetto che inoltra la CU, i dati del rappresentante firmatario della comunicazione stessa, firma e impegno alla comunicazione telematica
  • quadro CT – in questa sezione sono da riportare tutte le informazioni relative alla comunicazione telematica dei dati relativi ai modelli 730 – 4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate
  • certificazione unica 2020 – sezione principale del modulo che deve contenere: dati fiscali, dati previdenziali, assistenza fiscale, certificazione lavoro autonomo, provvigioni, redditi diversi e i dati fiscali relativi alle certificazioni dei redditi relativi alle locazioni brevi.

Istruzioni certificazione unica

Certificazione Unica 2021: scadenze

Altra grande novità introdotta da Agenzia delle Entrate con il medesimo provvedimento del 15 gennaio, è quella relativa al calendario scadenze. Infatti il Decreto Fiscale 2020 e il Decreto Legislativo numero 9 del 2020 hanno stabilito un nuovo scadenzaria per far fronte anche all’attuale situazione pandemica dovuta alla diffusione del Covid-19. Entra quindi in ballo la scadenza unica datata 16 marzo (Consegna della Certificazione Unica ai lavoratori e Consegna dei dati CU all’Agenzia delle Entrate). Invariata invece la data del 31 ottobre 2021 pre presentare la CU relativa ai redditi esenti o non dichiarabili con CU precompilata.

La trasmissione della CU deve avvenire in forma telematica. Questa può essere fatta direttamente dal soggetto obbligato alla comunicazione, oppure tramite un intermediario abilitato.

Inoltre Agenzia delle Entrate specifica:

“Il flusso si considera presentato nel giorno in cui è conclusa la ricezione dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate. La prova della presentazione del flusso è data dalla comunicazione attestante l’avvenuto ricevimento dei dati, rilasciata per via telematica”.

Istruzioni certificazione unica 2021: modelli e novità fiscali

Quest’anno sono stati messi a disposizione due diversi modelli CU definitivi:

Assieme a questi sul sito di AdE sono presenti anche il Modello CU 2021 – Istruzioni dell’Agenzia delle Entrate  e la Certificazione Unica 2021 – Specifiche tecniche.

Molte le novità fiscali previste vista l’attuale situazione:

  • trattamento integrativo
  • detrazione redditi di lavoro dipendente e assimilati
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del sostituto del bonus IRPEF
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del trattamento integrativo in presenza di ammortizzatori sociali
  • attribuzione premio ai lavoratori dipendenti nel mese di marzo

Principio di competenza economica: cos’è e come si applica

Il principio di competenza economica, così come il principio di cassa, è un principio contabile. Si basa sulla correlazione tra costi e ricavi e serve per calcolare un preciso risultato economico che si riferisce ad un determinato lasso di tempo considerando solo costi e ricavi. Non prende in considerazione quello che potrà essere, né quello che è già avvenuto. Guarda solo ora e qui. Non prende quindi in considerazione la così detta manifestazione finanziaria. Un bilancio aziendale deve rispettare il principio di competenza economica sul quale si basa il calcolo annuale delle tasse. È un principio obbligatorio per la maggior parte delle aziende. Chi non vi è obbligato, significa che segue il principio di cassa. La competenza economica è materia di economia aziendale e si basa su tre diverse regole, chiamate, nello specifico, corollari.

Principio di competenza economica: che cos’è

Quando si parla di principio di competenza economica si generalizza semplicemente riferendosi ad una correlazione tra costi e ricavi. In realtà è più opportuno specificare che sono considerati di competenza i ricavi ottenuti dallo scambio o dalla produzione avvenuti e terminati nell’esercizio. Allo stesso modo si considerano di competenza quei costi sostenuti nell’esercizio stesso.

Per capire bene cos’è il principio economico basta fare un semplice esempio. Mettiamo che un imprenditore abbia emesso fattura elettronica a novembre, per un bene/servizio offerto durante lo stesso anno. Questa fattura elettronica però verrà saldata dal cliente solo a fine gennaio successivo, come precedentemente stabilito dagli accordi tra le parti. Questo significa che l’imprenditore non riscuoterà nulla fino ad anno nuovo. Nonostante il pagamento avverrà a distanza di qualche mese, tasse ed IVA previste e riportate in e-fattura devono comunque essere pagate. Questo perché una volta emessa fattura, questa deve comunque essere calcolata nel bilancio di chiusura.

In altre parole, quello che possiede manifestazione economica nel corso dell’anno, deve essere riportato in bilancio a prescindere dal reale movimento di denaro. Questo concetto vale sia per quanto riguarda i ricavi, che per quanto concerne i costi.

Assume quindi un ruolo di fondamentale importanza la manifestazione economica. Questa però è riconosciuta e gestita diversamente, a seconda del tipo di ricavo o di costo. Per quanto riguarda la vendita  o l’acquisto  di un bene/servizio è piuttosto facile, perché in questo caso la manifestazione economica avviene con l’emissione/ricezione della fattura elettronica.

Altro discorso invece i costi non finanziari, gli abbonamenti e/o affitti che si manifestano a cavallo tra più esercizi, la cui gestione è molto più complessa.

Principio di competenza economica: i tre corollari

I tre corollari altro non sono che regole utili a capire come e quando applicare il principio di competenza economica all’interno del bilancio. Indicano inoltre le scritture di assestamento e di rettifica per poterlo applicare.

1° Corollario

La prima delle tre regole del principio di competenza economica sostiene: “Non si possono imputare al conto economico costi o ricavi per i quali non siano stati conseguiti i relativi ricavi o sostenuti i correlativi costi”.

In altre parole, se non c’è stata una manifestazione economica, totale o parziale del ricavo/costo, allora questo elemento non può finire nel conto economico. Al contrario, quando un ricavo/costo dell’anno successivo ha invece manifestazione economica e quindi effetto, nell’anno in corso, deve allora essere registrato in bilancio. Questa operazione è possibile tramite:

Le prime, cioè le rimanenze, sono beni destinati alla vendita, o impiegati per la produzione degli articoli da rivendere, ma che rimangono in giacenza in magazzino al momento della chiusura dell’esercizio annuale. Le rimanenze sono classificate in:

  1. materie prime e semilavorati
  2. materie sussidiarie e di consumo
  3. prodotti in corso di lavorazione
  4. merci destinate alla rivendita
  5. prodotti finiti

Gli ammortamenti invece sono scritture di assestamento, vale a dire voci inserite nel conto economico solo al termine dell’esercizio. Queste voci riguardano solo beni durevoli, anche immateriali, dell’azienda, come ad esempio:

  1. capannone
  2. terreni
  3. macchinari
  4. veicoli

Infine i riscontri sono voci contabili che rettificano costi e ricavi la cui competenza cade a “cavallo” di due annualità.

Principio di competenza economica

2° Corollario

La seconda regola cita testualmente: “Si rinviano costi già sostenuti o ricavi già conseguiti al risultato economico dell’esercizio successivo, in quanto sia attendibile che, nel futuro esercizio, debbano essere conseguiti o sostenuti i correlativi costi o ricavi”.

Questo vuol dire che le rettifiche nell’anno in corso, diventeranno costi e ricavi per l’anno successivo.

3° Corollario

L’ultima delle tre regole del principio di competenza economica riporta: “È necessario imputare al conto economico costi o ricavi che durante l’esercizio non si sono manifestati finanziariamente, qualora i correlativi ricavi o costi abbiano già avuto sostenimento o conseguimento”.

Per dirla con altre parole sono ricavi e costi non sono ancora stati incassati o pagati, ma hanno già avuto manifestazione economica nel corso dell’esercizio:

  • Accantonamenti
  • Ratei

Dove viene applicata la competenza economica

Quasi tutti i bilanci seguono il principio della competenza economica, almeno buona parte di quelli previsti dal Codice Civile. Le società di persone e di capitali sono obbligate a farlo. I liberi professionisti e le ditte individuali invece che usano la contabilità semplificata non sono obbligati ad applicarlo, visto che possono invece seguire il principio di cassa.

Indagini Patrimoniali: recupero credito e report patrimoniale persone fisiche e giuridiche

Le indagini patrimoniali sono uno strumento utile e fondamentale per l’attività di recupero crediti. In Italia circa il 50% delle transazioni avviene a credito. Questo significa che il pagamento è fatto a 30, 60, o 90 giorni dalla data della fattura. Il Belpaese detiene anche un altro spiacevole record. È in vetta alla classifica per i ritardi dei pagamenti, rispetto alla media europea. Alla fine lo scenario che si prospetta, nella maggior parte dei casi, vede i creditori costretti ad inseguire i debitori per farsi pagare o saldare le fatture già emesse.

Esistono diversi strumenti a servizio di professionisti ed imprese che possono aiutare a far recuperare quanto dovuto. Qualche volta, prima di passare alle vie legali vere e proprie, è sufficiente dimostrare semplicemente la determinazione al recupero del credito. Per farlo è necessario ricorrere ad uno strumento potente, quanto sconosciuto ai più: l’indagine patrimoniale. Questa serve per capire la capacità patrimoniale del debitore e scoprire se il debitore ha sostanze più o meno aggredibili. È utile anche quando è necessario ricorrere alle vie legali per avere un quadro chiaro della situazione e degli eventuali beni pignorabili.

Report e Indagini patrimoniali

Dalle indagini patrimoniali è possibile ottenere il report patrimoniale. Questo è recuperabile sia che si tratti di persona fisica, che di persona giuridica. Anche se nella maggior parte dei casi si ha a che fare con imprese, i due report non differiscono molto l’uno dall’altro. In pratica nel documento sono riportati gli effettivi e verificati dati di residenza del soggetto interessato, nel caso di persona fisica, oppure la sede legale, per le persone giuridiche. È un’informazione molto importante ai fini legali, perché ogni comunicazione inviata a un indirizzo sbagliato, non ha alcuna validità legale.

Oltre a questo il report elenca:

  1. reperibilità del soggetto (persona fisica)
  2. operatività dell’azienda (persona giuridica)
  3. presenza di atti pregiudizievoli
  4. probabilità di successo dell’eventuale azione di recupero
  5. stima del patrimonio aggredibile
  6. azione consigliata per raggiungere l’obiettivo
  7. indicazione dell’eventuale presenza di protesti, pregiudizievoli di conservatoria o procedure concorsuali già attive.

Indagini Patrimoniali

Il report è suddiviso in sezioni nella quali è analizzata la situazione del soggetto, da un punto di vista lavorativo, di referenze bancarie, possesso di beni immobili, partecipazioni e quote azionarie, Beni mobili/autoveicoli intestati, negatività, Dati legali aziende collegate, Dati legali, sedi e dati di bilancio.

Negatività

Nota di attenzione sulle negatività. In questa sezione del report patrimoniale sono indicati eventuali protesti, pregiudizievoli di conservatoria e procedure concorsuali attualmente in essere. Queste sono informazioni molto importanti per capire l’effettivo stato patrimoniale e la situazione economica del soggetto. Capire infatti se ci sono altri creditori nei suoi confronti, può aiutare a stilare meglio il quadro generale della situazione per capire la strategia da intraprendere. Ad esempio, è in questa specifica sezione che sono indicati eventuali pignoramenti da banche, finanziarie e/o agenzie di riscossione tributi. La raccolta di questi dati evita di dover richiedere un’ispezione ipocatastale (che poi sarebbe quella con la quale si dimostra la titolarità immobiliare di un soggetto, eventuali gravami come ipoteche, pignoramenti e note di cancellazione di ipoteche parziali o totali).

Beni immobili

Nel report patrimoniale alla sezione beni immobili sono riportati tutti gli immobili (case, fabbricati, terreni, ecc…) intestati al soggetto dell’indagine patrimoniale. La verifica e l’accertamento è fatto a livello nazionale e per ogni immobile identificato sono riportati nello specifico tutti i dati catastali.

È comunque sempre consigliata una successiva verifica ipocatastale prima di procedere con eventuali azioni esecutive.

Beni mobili e auto intestate

Sezione di particolare interesse nell’ambito di recupero crediti. Qui vi sono infatti riportati tutti i veicoli intestati al soggetto. Per ciascun veicolo è indicato targa, marca e modello, date di immatricolazione e intestazioni.

I veicoli sono beni pignorabili e, se sono beni strumentali all’attività del soggetto, si trasformano velocemente in un mezzo valido a risolvere il contenzioso.

Associazioni datoriali: cosa sono, come funzionano e quali vantaggi offrono

In Italia esistono diverse associazioni datoriali. Le aziende che decidono di entrare a far parte di una o più associazione possono usufruire di diversi vantaggi. Quando si parla di sindacati il pensiero va subito alle associazioni per i lavoratori dipendenti (CGIL, CISL, UIL). In realtà esistono anche i sindacati di datori di lavoro, cioè al servizio delle imprese e dei titolari di partita IVA. Ogni associazione è organizzata a livello nazionale ed articolata in diverse divisioni e presidi territoriali. Queste hanno lo scopo di rappresentare e tutelare gli interessi di una specifica categoria. Forniscono inoltre servizi utili collettivamente ad ogni imprese aderente, mettendo a disposizione validi strumenti di gestione, amministrazione, propaganda e sostegno.

Associazioni datoriali: tipologie e caratteristiche

In Italia esistono centinaia di associazioni datoriali. Queste si suddividono in base alla categoria, alle dimensioni, al territorio geografico e al settore economico/industriale.

L’elenco completo ed esaustivo di ogni associazione datoriale attiva sul territorio è presente sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Riportiamo intanto una breve lista delle più importanti associazioni di categoria:

  • Confindustria – Confederazione Generale dell’Industria Italiana raggruppa e rappresenta le grandi imprese manifatturiere e di servizi italiani; comprende anche banche e aziende pubbliche (dal 1993)
  • Confcommercio – Confederazione Generale Italiana delle Imprese, delle Attività Professionali e del Lavoro Autonomo, è un organismo italiano di rappresentanza delle imprese impegnate nel commercio, nel turismo e nei servizi (settore terziario) che associa oltre 700.000 imprese

Associazioni datoriali

  • Confapi – Confederazione della Piccola e Media Industria Privata, nata nel 1947 che associa e tutela le PMI (conta 94.000 imprese aderenti per un totale di addetti di circa 900.000 sul territorio nazionale)
  • Confesercenti – associazione che rappresenta le piccole e medie imprese del commercio e del turismo, del terziario, dell’artigianato e della piccola industria (rappresenta 350 mila imprese italiane, per una occupazione di circa 1 milione di addetti)
  • Confartigianato – rete europea di rappresentanza degli interessi e di erogazione di servizi all’artigianato e alle piccole e micro imprese. È stata fondata nel 1946 e oggi rappresenta oltre 700.000 imprenditori associati
  • CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, che associa le imprese del settore artigiano. È una delle associazioni datoriali che fa parte del gruppo CNEL

E l’elenco continua…

  • Confetra – Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica, riunisce le imprese del settore del trasporto, della spedizione, della logistica e nonchè deposito delle merci
  • ANCE – Associazione Nazionale dei Costruttori Edili che associa le imprese edili nata nel 1946 e che rappresenta a livello nazionale gli imprenditori privati di ogni dimensione e forma giuridica, operanti nei settori delle opere pubbliche, dell’edilizia abitativa, commerciale, direzionale e anche industriale
  • Confagricoltura – Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana che associa agricoltori ed imprese agricole. È anche la più antica associazione datoriale in Italia
  • Coldiretti – è la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana.
  • Assicredito e ABI – Associazione Sindacale fra le Aziende del Credito, rappresenta le associazioni delle imprese del settore creditizio e anche finanziario
  • APA – Associazione Provinciale Allevatori
  • CIA – Confederazione Italiana Agricoltori
  • CIDEC – Confederazione Italiana degli Esercenti Artigiani e Commercianti e nonchè delle Attività del Terziario del Turismo e dei Servizi
  • Confcooperative – Confederazione Cooperative Italiane
  • Confedilizia – Confederazione Italiana Proprietà Edilizia
  • Confitalia– Confederazione Italiana degli Operatori Economici

 

L’elenco è molto più lungo, ma questo è sufficiente a far capire quanto e come siano rappresentate e tutelate le imprese italiane.

Associazioni datoriali per i liberi professionisti

Non solo le imprese, ma anche i liberi professionisti possono contare sulle associazioni datoriali. Tra queste, ad esempio,  ricordiamo:

  • Confprofessioni – organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia;
  • UNIALPCE Unione Italiana Autonoma Liberi Professionisti Comparto Economia rappresentativa delle categorie professionali economiche.
  • ALP, associazione che raccoglie i liberi professionisti di ogni categoria.
  • ANACI, associazione nazionale degli amministratori di condominio.
  • ANAPI, associazione nazionale dagli amministratori professionisti di immobili.
  • Assoingegneri, associazione degli ingegneri liberi professionisti.
  • ANAMA – Associazione Nazionale Agenti e Mediatori d’Affari
  • FIAIP – Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali
  • FIMAA – Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari

Contratti Collettivi di Lavoro

Le associazioni datoriali ogni anno si riuniscono per definire i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). Oltre a questo, a livello locale, le associazioni si occupano anche di discutere e analizzare questioni legate  a problemi lavorativi locali. Fungono anche da mediatori sindacali in casi di controversie. Quindi detengono un duplici ruolo. Da una parte sostengono il dialogo tra Governo ed imprese e dall’altro offrono servizi di tutela e assistenza diretta ad aziende, imprenditori e titolari di partita Iva.

Pagamento in contanti: limiti e regole per il 2021

Per combattere l’evasione fiscale in Italia negli ultimi anni, sono state adottate diverse misure. Tra queste le più importanti sono sicuramente quelle legate all’adozione della fatturazione elettronica  e dei corrispettivi telematici. Va ricordato però che questi mezzi sono stati posti in essere per incentivare i pagamenti tracciati e disincentivare il pagamento in contanti. Questo rimane sempre possibile, ma sono stati fissati dei limiti e delle modalità precise, per arginare il fenomeno. Infatti anche per questo 2021 il limite previsto per i pagamenti in contanti è pari a 2000 €, anche se è già in corso l’approvazione per una maggiore restrizione per il 2022.

Il limite di pagamento in contanti è stato ritoccato dalla Legge di Bilancio 2020, che ha stabilito una soglia più bassa rispetto a quella precedente. La legge di bilancio ha infatti fissato il limite di soglia per i pagamenti in denaro e la tracciabilità delle spese detraibili IRPEF al 19%. Il limite fissato che varrà anche per tutto il 2021 è posto a 1999,99 euro. Precedentemente era pari a 2999,99 euro. Per il 2022 il governo ha previsto un’ulteriore stretta di vita, facendo scendere la soglia a 999,99 euro. Il limite vale per qualunque tipologia di pagamento, che si tratti di un prestito, un regalo, oppure una donazione (regola che vale anche tra parenti).

Pagamento in contanti: cosa stabilisce la legge di bilancio

In vigore dal primo luglio 2020 e valida per tutto il 2021, la Legge di Bilancio 2020, ha stabilito che è possibile eseguire pagamenti con carta moneta fino al massimo di 1999,99 euro. Allo scoccare dei 2000€ è richiesto obbligatoriamente il pagamento tramite l’utilizzo di strumenti tracciabili come il bonifico bancario, carta di credito, carte di debito, o assegni. Questo vale per i pagamenti tra persone e aziende, mentre non ha validità per quanto riguarda il prelievo o il versamento di somme di denaro sui propri conti correnti, in quanto considerati trasferimenti tra stesso soggetto.

Queste disposizioni porteranno a una non troppo lenta e progressiva diminuzione di circolazione di denaro contante. Alla regola sono comunque previste delle deroghe e delle esclusioni. È il caso, ad esempio, dei pagamenti di cittadini stranieri non residenti in Italia (altrimenti detti turisti) che effettuano pagamenti sul territorio nostrano. Loro infatti possono effettuare pagamenti in contanti oltre i 3000 € nei confronti di operatori di commercio al minuto, agenzie di viaggio e turismo.

Oneri detraibili IRPEF

Modificando le disposizioni previste per i pagamenti in contanti, sono cambiati anche gli oneri detraibili dall’IRPEF al 19%. Questi cambiamenti hanno interessato i pagamenti per spese:

  • mediche e mediche specialistiche
  • funebri
  • assicurazioni rischio morte
  • addetti all’assistenza personale nei casi di non autosufficienza
  • veterinarie
  • interessi passivi mutui prima casa
  • intermediazioni immobiliari per abitazione principale
  • frequenza scuole e università
  • erogazioni liberali
  • iscrizione ragazzi ad associazioni sportive, palestre, piscine, altre strutture e impianti sportivi
  • affitti studenti universitari
  • abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale

Pagamento in contanti

Quindi affinché queste spese possano essere detraibili al 19%  dell’IRPEF, devono essere sostenute usando delle modalità di pagamento tracciabile. Per quanto riguarda le spese mediche, i medicinali e le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o private accreditate al Servizio Sanitario Nazionale, potranno comunque ancora essere pagate in contanti.

Pagamento in contanti di stipendio

Dal primo luglio 2018 è vietato pagare uno stipendio in contanti. Il pagamento della retribuzione è possibile solo ed esclusivamente tramite bonifico bancario sull’IBAN del collaboratore/dipendente, oppure tramite pagamenti elettronici e assegni bancari/postali. Al momento rimangono ancora esclusi i rimborsi spese per le trasferte  e gli anticipi di spese per conto del datore o del committente.

I datori di lavoro o i committenti che non rispettassero l’obbligo di tracciabilità degli stipendi, sono soggetti a sanzioni amministrative pecuniarie che oscillano tra i 1000 e i 1500 euro.

Disincentivazione all’uso del contante

Per cercare di disincentivare la massimo l’uso del contante per pagamenti, il Governo ha ideato il famoso sistema chiamato cashback di Stato. Questo consiste in un rimborso in denaro a tutti coloro che effettuano abitualmente acquisti con metodi di pagamento tracciabili. Sono escluse le spese eseguite per attività d’impresa o esercizio di professione.

Principio di cassa: cos’è e come si gestisce in dichiarazione dei redditi

Nella determinazione del reddito, il principio di cassa assume un ruolo molto importante. È fondamentale nella dichiarazione dei redditi dei professionisti. Questi infatti in fase di dichiarazione annuale sono tenuti a verificare che i compensi dovuti per le prestazioni eseguite nel corso dell’anno, siano effettivamente incassati. Quindi il reddito dei professionisti è dato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute.

Mentre le imprese applicano il principio di competenza economica, i professionisti si attengono a quello di cassa. Secondo quanto previsto da questo fondamento, al calcolo del reddito concorrono solo i compensi effettivamente incassati nell’arco dell’anno. Allo stesso modo, solo le spese effettivamente sostenute nel corso del periodo d’imposta, possono essere considerate e ritenute valide per la deduzione. In quest’ultimo caso comunque esistono diverse eccezioni, come ad esempio i canoni di leasing, oppure la quota del TFR. 

I problemi, se così si possono definire, possono sorgere quando i pagamenti delle prestazioni avvengono a fine, o a cavallo dell’anno, oppure quando i saldi sono eseguiti non in contanti, ma con altre modalità di pagamento.

Principio di cassa e pagamenti in contanti

Si tratta del caso più semplice relazionato al principio di cassa. Nonostante il pagamento in contanti oggi sia sempre meno incentivato dalle autorità, dal mercato e dagli strumenti a disposizione dei professionisti (come la fattura elettronica e lo scontrino elettronico), rimane comunque una tipologia di pagamento accettata. In questo caso i pagamenti in contanti si considerano eseguiti completamente nel momento in cui il denaro entra nelle disponibilità del professionista. Il momento del pagamento, quindi, coincide con quello dell’incasso.

Principio di cassa e pagamento con bonifico (bancario o postale)

Il secondo caso prevede il pagamento eseguito sotto forma di bonifico bancario/postale. In questo caso l’importo pagato al professionista concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo quando riceve l’accredito sul proprio conto corrente.

Questo momento è individuato dalla così detta “data disponibile”. Quest’ultima indica la data dalla quale in poi il denaro è disponibile per essere utilizzato da parte del professionista. Vale solo e soltanto questa specifica data, mentre la data di valuta, la data di emissione ordine bonifico, oppure quella in cui la banca avvisa il cliente dell’accredito, non hanno alcuna rilevanza.

Qualche volta questa modalità di pagamento può dare vita a delle difficoltà. Questo avviene soprattutto quando il pagamento è eseguito a cavallo dell’anno fiscale. In altre parole il momento dell’incasso non coincide con quello utile per rilevare il periodo/mese in cui il soggetto che ha pagato, deve effettuare il versamento della ritenuta. Si tratta comunque di una problematica facilmente risolvibile. Infatti, in caso di verifiche e/o contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria, è necessario portare come prova gli estratti conti bancari dai quali è possibile attestare la data di effettivo incasso.

Principio di cassa

Principio di cassa e pagamenti con carte di credito

Altro caso sempre più frequente. I compensi per le prestazioni/servizi al professionista sono saldati mediante carta di credito. In questo funziona un po’ come per i pagamenti con bonifico bancario. Per la determinazione del reddito da lavoro autonomo fa fede la data dalla quale l’importo ricevuto si rende disponibile sul proprio conto corrente. In materia Agenzia delle Entrate non ha mai rilasciato nulla di preciso e ufficiale, ma nella pratica il principio di cassa ha seguito le stesse indicazioni in essere per i pagamenti avvenuti tramite bonifico bancario.

Assegni bancari e circolari

Per questa modalità di pagamento l’Agenzia delle Entrate (AdE) ha stabilito, mediante la circolare n° 38/E/2010, che ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo, il pagamento è ritenuto concorsuale al momento in cui la somma di denaro si rende disponibile al professionista, cioè quando l’assegno è consegnato in mano al lavoratore. Quindi, un assegno che rappresenta un titolo di credito che si sostanzia al mento dell’ordine scritto, secondo il principio di cassa, si considera ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo nel momento in cui il titolo di credito è consegnato al ricevente. Non conta invece, in questo caso, che la data di versamento e incasso dell’assegno sia successiva a quella di ricezione.

Pagamento con Carte di debito

Sempre più diffuse, le carte di debito rappresentano una delle molteplici modalità attraverso le quali i professionisti ricevono i propri compensi. Al pari dei pagamenti con bonifici bancari/postali, in base al principio di cassa per la determinazione del reddito da lavoro autonomo, la cifra si considera solo al momento in cui il denaro è reso disponibile sul conto corrente del ricevente.

 

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