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Contrassegno telematico: cos’è, a cosa serve e come acquistarlo

Il contrassegno telematico è un certificato di pagamento dell’imposta di bollo. Il suo valore varia a seconda delle disposizioni di legge e da documento a documento. In passato esisteva solamente la marca da bollo cartacea, liberamente acquistabile anche in tabaccheria. Oggi, invece, è possibile comprare anche le marche da bollo telematiche, direttamente online. Il contrassegno telematico non ha una validità, una data di scadenza se vogliamo. Acquistandolo online non si compra un vero e proprio contrassegno, ma, piuttosto, si effettua un “versamento”.

La marca da bollo telematica consente quindi a privati e imprese di assolvere all’obbligo del versamento dell’imposta, richiesto per atti e documenti della Pubblica Amministrazione (PA).

Contrassegno telematico: come funziona

Volendo acquistare un contrassegno telematico è necessario utilizzare il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate che si chiama @e.bollo. L’acquisto è addebitato direttamente sul proprio conto corrente, oppure su carta di debito o su carta prepagata tramite il sistema PagoPa. Per farlo basta scegliere un prestatore di servizi di pagamento abilitato al servizio, che abbia aderito alla convenzione tra AgID e Agenzia delle entrate.

Al momento comunque, l’unico prestatore che abbia aderito al servizio è quello rappresentato dall’Istituto di Pagamento del sistema camerale.

Dove acquistare il contrassegno telematico

Attualmente non è possibile acquistare ovunque la marca da bollo online. Infatti, per ora, il servizio è attivo e utilizzabile esclusivamente tramite i portali internet delle PA che offrono servizi interattivi di dialogo tra utenti che rilasciano documenti elettronici e che hanno aderito al Sistema dei pagamenti elettronici o pagoPA dell’AgID.

Per il momento è questa la situazione, piuttosto limitata quindi, ma in futuro sono previsti dei cambiamenti e notevoli miglioramenti. Gli utenti infatti potranno acquistare le marche da bollo online via PEC con le relative amministrazioni, oppure direttamente presso i PSP convenzionati, attraverso appositi servizi predisposti utilizzando il proprio smartphone, tablet o PC.

L’acquisto online del contrassegno telematico vuole portare alla completa digitalizzazione la richiesta di atti pubblici e documenti della Pubblica Amministrazione, per i quali è ancora obbligatorio il versamento dell’imposta di bollo. In questo modo di andrà a dematerializzare e a semplificare il rapporto tra PA, cittadini e imprese.

Contrassegno telematico

Marca da bollo digitale: quando e come usarla

La marca da bollo è regolamentata dall’art.3 del DPR 642/1972. La norma stabilisce che la marca da bollo è obbligatoria ogni volta che si vuole ottenere l’emanazione di un provvedimento amministrativo o di un relativo atto pubblico. La legge stessa prevede comunque casi specifici di esonero dal pagamento. È questo il caso, ad esempio, della richiesta di documenti e/o istanze da ONLUS, federazioni sportive, enti di promozione sportiva riconosciuti CONI e le organizzazioni di volontariato.

Contrassegno telematico e fatture

Le fatture esenti IVA, come ad esempio quelle emesse in regime forfettario, di importo maggiore a 77,47€ richiedo il pagamento di una marca da bollo da 2,00€. Per assolvere telematicamente alla richiesta è necessario compilare un modulo di dichiarazione consutiva. Questo deve essere presentato entro il 31 gennaio successivo all’anno di imposta. La dichiarazione deve riportare l’elenco dei documenti fiscali emessi nell’anno solare precedente, sui quali è necessario apporre la marca da bollo virtuale. La trasmissione di questa dichiarazione è possibile esclusivamente online.

Il pagamento della marca da bollo elettronica avviene utilizzando apposito modello f24 con relativi codici tributo:

  • 2505: in caso di rateizzazione dei versamenti
  • 2506: pagamento dell’acconto
  • 2507: pagamento di eventuali sanzioni
  • 2508: pagamento di eventuali interessi

Contrassegno telematico e fatture elettroniche

Chi emette fatture elettroniche ha la possibilità di acquistare la marca da bollo virtuale con le stesse modalità delle vecchie fatture. Il consuntivo con l’elenco dei documenti che richiedono l’apposizione della marca da bollo deve quindi essere presentato entro il 31 gennaio dell’anno d’imposta successivo. Il pagamento avviene sempre tramite nodello F24.

Istanze trasmesse alle Pubbliche Amministrazioni

Le istanze trasmesse alle PA richiedo apposizione e pagamento di marca da bollo. Anche in questo caso il contrassegno può essere comprato online attraverso il portale @e.bollo sul quale è possibile acquistare la marca da bollo forfettaria del valore di 16€ indipendentemente dalle dimensioni del documento.

Risoluzione consensuale: dimissioni e termine del rapporto di lavoro

In un rapporto di lavoro figurano due parti: un committente e un prestatore d’opera e servizi. Il termine del rapporto di lavoro può avvenire in due modi. Il primo per volere del committente, tramite l’esercizio del licenziamento. Il secondo invece per volere del prestatore, usando la formula del licenziamento. Esiste però una terza via, anche se meno comune, che è quella che prevede la risoluzione consensuale. Quest’ultima si verifica quando entrambe le parti decidono, di comune accordo, di porre fine al rapporto di lavoro. La normativa di riferimento è racchiusa nell’articolo 1372 del Codice Civile.

Fino a qualche anno fa e più esattamente al 12 marzo del 2016, datore di lavoro e dipendente che volevano ricorrere alla risoluzione consensuale, non dovevano adempiere a particolari obblighi. Da quella data in poi però si è reso necessario compilare degli appositi moduli messi a disposizione dal Ministero del Lavoro, da inviare esclusivamente per via telematica. Una volta compilata, tale documentazione deve essere trasmessa al datore di lavoro e all’Ispettorato Territoriale del lavoro. Sono comunque previsti casi particolari per:

  • lavoratrici in stato di gravidanza
  • lavoratrici collaboratore nei primi 3 anni di vita del bambino o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o concesso in affidamento

In questi due casi, la risoluzione consensuale è valida solo a seguito della conferma ricevuta dal servizio ispettivo svolto dall’ufficio del Ministero del Lavoro, competente sul territorio.

Risoluzione consensuale

Risoluzione consensuale: cosa prevede

L’accordo di risoluzione consensuale può riportare qualunque aspetto stabiliscano datore e lavoratore. Uno di questi è sicuramente la data di decorrenza del termine di lavoro. In caso di termine immediato, la cessazione parte al momento della sottoscrizione stessa. Se l’attività invece dovesse perdurare, le due parti devono concordare che l’attività lavorativa debba continuare fino alla data indicata.

A discrezione del datore di lavoro, può essere aggiunto alla risoluzione consensuale, una somma di denaro aggiuntiva, a favore del dipendente. Si tratta di una somma supplementare a quando il committente deve al lavoratore. Questa somma prende il nome di “incentivo all’esodo”. Quello che caratterizza questa cifra è che, sia il datore che il dipendente, su tale somma non dovranno pagare i contributi INPS. È invece applicata la tassazione separata, con la stessa aliquota prevista per il trattamento di fine rapporto.

Il lavoratore ha a disposizione sette giorni di tempo, che partono dalla data di trasmissione, per evocare la propria dichiarazione di risoluzione consensuale del contratto.

Risoluzione consensuale VS Licenziamento

La risoluzione consensuale è quindi stabilita di comune accordo tra le parti. Il licenziamento invece è stabilito unilateralmente da parte del datore di lavoro, o da parte del dipendente di lavoro, in caso di dimissioni. Licenziamento e dimissioni valgono sempre, anche se una delle due parti non è d’accordo. Invece la risoluzione consensuale vale solo se c’è accordo da entrambi le parti.

La risoluzione consensuale, rispetto al licenziamento o alle dimissioni, offre maggiori vantaggi a entrambi le parti. Vantaggi che si concretizzano in maggiore libertà di azione per i soggetti coinvolti. Da una parte il datore di lavoro può evitare di sottostare alle restrizioni e alle limitazioni previste nel contratto di lavoro, o nell’atto del licenziamento stesso. Dall’altra parte il lavoratore può ottenere una riduzione del giorno effettivo di licenziamento, oppure può concordare una liquidazione maggiore.

Con la risoluzione consensuale il datore di lavoro ha il vantaggio di:

  • non pagare nessun ticket licenziamento – nessun contributo aziendale di recesso (esclusi i casi NASPI)
  • evitare i processi formali di licenziamento
  • anticipare la data di cessazione rapporto.

Il lavoratore invece ha il vantaggio di:

  • beneficiare di tempistiche anticipate
  • ottenere una libera uscita – in alcuni casi supplementare la TFR
  • avere diretto a una maggiore personalizzazione andando a inserire nell’accordo, particolari condizioni vantaggiose, che normalmente non sarebbero presenti per legge.

Risoluzione Consensuale online

Un fenomeno particolarmente diffuso fino al 2016, era quello che prendeva il nome di “dimissioni in bianco”. Al fine di scongiurare dimissioni-ricatto, dal 2016 sono state stabilite alcune regole per presentare e richiedere la risoluzione consensuale. Una di queste prevede che la documentazione obbligatoria sia inviata esclusivamente in maniera telematica. Il dipendente deve infatti inviare via PEC i moduli al datore di lavoro e all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

La risoluzione consensuale è irrevocabile. Il dipendente ha tempo di revocarla entro 7 giorni dalla data di presentazione, poi diventa irrevocabile.

Accertamento fiscale: cos’è e come funziona

Nell’articolo precedente: “Responsabilità del commercialista: chi paga se sbaglia?” abbiamo visto in cosa consiste la responsabilità di un dottore commercialista. Accertata cos’è e com’è valutata dalla legge italiana la responsabilità di un professionista consulente finanziario e tributario, è bene adesso capire cosa sia un accertamento fiscale e come funziona. Ai telegiornali, sui quotidiani o semplicemente parlando, spesso salta fuori l’argomento degli “accertamenti fiscali”. Se ne sente parlare tanto, ma non sempre è ben chiaro cosa sia, come funziona e perché qualcuno dovrebbe essere oggetto di accertamento fiscale da parte dell’amministrazione finanziaria.

Accertamento fiscale: cos’è

L’accertamento è una procedura con la quale è possibile determinare la base imponibile e tutte le imposte relative ai singoli tributi. Sulla base imponibile è poi determinata l’aliquota sulla quale è calcolata l’imposta da pagare.

In campo tributario è onere del contribuente autodeterminare le basi imponibili e i singoli redditi. L’amministrazione finanziaria ha il solo compito accertativo (per errata dichiarazione) o sostitutivo (omessa dichiarazione). In altre parole è il contribuente che deve presentare dichiarazione dei redditi mediante autocertificazione, mentre l’amministrazione controlla che la dichiarazione sia stata presentata e sia formalmente corretta.

L’accertamento definitivo quindi può variare da uno a tre atti:

  1. dichiarazione dei redditi non modificata dall’amministrazione
  2. avviso di accertamento e dichiarazione
  3. dichiarazione, avviso di accertamento e sentenza del giudice.

Accertamento fiscale: tutta la procedura

A seguito della presentazione della dichiarazione dei redditi, la stessa è sottoposta a controllo da parte dell’ufficio locale delle Agenzia delle Entrate. L’ufficio controllo solamente la validità formale del documento presentato, eseguendo poi dei controlli a campione. In altre parole sceglie random dei soggetti a cui la dichiarazione sarà controllata in base a tutti i dati in loro possesso.

Per recuperare dati e informazioni necessari al controllo, l’ufficio dell’AdE si rivolge a vari enti e società che effettuano riscossioni, ai pubblici ufficiali, alle banche, ecc… È inoltre nelle sue facoltà eseguire dei controlli presso le sedi operative e amministrative delle società e dei professionisti soggetti al controllo. La Guardia di Finanza collabora con Agenzia delle entrate per recuperare i dati necessari al controllo.

Accertamento fiscale

Infatti, prima di emettere l’avviso di accertamento, la Finanza invia ai Comuni segnalazione per predisporre, entro massimo sessanta giorni dalla richiesta, tutti i dati e i documenti necessari a determinare il reddito complessivo del contribuente sottoposto a controllo.

Altro ruolo importante è ricoperto dall’anagrafe tributaria. Si tratta di un sistema informatico elettronico contenete tutte le principali notizie risultanti dalle precedenti dichiarazioni dei redditi. I dati dell’anagrafe sono recuperati dal comune, dalle banche, dalle poste, dagli uffici pubblici., dalle Camere di Commercio, ecc…

La situazione fiscale

Dalla somma e dal controllo di tutti i dati raccolti viene fuori la situazione fiscale del soggetto sottoposto a controllo. L’ufficio dell’Agenzia delle Entrate confronta quindi questa situazione con la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente.

A questo punto se dal controllo risultano degli errori, l’amministrazione invia un “avviso bonario” al contribuente. È così richiesto di pagare per mettersi in pari con le somme dovute per le imposte non versate, o per le eventuali sanzioni connesse. Se il cliente paga bene, altrimenti gli importi dovuti sono iscritti a “ruolo”.

Accertamento fiscale: l’avviso

È un atto con il quale l’amministrazione finanziaria comunica al contribuente che, a seguito di un accertamento fiscale, non è stata correttamente applicata la normativa tributaria. Sull’avviso di accertamento fiscale è indicato il corretto imponibile calcolato dall’amministrazione.

Sull’avviso sono contenuti i seguenti dati:

  • imponibile
  • aliquote applicate
  • imposte dovute
  • ritenute d’acconto
  • crediti di imposta
  • motivazioni di accertamento
  • dispositivi
  • sottoscrizione

L’amministrazione finanziaria ha tempo per notificare l’avviso di accertamento entro e non oltre il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Se la dichiarazione dei redditi invece è nulla od omessa, l’avviso deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata.

L’avviso è notificato:

  • in mano al contribuente
  • al domicilio fiscale del contribuente
  • a mezzo PEC

Il pagamento del dovuto deve essere fatto entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso. Se il pagamento non è effettuato, l’espropriazione forzata è avviata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è diventato definitivo.

Accertamento fiscale: come presentare ricorso

Il ricorso a un accertamento fiscale può essere presentato per vizio dell’atto (quando ad esempio nell’avviso manca uno o più dati obbligatori), oppure perché non esiste il debito tributario indicato nell’avviso, o infine per errata indicazione dell’importo del debito tributario.

Domicilio digitale: cos’è, come funziona e a cosa serve

Il domicilio digitale è l’indirizzo al quale sono inviate le notifiche previste dalla legge ai fini tributari ed indica la competenza dei vari uffici tributari. Il concetto è stato introdotto dalla legge Semplificazioni, che ha previsto l’obbligo del domicilio digitale per aziende e professionisti a partire dal primo ottobre. Al momento però questa operazione si è tradotta solamente nell’avere una PEC personale e ad aver fissato delle sanzioni. Si tratta comunque di un primo importante passo compiuto verso l’obbligo per tutti i cittadini, che prima o poi saranno iscritti nell’Indice nazionale dei domicili digitali (INAD).

Con il domicilio digitale le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione (PA) saranno più facile. Oggi ancora limitate alla casella di posta cartacea, in futuro saranno gestite interamente online. Con il decreto Semplificazioni è stato stabilito che aziende e professionisti devono quindi comunicare al Registro delle Imprese il proprio domicilio digitale. I professionisti invece devono comunicarlo all’ordine o al collegio al quale sono iscritti.

A oggi avere un domicilio digitale significa solamente avere l’obbligo di avere una PEC aziendale. Questo era già obbligatorio, ma non erano previste sanzioni per chi ancora non avesse provveduto ad averla. Il nuovo decreto invece modifica la dicitura di “PEC” a “domicilio digitale” e prevede delle integrazioni sanzionatorie.

Domicilio digitale: la definizione

Quindi oggi il domicilio digitale è, a tutti gli effetti, un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Questa serve a individuare un luogo virtuale dove sono inviate comunicazioni di natura giuridica, da parte di PA, professionisti, o aziende. Adesso esiste e vale anche per i privati. Non corrisponde a un indirizzo fisico, ma è composto da nome.cognome@gestorepec.it

Questo significa che adesso, qualunque sia la posizione fisica di un soggetto, gli saranno potute recapitare comunicazioni dalle PA. La PEC fa risparmiare tempo e denaro. Inoltre è matematica la certezza di ricevere e/o comunicazioni importanti.

Domicilio digitale: come fare per dichiararlo

Chi già possiede una PEC, ha in automatico il domicilio digitale. Imprese e aziende hanno già comunicato il proprio indirizzo PEC come disposto dal Decreto Legge 179/2012 e dalla Legge 2/2009.

I professionisti che ancora oggi, purtroppo non utilizzano regolarmente o che non hanno ancora una PEC valida, però sono ancora circa 1,7 milioni. Pertanto, tutti questi freelance, che ancora non hanno PEC, riceveranno delle sanzioni e gli uffici della Camera di Commercio assegnerà loro un domicilio digitale. I professionisti troveranno quindi questo nuovo “indirizzo” a disposizione sul Cassetto digitale dell’imprenditore erogato dalle Camere di Commercio (ma solo per la ricezione dei documenti).

Quindi chi non ha ancora una PEC, deve fare in fretta e crearne una il prima possibile, comunicandola poi al registro delle imprese o al proprio ordine professionale.

Domicilio digitale

Sanzioni previste per le imprese ancora senza domicilio digitale (PEC)

Per tutte le imprese che ancora non hanno una PEC sono previste delle sanzioni che vanno da un minimo di 206 euro, a un massimo di ben 2064 euro. Per le imprese individuali l’importo scende ed è compreso tra i 30 e i 1548 euro. Normalmente il Registro Imprese propone la definizione agevolata entro 60 giorni pagando il doppio del minimo o il terzo del massimo. É quindi possibile ravvedersi rispettando le scadenze versando circa 412 euro per le società e 60 euro per i lavoratori individuali.

Oltre alle sanzioni, il Registro Imprese assegnerà un nuovo indirizzo digitale di default. Questo sarà reso disponibile sul cassetto digitale dell’imprenditore. Ogni impresa trova il proprio a disposizione sul sito: impresa.italia.it Questo però sarà valido esclusivamente per ricevere documenti, comunicazioni e notifiche. Alla piattaforma è possibile accedere esclusivamente attraverso identità digitale (SPID, CNS e CIE).

Professionisti

Per i liberi professionisti ancora sprovvisti di PEC invece, la legge non prevede sanzioni pecuniarie. Però l’Ordine deve diffidare il professionista ad adempiere all’obbligo entro 30 giorni. In caso di mancata ottemperanza, l’Ordine può sospendere il professionista dal relativo Collegio od Ordine di appartenenza, fino a quando non comunicherà il domicilio digitale.

Per tutti i professionisti non obbligati a iscriversi a Ordini o Collegi, invece non è previsto ancora nessun obbligo, ne tanto meno sanzione. Possono quindi continuare a non avere la PEC.

Codice destinatario univoco: tutto quello che c’è da sapere

Il codice destinatario univoco è un codice a sei caratteri alfanumerici che hanno lo scopo di identificare gli uffici della pubblica amministrazione a cui devono essere indirizzate le fatture elettroniche. Si tratta di uno strumento indispensabile, necessario al recapito corretto delle e-fatture da parte del Sistema di Interscambio (SdI).

Codice destinatario univoco: uno strumento indispensabile

Con l’entrata in vigore e il diffondersi della fatturazione elettronica, tutti, prima o poi, hanno sentito parlare del codice destinatario univoco. Il suo utilizzo non è necessario al fine della redazione in senso stretto della fatturazione elettronica, quanto invece al suo invio al SdI.

Abbreviato in CUU, o chiamato anche codice IPA, vuole indicare il codice che identifica un ufficio pubblico destinatario della fattura elettronica. In altre parole è il lascia passare per il Sistema di Interscambio, che gli consente di recapitare correttamente il documento fiscale. A ogni ufficio pubblico sono associati diversi codici univoci, che individuano diversi uffici della stessa amministrazione pubblica.

Tutti i codici univoci delle PA (Pubblica amministrazione) sono elencati sul portale IPA – indice pubblica amministrazione. Qui sono contenute tutte le informazioni relative agli enti pubblici, come il domicilio digitale, la PEC e i codici CUU.

Differenze tra codice destinatario e codice univoco

Non sono la stessa cosa. La funzione è molto simile, ma rappresentano due diversi soggetti.
Il codice destinatario è quello utilizzato nella fattura elettronica B2B o B2C (cioè business to consumer – soggetti privati). Il codice destinatario è composto da sette caratteri. Quello univoco invece è usato solamente per le fatture elettroniche verso le PA ed è composto da sie caratteri.
Il codice univoco è quindi da indicare nelle fatture elettroniche rivolte alle PA.

Codice destinatario univoco

Codice univoco d’ufficio: IPA

IPA è un’altra terminologia per indicare il codice univoco d’ufficio. Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione un sistema di ricerca a questo link, suddiviso per:

  1. Alfabeto
  2. categoria
  3. area geografica
  4. codice fiscale
  5. servizio
  6. codice univoco ufficio
  7. domicilio digitale
  8. social network
  9. lingue monitorate
  10. pec

A seconda del dato a disposizione è possibile ricercare e individuare l’ufficio della PA territorialmente competente.

Codice destinatario: cosa c’è da sapere di importante

Il codice destinatario è un codice alfanumerico a 7 caratteri rilasciato dall’Agenzia delle entrate. Rappresenta come una sorta di indirizzo telematico, attraverso il quale il Sistema di Interscambio capisce a chi devono essere indirizzate le fatture elettroniche emesse.

Non è un codice obbligatorio. Non rappresenta altresì l’unico modo per ricevere e/o inviare fatture elettroniche. Al suo posto può essere utilizzata la PEC.

Il codice può essere richiesto direttamente ad Agenzia delle Entrate. In alternativa è possibile utilizzare un codice destinatario di un intermediario che in questo caso riceverà le fatture del delegante.

Dove e come inserire il codice destinatario

Per inviare una fattura elettronica a un altro soggetto, uno dei dati necessari (ma non indispensabili, perché sostituibile con la PEC) è il codice destinatario.
Per utilizzarlo correttamente si possono verificare tre diversi casi:

  1. Se si è in possesso di un codice destinatario, comunicato dal ricevente, basta inserirlo direttamente, così come è stato comunicato, nel sistema utilizzato per l’emissione delle fatture elettroniche (come ad esempio FatturaPRO.click);
  2. Se si è in possesso solo della PEC del destinatario, nel campo codice destinatario basterà allora inserire una stringa di sette zeri: “0000000” e nel campo PEC destinatario, la relativa PEC;
  3. Non avendo invece a disposizione né PEC né codice destinatario è necessario allora inserire una stringa di sette zeri. Al destinatario però dovrà essere ricordato che il documento lo potrà recuperare nella sua area riservata del portale dell’Agenzia delle Entrate (questo perché il Sistema di Interscambio, non avendo a disposizione un indirizzo valido, parcheggerà il documento, in attesa del recupero).

Fattura elettronica: cosa fare se…

Da quando la fattura elettronica è entrata a far parte del sistema amministrativo italiano, di acqua sotto i ponti né passata moltissima. All’inizio è diventata obbligatoria per le Pubbliche Amministrazioni centrali (PA) – 6 giugno 2014. Successivamente è stata estesa per le PA locali – 31 marzo 2015.

È diventata poi obbligatoria per i B2B dal 1 gennaio 2019, quando l’aggiornamento al formato digitale ha interessato tutte le imprese e i liberi professionisti.

Infine è stata resa obbligatoria anche per i B2C, quando l’emissione del documento digitale è stato reso inderogabile anche nei confronti dei consumatori finali in tutti i casi di cessione di beni o servizi.

La gestione della fatturazione elettronica ha reso indispensabile la nascita di piattaforme come FatturaPRO.click. Con un solo click, permette di emettere, inviare e conservare la fattura elettronica. Pochi passaggi, semplici e precisi. Attorno alla e-fattura si è creato un mondo complesso e vario, che ha generato, qualche volta, alcuni dubbi e difficoltà. Le norme al riguardo sono molto precise, ma la loro decifrazione non è sempre intuitiva e alla portata di tutti.
Vediamo quindi le casistiche più comuni nell’emettere fattura elettronica con i relativi suggerimenti per gestirli al meglio.

Fattura elettronica: cosa fare se viene indicata una PEC diversa da quella del destinatario

Può capitare che al momento in cui è necessario comunicare i dati affinché possa essere emessa una fattura elettronica, la PEC dichiarata sia diversa da quella del destinatario. Per dimenticanza, o per negligenza, può capitare di comunicare un data sbagliato, in questo caso la PEC. In questo caso allora la fattura elettronica è sempre valida?
L’indirizzo PEC serve semplicemente per il recapito della fattura elettronica stessa, nel caso non venissero messi a disposizione altri recapiti telematici (come ad esempio il codice destinatario). Se la PEC non viene indicata (o ne viene indicata una sbagliata, alternativa), la e-fattura è comunque messa a disposizione dell’acquirente nell’area riservata accessibile con credenziali Entratel/Fisconline.
Alla fine la PEC non è un elemento obbligatorio e indispensabile per l’emissione del documento digitale. Quindi, anche se non è indicata (o indicata sbagliata), la e-fattura è comunque valida e corretta.

fattura elettronica

Fattura elettronica: cosa fare se ne riceviamo una per sbaglio

Possibile (poco probabile, ma possibile) che un soggetto per errore riceva una fattura elettronica (fattura o nota di credito) non indirizzate espressamente a lui. In questo caso è necessario effettuarne la registrazione? No, non è necessario (né fattura, né nota di credito). Non esiste nessun obbligo di registrazione, in quanto i documenti non sono destinati a chi li ha ricevuti per errore. Al contrario, chi li ha emessi e inviati dovrebbe provvedere a eliminarli. L’eliminazione dovrebbe avvenire emettendo documenti recanti la stessa data di emissione di quelli sbagliati. Questo per evitare distorsioni nel meccanismo della liquidazione dell’imposta. A chi emette, quindi, serve un documento di rettifica, altrimenti farebbe sballare la dichiarazione annuale dell’IVA.

Fattura elettronica: come fare se voglio scegliere la cifra dalla quale iniziare per la numerazione

Può capitare che una nuova attività desideri iniziare la numerazione della fatturazione elettronica, da una determinata cifra, che non corrisponda esattamente dalla n°”1”. La domanda quindi sorge spontanea: è possibile?
Per rispondere a questa domanda partiamo dal DPR 633/1972 e più precisamente dall’articolo 21, comma 1, lettera b). Questo cita che: “… si può ricorrere a qualsiasi tipo di numerazione progressiva che ne garantisca l’identificazione univoca, … ogni contribuente può scegliere se adottare una numerazione progressiva che, partendo dal numero 1 la identifichi in modo univoco”.
Questo significa che la numerazione della fattura elettronica può partire da una qualunque cifra. Può essere scelta dal contribuente, che la identificherà in modo “progressivo”. È possibile quindi scegliere il numero che si preferisce, anche perché il Sistema di Interscambio (SDI) assegna a ogni fattura un numero che la caratterizza, di conseguenza la numerazione del contribuente ha assunto un ruolo secondario.