Azienda in liquidazione: cosa significa e quale procedura è prevista

Mettere un’azienda in liquidazione, non è mai una scelta facile da prendere. Decidere infine di liquidare un’impresa nella quale si sono profusi tempo, denaro, energie e speranze, è davvero difficile. Sembra però essere l’unico metodo utile per salvare il salvabile e rimettersi in gioco con una nuova attività. Anche se si tratta di una situazione dura da affrontare, è comunque una possibilità, per chi emette fatture elettroniche e non, e vive con la propria impresa, che deve prendere sempre in considerazione. Vediamo quindi di capire per bene di cosa si tratta.

Azienda in liquidazione: che cosa significa

Mettere un’azienda in liquidazione significa che i beni dell’attività sono messi in vendita (liquidati) e l’azienda viene chiusa. Si tratta di una decisione che spetta al CEO, oppure ai socie dell’azienda, o ancora al consiglio d’amministrazione se si tratta di un’azienda di grandi dimensioni. Un’azienda in liquidazione può anche essere messa in modo coatto (liquidazione coatta). A seguito di atti illeciti, o reati, la legge stabilisce di chiudere l’impresa e liquidarne i beni.

I beni sono quindi messi in vendita. Il ricavato è utilizzato per pagare i debiti e gli insoluti. Al termine della procedura, se rimane un patrimonio attivo, è allora diviso tra i vari soci. Appena dichiarata la liquidazione, vi è un periodo nel quale l’attività deve concludere tutti i lavori in pending e cercare di saldare tutti i debito. La liquidazione termina quando tutti i beni dell’impresa sono stati liquidati e la società cessa, di conseguenza, di esistere.

Nei casi in cui l’azienda non ha debiti, passivi, o attivi, può comunque decidere di chiudere definitivamente l’azienda, senza dover per forza passare attraverso la procedura della liquidazione.

Azienda in liquidazione: le diverse tipologie

Esistono diverse tipologie di liquidazione delle attività:

  • volontario o ordinaria – si tratta del caso più comune, quello nel quale i soci stessi decidono di porre fine alla vita dell’azienda e mettono i beni in liquidazione. I divide in tre fasi: causa di scioglimento, liquidazione, estinzione.
  • forzata o giudiziale – è il tribunale a stabilire la chiusura e la messa in liquidazione dell’azienda.
  • coatta o amministrativa – come specificato prima, è l’autorità amministrativa, a stabilire che l’azienda venga messa in liquidazione (per esempio a seguito di reati o illeciti).

Azienda in liquidazione

Le fasi della liquidazione

Che si tratti di volontaria, forzata o coatta, un’azienda in liquidazione deve passare tre diverse fasi:

  • decisione di mettere l’azienda in liquidazione (causa di scioglimento)
  • assemblea dei soci per decidere il numero dei liquidatori, la loro nomina e i criteri per il processo di liquidazione
  • nomina del liquidatore – la figura che deve gestire la liquidazione materiale dei beni dell’impresa. Si può trattare di un socio o di un commercialista, nel caso di liquidazione volontaria, oppure del tribunale stesso se si tratta di liquidazione coatta.
  • Fase di bilancio di chiusura – in questa fase il liquidatore si preoccupa di estinguere i debiti aziendali e riscuotere eventuali crediti. È così possibile chiudere il bilancio.
  • Estinzione – ultima fase nella quale l’azienda in liquidazione cessa definitivamente di esistere. La società è infine cancellata dal registro delle imprese.

Anche se spiegata così può sembrare relativamente semplice, si tratta invece di una procedura molto lunga e complicata. In alcuni casi, infatti, può durare anche diversi anni. Per questo motivo è stata creata una procedura di liquidazione semplificata.

Liquidazione semplificata: la procedura in poche parole

Quando un’azienda in liquidazione avvia la pratica che la porterà alla sua chiusura definitiva, è sempre necessaria la figura di un notaio. Sempre, a meno che non si tratti di una società a responsabilità limitata (SRL). In questo processo non è previsto nemmeno un termine perentorio ai fini della contestazione. In pratica una volta stabilito che la società deve essere messa in liquidazione, l’organo amministrativo accerta la causa di scioglimento, deposita la contestazione al Registro delle Imprese e convoca l’assemblea dei soci. Questi ultimi devono deliberare su:

  • numero dei liquidatori
  • nomina dei liquidatori
  • criteri per far svolgere la liquidazione

L’assemblea delibera con maggioranze qualificate e il verbale non è imposto. Quindi non è necessario che il verbale sia redatto e depositato da un notaio. Si tratta quindi di una procedura molto più semplice e snella, sicuramente molto meno onerosa. Si attiva solo ed esclusivamente difronte a specifiche casistiche previste dal n°1 al n° 5 dell’articolo 2484 del codice civile.

WooCommerce: Al via il nuovo plugin FatturaPRO.click per i siti di e-commerce

Ce lo avete chiesto in tanti e ci piace essere dei pionieri, per questo è con enorme piacere che annunciamo l’uscita del nostro plugin, che risolve un’esigenza molto sentita tra i nostri clienti, quella di poter emettere non solo fatture elettroniche ma anche il nuovo documento commerciale online direttamente dal sito di  e-commerce basato sulla tecnologia più popolare al mondo.

Il Documento Commerciale Online, direttamente da WooCommerce, con un click

Nuova versione 1.0.12 disponibile, migliora l’esperienza utente nel checkout con Woocommerce 7.6 e superiori

Abbiamo sviluppato un plugin in grado di aggiungere le funzionalità che mancavano a WooCommerce per permettervi di generare fatture e corrispettivi, direttamente dall’elenco ordini sul sito e di farlo con assoluta tranquillità, automatizzando completamente il processo.

Questo è reso possibile dal fatto che abbiamo inserito nel check-out la possibilità di indicare se privato o Azienda, i campi obbligatori richiesti da SdI per l’emissione di una fattura elettronica (codice destinatario o PEC) e inseriti i controlli su Partita IVA e Codice Fiscale.

La configurazione è semplicissima, questi i passaggi per essere subito operativi:

  1. Generare la chiave per il vostro sito dalla piattaforma FatturaPRO.click;
  2. Scaricare e Installare il plugin per WordPress, il link si trova nella stessa pagina;
  3. Inserire la chiave nelle impostazioni del plugin;
  4. Per l’emissione del Documento Commerciale Online occorre inserire anche la password dell’AdE, questa verrà verificata e salvata crittografata sul vostro server.

Configurazione del Plugin

Come prima cosa entriamo nel menu Account di FatturaPRO.click e selezioniamo la voce Domini,

Aggiungiamo il dominio del sito e-commerce e salviamo, verrà generata la chiave che dovremo copiare e incollare nel campo API Key del plugin

Configurazione Plugin WooCommerce FatturaPRO

 

Incolliamo la API Key del dominio relativo al nostro e-commerce, selezioniamo il sezionale che vorremmo utilizzare per le fatture o i corrispettivi generati da questo sito e-commerce (non è necessario se volte utilizzare un’unica numerazione per tutti i documenti)

Se decidiamo di emettere gli scontrini è necessario inserire la password AdE, quando salverete verrà effettuata una verifica per assicurarci che tutto funzioni prima di attivare l’automazione

 

Configurazione Plugin WooCommerce FatturaPRO

 

Infine, se vendo in esenzione IVA, devo indicare a FatturaPRO.click di quale esenzione si tratta, lo faccio inserendo un’imposta aggiuntiva allo 0% che abbia come nome il relativo codice Assosoftware.
Posso indicare più di un’aliquota di esenzione, per ognuna di esse devo inserire un’aliquota d’imposta aggiuntiva.

 

Configurazione Plugin WooCommerce FatturaPRO

 

Dopo aver salvato, ritroviamo la nostra aliquota aggiuntiva nelle impostazioni, clicchiamo su di essa e la impostiamo come segue:

 

Configurazione Plugin WooCommerce FatturaPRO

 

All’interno del plugin è disponibile una lista aggiornata delle esenzioni Assosoftware

 

Nel plugin di Woocommerce potrai trovare una lista che viene costantemente aggiornata e che contiene le esenzioni di uso frequente come la N060104 – Art.17 c.6 lett.a (prestaz.sett.edile subappalto) o N060109- Cessione di beni art. 7bis – UE e tante altre.

Per una lista completa delle esenzioni rimandiamo alla tabella disponibile per il download direttamente dal sito di Assosoftware

 

 

Cartella Esattoriale: cos’è, quando e perché arriva e come fare a pagarla

Agenzia delle Entrate ha a disposizione svariati strumenti per gestire il fisco italiano. Dall’esterometro, al redditometro, fino alla cartella esattoriale. La cartella esattoriale è usata da AdE, per recuperare i crediti insoluti da parte dei contribuenti. Molte le domande legate a questo strumento: quando e come sono notificate? Come è possibile controllare se sono state cancellate? Come è possibile difendersene? Non sempre è tutto chiaro quindi abbiamo voluto redigere questo breve articolo per riportare nel dettaglio qualche informazione in più relativamente a questo delicato argomento.

Cartella esattoriale: cos’è e a cosa serve

La cartella esattoriale è chiamata anche cartella di pagamento. Si tratta di un documento di intimazione al pagamento, usato dall’agente di riscossione per richiedere il saldo di una somma dovuta e non pagata. La somma in questione può riferirsi ad un debito nei confronti di un qualunque ente della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, INPS, Comune, ecc…).

La cartella esattoriale è usata anche per richiedere i pagamenti relativi a contravvenzioni stradali, sanzioni amministrative e tasse comunali. Fondamentale quindi capire sin da subito chi invia la cartella per riuscire ad identificare la violazione contestata.

La cartella esattoriale da tempo al contribuente di saldare l’importo richiesto, entro 60 giorni dalla ricezione. Le somme richieste sono definite come “iscritte a ruolo”. Significa che il debito è registrato dall’ente creditore in una specifica lista che invia successivamente all’agente di riscossione competente sul territorio. L’agente, ricevuta la lista delle somme iscritte a ruolo, può avviare la procedura per il recupero coatto degli importi.

Cartella Esattoriale

Nella cartella è possibile trovare tutte le indicazioni necessarie per effettuare il relativo pagamento:

  • somme dovute
  • scadenza entro la quale effettuare il pagamento
  • indicazioni sulle varie modalità di pagamento
  • indicazioni su come richiedere eventualmente la rateizzazione degli importi
  • specifica del responsabile dell’invio della cartella stessa.

Cartella esattoriale: ecco come saldare il debito

È la cartella esattoriale stessa che indica al contribuente il metodo di pagamento. Di solito contiene uno o più bollettini postali con i quali è possibile saldare il debito. I bollettini possono essere usati solo ed esclusivamente se il saldo dell’importo dovuto, è eseguito entro e non oltre la scadenza dei 60 giorni. Se il pagamento dovesse invece essere effettuato successivamente alla scadenza naturale della cartella, allora l’importo sarà diverso, maggiorato.

Altri metodi di pagamento accettati sono:

  • Pagamenti postali
  • Pagamenti bancari
  • Tramite home banking della propria banca o di Poste italiane
  • Presso gli sportelli bancari
  • In tabaccheria (solo quelle convenzionate con ITB, Sisal e Lottomatica)
  • Presso gli sportelli dell’agente di riscossione che ha emesso la cartella in questione
  • Sul sito di Agenzia delle Entrate – Riscossione

Cosa accade quando non si paga

Come accennato poco sopra, se il pagamento non è eseguito entro la scadenza naturale della cartella esattoriale (vale a dire entro 60 giorni dalla ricezione), allora le somme dovute cambieranno e aumenteranno. Gli importi sono maggiorati con:

  • gli interessi di mora maturati a partire dalla data di ricezione della cartella
  • gli oneri dovuti all’agente di riscossione
  • le spese richieste per mancato o ritardato pagamento

alla scadenza dei 60 giorni, l’agente di riscossione ha il diritto di procedere alla riscossione coatta dei beni del debitore. Può anche richiedere un fermo amministrativo di beni mobili registrati, piuttosto che un pignoramento dei beni.

Cartella esattoriale: ecco come verificarne la cancellazione

La cancellazione delle cartelle esattoriali è verificabile. È possibile effettuare un controllo su quelle di importo inferiore a 1000€. La verifica può essere fatta direttamente dal sito di Agenzia delle Entrate, nella sezione dedicata. In alternativa è possibile anche recarsi presso gli sportelli di Agenzia delle Entrate – Riscossione. Presso gli sportelli si può richiedere un estratto di ruolo, compilando l’apposito modello RD1 (scaricabile anche sul sito).

Come contestare le cartelle esattoriali

I termini per contestare una cartella esattoriale variano in base alla sua natura e alla natura del credito richiesto. Una cartella di pagamento di natura tributaria prevede un termine per il ricorso pari a 60 giorni dalla notifica. Una cartella esattoriale di natura contributiva o assistenziale invece, conta un termine di 40 giorni per il ricorso presso il Tribunale – Sezione Lavoro.

Se la cartella dovesse poi contenere dei vizi di forma, allora è possibile impugnarla entro 20 giorni dalla notifica. Infine se la cartella di pagamento è inviata per chiedere la riscossione di una sanzione amministrativa, o di violazione del codice della strada, allora il termine è di 30 giorni dalla notifica.

Accertamento sintetico: cos’è e come funziona

L’accertamento sintetico, conosciuto più comunemente come redditometro, è uno strumento utilizzato dal Fisco. Serve a determinare il reddito presunto dei contribuenti. Basa i calcoli sulle spese sostenute ed effettuati dai vari soggetti. È presente in Italia dal lontano 1973, ma rivisitato e potenziato nel 2010 in seguito al decreto legge n° 78.

Questo strumento è utilizzato dall’Agenzia delle Entrate. Serve quindi a determinare il reddito complessivo netto dei contribuenti e prende in esame le spese generiche sostenute dai vari soggetti. In base alle spese, Ade, determina il reddito netto e spetta al contribuente la prova contraria. In altre parole è a carico dell’utente dimostrare all’Agenzia delle Entrate che le spese sostenute sono state pagate con redditi diversi da quelli posseduti durante il periodo d’imposta (vale a dire preso in esame), oppure con redditi che non partecipano alla formazione del reddito imponibile, o ancora con redditi soggetti, o esenti, dalla ritenuta alla fonte.

Accertamento sintetico: dalle origini ad oggi

Per conoscere meglio questo particolare strumento del Fisco, partiamo proprio dalle sue origini. È introdotto nel 1973, dall’articolo n°38, c. 4 a 8, DPR n°600/1973. Fino al 2008 l’accertamento sintetico previsto dalla legge, prevedeva:

“… Con riferimento esclusivo alle persone fisiche, che prevede che l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39 del DPR n. 600/1973, può in base ad elementi e circostanze di fatto certo, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.

Nel 2010 le disposizioni sono state rivisitate. Oggi, infatti, l’accertamento sintetico e quindi il relativo redditometro consiste nella:

“… Determinazione sintetica del reddito complessivo ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. L’ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fi ni dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione”.

Una forma leggermente diversa, con termini modificati che, in sostanza, comunque prevede sempre il redditometro quale strumento per l’accertamento del reddito netto di un contribuente. A lui poi l’onere della prova contraria.

Accertamento sintetico

Accertamento sintetico: a chi si applica

L0’accertamento sintetico è applicabile a tutte le persone fisiche ai fini di determinare l’imposta sul reddito. È inoltre applicabile a tutte le persone fisiche  che esercitano imprese, arti e professioni. In quest’ultimo caso il reddito complessivo dei soggetti deve risultare essere inferiore a quello a loro attribuibile, in base a tutte le spese sostenute nel periodo d’imposta esaminato e ai relativi indici di capacità contributiva. In altre parole si ricorre al redditometro, solo quando il reddito presunto supera di almeno il 20% di quello realmente dichiarato.

Il calcolo del reddito è eseguito in base a specifici indicatori di capacità contributiva. Il Fisco prende in esame specifiche spese sostenute dal soggetto durante il periodo d’imposta e ne moltiplica gli importi per determinati coefficienti di riferimento. I coefficienti sono legati alla classe di appartenenza del contribuente.

Accertamento sintetico: ecco come funziona

Cerchiamo adesso di capire nel dettaglio come funziona l’accertamento sintetico. Le caratteristiche prese in considerazione sono tre:

  • Composizione familiare – i calcoli sono effettuati valutando la situazione familiare del contribuente. Quindi si tiene conto se è single, oppure in coppia e se ha o no dei figli.
  • Età – tre i diversi scaglioni di appartenenza: fino a 35 anni, da 35 a 64 anni e oltre i 65 anni.
  • Area geografica di riferimento – in base alla residenza del contribuente sul territorio nazionale.

Ogni contribuente è identificato all’interno di specifiche classi. A ciascuna classe corrispondono dei coefficienti. Le spese effettuate dai contribuenti nell’arco del periodo d’imposta, sono moltiplicate per i relativi coefficienti. Il risultato corrisponde al presunto reddito netto. Agenzia delle Entrate, dopo aver calcolato l’importo, invia comunicazione al contribuente. In seguito alla ricezione dell’avviso, spetta al contribuente presentarsi presso gli uffici AdE competenti per territorio, e fornire le prove che giustificano le eventuali differenze tra spese e reddito dichiarato.

Successivamente all’accertamento sintetico, il contribuente può richiedere un accertamento di adesione. Agenzia delle Entrate mette inoltre a disposizione un sistema, chiamato Redditest che consente di calcolare preventivamente un’eventuale congruenza tra reddito dichiarato e spese sostenute.

Factoring: cos’è e come funziona

Il factoring è una particolare tipologia di contratto che, soprattutto negli ultimi anni, si è sempre più diffusa a macchia d’olio. Si tratta di un istituto giuridico utilizzato nel diritto commerciale. Serve per tenere sotto controllo i flussi di cassa e ottenere credito immediato dagli istituti bancari. L’esigenza è nata soprattutto perché risulta sempre più difficile riuscire a riscuotere dai propri creditori. Chi ha intenzione di aprire una partita IVA, ma anche chi è già titolare di una microimpresa, o di una grande azienda strutturata, dovrebbe conoscere bene questo istituto. Può essere una vera e propria “ancora di salvezza” in moltissime occasioni. Cerchiamo quindi di conoscerlo meglio e di capirne il corretto funzionamento.

Factoring: un indispensabile strumento per le PMI

L’istituto giuridico del factoring è un contratto con il quale un’impresa cede a una società specializzata (che può anche essere un istituto bancario) i propri crediti. I crediti possono essere presenti o futuri. Lo scopo è quello di ottenere liquidità immediata e una serie di servizi correlati alla gestione del credito ceduto. Con questo sistema è possibile, infatti, ottenere la gestione e l’amministrazione, l’incasso e l’anticipazione dei crediti, prima ancora della loro effettiva scadenza.

Questa particolare risorsa è sfruttata soprattutto dalle imprese che si avvalgono di pagamenti dilazionati con i propri clienti. Un’altra categoria che sfrutta appieno questo sistema è rappresentata dalle PMI che lavorano con la pubblica amministrazione, che ha, notoriamente, tempi molto lunghi per eseguire i pagamenti.

I soggetti coinvolti

Nel factoring i soggetti coinvolti sono:

  • Factor – è l’operatore specializzato che prende in carico i crediti dell’impresa cedente. Il factor gestisce e finanzia anticipatamente una parte (o tutta) dei crediti dell’impresa.
  • Impresa cedente – si tratta dell’impresa che decide di cedere al factor il proprio credito e che ottiene in cambio, immediata liquidità.
  • Debitore ceduto – è rappresentato dall’azienda con la quale l’impresa cedente ha un contratto di fornitura.

Factoring: come funziona

L’impresa cedente cede al factor i crediti che deve avere dall’azienda con cui ha un contratto di fornitura. In cambio, il factor mette a disposizione dell’impresa cedente immediata liquidità. Spetta poi al factor riscuotere i crediti dell’azienda fornitrice. È chiaro quindi che il factoring è un vero e proprio finanziamento d’impresa. Un sistema che consente all’impresa cedente di continuare a pagare puntualmente i propri fornitori e portare avanti la propria attività, senza doversi preoccupare dei pagamenti in ritardo da parte dei propri clienti.

Il factor si assume quindi l’onere di riscuotere i crediti dell’impresa cedente. Per eseguire una tale operazione, il factor richiede il pagamento all’impresa di una relativa commissione. Una tipologia di contratto molto particolare che consente al factor di erogare liquidità all’impresa sotto forma di anticipo sui crediti non ancora scaduti.

Factoring: soluzioni personalizzate

Il contratto di factoring offre numerose soluzioni personalizzate che si differenziano a seconda del business dell’impresa cedente. Il factoring si occupa di:

  • Valutare il portafoglio commerciale dell’impresa cedente
  • Amministrare, gestire e incassare i crediti ceduti (attuali e futuri)
  • Anticipare i crediti all’impresa cedente prima che questi scadano
  • Fornire assistenza legale in fase di recupero crediti
  • Fornire una garanzia del buon fine delle operazioni al termine delle stesse

Factoring

Tipologie di contratto factoring

I contratti factoring non sono tutti uguali. Ne esistono di diverse tipologie:

  • Pro Solvendo – anche se l’impresa cedente passa i propri crediti al factor, rimane comunque titolare dei rischi di insolvenza.
  • Pro Soluto – in questo caso è il factor che, oltre ad occuparsi del servizio di gestione, incasso e finanziamento, si assume anche il rischio di insolvenza.
  • Garantito dal Fondo Di Garanzia – al Factoring Pro Solvendo è possibile aggiungere il factor garantito dal Fondo Centrale di Garanzia. Il fondo copre ben il 60% del finanziamento. Un contratto molto utile per le piccole e nuove imprese, nonché per quelle artigiane.
  • Acquisto a Titolo Definitivo – il rischio d’impresa è a carico del factor ed è possibile fare la derecognition dal bilancio delle attività finanziarie cedute. Con questa formula è esclusa totalmente la possibilità di regresso dei crediti ceduti anche nel caso di insolvenza o mancato pagamento del debitore ceduto.
  • Anticipo Crediti Futuri – il factor anticipa all’impresa cedente un 10-20% del totale imponibile stesso. Il recupero dell’anticipazione dei crediti futuri, avviene con trattenuta di una parte delle anticipazioni dei corrispettivi. Avviene quindi di volta in volta, da parte dell’impresa sui crediti sorti e decaduti pro solvendo o pro soluto.
  • Opzione Maturity – Un’opzione che fa si che il factor garantisca l’erogazione del 100% del corrispettivo e un’eventuale dilazione di pagamento del credito. L’opzione è frutto di un accordo preventivo tra factor e impresa debitrice. L’accordo contrattuale è stipulato tra impresa, banca e debitore ceduto. L’opzione regolamenta il pagamento a scadenza ed i termini dell’eventuale dilazione accordata al debitore.

Abbuono: attivo, passivo e in contabilità

Abbuono è uno dei tanti termini utilizzati in contabilità. Conoscerne il significato aiuta a capire come poter utilizzare questo particolare strumento e soprattutto come e quando indicarlo nelle fatture elettroniche. Assieme a una vasta terminologia utilizzata da contabili, commercialisti, ragionieri, ecc… L’abbuono fa parte di un ricco dizionario che può tornare davvero molto utile a chi vuole aprire una partita IVA da zero, oppure per chi è già “navigato” nel mare delle microimprese e piccole e medie attività. Vediamo quindi di capire meglio la terminologia specifica del settore contabile e come applicarla in pratica, nella vita di tutti i giorni.

Abbuono: definizione

Partiamo dalle basi, vale a dire spieghiamo cos’è materialmente un abbuono. Si tratta di una riduzione concessa  sul pagamento di una prestazione, oppure sul prezzo pattuito con il cliente/committente.

Ci sono vari motivi che spingono un soggetto a concedere un abbuono. Ad esempio è molto comune quando, per errore, viene spedita della merce sbagliata.

Esistono poi due diverse tipologie di abbuono:

  • attivo
  • passivo

Vediamole nel dettaglio.

Abbuono attivo

Si tratta di un abbuono, vale a dire di una riduzione di prezzo, concessa dal fornitore, dopo che la fattura elettronica è già stata emessa. Una condizione piuttosto comune che si verifica quando, ad esempio, la prestazione o i prodotti venduti si rivelano essere inferiori (quantitativamente o qualitativamente) al prezzo pattuito.

Abbuono

Abbuono passivo

In questo caso è richiesto un pagamento inferiore al cliente/committente, rispetto a quanto previsto di solito.

Anche questa casistica si verifica quando, ad esempio, il servizio reso è inferiore alle aspettative pattuite in fase preliminare. Altro caso in cui si presenta la necessità di ricorrere a un abbuono passivo è quello in cui si tratta merce qualitativamente inferiore agli accordi presi. È prassi, in questi casi, prima di emettere la fattura elettronica, ricalcolare il pagamento dovuto, a favore del cliente.

Abbuono: clienti e venditori

Quando si parla di abbuono, si devono distinguere due diversi soggetti interessati dall’elemento in questione: i clienti e i venditori.

Si parla quindi di contabilità cliente e contabilità fornitore. Nella prima è prevista una variazione finanziaria attiva che deve essere registrata in DARE del conto Fornitori, o Debiti v/fornitori per l’importo dell’abbuono e dell’IVA. Si tratta quindi di una variazione economica negativa. Questa è pari all’importo dell’abbuono da rilevare in AVERE del conto Abbuoni attivi. Inoltre deve essere rivelata anche una variazione finanziaria passiva da registrare in AVERE del conto IVA ns/debito per l’importo dell’IVA relativa all’abbuono.

La contabilità fornitore invece è una variazione finanziaria passiva da registrare in AVERE del conto Clienti o Crediti v/clienti per l’importo dell’abbuono e dell’IVA. Questa corrisponde a una variazione economica positiva pari all’importo dell’abbuono da rilevare in DARE del conto Abbuoni passivi e una variazione finanziaria attiva da registrare in DARE del conto IVA ns/credito per l’importo dell’IVA relativa all’abbuono.

Conclusioni

In conclusione questo elemento rappresenta una riduzione. Tale riduzione è concessa al debitore direttamente sulla somma da pagare. In alcuni casi (più unici che rari!) può addirittura arrivare fino alla totale rinuncia della riscossione da parte del creditore. In alcuni casi, le due parti, cliente e venditore, possono prevedere un abbuono reciproco. Questo accade quando, ad esempio, sono rilevate e accertate una o più differenze, nella merce consegnato e/o promessa. In tal modo, è garantita la possibilità di una rettifica di fattura in favore dell’una o dell’altra parte contraente.

Merita una menzione particolare anche l’abbuono d’imposta. Si tratta di uno sgravio, totale o parziale, di un’imposta. È concesso di solito in via temporanea, in seguito a serie decurtazioni del reddito. Le decurtazioni possono avvenire in seguito, ad esempio, di gravi calamità, oppure qualora si paghi un’imposta straordinaria in un tempo minore del previsto.

È spesso utilizzato anche come sinonimo di sconto, reso o arrotondamento. In realtà, ciascuno di questi termini, indica una specifica condizione che si caratterizza in modo particolare rispetto alle altre. In linea generale comunque, può essere definito come una riduzione del prezzo pattuito, previsto per andare a compensare un disagio subito da parte del cliente. L’operazione è documentata da una nota di credito. Quest’ultima è emessa dalla ditta venditrice per l’importo  accordato e della relativa IVA. La scrittura in Partita Doppia viene effettuata al momento dell’emissione del documento.

Microimpresa: definizione, condizioni e opportunità

Le microimprese si trovano alla base dell’intero sistema economico del nostro (e di molti altri) paesi europei. Si definisce come microimpresa un’attività imprenditoriale che possiede specifici caratteri di fatturato e numero di dipendenti. Non sono le uniche realtà presenti in Italia. Affianco delle piccole, medie e grandi imprese, le microimprese concorrono e sostengono lo sviluppo di intere nazioni. Compresa la nostra. Le normative europee ne definiscono i requisiti per essere identificate come tali. Due le prerogative basilari: avere meno di dieci dipendenti e un fatturato annuo inferiore a due milioni di euro. Godono anche di molte agevolazioni fiscali e, in alcuni casi, risultano addirittura, esonerate dalla redazione del rendiconto finanziario, della nota integrativa e della relazione sulla gestione.

Tipologie d’impresa

La definizione d’impresa è dettata dall’Unione Europea che considera impresa ogni entità che, a prescindere dalla forma giuridica, eserciti un’attività economica. Quello le identifica come tali, è lo scopo di lucro. In questa definizione rientrano moltissime forme giuridiche: lavoratori autonomi, imprese familiari e cooperative sociali. Ne sono invece escluse associazioni e fondazioni senza scopo di lucro.

Un delle più importanti discriminanti tra imprese, è rappresentata dalle dimensioni. Sono le dimensioni che stabiliscono se si tratta di una microimpresa, piuttosto che di una media impresa. Per verificarne le dimensioni è necessario controllare:

  • fatturato (o totale attivo)
  • numero di occupati (effettivi)

Gli effettivi sono tutti coloro che hanno lavorato nell’impresa o per conto di essa a tempo pieno. Nel conteggio degli effettivi è necessario considerare anche i soci che svolgono regolare attività e i proprietari gestori (imprenditori individuali). Sono invece esclusi da questo conteggio:

  • dipendenti in congedo di maternità o parentale
  • contratti di apprendistato
  • contratti di stage
  • tirocini formativi

Microimpresa

Quindi gli effettivi sono calcolati in UNITA’ DI LAVORO ANNUO (ULA). Ogni persona vale un’unità. I lavoratori stagionali e i contratti part-time vengono invece conteggiati in frazioni di unità. Basandosi su questi riferimenti, troviamo quindi:

  1. microimprese
  2. piccole imprese
  3. medie imprese
  4. grandi imprese

Microimprese: definizione e caratteristiche

La categoria dimensionale delle microimprese è definita dalla raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003 della Commissione europea. Le categorie sono utili ad individuare tutte le attività economiche che possono beneficiare di contributi e aiuti pubblici. Sono inoltre utili a capire quali attività possono accedere ai contributi relativi ai bandi di finanza agevolata. Un’altra caratteristica importante delle microimprese è quella di non emettere titoli sui mercati regolamentati.

La microimpresa inoltre, non deve aver superato, nel primo anno di esercizio e successivamente per due esercizi consecutivi, tre diversi limiti dimensionali:

  • Totale attivo stato patrimoniale: euro 175.000
  • Ricavi di vendite e prestazioni: euro 350.000
  • Media dipendenti occupati durante l’esercizio: 5

Leggermente diverse le caratteristiche per una piccola impresa. Questa, infatti, deve avere meno di 50 dipendenti. Il fatturato annuo, o il totale di bilancio (desunto dal prospetto dalle attività e delle passività della società) deve essere superiore ai dieci milioni di euro.

A scopo esemplificativo e comparativo con le micro imprese indichiamo anche le caratteristiche delle medie e grandi imprese.

Le medie imprese devono avere meno di 250 occupati e fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure un totale attivo non superiore a 43 milioni di euro. Le grandi invece imprese hanno più di 250 occupati e fatturato superiore a 50 milioni di euro o totale attivo superiore a 43 milioni di euro.

Microimprese: autonome, associate e collegate

Un’ulteriore suddivisione tra imprese, le vede classificate come:

  1. autonome
  2. associate
  3. collegate

Autonome

Sono definite autonome, le imprese totalmente indipendenti, oppure che detengono partecipazioni inferiori al 25% del capitale, o dei diritti di volto in una o altre imprese. Per verificare se un’impresa autonoma è anche una microimpresa è necessario controllare sempre numero di occupati e dati finanziari.

Associate

Due imprese si definiscono reciprocamente associate se una detiene quote comprese tra il 25% e il 50% del capitale o dei diritti di voto dell’altra. Ai dati di ogni singola azienda vanno sommati quelli di tutte le altre imprese (effettivi e fatturato) in proporzione alle quote detenute. Quindi, per verificare se due imprese associate, fanno una micro impresa, è necessario verificare i dati di ciascuna impresa.

Collegate

Due o più imprese si definiscono collegate se costituiscono un gruppo e una esercita il controllo o un’influenza dominante sulla maggioranza dei diritti di voto di un’altra. Come per le imprese associate, anche nelle collegate è necessario considerare i dati di fatturato e gli effettivi di ciascuna impresa collegata. Solo così è possibile determinare se corrispondono ad una microimpresa.

Conservazione digitale: cosa cambia dal primo gennaio 2022

La conservazione digitale cambia dal primo gennaio 2022. L’AgID, l’‘Agenzia per l’Italia digitale, ha stilato delle nuove linee guida alle quali ognuno dovrà adeguarsi entro il 31 dicembre 2021. Gli obiettivi dell’agenzia sono la regolamentazione della natura e della funzione del sistema di conservazione, ruoli e funzioni dei soggetti coinvolti e la descrizione minuziosa dell’intero processo. L’aggiornamento delle linee guida ha lo scopo di creare un’unica regolamentazione uniforme sull’argomento della conservazione digitale. Finora infatti le norme di riferimento erano dettate dal

  • Codice dell’amministrazione digitale – articolo 71
  • DPCM del 13 novembre 2014 – Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici
  • DPCM 3 dicembre 2013 – Regole tecniche in materia di sistema di conservazione

Vediamo quindi insieme nel dettaglio cosa cambia da gennaio 2022.

Conservazione digitale: come cambia il ruolo del Responsabile della Conservazione

Il Responsabile della Conservazione è la prima figura a essere interessata alle modifiche previste dalle nuove linee guida dell’AgID. In particolare si specifica che tale figura, nelle pubbliche amministrazioni, deve essere identificata nell’organigramma, in un responsabile o funzionario interno. È altresì specificato che tale figura deve essere formalmente nominata con adeguate competenze legali, informatiche e archivistiche.

Nel caso di soggetti privati invece, il ruolo può anche essere svolto da un soggetto esterno. Deve però essere terzo rispetto a chi gestisce il servizio di conservazione digitale e dotato di appropriate conoscenze.

Conservazione digitale

Che si tratti di un soggetto interno, piuttosto che esterno, il responsabile della conservazione ha specifica responsabilità civilistica. È quindi responsabile dei processi di conservazione e titolare del manuale della conservazione. Per dirla in altre parole. Dal prossimo anno non sarà più sufficiente nominare sulla carta un responsabile della conservazione. Questo dovrà invece attivarsi per porre in essere tutte una serie precisa di attività di controllo. Le attività devono servire a monitorare i processi di conservazione, anche se questi saranno poi svolti da un conservatore esterno.

Il responsabile della conservazione digitale andrà quindi a svolgere un ruolo di assoluta primarietà. Diventerà responsabile giuridicamente dei processi di conservazione digitale.

Conservazione digitale e metadati

I metadati sono associati ai documenti conservati digitalmente. Con le nuove linee guida il loro numero subirà un sostanziale aumento. Il numero e la tipologia di metadati associati ai documenti sarà superiore e serviranno per indicizzare, identificare e ricercare i documenti inviati al sistema di conservazione digitale.

La maggior parte delle novità introdotte sui metadati, impatterà i documenti prodotti dalle Pubbliche Amministrazioni. Ne sono un esempio, i dati di registrazione, come ad esempio il protocollo, il registro, ecc…. Non si applicheranno, invece, ai documenti prodotti in ambito privatistico (come ad esempio le scritture contabili, la dichiarazione dei redditi e le fatture elettroniche).

La cosa migliore, per tutti, sarebbe che i metadati fossero definiti sulla base della categoria documentale. Questo sistema è, ad esempio, applicato ai documenti di origine tributaria. Quest’ultimi sono individuati dal Decreto del Mef del 17 giugno 2014, in cui si specificano cognome, nome, denominazione, codice fiscale, partita Iva, data o associazioni logiche di questi ultimi.

Da tenere conto, inoltre, che moltissimi documenti digitali contengono già al loro interno i suddetti metadati. I documenti che posseggono già queste informazioni, non dovrebbero aver bisogno di una nuova specifica categoria documentale che ne espliciti separatamente il contenuto in questione.

La conservazione digitale è, e rimarrà sempre, un argomento molto importante e delicato. In ambito della fatturazione elettronica riveste un ruolo primario. È auspicabile che ogni modifica introdotta dall’AgiD sia volta a migliorare e coordinare le proprie regole con le norme fiscali/civilistiche. In questo modo i software gestionali delle imprese italiane godrebbero sicuramente di una maggiore semplificazione nello svolgimento delle proprie funzioni.

 

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Regolamento eIDAS: le nuove disposizioni relative alla fatturazione elettronica

Il regolamento eIDAS è l’acronimo di: Regolamento europeo per l’identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno. Si tratta di un regolamento dell’Unione Europea che regola l’identificazione elettronica e i servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel Mercato europeo. Il regolamento ha sostituito la precedente direttiva 1999/93/EC. L’ultimo aggiornamento al nuovo regolamento eIDAS, datato 3 giugno 2021, ha introdotto delle interessanti novità relative all’archiviazione elettronica. Vediamo quindi di capire meglio quali sono queste novità, anticipate nell’articolo 45 octies.

Regolamento eIDAS: testo del Considerando

Il Considerando è la premessa al nuovo regolamento eIDAS e testualmente riporta:

Molti stati membri hanno introdotto requisiti nazionali per i servizi che forniscono un’archiviazione digitale sicura e affidabile al fine di consentire la conservazione a lungo termine di documenti elettronici e per i servizi fiduciari associati. Al fine di garantire la certezza del diritto e la fiducia è fondamentale fornire un quadro giuridico che agevoli il riconoscimento transfrontaliero dei servizi di archiviazione elettronica qualificati. Tale quadro potrebbe inoltre aprire nuove opportunità di mercato per i prestatori di servizi fiduciari dell’Unione.

Con questo paragrafo la Commissione Europea riconosce la presenza di norme nazionali relative alla fatturazione elettronica e all’archiviazione digitale. La commissione ha inoltrato formale proposta di regolamentare l’argomento con norme comuni. In questo modo, si augura la Commissione, si potranno aprire nuove ed interessanti opportunità di mercato per tutti.

Regolamento eIDAS: punti 47 e 48

I punti 47 e 48 del nuovo regolamento eIDAS specificano dettagli concernenti servizio di archiviazione elettronica qualificato.

Nell’articolo 47 è data la descrizione di “archiviazione elettronica” e cita:

“… Un servizio che consente la ricezione, la conservazione, la cancellazione e la trasmissione di dati o documenti elettronici al fine di garantire l’integrità, l’esattezza dell’origine e le caratteristiche giuridiche di tali dati o documenti per tutto il periodo di conservazione”.

L’articolo 48 invece specifica la definizione di “servizio di archiviazione elettronica qualificato”. L’archiviazione elettronica qualificata è quella che deve rispettare i requisiti previsti nell’articolo 45 octies. Sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale, l’archiviazione elettronica è definita come: “l’attività volta a proteggere e custodire nel tempo gli archivi di documenti e dati informatici”.

L’approccio all’argomento da parte della Comunità Europea e da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, è assolutamente sovrapposto. In altre parole abbiamo seguito per filo e per segno le indicazioni della Comunità Europea per stilare le norme che regolamentano l’argomento relativo alla fatturazione elettronica e alla sua archiviazione.

Regolamento eIDAS: articolo 45 octies

L’articolo 45 octies invece introduce importanti novità. Riportiamo per esteso l’articolo:

Servizi di archiviazione elettronica qualificati

Un servizio di archiviazione elettronica qualificato per documenti elettronici può essere prestato soltanto da un prestatore di servizi fiduciari qualificato che utilizza procedure e tecnologie in grado di estendere l’affidabilità del documento elettronico oltre il periodo di validità tecnologica.

Regolamento eIDAS

Entro 12 mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento la Commissione mediante atti di esecuzione, stabilisce i numeri di riferimento delle norme applicabili ai servizi di archiviazione elettronica. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 48, paragrafo 2.”

In sostanza l’articolo stabilisce due nuove fondamentali regole relative all’archiviazione elettronica. La prima è che ci si riferisce esclusivamente ai servizi qualificati. La seconda invece è che spetta alla Commissione stabilire delle regole obbligatorie per tutti, che referenziano gli standard da applicare al tema.

ETSI: Istituto europeo per le norme di telecomunicazione

ETSI è un organismo internazionale, indipendente e senza fini di lucro. È responsabile della definizione e dell’emissione di standard nel campo delle telecomunicazioni in Europa. I tempi previsti per l’emissione dei nuovi standard richiesti dalla Commissione Europea, sono molto lunghi. Perciò è ipotizzabile che verranno revisionati semplicemente quelli già in vigore.

In particolare quelli relativi a:

  • ETSI TS 119 511 – Electronic Signatures and Infrastructures (ESI) – Politica e requisiti di sicurezza per i fornitori di servizi fiduciari che forniscono la conservazione a lungo termine delle firme digitali o dei dati generali utilizzando tecniche di firma digitale.
  • ETSI TS 119 512 – Electronic Signatures and Infrastructures (ESI) – Protocolli per fornitori di servizi fiduciari che forniscono servizi di conservazione dei dati a lungo termine.

Le nuove modifiche introdotte dal Regolamento eIDAS hanno messo in evidenza che la visione e le regole stilate e previste dalla Commissione e dal legislatore italiano, sono molto stretti.

Guida Rapida

Le alternative a disposizione per emettere uno scontrino o una fattura con FatturaPRO.click sono diverse: usando il nostro punto cassa web direttamente dalla piattaforma; tramite l’applicazione per Android, che puoi scaricare da Google Play; tramite l’applicazione per iOS, che puoi scaricare dall’Apple Store. Una volta effettuata la registrazione, una procedura guidata ti consentirà di essere […]