Lavoro dipendente e partita Iva: è possibile contemporaneamente?

Molti si sono chiesti e si continuano a domandare se sia possibile svolgere contemporaneamente un lavoro dipendente di una società e avere una partita IVA attiva. Per rispondere in modo esaustivo a questa domanda è importante conoscere bene e a fondo le regole che disciplinano i due diversi rapporti di lavoro, gli aspetti giuridici, quelli fiscali e previdenziali coinvolti.

La prima distinzione da fare è tra dipendenti pubblici e privati, in quanto le regole che disciplinano queste realtà sono assai diverse. Di ogni aspetto è importante conoscere ogni aspetto giuridico, fiscale e previdenziale.

Lavoro dipendente privato e partita IVA

I lavoratori dipendenti nel settore privato possono tranquillamente avere una partita IVA ed esercitare liberamente un’attività professionale propria o d’impresa. L’importante è che non vi sia concorrenza tra le due attività svolte.

A regolare l’aspetto giuridico in questa situazione ci pensa l’articolo 2105 del codice civile, che cita:

“prestatore di lavoro non deve trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”

Si tratta dell’obbligo di fedeltà che, quando e se viene a mancare, rende possibile per il datore di lavoro licenziare per giusta causa il dipendente.

Il dipendente non è comunque obbligato ad avvisare della propria partita IVA, il proprio datore di lavoro. È comunque consigliato farlo.

Lavoro dipendente pubblico e partita IVA

Chi è dipendente pubblico è obbligato per legge a prestare servizio in esclusiva all’Amministrazione da cui dipende. Questa è la regola generale a cui però sono applicate delle eccezioni. Esistono infatti alcuni regimi speciali che possono fare sia l’uno che l’altro. Ne sono un esempio i docenti che possono tranquillamente svolgere la loro professione. Altra eccezione è costituita dai dipendenti pubblici part time a orario di lavoro inferiore al 50%.

I dipendenti pubblici full time che vogliono avere una propria partita IVA rischiano il licenziamento, o la decadenza dall’impiego. In alcuni casi la Pubblica Amministrazione (PA) può richiedere ai propri dipendenti full time di svolgere funzioni e incarichi di diversa natura. In questo caso però è richiesto solo al verificarsi di determinate condizioni:

  1. temporaneità d’incarico
  2. occasionalità di lavoro
  3. assenza di conflitto di interessi
  4. compatibilità con l’impiego principale svolto per la PA.

Lavoro dipendente

 

I part time al 50% possono essere contemporaneamente dipendenti PA e svolgere una propria attività con partita IVA. Basta che l’attività non sia in contrasto con la PA e che non venga svolta con alta Pubblica amministrazione.

I dipendenti pubblici di PA con orario inferiore al 50% e iscritti ad albi professionali, non possono lavorare con e per conto di altre PA.

Lavoro dipendente e partita IVA

Fiscalmente non sussiste alcun problema alla coesistenza di redditi da lavoratore dipendente e redditi d’impresa o di lavoro autonomo. In tutti i casi quello che importa è dichiarare sempre e comunque ogni reddito percepito.

I lavoratori dipendenti possono presentare dichiarazione dei redditi usando gli appositi modelli 730. Chi invece svolge entrambe le attività dovrà presentare l’Unico.

Chi volesse accedere al regime forfettario non possono farlo chi nell’anno precedente ha percepito un reddito superiore a 30.000€ derivante da lavoro dipendente e non.

Contributi e pensione

Per quanto riguarda invece il punto di vista previdenziale, occorre fare distinzione tra attività d’impresa o lavoro autonomo.

Nel primo caso infatti il contribuente deve iscriversi alla gestione IVS (artigiani e commercianti). Questo però se e solo se l’attività come dipendente non costituisca l’attività prevalente (tempo e reddito), perché in questo caso non è necessaria l’iscrizione e il relativo versamento dei contributi.

Nel secondo caso invece, quello che prevede lo svolgimento di lavoro autonomo, è necessaria l’iscrizione alla Gestione separata INPS e il versamento dei relativi contributi, con applicazione di aliquote ridotte. I lavoratori autonomi iscritti a un albo professionale possono non iscriversi alla relativa cassa.

Accertamento fiscale: cos’è e come funziona

Nell’articolo precedente: “Responsabilità del commercialista: chi paga se sbaglia?” abbiamo visto in cosa consiste la responsabilità di un dottore commercialista. Accertata cos’è e com’è valutata dalla legge italiana la responsabilità di un professionista consulente finanziario e tributario, è bene adesso capire cosa sia un accertamento fiscale e come funziona. Ai telegiornali, sui quotidiani o semplicemente parlando, spesso salta fuori l’argomento degli “accertamenti fiscali”. Se ne sente parlare tanto, ma non sempre è ben chiaro cosa sia, come funziona e perché qualcuno dovrebbe essere oggetto di accertamento fiscale da parte dell’amministrazione finanziaria.

Accertamento fiscale: cos’è

L’accertamento è una procedura con la quale è possibile determinare la base imponibile e tutte le imposte relative ai singoli tributi. Sulla base imponibile è poi determinata l’aliquota sulla quale è calcolata l’imposta da pagare.

In campo tributario è onere del contribuente autodeterminare le basi imponibili e i singoli redditi. L’amministrazione finanziaria ha il solo compito accertativo (per errata dichiarazione) o sostitutivo (omessa dichiarazione). In altre parole è il contribuente che deve presentare dichiarazione dei redditi mediante autocertificazione, mentre l’amministrazione controlla che la dichiarazione sia stata presentata e sia formalmente corretta.

L’accertamento definitivo quindi può variare da uno a tre atti:

  1. dichiarazione dei redditi non modificata dall’amministrazione
  2. avviso di accertamento e dichiarazione
  3. dichiarazione, avviso di accertamento e sentenza del giudice.

Accertamento fiscale: tutta la procedura

A seguito della presentazione della dichiarazione dei redditi, la stessa è sottoposta a controllo da parte dell’ufficio locale delle Agenzia delle Entrate. L’ufficio controllo solamente la validità formale del documento presentato, eseguendo poi dei controlli a campione. In altre parole sceglie random dei soggetti a cui la dichiarazione sarà controllata in base a tutti i dati in loro possesso.

Per recuperare dati e informazioni necessari al controllo, l’ufficio dell’AdE si rivolge a vari enti e società che effettuano riscossioni, ai pubblici ufficiali, alle banche, ecc… È inoltre nelle sue facoltà eseguire dei controlli presso le sedi operative e amministrative delle società e dei professionisti soggetti al controllo. La Guardia di Finanza collabora con Agenzia delle entrate per recuperare i dati necessari al controllo.

Accertamento fiscale

Infatti, prima di emettere l’avviso di accertamento, la Finanza invia ai Comuni segnalazione per predisporre, entro massimo sessanta giorni dalla richiesta, tutti i dati e i documenti necessari a determinare il reddito complessivo del contribuente sottoposto a controllo.

Altro ruolo importante è ricoperto dall’anagrafe tributaria. Si tratta di un sistema informatico elettronico contenete tutte le principali notizie risultanti dalle precedenti dichiarazioni dei redditi. I dati dell’anagrafe sono recuperati dal comune, dalle banche, dalle poste, dagli uffici pubblici., dalle Camere di Commercio, ecc…

La situazione fiscale

Dalla somma e dal controllo di tutti i dati raccolti viene fuori la situazione fiscale del soggetto sottoposto a controllo. L’ufficio dell’Agenzia delle Entrate confronta quindi questa situazione con la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente.

A questo punto se dal controllo risultano degli errori, l’amministrazione invia un “avviso bonario” al contribuente. È così richiesto di pagare per mettersi in pari con le somme dovute per le imposte non versate, o per le eventuali sanzioni connesse. Se il cliente paga bene, altrimenti gli importi dovuti sono iscritti a “ruolo”.

Accertamento fiscale: l’avviso

È un atto con il quale l’amministrazione finanziaria comunica al contribuente che, a seguito di un accertamento fiscale, non è stata correttamente applicata la normativa tributaria. Sull’avviso di accertamento fiscale è indicato il corretto imponibile calcolato dall’amministrazione.

Sull’avviso sono contenuti i seguenti dati:

  • imponibile
  • aliquote applicate
  • imposte dovute
  • ritenute d’acconto
  • crediti di imposta
  • motivazioni di accertamento
  • dispositivi
  • sottoscrizione

L’amministrazione finanziaria ha tempo per notificare l’avviso di accertamento entro e non oltre il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Se la dichiarazione dei redditi invece è nulla od omessa, l’avviso deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata.

L’avviso è notificato:

  • in mano al contribuente
  • al domicilio fiscale del contribuente
  • a mezzo PEC

Il pagamento del dovuto deve essere fatto entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso. Se il pagamento non è effettuato, l’espropriazione forzata è avviata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è diventato definitivo.

Accertamento fiscale: come presentare ricorso

Il ricorso a un accertamento fiscale può essere presentato per vizio dell’atto (quando ad esempio nell’avviso manca uno o più dati obbligatori), oppure perché non esiste il debito tributario indicato nell’avviso, o infine per errata indicazione dell’importo del debito tributario.

Responsabilità del commercialista: chi paga se sbaglia?

Il rapporto tra un dottore commercialista e un cliente, è uno dei più importanti e delicati che possano esistere nel mondo del business. I dottori commercialisti, così come gli esperti contabili, hanno delle responsabilità nei confronti dei propri clienti. Responsabilità che riguarda la consulenza prestata e le attività svolte in favore della propria clientela. In Italia questa materia è addirittura oggetto di normativa. La responsabilità del commercialista si configura quando il professionista, volontariamente o involontariamente non si attiene alla diligenza professionale.

L’attività del commercialista rientra nell’ambito delle professioni intellettuali. Il rapporto che si instaura tra commercialista e cliente è ritenuto un contratto d’opera intellettuale ed è disciplinato dagli articoli 2229 e seguenti del Codice Civile.

Alla base di questo rapporto non c’è l’obbligo da parte del commercialista di raggiungere l’obiettivo voluto dal cliente, c’è invece l’impegno a prestare diligentemente la propria opera. Questo significa che il commercialista deve adoperarsi al meglio per prestare la propria opera. Opera che assume un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

Responsabilità del commercialista: art. 1176 comma 2 del Codice Civile

L’articolo 1176 comma 2 del Codice Civile cita:

 “…  Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Questo significa che, quando il commercialista è chiamato ad esercitare la propria professione, deve farlo applicando e utilizzando una diligenza pari o superiore a quella ritenuta standard per l’adempimento delle sue mansioni. In caso contrario potrebbe essere ritenuto responsabile per negligenza e, di conseguenza, condannato all’eventuale risarcimento del danno causato.

Nello svolgere la propria attività il commercialista deve usare lealtà, correttezza e competenza. Deve inoltre rispettare la legge e il codice deontologico della propria categoria professionale. Non può e non deve accettare incarichi se le proprie competenze non sono all’altezza del compito da svolgere. È obbligato ad informare i propri clienti sulle varie difficoltà e i rischi che l’attività svolta comporta. Infine deve svolgere l’incarico con cura e perizia professionale.

I limiti della propria competenza

Una sentenza della Corte di Cassazione, per l’esattezza la n°13007 del 23 giugno 2016, ha stabilito un’importante caratteristica affinché un commercialista possa ritenersi e definirsi “diligente” e, di conseguenza, esente da responsabilità. La sentenza ha stabilito che il professionista deve sempre e comunque dichiarare al cliente la propria competenza tecnica. In altre parole la responsabilità del commercialista dipende anche dal riconoscimento delle proprie capacità. Se non si ritiene in grado di soddisfare una specifica richiesta di un cliente, deve comunicarglielo e consigliargli di rivolgersi ad altro professionista.

Nella sentenza della Corte di Cassazione n°11213 del 9 maggio del 2017, il tribunale stabilì:

“la responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato”.

Da parte sua invece il professionista, per uscire indenne dalla responsabilità, ha l’onere di provare di aver adempiuto ai propri obblighi rispettando gli standard di diligenza che la norma prevede ed impone.

Responsabilità del commercialista

Conclusioni

Tirando le somme è quindi possibile affermare che un dottore commercialista non è obbligato a ottenere il risultato richiesto dal cliente, è invece obbligato a svolgere la propria attività diligentemente secondo il proprio mandato. Successivamente all’esecuzione dello stesso è altresì obbligato a svolgere tutte le attività conseguenti e connesse affinché sia preservata l’utilità della prestazione svolta nell’interesse del cliente.

È inoltre obbligato a valutare oggettivamente le proprie competenze tecniche specifiche in funzione delle richieste inoltrate. Questo significa che è obbligato a consigliare il cliente a rivolgersi ad altro professionista nel caso non sia in grado di assolvere alle necessità richieste dal cliente.

Responsabilità del commercialista per la consulenza fiscale

Per quanto riguarda invece la responsabilità del commercialista in ambito di consulenza fiscale e ricorsi tributari, vanno distinti:

  1. danno risarcibile
  2. nesso causale tra condotta del professionista e danno subito.

Si tratta di materia delicata e di un settore piuttosto border line. Per danno risarcibile di norma si intendono i maggiori oneri che il cliente è costretto a sostenere. Oneri nei confronti dell’amministrazione finanziaria come conseguenza di uno o più errori commessi dal dottore commercialista. In altre parole il danno risarcibile è quantificabile nelle sanzioni e negli interessi dovuti sulle imposte non versate.

Per quanto riguarda invece il “nesso causale” per un’errata e/o mancata impugnazione di un accertamento fiscale, questa è stimabile solo a seguito di una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso.

Auto aziendale e deducibilità: leasing, noleggio o acquisto cosa conviene e perchè

Nell’articolo precedente “Deducibilità e detraibilità: cosa sono e quali sono le principali differenze” abbiamo visto le differenze tra deducibilità e detraibilità. In merito a quest’argomento, è spesso oggetto di discussione la deducibilità dell’auto aziendale.

La domanda, che più di ogni altra, cerca risposta, è quale sia la forma maggiormente conveniente, dal punto di vista fiscale, quando si tratta di auto aziendale: acquisto, leasing o noleggio.

Auto aziendale: che cos’è

L’auto aziendale è quella destinata ai dipendenti di una società, oppure utilizzate per fini aziendali. Per essere definite tali devono rispondere a una serie di caratteristiche. Devono, ad esempio, avere meno di 24 mesi di vita e meno di 30,000 km. L’auto aziendale può essere assegnata al dipendente per uso strumentale, oppure promiscuo.

Nel primo caso, l’unico soggetto che può guidarla sarà il dipendente a cui è stata assegnata. Nel secondo caso invece può essere guidata anche dai familiari del lavoratore assegnatario. Se l’auto aziendale è inquadrata come “autocarro” per il trasporto di merci, a bordo vi possono salire esclusivamente gli appartenenti alla società addetti al trasporto e al carico/scarico della merce.

Se la disponibilità dell’auto aziendale data al dipendente è superiore a 30 giorni, il nominativo deve essere comunicato alla Motorizzazione (questo perché non è intestatario del veicolo). É prevista anche una sanzione amministrativa per chi non comunica il nominativo, pari a 705€, più il ritiro della carta di circolazione.

Se l’auto aziendale non è assegnata per uso privato, allora non è tassata, o è tassata solo parzialmente.

Auto aziendale: acquisto e deducibilità

La deducibilità dell’auto aziendale è stabilita nell’articolo 164 comma 1 lett. b) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). L’articolo prevede una doppia limitazione:

  • La deducibilità è ridotta nella misura del 20%
  • È riconosciuto un limite al valore fiscale del mezzo.

Nel caso di acquisto diretto dell’auto aziendale la legge prevede un limite al valore fiscalmente riconosciuto, diverso a seconda della tipologia di auto aziendale:

  • 18.075,99 € per le autovetture e gli autocaravan
  • 4.131,66 € per i motocicli
  • 2.065,82 € per i ciclomotori

Nel primo caso quindi la deducibilità massima per l’auto aziendale è di € 3.615,20.

Auto Aziendale in Leasing: cos’è e come funziona la deducibilità

Il leasing è una forma contrattuale di locazione, nella quale una società concedente, mette a disposizione di un cliente utilizzatore, un bene mobile e/o immobile. Il bene deve essere strumentale all’attività dell’utilizzatore, che dovrà corrispondere un canone periodico per usufruire del bene.

Nel caso di un’auto aziendale, il leasing non può durare meno di 48 mesi, alla fine dei quali l’utilizzatore può esercitare il diritto di riscatto del bene.

In alcuni casi il leasing finanziario comprende anche assicurazione e manutenzione dell’auto. I servizi accessori sono validi per tutta la durata del contratto. L’articolo 102 comma 7 del Tuir prevede le condizioni di deducibilità nel caso di acquisto di un veicolo in leasing.

I contratti in leasing stipulati prima dal 29 aprile 2012 prevedono un canone di competenza annua calcolato in base al coefficiente di ammortamento stabilito per quel determinato bene.

Il canone deducibile è calcolato in base al rapporto tra il costo massimo fiscalmente riconosciuto e il costo di acquisto sostenuto dall’utilizzatore. A questo è poi applicata la percentuale di deducibilità del 20% prevista dalla legge.

Auto aziendale

Auto aziendale e noleggio a lungo termine: caratteristiche e deducibilità

I professionisti e i possessori di partita IVA conoscono molto bene il noleggio a lungo termine. Le aziende e i regolari possessori di partita IVA possono stipulare contratti di noleggio a lungo termine. Oggi però questa possibilità è data anche ai privati, titolari di semplice codice fiscale.

Il noleggio a lungo termine prevede il pagamento di un canone mensile fisso, per un determinato lasso di tempo e per una percorrenza complessiva da effettuarsi con il veicolo. Il canone è una somma stabilita contrattualmente dalle due parti che comprende tutti gli oneri connessi all’uso del veicolo: imposta di circolazione, bollo, assicurazione, Kasko, manutenzione ordinaria compresi cambio pneumatici, ecc… In caso di danneggiamento o guasto dell’autovettura all’utilizzatore deve essere sempre messa a disposizione da parte della società di noleggio, un’autovettura sostitutiva.

Il periodo di noleggio può variare dai 24 ai 48 mesi e le percorrenze possono arrivare anche a 80,000 km. Terminato il periodo prestabilito dal contratto, l’auto aziendale può essere riscattata dall’utilizzatore. Il prezzo è quello prefissato da entrambi le parti.

Da un punto di vista fiscale la legge prevede che i canoni di noleggio siano deducibili entro certi limiti. Il costo del canone del noleggio per le autovetture, sono deducibili fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno. Per i contratti “full service” il limite di costo previsto per i canoni di noleggio deve essere considerato al netto dei costi riferibili alle prestazioni accessorie.

Deducibilità e detraibilità: cosa sono e quali sono le principali differenze

Deducibilità e detraibilità sono due termini comuni e consueti, che tutti utilizzano e di cui tutti “conoscono” il significato. Conoscono, o comunque credono di conoscere, perché, per quanto possano essere di facile comprensione, non a tutti e non sempre è chiaro cosa siano e a cosa fanno riferimento. Cerchiamo di chiarire una volta per tutte cosa sono e quali sono le principali differenze. Conoscerle è importante per poter sfruttare entrambi i due diversi aspetti, a favore della propria contabilità.

Deducibilità: cos’è e come funziona

La scienza delle finanze, quando tratta la materia della “tassazione”, definisce un onere deducibile, come un importo che è possibile sottrarre dal reddito complessivo di un soggetto, per ricavare la sua base imponibile (o reddito imponibile). In altre parole gli oneri deducibili sono quelli che devono essere sottratti dal reddito complessivo di un qualunque lavoratore, per trovare il reddito imponibile sul quale poter applicare l’aliquota Irpef. La base imponibile altro non è che l’importo, espresso in denaro, o in termini fisici, su cui è calcolata l’imposta.

Gli oneri deducibili dal reddito imponibile Irpef sono ad esempio:

  1. Contributi previdenziali
  2. Assegni periodici per il mantenimento del coniuge separato o divorziato
  3. Contributo sugli immobili ai consorzi obbligatori per legge
  4. Contributi liberi a favore di:
    • istituzioni religiose
    • organizzazioni non governative
    • organizzazioni non lucrative di utilità sociale
    • associazioni di promozione sociale
    • alcune fondazioni e associazioni riconosciute
  1. Erogazioni liberali a favore di università, enti di ricerca ed enti parco
  2. Rendite, vitalizi, assegni alimentari ed altri oneri
  3. Contributi previdenziali versati a favore dei lavoratori addetti ai servizi domestici.

Detraibilità: cos’è e come funziona

La detraibilità funziona invece diversamente. Opera infatti direttamente sull’imposta Irpef, calcolata in base al reddito imponibile. In generale la detrazione agisce invece riducendo l’imposta lorda. La scienza delle finanze, in materia di tassazione, definisce la detrazione d’imposta come una somma che è possibile sottrarre da un’imposta per ridurne, legalmente, l’ammontare totale. Quindi, altre parole, la deducibilità è applicata alla base imponibile, mentre la deducibilità è applicata direttamente all’imposta applicata. L’imposta così ridotta prende il nome di imposta netta.

Deducibilità

Nel caso dell’imposta Irpef alcune detrazioni sono stabilite in misura fissa. Altre invece sono calcolate in modo forfettario in base alle spese di produzione per alcune specifiche categorie di reddito. Infine altre detrazioni sono calcolate tenendo conto dei familiari a carico del contribuente.

Nell’IVA invece che è applicata ai clienti, è possibile detrarre quella pagata ai fornitori, o ai prestatori di servizi, grazie all’istituto della rivalsa. In altri casi invece l’IVA non può proprio essere detratta e in questo caso diventa allora un costo e basta.

Deducibilità e detraibilità: la differenza fondamentale

Quello che è veramente importante da capire per sfruttare al meglio entrambi questi istituti, è capire la differenza fondamentale che li contraddistingue.

La deducibilità fiscale riduce la base imponibile, vale a dire l’importo sul quale devono poi essere applicate le aliquote per il calcolo delle imposte. La detraibilità invece si ha quando dall’imposta lorda, si sottraggono legalmente importi per ricavare l’imposta netta da applicare alla base imponibile.

In generale le deduzioni fiscali tendono a favorire maggiormente i redditi più alti. Questo perché vanno ad incidere direttamente sul reddito complessivo di un contribuente sul quale poi è calcolata l’imposta finale. Alla luce di tutto questo è quindi perfettamente auspicabile avere una contabilità impeccabile, sia per quanto riguarda gli oneri deducibili, che gli oneri detraibili. Un’amministrazione precisa e consapevole infatti aiuta ad abbattere notevolmente le tasse da versare allo Stato.

Sanzione invio tardivo fattura elettronica: cosa prevedono le disposizioni di legge

È prevista una Sanzione invio tardivo fattura elettronica, o per mancata emissione delle fatture elettroniche. La normativa è contenuta per l’esattezza nell’articolo 6 del Decreto Legislativo n° 471/1997, che prevede le “Violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.

In particolare l’articolo cita che:

Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati e’ punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, e’ soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta. La sanzione e’ dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Sanzione invio tardivo fattura elettronica

Nel caso invece di operazioni non imponibili, esenti, o non soggette a IVA, il medesimo articolo specifica che:

Il cedente o prestatore che viola obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti, non soggette a imposta sul valore aggiunto o soggette all’inversione contabile di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e’ punito con sanzione amministrativa compresa tra il cinque ed il dieci per cento dei corrispettivi non documentati o non registrati.

Tuttavia, quando la violazione non rileva neppure ai fini della determinazione del reddito si applica la sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000”.

In ogni caso è prevista una sanzione minima di €500.

Sanzione invio tardivo fattura elettronica: D.L. 119/2018

Il D.L. 119/2018, legato alla legge Bilancio 2019, aveva previsto una periodo transitorio, durante il quale era previsto una riduzione, o addirittura l’annullamento della sanzione invio tardivo fattura elettronica. Da quando il periodo transitorio in questione si è esaurito, le disposizioni dell’articolo 6 Decreto Legislativo n° 471/1997 si attuano a pieno.

Si conseguenza anche le sanzioni amministrative previste dal suddetto articolo sono applicate totalmente. E questo vale per tutte le operazioni effettuate entro il 30/06/2019 per i soggetti trimestrali, oppure entro il 30/09/2019 per i soggetti mensili, quando la fattura elettronica è emessa dopo il 19/11/2019. Le sanzioni sono applicabili anche nel caso di operazioni a decorrere dal 01/07/2019 per i soggetti trimestrali, o dal 1/10/2019 per i soggetti mensili.

Termini e condizioni

Affinché non si vada incontro alla sanzione invio tardivo fattura elettronica, i documenti devono essere regolarmente emessi:

  • Fatture immediate – entro 12 giorni dalla data di effettuazione dell’operazione;
  • Fatture differite – entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.

Le fatture elettroniche si considerano regolarmente emesse quando queste sono trasmesse al Sistema di Interscambio (SdI). È infatti quello e solo quello il momento in cui una fattura elettronica si può considerare consegnata/spedita alla controparte.

 

Bonus bancomat 2020: come funziona e quali acquisti sono validi

Nell’articolo precedente: “Cashback: cos’è e come funziona” abbiamo introdotto l’argomento del nuovo programma governativo per incentivare i pagamenti con bancomat e carte di credito. Il bonus bancomat, è un programma che vuole essere una nuova arma contro l’evasione fiscale, assieme ai corrispettivi telematici e alla fatturazione elettronica, nostre vecchie conoscenze.

Il 28 novembre 2020 il decreto attuativo del MEF (Ministero dell’economia e delle finanze) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Pronto ormai anche il sito Cashless Italia, dove è possibile trovare tutte le informazioni relative al programma. Il piano Italia cashless prevede anche alcune novità sulla lotteria degli scontrini, alla quale ora è possibile partecipare solo con i pagamenti elettronici e non più con quelli in contanti.

Importante sottolineare subito che non sono validi ai fini del cashback, gli acquisti eseguiti online. Valgono solo e soltanto quelli fatti nei negozi fisici e pagati tramite bancomat o carta di credito, oppure app accreditate. I rimborsi ottenuti tramite cashback e i premi della lotteria degli scontrini, sono “esentasse”.

Bonus bancomat 2020:il programma dall’8 dicembre

Il programma sperimentale del bonus bancomat 2020 inizia dall’8 dicembre 2020. Il programma è ideato per contrastare l’evasione fiscale, incentivando l’uso dei pagamenti elettronici con carte di credito e bancomat. In questo modo il flusso dei soldi è maggiormente controllabile.

Ricapitoliamo velocemente come funziona:

  1. erogazione rimborso semestrale
  2. rimborso diretto in conto corrente
  3. pagamenti validi solo quelli con carte di credito e bancomat
  4. bonus pari al 10% degli importi spesi con mezzi tracciabili
  5. tetto massimo rimborsabile 3000€ annui
  6. soglia massima rimborsabile a semestre 1500€.

Bonus bancomat 2020

Dall’8 dicembre parte il periodo sperimentale. Gli utenti possono scaricare l’app IO e partecipare al programma. Basta cancellare l’app per smettere di parteciparvi. L’app permette di controllare i pagamenti effettuati per i quali è valido ricevere il rimborso del 10%. A dicembre bastano 10 pagamenti elettronici per sbloccare il cashback del 10%. Le transazioni validi sono quelle fino a un valore massimo di 150€ per singola operazione. Le transazioni di importo superiore a 150 euro concorrono fino all’importo di 150 euro, fino a una spesa massima di 1.500 euro.

Il rimborso spettante per il mese di dicembre 2020, è erogato a febbraio 2021. Possono partecipare al programma solo i maggiorenni residenti in Italia. Ogni componete di una famiglia può partecipare e i rimborsi possono essere cumulati.

Come pagare per partecipare

Per aver diritto al bonus bancomat 2020 i pagamenti validi sono quelli eseguiti con:

  1. carte di credito
  2. carte di debito
  3. prepagate (Amex, Bancomat, Diners, Maestro, Mastercard, PostePay, VISA, V-Pay)
  4. app per pagamento digitale (come ad esempio Satispay, Google Pay ed Apple Pay dal 2021).

Dal 2021 il numero minimo delle transazioni passa da 30 a 50. I periodi di riferimento sono:

  1. 1° gennaio 2021 – 30 giugno 2021;
  2. 1° luglio 2021- 31 dicembre 2021;
  3. 1° gennaio 2022 – 30 giugno 2022.

I rimborsi sono erogati luglio 2021, gennaio 2022 e luglio 2022.

Bonus bancomat 2020: spese incluse ed escluse

Gli acquisti online non sono compresi nelle spese per aver diritto al cashback. Gli acquisti quindi devono essere effettuati nei negozi fisici e pagati con carte di credito, prepagate, carte di debito o bancomat, oppure tramite app.

Sono escluse anche tutte quelle spese eseguite per svolgere attività imprenditoriali, artigianali e professionali. Escluse anche le operazioni tramite sportelli ATM, come ad esempio le ricariche telefoniche. Non sono inoltre compresi i bonifici SDD per addebiti diretti su conto corrente e le operazioni ricorrenti con addebito su carta di credito.

App IO, SPID e Carta di Identità Elettronica

Per partecipare al programma è necessario scaricare l’app Io della Pubblica Amministrazione. Per accedervi è poi necessario avere lo SPID o la Carta di Identità Elettronica.

Chi non è ancora in possesso di queste credenziali potrà comunque partecipare al cashback statale di Natale usando una di queste app:

  1. Satispay
  2. Hype
  3. Nexi Pay
  4. Yap

 

Cashback: cos’è e come funziona

Il cashback è una delle manovre che l’Esecutivo ha pensato di introdurre nel Bel Paese per disincentivare l’uso dei contanti. Con le manovre previste nel Piano Italia cashless, il Governo vuole incentivare l’uso dei pagamenti elettronici (con carte di credito) e dispositivi mobile e combattere l’evasione fiscale. Si tratta quindi di ulteriori provvedimenti adottati per contrastare l’evasione e l’elusione fiscale assieme alla fatturazione elettronica e allo scontrino elettronico. Un’altra grande novità sulla quale gli italiani hanno iniziato a porsi qualche domanda, soprattutto in vista dell’8 dicembre, da quando, cioè prenderà il via il cashback di Natale.

Cashback: cos’è e cosa significa

Cashback significa letteralmente: “soldi indietro” (cash: soldi e back: indietro). In altre parole può essere considerato un sinonimo di rimborso. Il cashback non è un buono sconto, o un vero e proprio guadagno e non va confuso. I soldi sono infatti accreditati a posteriori, cioè dopo che la spesa è già stata fatta. Lo si potrebbe definire meglio come una sorta di “ricompensa”. Una ricompensa con la quale il cliente è premiato per aver fatto acquisti direttamente da un commerciante, piuttosto che da un altro. Parte dell’importo speso è immediatamente riaccreditato sul conto del cliente. La percentuale varia da commerciante a commerciante.

Alcuni rivenditori premiano inoltre i clienti con eventuali percentuali più alte, se promotori di attività extra, derivanti dalle azioni compiute dai propri invitati (i famosi referrals). Si tratta quindi di un ottimo incentivo a fare acquisti e un meccanismo di fidelizzazione molto potente.

Cashback VS evasione fiscale

Il Governo Conte ha pensato al meccanismo del cashback come manovra definitiva per contrastare la piaga dilagante dell’evasione fiscale in Italia. L’idea è quella di incentivare i pagamenti tramite carta di credito e bancomat e dispositivi mobile, abbandonando la strada dei contanti. In questo modo i pagamenti sono tracciati e il flusso di denaro è seguito più da vicino.

Cashback

L’argomento è stato introdotto dalla Legge Finanziaria per il 2020 e inserito nel decreto agosto. Il via ufficiale invece è previsto per il 12° gennaio 2021. La versione sperimentale del cashback di Natale è prevista per l’8 dicembre, dopo il provvedimento Mef.

Il cashback dello stato consisterà nel rimborso del 10% dell’importo speso su acquisti fatti con carta di credito o debito bancomat, bonifici bancari e piattaforme di pagamento installate su smartphone (es: Apple Pay, Google Pay, Satispay). I soldi verranno accreditati direttamente sul conto corrente dei contribuenti. Non varranno invece pagamenti ed acquisti online.

  1. Il meccanismo di funzionamento è così strutturato:
  2. il rimborso avverrà ogni 6 mesi
  3. l’importo massimo rimborsato sarà di 1500€ a semestre

Per accedere al rimborso sarà necessario aver effettuato almeno 50 pagamenti ognuno per un massimo di 150€ a semestre.

Super Cashback

Il super cashback, annunciato dal Governo, prevede un incentivo in più per i primi 100,000 utenti registrati. Questi utenti che riusciranno a superare le 50 operazioni di pagamento previste e raggiunto in 6 mesi il numero dei pagamenti cashless, otterranno 1500 euro aggiunti al cashback standard.

Il cashback è accessibile solo agli utenti maggiorenni, residenti in Italia e registrati all’app IO. Quest’app è una piattaforma messa a disposizione dalla Pubblica Amministrazione, alla quale si accede con il proprio SPID o con la carta d’identità elettronica. Una volta eseguito l’accesso è sufficiente indicare il proprio codice fiscale, uno o più sistemi di pagamento elettronico con il quale partecipare al programma e l’IBANdel conto corrente su cui ricevere l’accredito cashback.

Accedere al Cashback di stato senza SPID o registrazione app IO

Per chi volesse accedere al cashback, ma non ha ancora lo SPID, una propria identità digitale e non si è registrato quindi all’app IO, ci sono delle alternative. Quattro diverse app che consentono la partecipazione al programma, in modo semplice e diretto:

  1. Satispay
  2. Hype
  3. Nexi Pay
  4. Yap

Satispay è forse la più grande piattaforma attualmente conosciuta, per i pagamenti digitali. Dall’8 dicembre la funzione cashback sarà presente nei servizi dell’app.

Hype è la carta-conto di Banca Sella, che permetterà dall’8 dicembre 2020 di ottenere il cashback di Stato anche senza avere lo SPID. All’interno dell’app gli utenti troveranno una sezione dedicata all’iniziativa.

Tutte le carte Nexi e le app Nexi Pay e YAP del Gruppo, consentono di accedere facilmente all’iniziativa del cashback del Governo.

Codice dei contratti pubblici: la disciplina che regola gli appalti pubblici

Nell’articolo precedente abbiamo visto cos’è e come funziona una gara d’appalto. La materia in Italia è regolata dal Codice dei contratti pubblici. Si tratta di una fonte normativa che regola appalti pubblici di lavori, forniture, servizi e concessioni. Il codice fa riferimento al decreto legislativo 18 aprile 2016, n° 50, che ha abrogato le precedenti leggi in materia ed è stato successivamente aggiornato dalla legge n 55 del 14 giugno 2019, conosciuto con il nome di “decreto sblocca cantieri”.

In altre parole il codice dei contratti pubblici, o codice appalti, è un testo unico che regola i rapporti tra Pubblica Amministrazione e le società incaricate di svolgere le opere previste nei vari bandi di appalto.

Cosa contiene il Codice dei contratti pubblici

Il codice contiene la disciplina in materia di opere pubbliche. Con questo codice sono fissati diversi criteri:

  • aggiornamento dei programmi e degli elenchi annuali
  • definizione degli ordini di priorità
  • suddivisione in eventuali lotti funzionali
  • riconoscimento delle condizioni necessarie a modificare la programmazione e la realizzazione dei vari interventi
  • criteri e modalità per terminare le opere
  • livello di progettazione minimo richiesto a seconda delle tipologie e delle classi di importo
  • schemi tipo e informazioni minime che devono essere contenute nei bandi di gara
  • le modalità di raccordo con la pianificazione dell’attività dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza ai quali le stazioni appaltanti delegano la procedura di affidamento.

Il codice stabilisce che gli eventuali controlli amministrativi in materia di appalti e opere pubbliche sono affidati all’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione). L’ANAC, di cui abbiamo già trattato nell’articolo: “CIG Smart come ottenerlo e come esserne esonerati” è un’autorità amministrativa indipendente italiana che si occupa di prevenzione della corruzione in ambito della pubblica amministrazione.

Codice dei contratti pubblici: procedure

Le fasi regolamentate dal codice sono:

  • programmazione
  • nomina del responsabile del procedimento
  • determina a contrarre

Per quanto riguarda la programmazione il Codice prevede che questa sia fatta biennale per gli acquisti e triennale per i lavori. Su questa programmazione sarà poi basata la procedura di affidamento dei singoli interventi. L’affidamento prevede a sua volta la stesura di uno studio di fattibilità ambientale prodromico per le opere urbanistiche.

Invece la nomina del responsabile del procedimento è necessaria al fine di coordinare le fasi e che risponda ai terzi nelle comunicazioni ai fini di legge.

La determina a contrarre invece è l’atto attraverso il quale la Pubblica Amministrazione individua gli elementi essenziali del contratto da affidare. Stabilisce inoltre i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte.

Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici: trasparenza, concorrenza e meritocrazia

Il codice degli appalti è utile a garantire il rispetto della trasparenza, della concorrenza e della meritocrazia tra concorrenti in materia di opere pubbliche. Le imprese appaltatrici sono scelte in base a diversi procedure:

  • aperte – vere e proprie gare d’appalto. Non vi è selezione preventiva e le imprese o le ATI (Associazioni temporanee di impresa) possono parteciparvi liberamente inviando la propria offerta. Chi ha indetto la gara d’appalto sceglierà poi in base ai vari requisiti tecnici ed economici.
  • Ristrette – prevede le fasi di invio, presentazione, valutazione delle candidature e assegnazione. Solo dopo che l’impresa è stata ammessa, può avanzare l’offerta.
  • Negoziate – è una condizione molto particolare, nella quale è la Pubblica Amministrazione stessa a scegliere diretta, ente i concorrenti da invitare.

Alla fine comunque, qualunque sia la procedura prevista dal codice dei contratti pubblici e attuata, l’operatore scelto può stipulare il contratto e occuparsi dell’esecuzione dei lavori.

ANAC e Codice dei contratti pubblici

Il codice dei contratti pubblici è chiamato anche Legge Merloni. All’articolo n°10 di questa legge è stabilito il ruolo dell’ANAC nelle opere pubbliche. Questa autorità può infatti effettuare dei controlli a campione in merito ai requisiti dichiarati da concorrenti. Svolge inoltre verifiche amministrative e può richiedere alle società appaltanti di inoltrare richiesta alle imprese appaltatrice di dimostrare entro 10 giorni, il possesso dei requisiti di capacità tecnica ed economica.

Se da questa eventuale verifica risultasse che le imprese non rispondono in tutto o in parte ai requisiti suddetti, le stazioni appaltanti possono procedere all’esclusione del concorrente dalla gara d’appalto.

Fatturazione elettronica e appalti pubblici

Nel 2019 Agenzia delle Entrate ha finalmente attuato la normativa europea in merito alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici. La normativa entrata in vigore stabilisce le regole tecniche e le modalità applicative della fatturazione elettronica in ambito di opere pubbliche. In sintesi tale normativa stabilisce che i fornitori possono emettere fatture elettroniche secondo le regole stabilite dall’UE e dalla CIUS.

Il protocollo attuativo è il n° 99370 del 18 aprile 2019, con il quale il direttore di Agenzia delle Entrate ha siglato le nuove regole tecniche (CIUS – Core Invoice Usage Specification) e le modalità applicative per la fatturazione elettronica negli appalti pubblici in Italia.

In definitiva la regola stabilisce che i fornitori possono emettere fatture elettroniche, ma queste devono essere obbligatoriamente conformi a modelli semantici e regole sintattiche precise. Inoltre la Direttiva ha disposto che le stazioni appaltanti e gli Enti Aggiudicatori degli Stati membri non possono rifiutarle solo perché in formato elettronico.

Il protocollo ha quindi stabilito:

formato corretto che le fatture elettroniche devono avere verso le PA

  • Le regole di dialogo con il Sistema di Interscambio
  • Le linee guida per le Pubbliche Amministrazioni
  • le misure di supporto per gli utenti
  • la disciplina per l’uso degli intermediari.

Gara d’appalto: cos’è, come funziona e come potervi partecipare

La gara d’appalto è una procedura precisa alla quale la Pubblica Amministrazione (PA) ricorre quando deve realizzare delle opere pubbliche, o acquistare beni/servizi o forniture. Si tratta di un iter bene preciso di cui la PA si serve per assicurare il rispetto di trasparenza, concorrenza e meritocrazia nell’assegnazione delle opere.

Cos’è un appalto

L’appalto è un contratto, tra appaltatore e appaltante.

L’appaltatore è il soggetto che si incarica di realizzare l’opera, di fornire un bene/servizio, commissionato dal committente a seguito del pagamento di un corrispettivo in denaro.

L’appaltante di conseguenza, è il committente che necessita di far realizzare un’opera, o ricevere un servizio/fornitura.

Una gara d’appalto è quindi lo strumento attraverso il quale la Pubblica Amministrazione ricerca imprese singole o Associazioni Temporanee di imprese che possano realizzare le opere di cui necessità.

Gara d’appalto: come funziona

La gara d’appalto è formata da vari step. Il primo consiste nella pubblicazione del bando di gara. Nel bando è descritto nel dettaglio l’opera che deve essere realizzata. A questo annuncio risponderanno singole imprese, oppure ATI (Associazioni temporanee di impresa) che rispondo a tutti i requisiti richiesti dal bando stesso.

Vince il bando chi risponde in maniera più idonea e pertinente ai requisiti previsti dal bando in termini di prezzo, requisiti e qualità.

Esistono vari tipi di procedure di appalto:

  • aperta
  • ristretta
  • competitiva con negoziazione
  • negoziata senza pubblicazione di un bando
  • dialogo competitivo
  • partenariato per l’innovazione.

Il bando di gara è predisposto dalle Stazioni Appaltanti, dopo l’approvazione del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dalle Categorie professionali interessate. Un bando di gara d’appalto può essere indetto da:

  1. Autorità locali
  2. Organismi di diritto pubblico
  3. Esecutivo
  4. Unione Europea
  5. Organizzazioni internazionali
  6. Aziende che operano in settori specifici

I requisiti di partecipazione

Il bando della gara d’appalto riporta l’elenco dei requisiti che un’impresa deve possedere. I requisiti si dividono in

  1. generali – affidabilità morale e professionale dell’impresa
  2. speciali – a loro volta suddivisi in:
  • requisiti di capacitàbilancio d’impresa, fatturato specifico, fatturato globale, ecc…
  • requisiti tecnici – possesso di attrezzature specifiche per realizzare l’opera, personale idoneo, ecc…

Gara d'appalto

Gara d’appalto: come partecipare

L’impresa o l’ATI che vuole partecipare alle gare d’appalto deve prima individuare le gare di suo interesse. Gli avvisi si trovano su:

  • Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea
  • Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
  • sito web del MIT
  • sito web del Committente
  • quotidiani a rilevanza locale
  • quotidiani a rilevanza nazionale
  • Albo pretorio del Comune interessato dai lavori
  • Portale appalti sito ANAC (oggi ancora non realizzato)

Una volta valutati tutti i requisiti richiesti, la dove ciascuno di esso venga soddisfatto, l’appaltatore può presentare domanda per partecipare alla gara d’appalto.

Normativa di riferimento

La gara d’appalto è regolata dal Decreto Legislativo n°50 del 18 aprile 2016, chiamato anche Codice dei Contratti Pubblici. Si tratta di un atto pubblico con il quale la Repubblica italiana attua le direttive europee n 2014/23UE, 2014/34/UE, 2014/25/UE.

Il Codice dei Contratti pubblici stabilisce materi a e adempimenti richiesti in tema di appalti pubblici per lavori e forniture di beni e servizi. In generale regola la materia delle opere pubbliche. Questo codice ha stabilito, tra le altre, le modalità di aggiornamento dei programmi e degli elenchi annuali, i criteri per la definizione degli ordini di priorità, la suddivisione in lotti funzionali, criteri e modalità per favorire la realizzazione delle opere e il livello di progettazione minimo richiesto per tipologia e classe di importo.

Nel codice sono inoltre stabiliti:

  • caratteristiche delle stazioni appaltanti e centrali di committenza
  • i requisiti che gli operatori economici, ovvero i soggetti privati o pubblici partecipanti alle gare d’appalto, devono necessariamente possedere;
  • le procedure competitive e non competitive che devono essere seguite per affidare contratti pubblici.

L’articolo 10 della Legge Merloni stabilisce che sia possibile effettuare dei controlli a campione in merito ai requisiti necessari dichiarati nella gara d’appalto. I controlli amministrativi sono svolti dall’Autorità nazionale anticorruzione. L’ANAC è un’autorità amministrativa indipendente italiana che ha l’onere di occuparsi della prevenzione della corruzione nell’ambito della Pubblica Amministrazione e che abbiamo già ritrovato nell’articolo: “CIG Smart: come ottenerlo e come esserne esonerati”. L’ANAC opera mediante il principio di trasparenza in tutti gli aspetti gestionali mediante attività di vigilanza in ambito di appalti pubblici e gare d’appalto.