Articoli

Economia digitale: come le tradizionali attività economiche sono state trasformate da Internet

L’economia digitale, o Internet economy, include tutte quelle attività economiche supportate da Internet e dalle tecnologie digitali. Il suo impatto sull’economia globale è enorme e in costante crescita. Secondo le stime, l’economia digitale ha generato un valore globale di circa 11,5 trilioni di dollari nel 2019, pari al 15% del PIL mondiale. Si prevede che possa raggiungere i 25 trilioni di dollari entro il 2025, con un tasso di crescita annuo del 10-15%.

L’avvento di Internet ha cambiato radicalmente il modo in cui operano la maggior parte dei settori economici, dal commercio al turismo, dai media alle telecomunicazioni.

Le principali tendenze includono:

  1. L’avvento dell’e-commerce, che ha rivoluzionato il retail e il mondo delle vendite;
  2. Il boom dello streaming, che ha trasformato i media e l’industria dell’intrattenimento;
  3. L’affermazione delle aziende native digitali (come i GAFA) che hanno creato nuovi modelli di business.

Questa rivoluzione digitale rappresenta un’enorme opportunità per aprire una partita IVA e fare impresa in settori in crescita e poco saturi, basati sul digitale. Chi vuole fare impresa in questo contesto può avvantaggiarsi di costi contenuti, barriere d’ingresso ridotte e un potenziale mercato globale.

Internet ha cambiato radicalmente il modo di fare economia e impresa, rendendo disponibili nuovi canali di vendita, nuovi modelli di business e nuove opportunità per chi vuole aprire partita IVA e lavorare sfruttando la digital transformation.

Economia digitale: Nuove modalità di vendita e distribuzione

L’avvento di Internet ha rivoluzionato in modo radicale il modo in cui i beni e i servizi sono venduti e distribuiti. Le principali innovazioni in questo senso sono:

  1. L’e-commerce, ovvero la vendita online. Attraverso i siti web e le app, i prodotti possono essere acquistati con pochi click in tutto il mondo, 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
  2. Le aziende tradizionali hanno dovuto integrare questo canale digitale nel proprio modello di business per non perdere quote di mercato. Molti negozi fisici oggi hanno anche un e-commerce.
  3. Lo streaming, che permette la distribuzione di contenuti in modo diretto agli utenti attraverso Internet, come ad esempio la musica in streaming o le serie e i film in streaming.
  4. La sharing economy ha modificato il modo di offrire servizi, tramite piattaforme online che mettono in contatto chi offre temporaneamente un bene o servizio e chi ne ha bisogno.

Economia digitale

Internet ha costretto le aziende tradizionali ad adeguarsi e integrare nel proprio business le nuove modalità di vendita e distribuzione digitale, fondamentali per rimanere competitive sul mercato. Chi non l’ha fatto ha spesso perso terreno.

Economia e azienda digitale: Nuovi modelli di business e revenue streams

Internet ha permesso alle aziende di sviluppare nuovi modelli di business e di generare ricavi attraverso canali digitali.

I nuovi modelli di business si basano su:

  • Vendita di abbonamenti: invece della singola transazione, si offrono servizi in abbonamento mensile o annuale. È il caso per esempio di piattaforme di e-learning, servizi di streaming e software.
  • Freemium: si offre un servizio di base gratuito per attirare utenti, con funzionalità aggiuntive a pagamento. È diffuso in app e servizi digitali.
  • Marketplace: si crea una piattaforma digitale in cui mettere in contatto acquirenti e venditori, ad esempio siti di e-commerce o piattaforme per la sharing economy.

Le nuove revenue streams digitali includono:

  • Vendita di contenuti digitali: ebook, musica, corsi online, software.
  • Pubblicità online: le aziende possono vendere spazi pubblicitari sui propri siti web e app e guadagnare dal display advertising.
  • Affiliazioni: si guadagna una commissione per vendite realizzate da utenti acquisiti tramite il proprio link affiliato.

Questi nuovi modelli, diffusi grazie all’avvento di Internet, hanno ampliato le opportunità di business per le aziende non solo nelle modalità di vendita e distribuzione ma anche nei modelli di ricavo.

Silver economy: una nuova grande opportunità di business

La silver economy indica l’economia legata al consumo della popolazione over 65 e rappresenta un settore in forte crescita a livello globale. Sono sempre più le aziende che decidono di rivolgersi agli anziani, cogliendo le numerose opportunità di business in questo nuovo campo.

Secondo le stime, entro il 2050 la popolazione over 65 arriverà a toccare i 2 miliardi di persone, raddoppiando rispetto ai livelli attuali. Di conseguenza, i consumi legati alla terza età sono destinati ad aumentare in modo significativo. Attualmente, il valore della silver economy a livello mondiale è di circa 6 trilioni di dollari l’anno e si prevede possa raggiungere i 15-20 trilioni nel 2050. In Italia si stima che il valore economico della silver economy valga già 160 miliardi di euro l’anno, con una crescita prevista del 20% entro il 2025.

Le principali opportunità di business in questo settore riguardano la salute, l’assistenza, gli alimenti per la dieta, i servizi per la mobilità e il tempo libero e, in generale, tutti i prodotti e i servizi che rendano la vita degli anziani più confortevole e indipendente.

Per chi decidesse di aprire una partita IVA orientata alla silver economy potrebbe trattarsi di un business redditizio e in forte crescita, data la domanda sempre crescente da parte degli over 65.

Silver economy cos’è, come funziona e quante opportunità può avere

La silver economy è un fenomeno in costante crescita, guidato dall’aumento dell’aspettativa di vita e dall’invecchiamento demografico. Si stima che gli over 65 nel mondo raddoppieranno nei prossimi 40 anni, raggiungendo i 2 miliardi di persone. Tutto ciò comporta un’espansione dei consumi legati alla terza età, che si prevede possano toccare i 15 mila miliardi di dollari entro il 2050.

Questo è un mercato ricco di opportunità per tutte quelle aziende che vogliono fare impresa rivolgendosi al target degli anziani. Le esigenze di questa fascia di popolazione riguardano beni e servizi legati alla salute, ai trasporti, all’assistenza domiciliare ma anche al tempo libero e alla socializzazione.

Per cavalcare la tendenza della silver economy e aprire una partita IVA legata a questo mercato in crescita, è necessario studiare nel dettaglio le esigenze specifiche degli anziani e, di conseguenza, sviluppare prodotti e servizi dedicati per soddisfarle al meglio.

Silver economy

Silver economy: nuovi bisogni da soddisfare

Le persone anziane hanno esigenze specifiche che vanno dalle cure alla salute al food per finire ai servizi legati alla mobilità e al sociale. Le aziende possono sviluppare prodotti e servizi per soddisfare questi nuovi bisogni. Con i nuovi bisogni della silver economy, ci sono tante opportunità di business per le aziende che vogliono sviluppare prodotti e servizi dedicati agli anziani. I loro bisogni spaziano in diversi settori:

  1. Salute: c’è richiesta di servizi come la telemedicina, app per monitorare vari parametri, ausili per la vestibilità, la deambulazione e le attività domestiche.
  2. Alimentazione: alimenti per diete ipocaloriche e semplificate, cibi in pasti pronti per anziani che vivono soli.
  3. Trasporti: servizi di mobilità e taxi dedicati agli anziani, mezzi pubblici accessibili.
  4. Assistenza: si possono sviluppare servizi di assistenza domiciliare per la cura della persona e le faccende domestiche.
  5. Socializzazione: sviluppo di piattaforme e app per mantenere le relazioni sociali e stimolare le capacità cognitive.

Tutti questi esempi di prodotti e servizi connessi ai bisogni degli anziani rappresentano opportunità di business per le aziende che vogliono cogliere le potenzialità della silver economy.

Come guadagnare soldi extra: idee imprenditoriali da terzo millennio

Oggi apprendere come guadagnare soldi extra è una competenza importante e sempre più richiesta, date le pecche dell’attuale sistema economico e la crescente precarietà della forza lavoro. Secondo alcune stime, negli ultimi 5 anni il numero di italiani che ha incrementato i propri guadagni con un’attività complementare è aumentato del 35%, arrivando a coinvolgere oltre 10 milioni di persone.

Tra le categorie più interessate:

  • Lavoratori autonomi e freelance, che integrano i compensi irregolari.
  • Dipendenti con contratti precari o part-time.
  • Neo-laureati e giovani professionisti con redditi ancora bassi.

Le motivazioni principali che spingono verso fonti di reddito aggiuntive sono:

  • Incrementare i risparmi: per il 51% degli italiani che fanno soldi extra.
  • Maggiore libertà e flessibilità: per il 35% dei lavoratori complementari.
  • Realizzazione personale: per il 14%, guadagnare seguendo le proprie passioni.

Le possibilità per creare flussi di guadagno additivi sono numerose e in continua evoluzione, grazie anche alle opportunità offerte dall’economia digitale.

Oggigiorno apprendere come guadagnare soldi extra è competenza sempre più richiesta per diverse categorie di lavoratori. L’abilità di trasformare passioni e capacità in fonti redditizie secondarie è vista come un’assicurazione contro precarietà e insicurezza del reddito principale.

Come guadagnare soldi extra: idee imprenditoriali nuove e innovative

Sfruttando le nuove opportunità offerte dall’economia digitale è possibile generare flussi di guadagno aggiuntivi per imparare come guadagnare soldi extra e integrare i propri redditi. Una fonte extra di introiti può derivare dalla vendita di prodotti tramite il commercio elettronico di un e-commerce, creando un proprio negozio online oppure affidandosi a piattaforme collaborative tipo Amazon e eBay. Per le start-up innovative e digitali i costi iniziali sono ridotti e i canali di vendita numerosi.

Un’altra possibilità è l’affiliazione a programmi che consentono di guadagnare una commissione su prodotti venduti tramite il proprio link pubblicitario. L’affiliato non deve preoccuparsi di magazzino e gestione ordini, e può scalare facilmente il business.

Anche il dropshipping, ovvero la vendita di prodotti acquistati solo su ordine del cliente, è un modello di business interessante per guadagni “extra” senza particolari costi iniziali, sfruttando i canali social e le piattaforme e-commerce.

Come guadagnare soldi extra

Infine sono numerosi i modi per monetizzare passioni e competenze attraverso servizi online: dal digitare articoli a creare e vendere corsi su tematiche di proprio interesse, fino all’organizzazione di eventi virtuali o alla creazione di prodotti digitali come ebook o template.

Le moderne opportunità imprenditoriali dell’economia 3.0 consentono di attivare strategie generate da bassi costi iniziali, automazione e peculiarità personali. Richiedono però anche fantasia, attitudine digitale e costanza per essere opportunamente sfruttate come fonti di reddito complementari.

Come guadagnare qualche soldo extra: trasformare passioni e hobby in reddito

È possibile integrare i propri redditi sfruttando competenze e interessi personali attraverso nuove forme imprenditoriali abilitate dalla rete. Ad esempio una passione per la fotografia può trasformarsi in un’attività redditizia offrendo ritratti, servizi per eventi e matrimoni o corsi online per principianti. L’evoluzione tecnologica rende più accessibile e scalabile il business della fotografia. Anche chi ama scrivere può far diventare questa attività una fonte di guadagno extra creando un blog personale o specializzato, contenuti per aziende e SEO copy. I social network incrementano la visibilità e i canali distributivi.

Anche hobby tipicamente casalinghi come il cucito, l’uncinetto e il fai da te possono diventare attività complementari grazie all’e-commerce, con produzione personalizzata e vendita attraverso le piattaforme di social selling.

Le passioni e gli interessi personali possono costituire una base interessante su cui costruire strategie di guadagno additive se opportunamente strutturate in chiave imprenditoriale. Sfruttando le potenzialità del web e dei nuovi media, integrare i propri redditi diventa possibile anche solo part-time. Richiede però creatività, organizzazione e costanza nel far convogliare il proprio hobby verso un modello generatore di valore economico.

Come fare soldi senza lavorare è davvero possibile?

Oggi è certamente più fattibile rispetto al passato creare entrate finanziarie senza un lavoro dipendente, grazie alla vastità di risorse e opportunità online. Dal commercio elettronico all’affiliazione, dai social agli NFT, i modi per imparare come fare soldi senza lavorare sono aumentate esponenzialmente.

Ma ciò non significa che non sia richiesto impegno. Anzi, in alcuni casi è necessario ancora più lavoro, fatica mentale, tempo dedicato. Quando ci si affaccia al mondo del lavoro libero e indipendente ci si accorge subito che:

  • Essere i propri datori di lavoro è più difficile del previsto, con scadenze self-imposed e nessuno a ricordarle.
  • Tornare a casa dall’ufficio non significa “staccare”, anzi spesso le preoccupazioni aziendali non abbandonano mai.
  • Avere più libertà nell’organizzare il proprio orario di lavoro non corrisponde necessariamente a lavorare meno ore.
  • La mancanza di una stabilità salariale fissa può risultare ansiogena e stressante.

Imparare come guadagnare online dunque non è esente da drawback. Richiede costanza, disciplina, resilienza, oltre a tempo, risorse e fatica per acquisire know-how, avviare progetti, testare idee. La possibilità di creare entrate senza lavorare dipendente è certamente aumentata, ma non è detto che significhi davvero “non lavorare”, anzi spesso richiede un impegno differenziato ma altrettanto gravoso.

Fare soldi senza lavorare: il mito e la realtà

Il guadagno finanziario richiede sempre sforzo e costi, in un modo o nell’altro, anche se talvolta il “lavoro” può spostarsi da un’attività manuale a una mentale, da un’occupazione dipendente a un’attività autonoma.

Come fare soldi senza lavorare

Ciò che può cambiare è la flessibilità e la libertà. Anziché lavorare per un datore di lavoro, è possibile progettare il proprio tempo e la propria attività, pur dovendo fare i conti con impegni e scadenze. Inoltre alcune attività richiedono all’inizio un grande sforzo, per poi generare reddito in modo più “passivo” col tempo, ad esempio un:

  1. sito web o un canale YouTube costruiti pazientemente all’inizio
  2. libro o un ebook scritti “una volta sola”
  3. prodotto o servizio automatizzato e sistematizzato.

Tuttavia anche qui occorre all’inizio un notevole lavoro di progettazione, produzione e promozione, con costi vivi e rischi. Quindi in sintesi, chi desidera imparare come fare soldi  senza lavorare, può tranquillamente dimenticare l’idea di farlo senza dover impegnare tempo, risorse e fatica.

Per incrementare il proprio reddito in modo intelligente e libero, è importante concentrarsi su:

  • Progetti che creino rendite passive nel tempo (es. immobili, affitti, royalties).
  • Attività che possono essere automatizzate e sistematizzare riducendo il “lavoro manuale”.
  • Impiego del “lavoro mentale” in modo più flessibile e indipendente.

Come fare soldi senza lavorare: investire in progetti con rendimenti passivi

Investire per creare una fonte di reddito supplementare senza un impegno costante è un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile. Ecco come fare e quali progetti considerare.

Innanzitutto è necessario accumulare un capitale iniziale. Questo è possibile, ad esempio:

  • Risparmiando una parte consistente del reddito.
  • Investendo nel tempo in progetti ad alta crescita (azioni, criptovalute).
  • Utilizzando un’eredità o bonus una tantum.

Poi è necessario scegliere il tipo di investimento, privilegiando progetti che:

  • Generino flussi di cassa periodici (affitti, dividendi, royalties).
  • Abbiano alta probabilità di rivalutazione nel medio-lungo periodo.
  • Non richiedano un coinvolgimento diretto.

Tra le opzioni possono esserci:

  1. Immobili di pregio da affittare breve o lungo termine.
  2. Fondi comuni che distribuiscono dividendi trimestralmente.
  3. Bond societari ad alto rendimento.
  4. Partecipazioni in startup con opzione di buyout.
  5. Marchi, brevetti, software con potenziale di royalty passive.

In conclusione, per ottenere delle rendite passive occorre:

  1. Identificare e accumulare il capitale iniziale.
  2. Scegliere investimenti che generino flussi di cassa periodici e abbiano chances di rivalutazione nel tempo.
  3. Diversificare tra asset class e settori per ridurre il rischio.

Si tratta di progetti a lungo termine che richiedono un’attenta pianificazione e un’ottica di accumulo patrimoniale, da affiancare ad altre fonti di reddito principali.

Come fare i soldi senza lavorare: automatizzare e sistematizzare un business

Automatizzare e ottimizzare i processi di un business può aiutare a ridurre l’impegno richiesto, ma richiede sforzi consistenti all’inizio. Ecco come procedere:

Innanzitutto, identificare i task più ripetitivi e noiosi, che occupano buona parte del proprio tempo. Ad esempio:

  • Rispondere a email generiche
  • Compilare moduli
  • Organizzare meeting
  • Gestire le attività social

Quindi creare sistemi per automatizzare queste attività:

  • Programmare risposte predefinite per alcune email.
  • Compilare moduli e template ricorrenti con software ad hoc.
  • Fissare promemoria e avvisi digitali per le scadenze.
  • Pianificare i post social con tool dedicati.

In secondo luogo, è necessario rendere le procedure più efficienti:

  • Semplificare i processi eliminando passaggi inutili.
  • Assegnare compiti e deleghe chiare al proprio team.
  • Sfruttare software gestionali per tracciare workflow e KPI.
  • Usare checklist e reporting per monitorare l’andamento.

Fare impresa, di qualunque natura sia, richiede tempo e impegno iniziali, ma crea le basi per:

  1. Avere un business più sistematico e scalabile, in grado di crescere anche senza la presenza costante del proprietario.
  2. Ridurre progressivamente le ore lavorative necessarie grazie ai sistemi di automazione e ottimizzazione.
  3. Avere più tempo libero e flessibilità, pur mantenendo o espandendo i guadagni.

Quindi, automatizzare e sistematizzare un business non avviene dall’oggi al domani. Richiede un duro lavoro iniziale per mappare e semplificare i processi aziendali, creare sistemi e istruire il personale. Ma i benefici a lungo termine, in termini di workload ridotto e worklife balance migliorato, possono essere davvero significativi.

Pianificazione fiscale: tecniche e soluzioni per le imprese

La pianificazione fiscale è essenziale per le imprese per ridurre il carico tributario

e migliorare la competitività. Le tasse e i tributi costituiscono una voce di costo rilevante per le aziende, specialmente in un sistema fiscale complesso come quello italiano. Per questo motivo, attraverso adeguate strategie di pianificazione fiscale, le imprese cercano di contenere gli oneri tributari sfruttando le opportunità offerte dalla normativa fiscale. Questo approccio non mira a evadere il fisco o aggirare le leggi, bensì a operare scelte e riorganizzazioni societarie consentite che consentono di pagare un quantitativo minore di imposte. Una corretta pianificazione fiscale permette quindi all’impresa di:

  • risparmiare su una voce di costo rilevante ed essenziale, aumentando i margini di profitto
  • compensare parzialmente gli svantaggi di un sistema fiscale complesso
  • essere più competitiva sul mercato potendo applicare prezzi più bassi e avere maggiore flessibilità strategica

La pianificazione aziendale assume un’importanza strategica nell’ottica della creazione di valore e della competitività, pur rimanendo uno strumento legittimo a disposizione delle imprese nel pieno rispetto delle normative.

Pianificazione fiscale: cos’è

La pianificazione fiscale aziendale consiste nell’insieme di tecniche e iniziative utilizzate da un’impresa per ridurre il carico fiscale nel pieno rispetto della legge.

Nello specifico, la pianificazione fiscale mira a:

  1. Ottimizzare la struttura societaria al fine di diminuire la pressione fiscale.
  2. Sfruttare al meglio regimi fiscali agevolati, deduzioni, detrazioni ed esenzioni disponibili.
  3. Ottimizzare le politiche di prezzi di trasferimento tra società collegate.
  4. Localizzare gli investimenti in giurisdizioni con una tassazione più conveniente.
  5. Incrementare costi e spese deducibili per ridurre la base imponibile.

Pianificazione fiscale

Tutte queste azioni sono volte a minimizzare il carico tributario dell’impresa, garantendo al contempo la piena conformità fiscale e il rispetto delle normative vigenti. La pianificazione fiscale riguarda soprattutto grandi imprese con una struttura complessa, ma anche le PMI possono trarre benefici da strategie di ottimizzazione come:

  • Adesione a regimi fiscali agevolati come il patent box o il regime forfettario.
  • Ricorso a strumenti come il leasing per ridurre l’imponibile.
  • Incremento dei costi deducibili attraverso la cessione di crediti e partecipazioni
  • Sfruttamento di incentivi fiscali per gli investimenti in beni strumentali, R&S e personale.

Quindi la pianificazione consiste nell’adozione di strategie e tecniche ritenute legittime dagli ordinamenti tributari al fine di ridurre la pressione fiscale senza incorrere in illeciti o irregolarità.

Pianificazione fiscale d’impresa: le principali tecniche

Le principali tecniche utilizzate per la pianificazione fiscale aziendale sono:

  • Sfruttamento al massimo di deduzioni, detrazioni, esenzioni e regimi fiscali agevolati. Si tratta di strumenti messi a disposizione dalla legge che consentono di ridurre la base imponibile o l’aliquota applicabile, come ad esempio il Patent box e il regime forfettario.
  • Ottimizzazione della struttura societaria, anche attraverso l’apertura di filiali in giurisdizioni a bassa tassazione. Questo permette di allocare costi, debiti e attività in modo da minimizzare la fiscalità complessiva.
  • Costituzione di società “veicolo” con la sola finalità di ottimizzare la tassazione. Si tratta di società non operative che consentono di veicolare flussi finanziari senza aggravio fiscale.
  • Localizzazione degli investimenti in Paesi che offrono un regime fiscale più conveniente. Ad esempio attraverso stabili organizzazioni che permettono di beneficiare di aliquote minori.

Sono azioni messe in atto per riorganizzare la struttura della società, i flussi finanziari, gli investimenti e l’allocazione dei costi al fine di ridurre il carico fiscale totale sfruttando strategie consentite dalla legge. Ovviamente devono sempre rispettare i principi di trasparenza, correttezza e buona fede.

Soluzioni di pianificazione fiscale per PMI

Anche per le piccole e medie imprese sono disponibili alcune soluzioni di pianificazione fiscale interessanti:

  • Adesione a regimi fiscali agevolati come il Patent box per i redditi da brevetti o la tassazione forfettaria. Questi regimi consentono un consistente risparmio di imposte.
  • Sfruttamento degli incentivi fiscali legati agli investimenti in beni strumentali come macchinari, attrezzature e impianti. Le agevolazioni possono arrivare fino al 40% del costo sostenuto.
  • Piena deduzione del costo del lavoro tramite sgravi contributivi, bonus e altre facilitazioni. Il costo del personale rappresenta infatti una voce deducibile rilevante.
  • Ricorso allo strumento del leasing operativo, che permette di detrarre i canoni senza avere il bene nel bilancio. Questo riduce significativamente il carico fiscale.
  • Incremento della quota di costi deducibili attraverso cessione del credito e partecipazioni.

Le PMI possono cedere i propri crediti in cambio di liquidità, trasferendo al cessionario parte delle imposte risparmiate.

Queste soluzioni, se adeguatamente pianificate e implementate, permettono alle piccole e medie imprese di ottimizzare la propria posizione fiscale massimizzando deduzioni, detrazioni ed esenzioni e riducendo così gli oneri tributari in modo significativo e nel rispetto delle normative.

Regime PEX: cos’è e chi può usufruirne

Il regime PEX è un particolare regime fiscale che prevede condizioni vantaggiose per la tassazione dei redditi derivanti dalla commercializzazione di proprietà industriale come brevetti, marchi e software protetti da copyright. In sostanza, chi trae profitti da tali asset ha la possibilità di fruire di un trattamento fiscaleagevolato“, con aliquote ridotte rispetto alla normale imposizione sui redditi.

Il regime PEX consente dunque un consistente risparmio di imposte per chi sfrutta i diritti generati dalla propria attività inventiva e creativa, come ad esempio inventori, imprese innovative e produttori di software. Le agevolazioni consistono principalmente in un’imposta sostitutiva al 15% sui redditi da commercializzazione di proprietà industriale, a fronte di aliquote molto più elevate applicabili alla normale tassazione dei redditi.

In questo modo lo Stato incentiva la diffusione e lo sfruttamento risultato della creatività e dell’innovazione made in Italy, favorendo al contempo chi investe in questi ambiti. Questo regime rappresenta quindi uno strumento di supporto per imprese e lavoratori che basano la propria attività sullo sfruttamento commerciale di diritti di proprietà industriale.

Regime PEX

Regime PEX: cos’è

Il regime PEX, conosciuto anche come Patent box o Patent Exchange, è un regime fiscale agevolato che consente di assoggettare i redditi derivanti dalla cessione di diritti della proprietà industriale a una tassazione sostitutiva del 15% anziché alla normale tassazione sui redditi d’impresa o di lavoro autonomo.

Nello specifico, il regime PEX si applica ai redditi derivanti dalla cessione di:

  • Brevetti industriali
  • Disegni e modelli
  • Software protetto da copyright

Tale regime consente di:

  • assoggettare tali redditi a un’imposta sostitutiva del 15% invece che all’aliquota IRES per le società (24%) o all’aliquota IRPEF per le persone fisiche (fino al 43%)
  • dedurre fiscalmente il valore della proprietà industriale ceduta dal reddito complessivo imponibile
  • non versare imposte sui redditi di capitale, come ad esempio la cedolare secca.

Complessivamente quindi il regime PEX offre un risparmio fiscale significativo sui redditi derivanti dalla commercializzazione di proprietà industriale. I beneficiari possono essere sia società di capitali che persone fisiche titolari di redditi derivanti dalla cessione dei diritti suddetti, mentre restano escluse le società di persone e gli enti non commerciali.

Il regime PEX: chi può usufruirne

Il regime PEX, come visto, consente di tassare i redditi da cessione di diritti di proprietà industriale a condizioni agevolate. Possono beneficiare di tale regime:

  1. Persone fisiche residenti in Italia che conseguono redditi attivi derivanti dalla cessione a titolo oneroso di brevetti industriali, certificati complementari di protezione, disegni e modelli e software protetti da copyright. Questi soggetti potranno assoggettare tali redditi a un’imposta sostitutiva del 15% anziché all’aliquota dell’IRPEF che varierà dal 23% al 43% in base al proprio scaglione di reddito.
  2. Società di capitali residenti in Italia che conseguono redditi attivi analoghi a quelli delle persone fisiche. Anche per le società l’imposta sostitutiva del 15% sarà più conveniente rispetto all’applicazione dell’IRES sugli utili al 24%.
  3. Stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, a condizione che abbiano la disponibilità giuridica dei diritti di proprietà industriale ceduti e che siano soggetti a una tassazione analoga a quella prevista dall’ordinamento italiano.

Sono invece escluse dal regime PEX le società di persone e gli enti non commerciali, i quali restano assoggettati alla normale tassazione sui redditi. In sintesi, il regime agevolato è rivolto a persone fisiche, società di capitali e stabili organizzazioni in Italia di non residenti, con redditi attivi derivanti dalla cessione di particolari diritti di proprietà industriale.

Pex regime: come funziona e quali sono i benefici

Il regime PEX consente di ottenere consistenti vantaggi fiscali sui redditi derivanti dalla cessione di diritti di proprietà industriale, come brevetti e software. Nel dettaglio, grazie al regime Patent Exchange:

  • I redditi attivi da commercializzazione di brevetti e software sono assoggettati a un’imposta sostitutiva del 15% anziché alla normale tassazione sui redditi. Questo consente un risparmio fiscale notevole, visto che per le persone fisiche le aliquote Irpef arrivano fino al 43% mentre per le società l’aliquota IRES è del 24%.
  • È prevista la deduzione fiscale del valore dei diritti di proprietà industriale ceduti, che non concorre a formare il reddito complessivo dell’anno. Ciò riduce ulteriormente la base imponibile.
  • Non sono dovuti altri tributi sui redditi di capitale, ad esempio la cedolare secca sugli utili distribuiti.

Complessivamente quindi, grazie all’applicazione dell’imposta sostitutiva al 15% anziché alle usuali aliquote sui redditi, al sistema di deduzione fiscale e all’esenzione da altre imposte, il regime PEX consente di ottenere rilevanti vantaggi fiscali sia per le persone fisiche che per le società. In sostanza prevede un trattamento di favore, agevolato appunto, per i redditi derivanti dalla commercializzazione di proprietà industriale come brevetti e software.

Tassazione per trasparenza: cos’è e come funziona

Il regime della tassazione per trasparenza si applica a particolari tipologie di società come società di persone e società in accomandita semplice. In base a questo regime, gli utili e i redditi prodotti dalla società non sono assoggettati a tassazione a livello societario ma sono attribuiti ai soci in proporzione alle quote di partecipazione.

I soci devono quindi dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi la quota di utili di competenza e pagare le relative imposte utilizzando il proprio scaglione IRPEF anziché, come avviene per le società di capitali, pagare l’IRES sul proprio reddito complessivo. In questo modo i redditi della società “appaiono trasparenti” ai fini fiscali, venendo tassati direttamente nella dichiarazione dei redditi personali dei soci anziché a livello di soggetto societario.

La tassazione per trasparenza si applica solo a società di persone e società in accomandita semplice, ritenute “trasparenti” dagli ordinamenti fiscali a causa della mancanza di limitazione della responsabilità dei soci per le obbligazioni della società.

Tassazione per trasparenza: cos’è

La tassazione per trasparenza è un regime fiscale in base al quale i redditi della società non sono assoggettati a tassazione a livello societario. Questi infatti sono attribuiti pro quota ai soci e tassati a livello personale nella dichiarazione dei redditi di questi ultimi.

Nello specifico, il reddito prodotto dalla società non è tassato direttamente a livello societario ma è “trasparente” ai fini fiscali, nel senso che è riversato e dichiarato dai soci per la parte proporzionale di competenza, con i quali l’Amministrazione Finanziaria mantiene i rapporti fiscali diretti. In sostanza, al posto di pagare tasse e imposte sul reddito prodotto, la società lo alloca tra i soci che provvedono autonomamente ad assolvere gli oneri fiscali per la quota di competenza. L’effetto è quello di “trasparenza fiscale“, in quanto l’Amministrazione Finanziariavede attraverso” la società per impossessarsi direttamente dei redditi dei soci.

Il regime della tassazione per trasparenza si applica soltanto a società di persone e società in accomandita semplice, in quanto ritenute dagli ordinamenti fiscali “trasparenti” ai fini IRPEF poiché la loro natura non prevede la limitazione della responsabilità patrimoniale dei soci.

Regime di trasparenza: come funziona

Il meccanismo della tassazione per trasparenza è piuttosto semplice. Il reddito prodotto dalla società è attribuito ai soci in proporzione alla quota di partecipazione degli stessi. Ciascun socio dichiara dunque nella propria dichiarazione dei redditi la quota di reddito di competenza e paga le relative imposte.

In altre parole, i profitti realizzati dalla società sono distribuiti ai soci – ad esempio sotto forma di utili – che dovranno dichiararli come reddito aggiuntivo e pagare su di esso le imposte dovute in base al proprio scaglione IRPEF. La società, in quanto “trasparente”, opera essenzialmente come mero soggetto interposto, semplice contenitore della attività dei soci.

Tassazione per trasparenza

In concreto, una volta calcolato l’utile prodotto nel periodo d’imposta, la società:

  1. Attribuisce ad ogni socio una quota dell’utile in proporzione alla sua partecipazione al capitale sociale.
  2. Prepara la certificazione unica con i dati da indicare nella dichiarazione dei redditi di ogni socio.
  3. Riversa materialmente gli utili ai soci, ad esempio tramite distribuzione di dividendi.

I soci provvedono quindi a:

  1. Indicare nelle proprie dichiarazioni dei redditi la quota di reddito imputata dalla società
  2. Pagare le relative imposte in base al proprio scaglione IRPEF anziché, come avviene per le società di capitali, procedere al pagamento dell’IRES a livello societario.

Alla società rimane l’onere della sola compilazione della certificazione unica per ogni socio.

Trasparenza fiscale: a quali soggetti si applica

Il regime della tassazione per trasparenza, come anticipato, si applica a:

  • Società di persone come società in nome collettivo (SNC), società in accomandita semplice (SAS) e società semplice (SS): sono considerate trasparenti ai fini fiscali perché non contemplano la limitazione della responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. Di conseguenza, i redditi sono attribuiti direttamente ai soci che sono tenuti a dichiararli e a pagare le relative imposte.
  • Società in accomandita semplice: sebbene i soci accomandatari, che gestiscono materialmente l’attività, siano tassati per trasparenza per la quota di reddito a essi imputabile, i soci accomandanti, che non intervengono nella gestione, sono tassati separatamente in quanto percepiscono unicamente il diritto al dividendo.

Non si applica invece alle:

  • Società di capitali (p.A. e Srl), soggetti fiscali autonomi rispetto ai soci, che pagano l’IRES sul proprio reddito di impresa e distribuiscono successivamente gli utili ai soci, assoggettandoli alla tassazione dei dividendi.

Pertanto, solo alcune tipologie di società beneficiano della tassazione per trasparenza dei redditi, in virtù della loro natura giuridica che non prevede una netta separazione tra soggetto societario e soggetti soci.

Holding di partecipazione: cos’è, implicazioni fiscali e adempimenti

Il termine “holding di partecipazione” è diventato ampiamente diffuso, specialmente nell’ambito economico e finanziario. Spesso ne sentiamo parlare nei telegiornali e nei programmi che trattano di economia, e nel nostro Paese abbiamo importanti esempi come Exor per la famiglia Agnelli, Gruppo Mediobanca, Fininvest per Berlusconi, e così via. La maggioranza degli imprenditori italiani non è consapevole dei numerosi vantaggi offerti dalla costituzione di una società di questo tipo, spesso pensando che tali strumenti siano esclusivamente a vantaggio dei grandi capitalisti.

Quando utilizzata correttamente, una holding può diventare uno strumento per pianificare l’attività aziendale dal punto di vista fiscale, creando un coordinamento tra diverse aziende e gestendole in modo ottimale dal punto di vista commerciale, industriale e finanziario.

Holding di partecipazione: cos’è

Una holding può essere semplicemente descritta come una società finanziaria che possiede totalmente o parzialmente quote o partecipazioni di altre società controllate. Di conseguenza, una società di tipo holding esercita un ruolo direttivo sulle altre imprese, spesso detenendo il controllo completo del loro capitale sociale. Le società controllate possono essere coinvolte nello stesso processo produttivo od operare in settori economici diversi.

Analizzando più approfonditamente quanto appena spiegato, troviamo una società madre o capogruppo che si colloca in cima alla gerarchia e una serie di società figlie o controllate, comunemente definite subsidiary. Il controllo esercitato dalla holding si manifesta in diverse forme. Il metodo più comune e diffuso è il possesso della maggioranza delle azioni o delle quote delle società figlie. In alcuni casi, è stipulato un contratto che definisce i termini per la subordinazione di una società alla holding di riferimento.

Holding di partecipazione

Uno degli aspetti interessanti di questo sistema è l’indipendenza giuridica mantenuta da ciascuna entità all’interno del gruppo societario. Ciò rappresenta un notevole vantaggio, in quanto riduce al minimo il rischio d’impresa. Ogni società controllata è responsabile autonomamente per eventuali perdite finanziarie, senza coinvolgere direttamente la capogruppo holding.

Per chiarire ulteriormente il concetto, è utile fare alcuni esempi di holding. A livello internazionale, uno dei gruppi più influenti è la Berkshire Hathaway, che controlla importanti società come la Fruit of the Loom nel settore dell’abbigliamento, Kraft Heinz nel settore alimentare e BNSF Railway nel settore dei trasporti. Inoltre, possiede partecipazioni in colossi come IBM, Apple, Coca Cola, American Express e Bank of America, solo per citarne alcuni.

A livello nazionale, un’importante holding italiana è la Exor Group. Analizzando la struttura societaria, si nota come tra le sue società controllate ci siano aziende prestigiose come FCA (Fiat Chrysler Automobiles), Ferrari, The Economist, Banca Leonardo, Gruppo l’Espresso e la squadra di calcio Juventus, di cui detiene oltre il 63% del capitale.

Società holding: implicazioni fiscali

Come qualsiasi altra società di capitali, una holding di partecipazione è soggetta al pagamento dell’IRES con un’aliquota del 24%. Tuttavia, rispettando i requisiti stabiliti dalla normativa, è possibile optare anche per il regime di trasparenza fiscale, che consente di determinare la tassazione direttamente a carico dei soci, come avviene per le società di persone.

L’articolo 87 del DPR n.917/86 prevede una detassazione del 95% sui dividendi provenienti sia da società residenti che estere, a condizione che tali società non facciano parte dei cosiddetti paesi a fiscalità privilegiata, beneficiando del regime di PEX. Questa disposizione comporta un notevole vantaggio se confrontiamo i dividendi distribuiti a un socio persona fisica con quelli distribuiti alla holding.

Nel caso del socio persona fisica, la società che distribuisce gli utili deve applicare una ritenuta d’imposta del 26,00% a partire dagli utili distribuiti a partire dall’anno 2018. In passato, era addirittura il socio a dover pagare l’IRPEF su una percentuale dei dividendi percepiti (49,72% fino al 2016 e 58,14% per gli utili relativi all’esercizio 2017). Per quanto riguarda gli utili percepiti dalla holding, spetta alla stessa holding pagare le imposte, ma nella misura del 5% dell’importo incassato.

Partita iva estera e lavoro in Italia: apertura e libertà di “stabilimento”

Molte persone sono affascinate dall’idea di trasferirsi all’estero aprire partita IVA estera e avviare una nuova attività professionale o imprenditoriale. È un cambiamento di vita che permette di selezionare un Paese adatto alle proprie esigenze e intraprendere un percorso che potrebbe finalmente portare ai risultati desiderati da tanto tempo.

Tuttavia, all’interno di questo scenario, molte persone ritengono impossibile chiudere completamente la propria attività in Italia. Ci sono diverse ragioni che spinge a pensarla in questo modo. Uno dei tanti potrebbe essere dovuto alla presenza di clienti storici che continuano a richiedere i servizi dell’attività avviata, oppure perché l’attività è sempre stata svolta in Italia e mantenere una presenza operativa anche dall’estero risulta indispensabile.

Le ragioni che spingono i professionisti a mantenere legami con l’Italia non sono sempre di natura finanziaria, ma spesso derivano dalla volontà di mantenere relazioni consolidate o da una necessità strategica di operare nel mercato italiano. Pertanto, trovare un equilibrio tra l’attività svolta all’estero e la presenza in Italia diventa un aspetto cruciale per molti imprenditori e professionisti che intraprendono questa sfida.

Partita IVA estera: apertura e libertà di “stabilimento”

Aprire una Partita IVA all’estero è un’opzione che offre diverse opportunità per gli imprenditori. All’interno dell’Unione Europea, il principio di libertà di stabilimento consente ai residenti UE di avviare un’attività imprenditoriale nel Paese di loro scelta, senza ostacoli discriminatori. Tuttavia, per i Paesi Extra UE, è necessario valutare i requisiti specifici di ciascun Stato per l’apertura di un’attività, come abbiamo già spiegato nell’articolo precedente: “quanto costa aprire partita IVA in Italia e all’estero?” In generale, il processo di avvio di un’attività all’estero è relativamente agevole.

Partita iva estera

A seconda degli obiettivi imprenditoriali, è possibile considerare diverse opzioni. Ad esempio, se l’obiettivo è ridurre l’imposizione fiscale, potrebbe essere vantaggioso avviare l’attività in Paesi con una tassazione più favorevole, come la Bulgaria o la Moldavia. La Bulgaria, ad esempio, applica una tassazione diretta proporzionale del 10% sulle Partite IVA. D’altro canto, se l’obiettivo principale è semplificare la burocrazia, l’apertura di una Partita IVA nel Regno Unito potrebbe essere una scelta interessante, magari nella forma più semplice di “sole trader“. Tuttavia, è fondamentale ricordare che in tutti questi casi l’imprenditore deve trasferire anche la sua residenza fiscale personale all’estero, non limitandosi solo alla registrazione dell’attività nel Paese straniero.

Partite IVA estere e lavoro in Italia: tutti i rischi

Lavorare in Italia con una Partita IVA estera comporta alcune implicazioni fiscali che è importante comprendere. In linea generale, non esiste un divieto assoluto di operare in Italia con un numero di Partita IVA straniero. Tuttavia, è fondamentale tenere presente che quando si lavora in Italia con una Partita IVA estera, sia necessario pagare le imposte sia in Italia che all’estero. Questo perché, nella maggior parte dei casi, l’attività svolta in Italia con una Partita IVA estera è considerata come una stabile organizzazione. Tuttavia, le specifiche variano a seconda che si tratti di un professionista o un’impresa.

Nel caso di un professionista non residente che svolge un’attività professionale in Italia (che può anche essere un cittadino italiano residente in un Paese straniero, regolarmente iscritto all’AIRE), devono essere affrontate le seguenti problematiche:

  1. Effetti dell’articolo 23 del DPR n. 917/86: occorre verificare se esiste una convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Paese di residenza del professionista. In caso affermativo, il professionista estero è soggetto a tassazione in Italia, in quanto la prestazione è svolta qui. La tassazione avviene mediante una ritenuta fiscale del 30%, in conformità con l’articolo 25 del DPR n. 600/1973.
  2. Configurazione della base fissa: qualora sia specificato nella convenzione contro le doppie imposizioni, il professionista è tassato in Italia solo se ha una base fissa (ad esempio, un ufficio) nel paese. Anche in questo caso, si applica una ritenuta del 30%, ma il professionista deve essere in grado di documentare la percentuale dei suoi redditi derivante dalla base fissa italiana.

Da queste regole possiamo dedurre che se l’attività professionale di un professionista estero è svolta solo occasionalmente in Italia, la tassazione avverrà solo nel Paese di residenza del professionista. In tutti gli altri casi, la prestazione del professionista estero in Italia è soggetta a tassazione italiana.

Iva ristoranti: tipologie e funzionamento

Aprire un’attività come un ristorante è un’impresa complessa, ben nota a coloro che hanno preso in considerazione questa possibilità. Tuttavia, la gestione dell’IVA nei ristoranti è ancora più intricata nonostante le semplificazioni legislative, suscitando ancora dubbi e incertezze.

L’applicazione dell’IVA nel settore della ristorazione differisce notevolmente da altri settori. Per un commerciante, la questione è semplice: acquista merce con un’aliquota del 22% e la rivende applicando la stessa aliquota. Per un ristoratore, invece, la situazione è diversa in quanto le materie prime acquistate sono soggette ad aliquote diverse, ma al momento della vendita è necessario applicare un’unica aliquota IVA prevista per la ristorazione. Vediamo quindi come orientarsi all’interno del complesso mondo dell’IVA nei ristoranti, evitando rischi con le autorità fiscali.

Iva ristorante: categorie e aliquote da applicare

Come precedentemente menzionato, il caso dei ristoranti presenta delle peculiarità, poiché il settore della ristorazione è uno dei pochi in cui si applica l’aliquota ridotta del 10%, indipendentemente dalle bevande e dai cibi serviti. Tuttavia, quando si procede all’acquisto delle materie prime, ci si trova ad affrontare diverse tipologie di aliquote.

Infatti, sull’acqua in bottiglia, sulle bevande alcoliche e sulle bibite, si dovrà pagare il 22% di IVA, mentre sulla carne, il pesce, le uova, i cereali e lo zucchero, solo per citarne alcuni, si applica l’aliquota del 10%. L’aliquota scende ulteriormente per la frutta, la verdura, il pane, la pasta, il pomodoro in conserva, l’olio e i latticini, poiché considerati beni di prima necessità, beneficiando dell’aliquota minima del 4%.

Pertanto, la gestione dell’IVA nei ristoranti risulta complessa e richiede una particolare attenzione, specialmente durante la registrazione delle fatture elettroniche d’acquisto, quando è necessario associare l’aliquota corretta a ciascun prodotto singolarmente.

Nel contesto dei ristoranti, l’aliquota IVA applicabile è quella ridotta al 10%, la medesima prevista per la fornitura di energia elettrica, gas e medicinali. Tale scelta è giustificata sia dal fatto che determinati beni sono considerati di rilevanza per i consumatori, sia dal fatto che il valore di tali beni non supera la metà del valore totale del servizio offerto.

Iva ristoranti

Di fatto, come ristoratore, è possibile applicare l’aliquota ridotta poiché il costo delle materie prime rappresenta meno della metà dell’importo totale addebitato ai clienti.

Tuttavia, fino a poco tempo fa, i ristoranti con servizio da asporto e i servizi di consegna a domicilio, pur operando nello stesso settore dei ristoranti, non potevano beneficiare dell’applicazione dell’aliquota IVA ridotta.

Iva ristorazione: come funziona per asporto e delivery

Fino al 2021, l’aliquota IVA applicata nei ristoranti variava a seconda della loro tipologia. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26/10/1972 forniva una chiara enumerazione di beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%, tra cui rientrava anche la ristorazione.

Tuttavia, all’interno della normativa si trovava un breve paragrafo che specificava che per somministrazione di alimenti e bevande al pubblico si intendeva esclusivamente la vendita sul posto, cioè il consumo immediato in locali appositamente attrezzati.

Di conseguenza, l’aliquota IVA del 10% si applicava a ristoranti, pub, pizzerie, osterie, trattorie, sushi bar e così via, ma non alle attività che si occupavano di servizio delivery o asporto, per le quali, fino al 2021, si applicava l’aliquota del 22%. Cosa è cambiato?

Nonostante nel corso del tempo le associazioni di categoria avessero sollecitato il legislatore a consentire l’applicazione dell’IVA al 10% anche per i ristoranti con servizio da asporto, tali richieste erano rimaste inascoltate. Tuttavia, a seguito delle gravi conseguenze della pandemia che ha colpito duramente il settore della ristorazione, il governo ha cambiato posizione. Pertanto, anche se i clienti non consumano più i pasti all’interno dei locali, è possibile applicare l’aliquota più bassa.

Tuttavia, è importante sottolineare che questa concessione è da considerare come una misura transitoria adottata per contrastare gli effetti dell’emergenza COVID-19 e si applica solo agli alimenti cotti e pronti per il consumo. Di conseguenza, per le bevande e per i cibi non preparati, considerati beni e non alimenti, che sono consumati al di fuori del locale, si dovrà applicare l’aliquota del 22%.

 

DIVENTA UN ESPERTO DELL’IVA

Scopri il nostro approfondimento: L’Imposta sul Valore Aggiunto