Identificazione diretta ai fini iva: come funziona la procedura di richiesta

Nell’articolo precedente: “Identificazione diretta iva: cos’è e qual è la procedura da seguire” abbiamo visto cos’è e a cosa serve l’identificazione diretta. Riassumendo è quell’operazione necessaria ad un soggetto estero che opera in Italia, di adempiere correttamente agli obblighi tributari e fiscali ai fini IVA. Oggi vogliamo concludere l’argomento riportando la procedura esatta che le aziende straniere dovrebbero seguire per l’identificazione diretta ai fini IVA quando operano su territorio italiano.

Identificazione diretta ai fini IVA: procedura

I soggetti esteri non residenti in Italia, che operano su territorio nostrano, sono tenuti all’identificazione diretta ai fini IVA per assolvere agli obblighi di imposta. La materia è disciplinata dall’ articolo 35-ter del DPR n. 633/72, che riporta l’intera procedura che deve essere seguita.

La prima fase della procedura di identificazione diretta a i fini IVA prevede l’inoltro della richiesta. La società estera che intende operare in Italia, ma non è residente sul nostro territorio, prima di avviare qualunque attività deve presentare ad Agenzia delle Entrate il modello ANR/3. Le richieste possono essere inoltrate esclusivamente presso l’Agenzia delle Entrate – Centro operativo di Pescara – Via Rio Sparto 21 – 65100 Pescara. La documentazione può essere recapitata di persona all’ufficio, oppure inviata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno (obbligatorio, in questo secondo caso, allegare copia fotostatica di un documento di identificazione del dichiarante e la certificazione attestante la qualità di soggetto passivo agli effetti dell’IVA posseduta nello Stato di appartenenza).

Tutti i documenti da presentare

Al modello ANR/3 devono essere allegati una serie di documenti ben precisi:

  • Certificato originale rilasciato dalle Autorità Fiscali del Paese dove ha sede legale l’impresa che attesti l’iscrizione ai fini IVA
  • Certificato aggiornato e originale rilasciato della Camera di Commercio del Paese dove ha la sede legale l’impresa
  • Traduzione in lingua italiana dell’intera documentazione presentata
  • Copia fronte retro valida di un documento di identità del firmatario o del legale rappresentante
  • Dichiarazione dove sono specificate: le attività svolte nel paese estero, l’attività che verrà svolta in Italia, le motivazioni della richiesta, l’identificazione di tutti i soggetti verso i quali si rivolge l’attività in Italia e che il soggetto straniero non è in possesso di una stabile organizzazione su nostro territorio.

Verifica della richiesta e risposta dell’Agenzia delle Entrate

Una volta che Agenzia delle Entrate ha ricevuto l’intera documentazione sopra elencata, ne controlla il contenuto e la correttezza e risponde al soggetto estero con l’avvenuta identificazione diretta ai fini IVA e il rilascio della partita IVA. Da quel momento in poi, il soggetto straniero è tenuto ad assolvere tutti gli obblighi IVA previsti dalla legge italiana.

Identificazione diretta ai fini iva

Se il soggetto estero sfora annualmente la soglia di 10.000, deve auto certificare nel modello di attribuzione della partita IVA il volume delle vendite per il quale avrebbe dovuto essere applicata l’IVA italiana. È possibile effettuare il pagamento tramite l’istituto del ravvedimento operoso.

Adempimenti

Il soggetto estero identificato IVA in Italia deve:

  • eseguire fatturazione
  • provvedere alla registrazione delle fatture di tutte le operazioni attive e passive effettuate
  • eseguire la liquidazione IVA e provvedere ai versamenti periodici
  • può richiedere eventuali rimborsi IVA trimestrali
  • effettuare la dichiarazione IVA annuale
  • redigere e conservare registri e documenti relativi all’INTRASTAT

Per i soggetti esteri non vi è obbligo di fatturazione elettronica. Inoltre possono effettuare i pagamenti tramite:

Infine, il modello ANR è quello che deve essere utilizzato anche per comunicare eventuali variazioni di uno o più dati indicati al momento della procedura per l’identificazione diretta ai fini IVA. Lo stesso vale anche in caso di cessazione di attività che deve essere comunicata sempre con il medesimo modulo. Come sempre il modello deve essere consegnato a mano, oppure inviato con raccomandata con ricevuta di ritorno presso gli uffici di Pescara dell’Agenzia delle Entrate.

La procedura per ottenere la partita IVA è particolarmente lunga, perché, purtroppo, non è ancora stata informatizzata. Si tratta inoltre di una procedura piuttosto dispendiosa. A causa di questi motivi, la maggior parte delle aziende estere preferisce procedere all’identificazione tramite stabile organizzazione, oppure nominando un rappresentante fiscale nel Bel Paese. L’unico vantaggio a procedere con l’identificazione diretta ai fini IVA è il fatto che il soggetto estero non diventa soggetto di diritti e obblighi in Italia ai fini delle imposte dirette.

Identificazione diretta iva: cos’è e qual è la procedura da seguire

Sono ancora in molti a chiedersi come funziona la procedura per l’identificazione diretta iva in Italia e qual è la documentazione da presentare. Le aziende estere che si trovano a operare nel nostro paese tramite, ad esempio, e-commerce, potrebbero aver bisogno dell’identificazione diretta ai fini IVA. Per le operazioni eseguite su territorio straniero da una società non residente, l’IVA applicata e dovuta è quella del paese prestatore. Se l’attività all’interno del territorio dell’UE supera i 10.000 euro annuali, allora è obbligatoria l’identificazione diretta IVA per le vendite effettuate nel nostro paese. Il soggetto non residente deve, quindi, inquadrare correttamente la propria posizione da un punto di vista fiscale e tributario.

Identificazione diretta IVA: quando è veramente necessaria

Le aziende straniere che intendono operare in Italia, senza avere la residenza, lo possono fare scegliendo di intraprendere una delle seguenti tre possibilità:

  • Creare una società controllata sul nostro territorio (subsidiary). -soluzione più completa di tutte, attraverso la quale è possibile gestire qualunque attività.
  • Creare una branch, cioè una stabile organizzazione in Italia – il soggetto estero, in questo caso, deve avere almeno un ufficio o una sede fissa su territorio italiano, senza che vi sia un autonomo soggetto di diritto staccato dall’azienda estera.
  • Identificazione diretta iva – in questo caso la società estera non ha nessuna presenza fisica in Italia, ma vi svolge ugualmente un’attività commerciale (tramite e-commerce).

Scegliere l’una o l’altra opzione, dipende dal grado di presenza della società straniera sul nostro territorio. L’identificazione diretta IVA è disciplinata dall’art. 35-ter del DPR n. 633/72. Le aziende straniere che vendono in Italia tramite e-commerce e superano i 10.000 euro annui di fatturato, hanno l’obbligo di identificarsi ai fini IVA. Devono inoltre applicare il regime IVA OSS per adempiere agli obblighi IVA previsti.

Identificazione diretta IVA VS rappresentante fiscale

Identificazione diretta IVA e nomina di un rappresentante fiscale, sono procedure tra loro alternative. La nomina del rappresentante fiscale riguarda i soggetti passivi IVA residenti in un Paese extra-UE. Tali soggetti non possono ricorrere alla procedura di identificazione diretta IVA e, per aprire partita IVA devono quindi nominare un rappresentante fiscale.

Identificazione diretta iva

Identificazione diretta a fini IVA: norme di riferimento e funzionamento

L’identificazione diretta IVA è regolata dal

La procedura dell’identificazione è riservata a tutti quei soggetti che esercitano attività di impresa, di arte o professione all’interno di uno stato dell’Unione Europea. Questa è applicata in alternativa alla stabile organizzazione e alla nomina di rappresentante fiscale. La procedura si attiva quando la società estera cede beni o presta servizi territorialmente rilevanti in Italia. Le operazioni di cessione sono rivolte a soggetti come:

  1. Privati consumatori
  2. Enti non commerciali privi di partita IVA
  3. Soggetti non residenti anche se in possesso di partita Iva

Tutte le operazioni eseguite nei confronti di altre imprese sono soggette all’emissione di fattura elettronica. La fattura non riporterà, in questo caso, l’indicazione della partita IVA italiana. Il soggetto committente italiano, invece, deve registrare la ricevuta del soggetto estero attraverso la procedura del Reverse Charge con il meccanismo dell’autofattura, oppure dell’integrazione contabile.

Responsabilità tributaria

Al pari dell’identificazione, anche la responsabilità tributaria riveste un ruolo molto importante per i soggetti esteri che operano in Italia. La responsabilità tributaria è imputabile all’azienda estera. È necessario fare comunque una distinzione tra imposte dirette  e imposte indirette.

Il soggetto straniero che opera in Italia non assume il territorio nostrano come fiscalmente rilevante. Mantiene quindi quello di origine come riferimento per i tributi. Nonostante questo, la società estera non residente diventa comunque soggetto destinatario di diritti e obblighi previsti dalla normativa fiscale. La legge infatti stabilisce che per le operazioni rilevanti nel territorio dello Stato ai fini IVA, il soggetto rimane obbligato al pagamento.

Al contrario, per quanto riguarda invece le imposte sui redditi, il soggetto estero che opera in Italia, non assume residenza sul nostro territorio, non diventa soggetto di diritto a cui possono essere imputati diritti e obblighi tributari. Tale soggetto rimane assoggettato alle imposte dirette nel Paese in cui risulta essere fiscalmente residente.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa si rischia e come rimediare

La disciplina vuole che l’emissione della fattura elettronica avvenga entro 24 ore massime dal momento in cui si effettua un’operazione. Invece per le fatture differite il termine di emissione è stabilito al 15 del mese successivo a quello in cui l’operazione si è conclusa. Il legislatore ha quindi previsto una serie di sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. Inizialmente, al fine di agevolare la fase di avvio della fatturazione elettronica, erano stati previsti degli esoneri sull’applicazione di eventuali sanzioni. Ad oggi, invece, non esistono esoneri e sono quindi applicate sistematicamente le sanzioni previste dall’ dall’art. 6 del D.Lgs. n 471/97. Vediamo qualche dettaglio in più.

Emissione fattura elettronica: termini e scadenze

Le fatture elettroniche non sono tutte uguali. Ne esistono di vari tipi e, a seconda della tipologia di appartenenza, prevedono un termine di emissione diverso. Le fatture elettroniche possono essere:

  • immediate
  • differite

 

Una e-fattura è considerata emessa solo se inviata al Sistema di Interscambio e se non risulta scartata. Le fatture immediate devono essere emesse entro 12 giorni dal momento dell’effettuazione dell’operazione, come stabilisce l’art. 6 del DPR n. 633/72. Le fatture elettroniche differite, invece, deve essere emessa e registrata entro il 15 del mese successivo a quello in cui si è conclusa l’operazione di riferimento. Per quest’ultime è d’obbligo indicare il mese di riferimento, perché l’operazione rientra nella liquidazione periodica dello stesso mese e l’IVA è da versare entro il 16 del mese successivo.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa prevede la legge

Visti i termini entro i quali una e-fattura deve essere emessa, il legislatore ha previsto anche delle sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. A stabilire la misura della sanzione amministrativa applicata, ci pensa l’ art. 6 del D.Lgs. n. 471/97, che cita:

“La sanzione varia dal 90% al 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato, con un minimo di 500 euro. La sanzione è dovuta nella misura da 250 a 2.000 euro, se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Entrando nel dettaglio, la norma prevede una diversa sanzione a seconda della violazione commessa:

  • Fra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato (con un minimo di 500 euro)
  • Da 250 a 2.000 euro, qualora la violazione non abbia inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

Le sanzioni possono comunque essere ridotte grazie all’esercizio del ravvedimento operoso. L’esercizio del ravvedimento operoso è previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo n°472/1997. Sono previste diverse casistiche a seconda della data entro la quale avverrà il pagamento richiesto.

Anche le fatture scartate dal Sistema di Interscambio, potrebbero essere soggette a sanzioni amministrative. Per ovviare al problema è possibile rinviare la fattura elettronica in questione entro 5 giorni dalla data di notifica dello scarto (provvedimento 30 aprile 2018 dell’Agenzia delle Entrate).

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: le conseguenze per il cessionario o committente

Inviare una fattura elettronica in ritardo, comporta delle conseguenze e relative sanzioni, anche da parte del committente o cessionario. Nell’ art. 6 co. 8 del D.Lgs. n. 471/97 è stabilito che tali sanzioni debbano ammontare al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro per ogni violazione. Per evitare di dover pagare questi importi, il committente/cessionario deve adempiere a una serie precisa di obblighi documentali.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica

 

Nel caso in cui il committente/cessionario non riceva la fattura elettronica entro 4 mesi dalla data dell’operazione deve trasmettere, al SddI, un’autofattura di regolarizzazione. Inoltre deve pagare l’imposta entro il tredicesimo giorno successivo. Nella documentazione inviata deve indicare, alla sezione anagrafica del cedente/prestatore i dati del fornitore e in quella del cessionario/committente i propri. Infine, il campo “TipoDocumento” deve essere compilato con il codice “TD20”.

Nel caso in cui, invece, il cessionario/committente riceva una fattura elettronica irregolare deve trasmettere lo stesso documento previsto nell’altra casistica, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo alla registrazione. Inviare digitalmente l’autofattura di regolarizzazione al Sistema di Interscambio solleva il committente dall’obbligo di presentare la fattura in formato analogico, direttamente presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente.

Codice tributo F24

Le sanzioni tardiva emissione fattura elettronica possono essere pagate tramite un modello F24. È necessario compilare la sezione erario e utilizzare il codice tributo 8911. Il modello chiede inoltre l’indicazione dell’anno di riferimento. Quello da indicare è l’anno in cui è avvenuta la violazione stessa.

Scontrino elettronico per omaggio e vendite online

Lo scontrino elettronico è ormai entrato a far parte della normalità quotidiana da diversi anni. Introdotto gradualmente a partire dal 1° luglio 2019, è infine andato a sostituire definitivamente gli scontrini cartacei e le ricevute fiscali. A distanza di oltre due anni abbiamo assistito ad alcune trasformazioni e miglioramenti che hanno reso questo strumento, un valido alleato di aziende e commercianti. Oggi vogliamo fare un po’ il punto della situazione sull’argomento e andare a specificare qualche dettaglio per quanto riguarda l’emissione dello scontrino elettronico per omaggio e per vendite online.

Scontrino elettronico: dove eravamo rimasti

Facciamo un breve riassunto su questo importantissimo argomento, che sta a cuore a diversi soggetti e contribuenti. Entrato in vigore in maniera graduale a partire dal 1° luglio 2019, ha sostituito definitivamente le ricevute fiscali e gli scontrini cartacei. Lo scontrino elettronico è strettamente correlato all’uso di un registratore di cassa fiscale. Inizialmente era obbligatorio averne uno fisico, perché non c’erano alternative. Nel giro di pochi mesi però, grazie a piattaforme come quella di FatturaPRO.click è stato possibile fare a meno di questo dispendioso e fastidioso accessorio. La piattaforma, infatti, è in grado di gestire autonomamente e completamente l’emissione degli scontrini elettronici e l’invio all’Agenzia delle Entrate di tutti i dati acquisiti, senza doversi appoggiare a un registratore telematico fisico.

A chi ancora non avesse compiuto il grande passo di scegliere FatturaPRO.click, e continua a utilizzare i registratori telematici, si ricorda che c’è tempo fino al 1° gennaio 2022 per aggiornare tutti i registratori al tracciato telematico dei corrispettivi giornalieri: TIPI DATI PER I CORRISPETTIVI – versione 7.0 – giugno 2020. Fino alla scadenza indicata è quindi ancora possibile inviare i corrispettivi utilizzando il vecchio tracciato nella versione 6.0.

Da segnalare inoltre che, il Provvedimento del 7 settembre 2021 prevede il 31 dicembre 2021 come termine entro il quale i produttori dei registratori telematici, possono dichiararne la conformità rispetto alle specifiche tecniche di un modello già approvato da AdE.

Scontrino elettronico per omaggio

Scontrino elettronico senza registratore telematico

Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, i corrispettivi giornalieri possono essere inviati utilizzando un registratore di cassa telematico, o seguendo una lunga e laboriosa procedura online, oppure scegliendo FatturaPRO.click come partner per le transazioni quotidiane. Sicuramente l’ultimo rappresenta la soluzione migliore delle tre. Prima di tutto permette di non spendere soldi nell’acquisto di un registratore telematico che deve sempre e comunque essere aggiornato e sottoposto a manutenzione ordinaria e straordinaria. Poi rappresenta anche un sistema molto più facile e accessibile a tutti per inviare gli scontrini telematici senza perdersi nella complessità dei sistemi predisposti dall’Agenzia delle entrate.

Scontrino elettronico per omaggio e vendite online

Dopo aver riassunto molto brevemente la situazione degli scontrini elettronici in Italia fino a oggi, arriviamo adesso al “nocciolo della questione”. Ci sono alcuni casi in cui molti soggetti si chiedono ancora come devono comportarsi con gli scontrini elettronici. Ad esempio, in tanti si chiedono come emettere scontrino elettronico per omaggio, oppure in caso di vendite online. Facciamo chiarezza subito.

Nel caso di omaggi da parte dei commercianti, gli esercenti devono comunque emettere uno scontrino elettronico pari a zero per giustificare la merce ceduta. Lo scontrino a zero non ha alcun impatto sulla comunicazione dei corrispettivi giornalieri. Ai fini IVA, invece, è necessario emettere una fattura elettronica da inviare al Sistema di Interscambio. La fattura elettronica deve essere compilata  come tipologia di modello TD27= fattura per autoconsumo o per cessioni gratuite senza rivalsa. I campi: cedente/prestatore e del cessionario/committente devono essere compilati con l’identificativo IVA di colui che emette l’autofattura.

Scontrino elettronico per vendite online

Altra nota spinosa per tanti commercianti: le vendite online. Nelle vendite online non vi è l’obbligo di emissione di scontrino elettronico. Rimane invece ancora obbligatoria l’annotazione dei corrispettivi nel registro di competenza. Questa decisione è stata ribadita anche da Agenzia delle Entrate nell’interpello numero 198 del 2019. Il documento spiega nel dettaglio perché per le vendite online non è obbligatorio rilasciare lo scontrino elettronico, a meno che non sia il cliente finale stesso a richiedere l’emissione della fattura elettronica.

In altre parole, il commercio online è inquadrato come commercio elettronico indiretto, assimilato alle vendite per corrispondenza. Il Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996 n°696 esclude, infatti, gli obblighi di certificazione nelle vendite per corrispondenza (a eccezione della richiesta di fattura del cliente).

Tuir: cos’è e a cosa serve il Testo Unico delle Imposte sui Redditi

Tuir è acronimo di Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come dice il nome stesso, disciplina  la tassazione dei redditi di qualunque tipologia di contribuente. Che si tratti di persona fisica, piuttosto che di società, il TUIR è sempre il punto di riferimento a cui rivolgere la propria attenzione. È presente in Italia dal 1986, quando venne introdotto nell’ordinamento dal D.P.R. 917. È in continuo divenire, sempre in aggiornamento per stare al passo con i tempi e disciplinare al meglio l’argomento (spinoso) legato alla tassazione dei redditi. Si tratta di un argomento piuttosto lungo e complesso, più che altro forse, spinoso perché tocca un soggettivamente chiunque. Non si tratta infatti, di una normativa che riguarda esclusivamente le società, i liberi professionisti, le PMI e i commercianti, ma chiunque produca un qualunque tipo di reddito nel nostro paese. Cerchiamo quindi di capire com’è fatto, cosa contiene e a cosa disciplina, nello specifico.

TUIR: com’è strutturato

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi è suddiviso in quattro diverse parti:

  • IRPEF
  • IRES
  • Operazioni di carattere straordinario e operazioni di carattere internazionale
  • Disposizioni varie, transitorie e finali

Ciascuna parte è a sua volta suddivisa in Capi svariati Articoli. Per capire meglio la struttura del testo ne riportiamo la suddivisione nei vari capitoli interni:

IRPEF

  • Titolo I – Imposta sul reddito delle persone fisiche

Seguono poi i Capi dal I al VII, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 1-24)
  • Redditi fondiari (artt. 25-43)
  • Redditi di capitale (artt. 44-48)
  • Redditi di lavoro dipendente (artt. 49-52)
  • Redditi di lavoro autonomo (artt. 53-54)
  • Redditi di impresa (artt. 55-66)
  • Redditi diversi (artt. 67-71)

IRES

  • Titolo II – Imposta sul reddito delle società

Seguono poi i Capi dal I al VI, dedicati a:

  • Soggetti passivi e disposizioni generali (artt. 72-80)
  • Base imponibile società/enti commerciali residenti (artt. 81-142)
  • Enti non commerciali residenti (artt. 143-150)
  • Società ed enti commerciali non residenti (artt. 151-152)
  • Enti non commerciali non residenti (artt. 153-154)
  • Base imponibile per alcune imprese marittime (artt. 155-161)

Tuir

Disposizioni comuni

  • Titolo III – Disposizioni comuni

Seguono poi i Capi dal I al V, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 162-164)
  • Redditi prodotti all’estero e rapporti internazionali (artt. 165-169)
  • Operazioni straordinarie (artt. 170-177)
  • Operazioni straordinarie fra soggetti di diversi stati membri UE (artt. 178-181)
  • Liquidazione volontaria e procedure concorsuali (artt. 182-184)

Titolo IV – Disposizioni varie, transitorie e finali (artt. 185-191)

TUIR: modifiche e aggiunte

Come detto in apertura articolo, il TUIR è un testo sempre in continuo aggiornamento, che cerca di stare così al passo con i tempi. Lo scopo dei vari aggiornamenti, è quello di riuscire a disciplinare al meglio una materia vasta e complessa che cambia di anno in anno in base alla nascita di nuove esigenze fiscali ed economiche, nonché di dinamiche socio-politiche. Le varie modifiche apportate al testo unico vanno, di conseguenza, a incidere su ogni singolo contribuente italiano. Dalla persona fisica, all’azienda più piccola, fino ad arrivare alle società strutturate in compagnie maggiori che emettono ogni anno diverse centinaia di migliaia di fatture elettroniche.

Una delle ultime e più importanti modifiche al TUIR è stata quella applicata con il DLGS 344 del 12 dicembre 2003. Questa norma ha infatti introdotto nel testo unico l’IRPEG= Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche e l’IRES=Imposta sul Reddito delle Società. 

Per quanto riguarda l’IRES, negli articoli: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” e “Irpef e Ires: cosa sono e come funzionano” abbiamo già visto cos’è e quando grava sulle spalle dei contribuenti. Per quanto riguarda invece l’IRPEG, spendiamo qualche parola.

L’IRPEG è stata il precursore dell’IRES. Era una imposta italiana di tipo proporzionale. Dal 1° gennaio 2004 è stata definitivamente sostituita dall’IRES. Lo scopo è stato quello di disciplinare il regime fiscale dei capitali e delle imprese seguendo il modello prevalente nei Paesi membri dell’Unione Europea. Ai tempi fu una modifica radicale e profonda per il Testo unico sulle imposte sui Redditi, che segnò un punto di svolta per tutti. Il Decreto Legislativo artefice di questa modifica fu il 12 dicembre 2003, n. 344 “Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80“.

Piano di welfare aziendale: come funziona, benefit e agevolazioni

Nel precedente articolo: “Welfare aziendale: cos’è e a cosa serve” abbiamo iniziato a vedere cos’è un piano di welfare aziendale e a cosa serve. Nello specifico, adesso, vogliamo spiegare come funziona, come viene erogato e chi sono i destinatari delle agevolazioni. Prima di iniziare riassumiamone il concetto. Il welfare aziendale è un insieme di agevolazioni che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti a tempo indeterminato. I welfare sono quindi dei benefit di cui i dipendenti possono godere a proprio piacimento. Sono stabiliti dal datore di lavoro senza consultare le associazioni sindacali, né i dipendenti (con qualche eccezione). Concedere dei welfare aziendali e usufruire di tali benefit, comporta delle notevoli agevolazioni fiscali sia per i datori di lavoro che per i dipendenti stessi. Vediamo adesso nello specifico come funzionano e chi ne può usufruire al meglio.

Piano di welfare aziendale: ecco come funziona

I welfare aziendali si sono andati via via sempre più diffondendo negli ultimi anni. Incentivati dalle varie leggi di rilancio, dal 2016, i piani di welfare aziendale sono aumentati rispetti alla previsione dei comuni premi di produzione. La loro diffusione è andata di pari passo all’implementazione di tantissime piattaforme che servono a erogare i vari benefit ai dipendenti. Questi portali sono gestiti da società che si occupano esclusivamente, oppure no, di seguire i piani di welfare delle aziende. È attraverso queste piattaforme che il datore di lavoro mette a disposizione dei dipendenti i benefit che ha previsto per loro. I dipendenti registrandosi e accedendo alle varie piattaforme, possono scegliere come utilizzare i vari benefit fino a esaurimento del proprio portafoglio.

Piano di welfare aziendale: i soggetti destinatari dei benefit

Per essere definito tale, un welfare aziendale deve essere rivolto a tutti i dipendenti di un’azienda. In alternativa può anche essere previsto per specifiche categorie di lavoratori. Per categoria non si intende una specifica qualifica contrattuale (impiegati, quadri, operai e dirigenti), ma, in generale, possono essere inclusi vari gruppi di lavoratori accomunati da criteri specifici e comuni (livelli, posizioni, fasce gerarchiche, ecc…).

Uno dei vantaggi del piano welfare aziendale è che i benefit previsti possono anche essere estesi ai familiari dei dipendenti (secondo quanto previsto dall’articolo 12 del TUIR):

  • coniuge non legalmente ed effettivamente separato (o partner nelle unioni civili ex L.76/2016)
  • figli, compresi i naturali riconosciuti, i figli adottivi o affidati
  • coniuge
  • genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi
  • fratelli e sorelle
  • genitori adottanti
  • generi e nuore
  • suocero e suocera

Piano di welfare aziendale

Tipologie di benefit

Abbiamo già visto che il welfare aziendale può prevedere diverse tipologie di benefit. La loro natura è stabilita direttamente dal datore di lavoro. Tra questi ricordiamo:

  • Spese familiari – si tratta di una serie di rimborsi che il lavoratore può richiedere al datore di lavoro per usufruire del proprio portafoglio welfare. I rimborsi sono erogati in busta paga. Le spese sono esenti da imposizione fiscale o previdenziale.
  • Fringe benefit (Beneficts) – i fringe benefit sono beni ceduti o dati in concessione al dipendente da parte del datore di lavoro. Spesso sono dati in concessione beni come l’auto aziendale, un appartamento aziendale, buoni carburante, buoni spesa, card spendibili per viaggi in aereo o in treno. Questi benefit non sono tassati quando il loro valore annuale è inferiore a 258,23€.
  • Buoni Pasto – completamente esenti da tassazione fino ad un importo giornaliero pari a 5,29€ per i buoni pasto cartacei e aumentato a 7€ nel caso di ticket pasto elettronici.
  • Assistenza sanitaria e previdenza – i dipendenti possono destinare tutto o parte dei propri benefit a incrementare e integrare le prestazioni statali fornite dall’INPS, in materia di previdenza e sistema sanitario nazionale. In altre parole possono decidere di destinare il welfare aziendale in casse, fondi e gestioni previsti da contratti collettivi, accordi, regolamenti aziendali che erogano prestazioni integrative previdenziali o assistenziali.
  • Spese per il servizio di trasporto pubblico – rientrano in questa categoria gli abbonamenti di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale. Ci sono due alternative: il datore di lavoro acquista per il dipendente l’abbonamento, oppure ne rimborsa il costo sostenuto dal lavoratore, direttamente in busta paga.

Rimborso degli interessi pagati per un mutuo

Infine i dipendenti possono decidere di usare il portafoglio di welfare aziendali per richiedere il rimborso degli interessi pagati per un mutuo stipulato con la propria banca. In questo caso, il lavoratore non potrà, successivamente, portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi, gli interessi già rimborsati tramite il piano di welfare aziendale.

Welfare aziendale: cos’è e a cosa serve

Il welfare aziendale è un insieme di iniziative, beni e servizi, messi a disposizione delle aziende come sostegno al reddito. Serve per accrescere il potere di spesa, la salute e il benessere dei lavoratori che hanno un contratto a tempo indeterminato. Il termine deriva dall’inglese e significa “benessere”, ma anche sussidi e assistenza sociale. Il welfare aziendale può avere carattere pubblico, privato, oppure aziendale. In Italia, negli ultimi anni, si è riscontrato un sostanziale aumento di piani welfare, sempre più ricchi di beni e servizi.

Welfare aziendale: definizione e agevolazioni

Quindi il welfare aziendale è un piano che l’azienda prevede per l’assegnazione di benefit ai propri dipendenti. Si tratta di un programma che comprende benefici quali beni, prestazioni, opere e servizi di natura, oppure elargiti sotto forma di rimborso spese. I welfare aziendali possono essere costituiti in diverse modalità:

  • per volontà del datore di lavoro attraverso un regolamento aziendale
  • tramite contratto/accordo aziendale
  • attraverso una previsione espressa nel contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL)

Mettere a disposizione dei benefit per i propri dipendenti, consente ai datori di lavoro di accedere a specifici privilegi fiscali. Ad esempio, i welfare aziendali consentono ai datori di godere dell’esenzione contributiva e della deducibilità totale o parziale dal reddito d’impresa, sempre secondo gli attuali criteri di legge. Da parte loro invece, i dipendenti che beneficiano dei benefit messi a loro disposizione, sono esentati, in maniera totale o parziale, da imposte e contributi.

Welfare aziendale: cos’è

Entrando nello specifico i welfare aziendali sono un insieme di prestazioni non monetarie che il datore di lavoro mette a disposizione dei dipendenti. In altre parole, si tratta di agevolazioni aggiuntive alla retribuzione percepita dai dipendenti. I benefit concessi possono avere varia natura:

Ciascuna di queste forme gode di un particolare regime fiscale agevolato, sia per il dipendente che per il datore di lavoro. La diffusione dei welfare aziendali, negli ultimi anni, è stata particolarmente marcata. Una situazione che ha portato, addirittura, alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro, a prevedere degli importi annuali che il datore di lavoro è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori (come ad esempio è successo nel settore dell’industria metalmeccanica).

 

Welfare aziendale

Tutti i benefit previsti

Come abbiamo visto i welfare aziendali prevedono una serie precisa di agevolazioni non monetarie a disposizione dei dipendenti. Il pacchetto di agevolazioni è definito dal datore di lavoro. Questi può scegliere tra molteplici alternative. Infatti, la normativa fiscale prevede che i welfare possano essere:

  • buoni d’acquisto per il carburante
  • contributi per shopping o spesa al supermercato
  • sport e benessere, tempo libero, cultura e formazione
  • previdenza complementare;
  • assistenza sanitaria integrativa
  • rimborsi scolastici

Le tipologie di welfare aziendale che possono essere messe a disposizione dei dipendenti, sono individuate dalla normativa fiscale (art. 51 del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi).

Il piano welfare aziendale è comunque stabilito in piena autonomia direttamente dal datore di lavoro. Nel processo decisionale non sono interpellati i dipendenti, né le associazioni sindacali (a eccezione della costituzione del welfare aziendale relativo al premio di produzione). Esiste un’unica caratteristiche che deve sempre essere rispettata. L’erogazione ai welfare è subordinata al raggiungimento di risultati. È il datore di lavoro che determina liberamente gli obiettivi da raggiungere.

Esiste anche un’alternativa che consente al datore di lavoro di permettere ai dipendenti di convertire tutto, o parte, dei premi produzione, in welfare. In questo caso ci sono però alcune regole da seguire:

  • è necessaria una contrattazione di secondo livello
  • il contratto d’accordo deve essere depositato sul portale ministeriale
  • è indispensabile prevedere l’indicazione di precisi parametri misurabili di incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. In questi casi, inoltre, la decisione di convertire il proprio premio di risultato deve essere presa liberamente dal singolo lavoratore.

Flexible benefit VS premi di risultato

Le varie leggi di stabilità che si sono susseguite dal 2016 ad oggi, hanno agevolato la diffusione dei welfare aziendali. Lentamente questi stanno andando a sostituire i vecchi premi di produzione. La grande differenza che intercorre tra premi di produzione e welfare aziendali, sta nella flessibilità dei benefit. Sono infatti definiti anche come flexible benefit, vale a dire “flessibili”. Proprio la loro versatilità consente al lavoratore di scegliere come “spendere” il proprio portafoglio di benefit messi a disposizione dal datore di lavoro.

One Stop Shop: cos’è e come funziona

Il regime One Stop Shop è partito dal 1° luglio 2021. L’iniziativa è il risultato di una proposta dell’Ue e della direttiva n° 2455/2017 che doveva entrare in vigore dal 1° gennaio 2021. Purtroppo, a causa della pandemia da Covid-19, è stata rimandata fino a metà anno. Si tratta del nuovissimo regime fiscale per gli e-commerce. Il regime prevede moltissime novità in fatto di vendita a distanza di beni. Novità che vogliono semplificare l’esercizio agli operatori del settore.

One Stop Shop e Import One Stop Shop

Prima di addentrarsi nelle specifiche del One Stop Shop, è necessaria una premessa per distinguere one stop shop e import one stop shop (OSS e IOSS). I regimi OSS e IOSS si basano sul sistema IVA unificato e digitale a livello europeo. Questo include le seguenti transazioni:

  • vendite a distanza – riguardano tutte le transazioni di vendita di beni importati da territori terzi o Paesi terzi, effettuate da fornitori o tramite l’uso di interfaccia elettronica.
  • vendite a distanza intracomunitarie – di beni effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica.
  • prestazioni di servizi – da parte di soggetti passivi non stabili nell’UE o da soggetti non passivi (consumatori finali)
  • vendite nazionali – di beni effettuate tramite l’uso dell’interfaccia elettronica.

One Stop Shop: tutte le novità introdotte

Il regime ha previsto una serie di novità che sono entrate in vigore da luglio di quest’anno. Tra queste, ricordiamo ad esempio, l’estensione del regime speciale MOSS (Mini One Stop Shop) a tutti i servizi B2C e alla vendita a distanza, intracomunitarie di beni. Analogamente all’OSS, il regime IOSS è previsto per le vendite a distanza di beni importati da territori e paesi terzi.

Con l’entrata in vigore dell’One Stop Shop, sono previste anche delle eliminazioni di soglia. Infatti le soglie per l’applicazione dell’IVA sulle vendite a distanza intracomunitarie sono state eliminate definitivamente. Vige invece adesso un’unica soglia pari a 10.000€, al di sopra della quale, l’imposta sul valore aggiunto, è applicata nello Stato di destinazione.

Infine OSS ha previsto anche dei nuovi requisiti per le interfacce digitali e l’emissione delle fatture elettroniche. In altre parole queste novità riguardano e agevolano le vendite a distanza di beni, importati da territori o Paesi terzi, di valore intrinseco non superiore ai 150€. Sopra tale valore è, come sempre, prevista e obbligatoria la dichiarazione doganale completa.

One Stop Shop

OSS e IOSS: i soggetti che vi possono aderire

Attuare il regime One Stop Shop, ha risolto non pochi problemi. Prima di tutto ha notevolmente semplificato gli adempimenti iva delle imprese. Infatti il soggetto passivo iva che vuole aderire al regime OSS, deve registrarsi esclusivamente nello Stato in cui si è identificato ai fini IVA. Varia poi a seconda dell’inquadramento utilizzato. Esistono infatti tre diverse tipologie di regime e-commerce:

  • OSS non UE – soggetto passivo extra-UE privo di stabile organizzazione nel territorio UE.
  • OSS UE – soggetto passivo considerato e identificato nello Stato UE in cui è stabilito.
  • IOSS – soggetti passivi extra-UE, se stabiliti in un paese con il quale la Ue ha un accordo di reciproca assistenza per il recupero dell’iva ed effettua vendite a distanza di beni importati da quello stesso paese.

La registrazione al regime, opzionale, deve essere fatta direttamente dal portale di Agenzia delle Entrate. Basta accedere nella sezione Regimi iva mini One Stop Shop, One Stop negozio E Import One Stop Shop, dopo essere entrati nell’area riservata.

Invece, tutti i soggetti che al 30 giugno 2020 risultavano essere già iscritti al regime MOSS, sono automaticamente traslati sull’OSS a partire dal 1° luglio 2021.

Benefici e vantaggi

Sicuramente il beneficio principale dell’introduzione del regime OSS è la semplificazione. Questo sistema, infatti, evita che i soggetti debbano assolvere agli adempimenti IVA in ciascuno Stato membro di consumo. Inoltre va tenuto conto che aderendo al sistema OSS, per emettere una fattura elettronica nei confronti di un privato cittadino, si applica esclusivamente l’Iva del paese in cui l’utente finale risulta domiciliato.

Il versamento Iva è cumulativo. Si può così presentare un’unica dichiarazione IVA in cui il soggetto passivo si è identificato. È compito del paese di registrazione, comunicare a tutti gli altri Stati di residenza del consumatore, le informazioni per una corretta determinazione dell’iva, a seguito della dichiarazione. Infine per le transazioni fino a 10.000€ di imponibile, è possibile vendere all’estero senza dover applicare obbligatoriamente l’iva  relativa al paese della residenza dei clienti.

Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa: uno sguardo generale all’UE

La fatturazione elettronica non è un’innovazione digitale che riguarda esclusivamente l’Italia. L’Unione Europea infatti vede questo strumento come un sistema di ammodernamento dell’IVA. È prevista quindi una Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa che, progressivamente si andrà a stabilizzare in ogni paese facente parte degli stati europei. L’Italia, fino a oggi, è l’unico paese che ha introdotto, come obbligatoria, la fatturazione elettronica. La scelta deriva dalla necessità che ha il nostro paese di contrastare e combattere l’evasione fiscale. Inizialmente l’obbligo è stato introdotto, fino al 2021. Adesso che ci troviamo alla fine dell’anno, l’Unione Europea ha autorizzato un’estensione anche per il prossimo triennio. Nel prossimo futuro è molto probabile che l’adempimento telematico, sarà esteso a qualunque piccola tipologia di contribuente che è rimasta ancora fuori dall’obbligo di emissione di fattura elettronica (come ad esempio i soggetti appartenenti al regime forfettario).

Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa e Sistema italiano

La sperimentazione italiana sull’obbligo della fatturazione elettronica, per essere capita, deve essere considerata e valutata sotto un punto di vista più ampio. Infatti, anche se la Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa non è ancora prevista del tutto, è già presente, ormai da anni, una sorta di sistema analogo. Per l’esattezza, dal 2019, in Europa, gli appalti pubblici, seguono le direttive previste per la fatturazione elettronica. Si tratta di un primo e significativo passo che l’UE ha compiuto verso un ammodernamento del sistema dell’IVA. È infatti l’IVA, l’imposta sulla quale va tarata la discendenza alla fatturazione elettronica. L’imposta sul valore aggiunto è armonizzata a livello unionale.

L’Unione Europa, inoltre, ha intenzione di mettere mano anche alle questioni relative alle regole delle vendite a distanza tra paesi intra-UE nei confronti dei consumatori. Tutto questo in relazione all’impiego e alla diffusione, sempre più marcata, del sistema OSS, vale a dire il Regime One Shop Stop. A ogni modo, la fatturazione elettronica è ufficialmente all’ordine del giorno a Bruxelles. Sembra che lo scopo dell’Unione Europea sia proprio quello di evitare la frammentazione dei sistemi telematici nazionali. Troppi diversi sistemi, infatti, potrebbero, alla fine, risultare del tutto incompatibili tra loro. Quindi L’UE cercherà di introdurre, lentamente, l’obbligo della fatturazione elettronica anche per ogni altro paese dell’unione.

Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa

La digitalizzazione dell’IVA

Non si può parlare di Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa senza accennare alla volontà dell’UE di digitalizzare il sistema dell’IVA, nel futuro prossimo. Quindi è prevista una chiara migrazione dell’imposta sul valore aggiunto verso un sistema telematico generalizzato, che appiani divergenze e incompatibilità di sistemi e applicazioni. L’Unione Europea ha previsto, a questo scopo, un programma preciso e dettagliato, suddiviso in quattro distinti punti:

  • introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica
  • digitalizzazione della dichiarazione IVA
  • nuovo trattamento IVA per le piattaforme digitali
  • registrazione unica europea per l’IVA

Per ora il programma è ancora in fase embrionale, ma L’UE lo ha comunque già previsto e messo all’ordine del giorno. Entro la fine del 2021, infatti, è prevista una consultazione pubblica sull’elenco delle tematiche precedenti. Ma è il 2022 l’anno che vedrà avverarsi l’adempimento all’effettiva proposta di direttiva. Una proposta molto attesa che non finirà certo di stupire i soggetti coinvolti in queste importanti decisioni.

Fatturazione elettronica obbligatoria in Europa: l’Italia, un esempio da seguire

Una volta ogni tanto gli Italiani sono primi tra i primi. La fatturazione elettronica è stata introdotta e adottata nel nostro sistema ormai da anni. Attorno a questa importante novità si sono sviluppati forti business e piattaforme telematiche, come FatturaPRO.click. L’Italia è vista oggi, dagli altri paesi europei, come un esempio da seguire. Il modello obbligatorio di fatturazione elettronica adottato per combattere l’evasione fiscale, potrebbe quindi essere preso come base ed esempio dagli altri stati Membri come arma per scongiurare l’evasione e l’elusione fiscale.

È probabile che una normativa dedicata proprio a questa transizione, potrebbe essere introdotta nei pacchetti di riforme previsti dai vari Piani nazionali di ripresa e resilienza delle Nazioni EU.

La proposta dell’UE, avanzata proprio questo autunno, vuole evitare che gli altri Stati Comunitari, adottino delle regole ex novo per la gestione delle rispettive discipline nazionali per la fattura elettronica. Si cerca quindi uniformità, per evitare una disastrosa difficoltà di comunicazione tra i differenti sistemi di fatturazione dei diversi Stati Membri. L’UE ha intenzione quindi di presentare una proposta che prevede un modello ispirato a quello italiano. Questo è basato sull’interoperabilità tra le diverse e-fatture degli Stati membri per automatizzarne i processi di elaborazione dei dati contenuti nella fattura elettronica.

Registro delle imprese: cos’è, a cosa serve e come funziona

In Italia quando si decide di aprire una partita IVA ci sono una serie di obblighi a cui dover adempiere. Uno di questi prevede l’iscrizione al registro delle imprese. Si tratta di un registro che permette di consultare dati e documenti su qualunque azienda italiana. È un registro gestito direttamente dalle varie Camere di Commercio che si trovano disseminate su tutto il territorio nazionale. In altre parole è una sorta di anagrafe delle imprese consultabile pubblicamente. Quindi, chi intende vivere emettendo fatture elettroniche e non, come titolare di un’attività in Italia, deve per forza iscriversi in questo registro.

Registro delle Imprese: un po’ di storia

La storia del registro delle imprese inizia nel lontano 1942, quando venne previsto per la prima volta nel Codice Civile. Per l’attuazione però bisogna attendere il 1993 grazie alla legge n°580 e reso operativo un paio di anni dopo nel 1995. Il registro delle imprese ha unificato il precedente registro delle società e il registro delle ditte. Nel nuovo registro sono stati compresi tutti i dati e i documenti relativi a ogni singola azienda italiana, impresa estera con sede o unità locale in Italia e tutti gli altri enti che esercitano un’attività economica.

Anche il registro delle imprese ha subito una trasformazione digitale. Progressivamente, dal 1996 al 2012, si è trasformato diventando infine telematico. L’iscrizione telematica è diventata definitivamente obbligatoria a partire dal 1997. Successivamente il registro imprese  ha assunto anche i ruoli che fino ad allora erano ricoperti dagli ex Ruoli degli Agenti di commercio, degli Agenti d’affari in mediazione e degli spedizionieri autorizzati.

Il Registro è oggi fruibile anche online e ha rappresentato, in certo senso, il precursore della dematerializzazione che ha visto coinvolte le PA negli ultimi anni.

Registro delle Imprese: a cosa serve

Il registro serve a raccogliere in modo semplice e preciso, tutte le informazioni che riguardano un’impresa. Dal nome della società, fino alle sedi legali e operative, dal nome dei soci, fino a quelle dei capitali versati. Insomma, tutto quello che riguarda un’attività e che può essere d’interesse pubblico. Il registro è infatti consultabile pubblicamente. È suddiviso in una sezione ordinaria e una sezione speciale. Nella sezione ordinaria si trovano:

  • imprese individuali
  • società
  • cooperative
  • consorzi
  • Enti Pubblici che svolgono come attività principale il commercio
  • gruppi europei di interesse economico (GEIE)
  • società estere con sede in Italia
  • aziende speciali
  • consorzi degli enti locali

Registro delle imprese

Nella sezione speciale invece ci sono:

  • aziende agricole
  • piccole aziende commerciali
  • coltivatori diretti
  • società semplici
  • artigiani
  • startup
  • PMI innovative
  • società tra professionisti e avvocati

La differenza è importante quando si tratta, ad esempio, di bandi pubblici. Alcuni di questi, infatti, sono aperti o all’una, o all’altra sezione. Iscriversi al registro delle imprese, inoltre, può dare modo di accedere anche a eventuali esenzioni fiscali.

Come consultare il registro imprese

Il registro delle imprese dispone di un proprio sito: www.registroimprese.it. I registri sono gestiti dalle relative camere di commercio di competenza territoriale. Sul sito è possibile cercare un’azienda in base alla provincia di appartenenza, oppure in modo libero e generale.

Appena iscritto, un imprenditore può subito accedere a molti documenti per partecipare a un bando pubblico. L’accesso ai bandi è consentito con firma digitale CNS o con SPID.

Molti documenti sono gratuiti, mentre per altri è richiesto il pagamento di un corrispettivo di diritti di segreteria stabiliti direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico. Quando si consulta il registro delle imprese è possibile ottenere certificate e visure di ogni azienda interessata alla ricerca. Non solo. Oggi è possibile anche ottenere una mappa per visualizzare ogni sede di una stessa attività.

La maggior parte delle volte, il registro è consultato per capire se un’azienda è ancora attiva oppure no. Utile da studiare per capire quanti e quali competitor si possono trovare in una certa zona. È anche utile quando si è alla ricerca di eventuali partner con i quali iniziare una collaborazione imprenditoriale. Questo fa capire quanto sia importante il registro delle imprese. Non si tratta infatti semplicemente di un obbligo al quale assolvere quando si decide di aprire partita IVA. È un database completo e consultabile pubblicamente da chiunque per ottenere tutta una serie di preziose informazioni per il proprio business. Senza contare che, iscrivendosi nel registro, si hanno diverse opportunità di business, collaborazione e partecipazione ai bandi pubblici.