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Pagamento in contanti: limiti e regole per il 2021

Per combattere l’evasione fiscale in Italia negli ultimi anni, sono state adottate diverse misure. Tra queste le più importanti sono sicuramente quelle legate all’adozione della fatturazione elettronica  e dei corrispettivi telematici. Va ricordato però che questi mezzi sono stati posti in essere per incentivare i pagamenti tracciati e disincentivare il pagamento in contanti. Questo rimane sempre possibile, ma sono stati fissati dei limiti e delle modalità precise, per arginare il fenomeno. Infatti anche per questo 2021 il limite previsto per i pagamenti in contanti è pari a 2000 €, anche se è già in corso l’approvazione per una maggiore restrizione per il 2022.

Il limite di pagamento in contanti è stato ritoccato dalla Legge di Bilancio 2020, che ha stabilito una soglia più bassa rispetto a quella precedente. La legge di bilancio ha infatti fissato il limite di soglia per i pagamenti in denaro e la tracciabilità delle spese detraibili IRPEF al 19%. Il limite fissato che varrà anche per tutto il 2021 è posto a 1999,99 euro. Precedentemente era pari a 2999,99 euro. Per il 2022 il governo ha previsto un’ulteriore stretta di vita, facendo scendere la soglia a 999,99 euro. Il limite vale per qualunque tipologia di pagamento, che si tratti di un prestito, un regalo, oppure una donazione (regola che vale anche tra parenti).

Pagamento in contanti: cosa stabilisce la legge di bilancio

In vigore dal primo luglio 2020 e valida per tutto il 2021, la Legge di Bilancio 2020, ha stabilito che è possibile eseguire pagamenti con carta moneta fino al massimo di 1999,99 euro. Allo scoccare dei 2000€ è richiesto obbligatoriamente il pagamento tramite l’utilizzo di strumenti tracciabili come il bonifico bancario, carta di credito, carte di debito, o assegni. Questo vale per i pagamenti tra persone e aziende, mentre non ha validità per quanto riguarda il prelievo o il versamento di somme di denaro sui propri conti correnti, in quanto considerati trasferimenti tra stesso soggetto.

Queste disposizioni porteranno a una non troppo lenta e progressiva diminuzione di circolazione di denaro contante. Alla regola sono comunque previste delle deroghe e delle esclusioni. È il caso, ad esempio, dei pagamenti di cittadini stranieri non residenti in Italia (altrimenti detti turisti) che effettuano pagamenti sul territorio nostrano. Loro infatti possono effettuare pagamenti in contanti oltre i 3000 € nei confronti di operatori di commercio al minuto, agenzie di viaggio e turismo.

Oneri detraibili IRPEF

Modificando le disposizioni previste per i pagamenti in contanti, sono cambiati anche gli oneri detraibili dall’IRPEF al 19%. Questi cambiamenti hanno interessato i pagamenti per spese:

  • mediche e mediche specialistiche
  • funebri
  • assicurazioni rischio morte
  • addetti all’assistenza personale nei casi di non autosufficienza
  • veterinarie
  • interessi passivi mutui prima casa
  • intermediazioni immobiliari per abitazione principale
  • frequenza scuole e università
  • erogazioni liberali
  • iscrizione ragazzi ad associazioni sportive, palestre, piscine, altre strutture e impianti sportivi
  • affitti studenti universitari
  • abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale

Pagamento in contanti

Quindi affinché queste spese possano essere detraibili al 19%  dell’IRPEF, devono essere sostenute usando delle modalità di pagamento tracciabile. Per quanto riguarda le spese mediche, i medicinali e le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o private accreditate al Servizio Sanitario Nazionale, potranno comunque ancora essere pagate in contanti.

Pagamento in contanti di stipendio

Dal primo luglio 2018 è vietato pagare uno stipendio in contanti. Il pagamento della retribuzione è possibile solo ed esclusivamente tramite bonifico bancario sull’IBAN del collaboratore/dipendente, oppure tramite pagamenti elettronici e assegni bancari/postali. Al momento rimangono ancora esclusi i rimborsi spese per le trasferte  e gli anticipi di spese per conto del datore o del committente.

I datori di lavoro o i committenti che non rispettassero l’obbligo di tracciabilità degli stipendi, sono soggetti a sanzioni amministrative pecuniarie che oscillano tra i 1000 e i 1500 euro.

Disincentivazione all’uso del contante

Per cercare di disincentivare la massimo l’uso del contante per pagamenti, il Governo ha ideato il famoso sistema chiamato cashback di Stato. Questo consiste in un rimborso in denaro a tutti coloro che effettuano abitualmente acquisti con metodi di pagamento tracciabili. Sono escluse le spese eseguite per attività d’impresa o esercizio di professione.

Fringe Benefits: cosa sono e come funzionano

I Fringe Beneficts sono benefici collaterali, accessori. Si tratta di particolari benefici che sono riconosciuti ai dipendenti, da parte di alcune aziende e imprese particolarmente solide, erogati non in denaro, ma sotto altre molteplici forme. Sono quindi dei benefici supplementari alla busta paga, erogati per incentivare la produttività, oppure per integrare il semplice stipendio.

Quindi i fringe beneficts, o semplicemente beneficts, sono elementi aggiuntivi della retribuzione che concorrono alla formazione del reddito tassato del lavoratore dipendente. Si tratta di benefici in natura e non sotto forma di denaro, che migliorano la qualità della vita del dipendente, evitandogli di sostenere personalmente delle spese.

Molto spesso questi beneficts sono rappresentati dal cellulare aziendale, oppure dal computer portatile, o dal tablet, o ancora dalla casa in affitto, o dall’uso di un’auto aziendale. In particolare la concessione al lavoratore di un veicolo a uso privato, parziale o totale, è una forma di retribuzione in natura molto diffusa. I benefici aggiuntivi sono solitamente fissati nel contratto stipulato tra azienda e dipendente.

Fringe Benefits: tassazione

I fringe benefits sono tassati, ma con alcune eccezioni. Il Testo Unico sulle imposte stabilisce che:

“…il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali (ossia regali), in relazione al rapporto di lavoro”.

Essendo i benefici aggiuntivi beni che concorrono al reddito del lavoratore dipendente, sono soggetti a relativa tassazione. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni. Se il dei beneficts erogati non supera i 258,23€ nel periodo d’imposta, allora non sono soggetti a tassazione. Se il limite è superato, il valore del bene allora concorre a formare il reddito e di conseguenza viene tassato. Questo vale per qualunque fringe beneficts percepito, da qualunque lavoro, anche diverso dal principale.

Fringe Benefits, benefici supplementari alla busta paga

Se l’azienda opera all’ingrosso e i beneficts concessi sono prodotti aziendali, il loro valore è calcolato considerando il prezzo che l’impresa è solita applicare al grossista. Il sostituto d’imposta (ossia l’azienda) deve applicare la ritenuta sul valore dei fringe benefits.

I beneficts possono essere elargiti mediante i cosiddetti voucher in formato cartaceo oppure elettronico, riportanti un preciso valore nominale. I voucher non possono essere usati da una persona diversa dal titolare, non possono essere convertiti in denaro o ceduti a terzi. Danno inoltre diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio, per l’intero valore nominale, senza che il titolare debba fare ulteriori integrazioni.

Fringe beneficts: le tipologie

La natura dei benefici concessi ai dipendenti varia molto. In alcuni casi, ad esempio, le aziende danno ai propri dipendenti la possibilità di acquistare uno o più beni prodotti dall’impresa stessa, con l’applicazione di un forte sconto sul prezzo di listino. È questo il caso delle aziende automobilistiche, che permettono ai dipendenti di comprare le vetture prodotte con sconti molto consistenti. Il valore nominale di riferimento, in questo caso, è rappresentato dal prezzo scontato che il costruttore applica sulla base di convenzioni ricorrenti.

In altri casi, invece, i datori di lavoro pagano i dipendenti fornendo loro dei buoni utilizzabili presso esercizi convenzionati. Il valore nominale è quindi rappresentato dal valore del buono stesso. Anche in questo caso non c’è tassazione se il valore non supera 258,23 euro.

Un altro esempio di fringe beneficts sono le opzioni sull’acquisto di azioni. Vale a dire che qualche volta l’azienda consente ai dipendenti di acquistare delle azioni dell’impresa stabilendo un preciso prezzo, che rimane sempre fisso e un termine entro il quale l’opzione può essere esercitata (stock options).

Piano dei conti: cos’è, a cosa serve e perché redigerlo

In contabilità è necessario registrare correttamente qualunque transazione. Ciascuna entrata, uscita, attestata da fattura elettronica deve essere annotata in modo esaustivo e comprensibile. Ciascuna interazione deve quindi essere contabilizzata secondo il principio della “contabilità doppia”. Per assicurare la necessaria chiarezza è quindi indispensabile una struttura contabile intelligibile. In Italia non esiste una vera e propria disciplina che regola la materia. Il piano contabile, tuttavia, può essere organizzando in modo che lo stato patrimoniale e il conto economico, seguano uno schema ben preciso. In questo caso entra in gioco il piano dei conti. Una sorta di registro sul quale sono annotati informazioni analitiche, sottoconti, conti mastri, ecc… Informazioni indispensabili per determinare il saldo dei conti e utilizzati nella partita doppia sul libro giornale.

Piano dei conti: cos’è

Il piano dei conti è un documento, utilizzato dalle imprese, necessario alle rilevazioni in partita doppia. Non essendo regolamentato da alcuna norma giuridica specifica, il piano dei conti è soggetto alla disciplina della società a cui fa riferimento e varia in base alle esigenze aziendali, all’attività svolta e alle dimensioni della struttura contabilizzata.

In questo documento sono annotate una serie di informazioni analitiche, un aggregatore delle rilevazioni contabili, con lo scopo di esprimere in maniera omogenea e sintetica, lo stato patrimoniale e l’attività economica di un’azienda. È possibile affermare che ogni azienda crea il proprio piano dei conti su misura, diversificandolo in base alle proprie esigenze. Non esistono vincoli restrittivi che ne obblighino la trascrizione secondo determinate norme fiscali. Per questo motivo varia in base alle dimensioni e alla natura aziendale.

A cosa serve

Il piano dei conti ha lo scopo di fornire informazioni analitiche, dettagliate, utilizzando i sottoconti. Serve inoltre a fornire una sintesi dell’attività economica e patrimoniale, grazie ai conti mastro. In questo modo assolve anche ad una funzione di tipo gestionale, oltre che a ricoprire un ruolo informativo di fondamentale importanza. Questo perché la contabilità non è obbligatoria solamente ai fini fiscali e civilistici, ma rappresenta anche un adempimento inderogabile al funzionamento di un’attività.

Piano dei conti: struttura e predisposizione

Affinché il piano dei conti sia redatto con una logica e sia comprensibile anche a soggetti esterni all’azienda, è necessario che venga predisposto seguendo un certo criterio. Innanzitutto le rilevazioni contabili non devono essere duplicate e non devono essere soggette ad errore in fase di registrazione.

Durante l’inserimento delle scritture, deve essere sempre possibile aggiungere nuovi conti. Questo accade quando, ad esempio, si manifesta per la prima volta la necessità di identificare e registrare un’esigenza nuova. Lo stesso vale anche in presenza di una precedente dimenticanza. il piano dei conti deve rendere agevole e precisa la redazione del bilancio di esercizio e la dichiarazione dei redditi.

I conti del piano sono suddivisi in base a specifiche categorie, le quali, in seguito, andranno a costituire il bilancio d’esercizio. Dal bilancio d’esercizio sono poi generati:

  1. Conto Economico (suddiviso in costi e ricavi)
  2. Stato patrimoniale (suddiviso in attività e passività)

In certi casi può essere presente anche il Conto d’ordine, anche se non è obbligatorio. In questo sono segnalati impegni ed operazioni che non rientrano nelle rilevazioni economiche e patrimoniali.

Piano dei conti

Conti Mastro e sottoconti

Sono caratterizzati da una descrizione, che ne specifica in dettaglio il contenuto e sono numerati progressivamente. La numerazione è consecutiva in base alle categorie. In questo modo la lettura è resa più semplice e scorrevole.

Attività dello Stato Patrimoniale

Sotto questa voce troviamo:

  1. immobilizzazioni immateriali – costituiscono voci positive aziendali relative a beni non tangibili (marchio e logo aziendale)
  2. materiali – terreni, fabbricati, beni mobili come autovetture, macchinari, impianti, ecc…
  3. immobilizzazioni finanziarie – investimenti in altre aziende, ad esempio partecipazioni azionarie, fondi di investimento, obbligazioni, anticipi d’imposta, ovvero crediti verso l’Erario relativi ad IRES, IRAP, ecc…
  4. Rimanenze di magazzino
  5. Ratei
  6. Risconti attivi

Tra le passività compaiono il capitale e le riserve, il TFR, il Fondo di ammortamento e svalutazioni, relativi a crediti, i fondi di ammortamento per immobilizzazioni immateriali, per quelli materiali, per la svalutazione crediti, debiti verso fornitori, debiti per imposte.

Conto Economico

È suddiviso in Costi e Ricavi. Tra i costi si trovano:

  • acquisto prodotti
  • costi per servizi ed utenze
  • Locazioni
  • Canoni
  • Costo per il personale dipendente
  • Spese commerciali
  • Viaggi
  • Spese generali
  • Oneri Tributari
  • Ammortamenti materiali e immateriali
  • Oneri Straordinari
  • Oneri Finanziari
  • Rimanenze iniziali

Tra i ricavi invece ci sono:

  • Vendite
  • Proventi straordinari
  • Proventi finanziari
  • Rimanenze finali
  • Profitti
  • Perdite

In base alle esigenze aziendali, ciascuna voce sarà più o meno dettagliata.

Per concludere, il piano dei conti, è la base necessaria per redigere successivamente le scritture contabili. Una volta predisposto, non definitivo. Varia in base alle esigenze dell’azienda e le voci possono essere aggiunte via via che se ne presenta occasione e necessità. Le singole voci inserite nel Piano dei conti e in particolare nelle categorie, confluiscono poi nei Conti mastro. I conti mastro a loro volta servono a predisporre il Bilancio d’Esercizio.

Quietanza di pagamento: cos’è e come funziona

Imprese e professionisti per giustificare acquisti e transazioni, emettono fatture elettroniche. A volte però è necessario che un privato debba presentare fattura a un’impresa. In questo caso non è necessario aprire o avere una partita IVA, perché basterà servirsi di una quietanza di pagamento.

Quietanza di pagamento: certificazione di avvenuto pagamento

La quietanza di pagamento è un documento scritto che attesa che un credito ha ricevuto quanto dovuto dal debitore. Si tratta di una prova documentale precostituita. Il debitore che ha provveduto a saldare il debito, ha il diritto, quando ne fa esplicita richiesta, a ottenere obbligatoriamente la quietanza di pagamento. In questo caso l’attestazione di pagamento deve riportare la tipologia di prestazione eseguita e l’obbligazione a cui si riferisce.

La quietanza è un documento indispensabile per evitare eventuali contestazioni future. Questa può essere richiesta, ad esempio, alla ricezione di merce e del relativo pagamento. È buona norma in questo caso richiederne l’emissione del documento, in modo tale che la consegna e il pagamento siano certificati per scritto.

In pratica è un documento utilizzato dai creditori, e richiesto dai debitori, con il quale si certifica il saldo del debito. È uno strumento che può essere utilizzato anche dai privati, tra privati e privati e aziende.

Quietanza di pagamento: il contenuto

Affinché questo documento sia valido, anche ai fini giuridici, è necessario che contenga una serie di dati obbligatori:

  1. Dati dei soggetti coinvolti (creditore e debitore)
  2. Importo saldato
  3. Causale di compilazione (deve cioè essere spiegato, in maniera esaustiva, il motivo per cui la quietanza è stata compilata)
  4. Data di emissione
  5. Firma del creditore (o quietanzante)

In caso di mancanza di data o causale, la quietanza rimane comunque sempre valida. Tutti gli altri elementi invece devono essere obbligatoriamente presenti, se si vuole ritenere valida la quietanza. Spesso il documento è fatto firmare da entrambe le parti (debitore e creditore). La quietanza deve essere rilasciata sempre e comunque in forma scritta, sia come atto pubblico, che scrittura privata. Solitamente si tratta di atti nominativi e numerati.

Quietanza a saldo

Si tratta di una particolare tipologia di quietanza. È una dichiarazione da parte del creditore che afferma di non avere più nulla pretendere dal debitore, in quanto questi ha saldato tutti i crediti pendenti.

Quietanza di pagamento

 

Ne sono un esempio anche le dichiarazioni sottoscritte dai lavoratori dipendenti alla cessazione del rapporto di lavoro. In queste certificazioni i lavoratori dichiarano di aver ricevuto dall’ex datore di lavoro ogni pagamento spettante e di non avere più nulla da pretendere.

“Pagato”

La famosa scritta “pagato” su fatture, bolle e ricevute, non ha alcun valore giuridico. Tra le altre cose, la dicitura “pagato” potrebbe anche intendersi quale pagamento parziale del dovuto e può quindi essere oggetto di contestazioni future da parte del creditore. Affinché l’atto sia valido giuridicamente, deve riportare la scritta “per quietanza” e non deve mai mancare la firma del creditore.

In caso di contestazione, non è ammissibile la prova per testimoni, che vogliano smentire in qualche modo il contenuto della quietanza. Questa infatti è impugnabile solo ed esclusivamente quando, chi ha sottoscritto il documento, voglia dimostrarlo di averlo fatto spinto da atti violenti, o per un errore di fatto. Tale errore deve però essere “scusabile”. Questo significa che deve essere inteso come errore tale per il quale, un qualunque uomo medio, sarebbe caduto in inganno date le eventuali circostanze di tempo, modo e luogo in cui l’errore stesso è avvenuto.

Fattura elettronica e quietanza di pagamento

Si tratta di due documenti molto simili tra loro, ma non sono la stessa cosa. La differenza risiede nel fatto che, chi emette quietanza di pagamento, non possiede partita IVA. In questo modo non deve nemmeno indicare l’IVA applicabile alla transazione relativa a un determinato bene e/o servizio.

Altra differenza è la numerazione. Nelle fatture elettroniche la numerazione progressiva è obbligatoria, mentre nelle quietanze è opzionale. Anche la causale, come abbiamo visto, è opzionale, meglio che ci sia, ma non è necessario che debba essere particolareggiata, come invece è necessario nella fatturazione elettronica.

Codice dei contratti pubblici: la disciplina che regola gli appalti pubblici

Nell’articolo precedente abbiamo visto cos’è e come funziona una gara d’appalto. La materia in Italia è regolata dal Codice dei contratti pubblici. Si tratta di una fonte normativa che regola appalti pubblici di lavori, forniture, servizi e concessioni. Il codice fa riferimento al decreto legislativo 18 aprile 2016, n° 50, che ha abrogato le precedenti leggi in materia ed è stato successivamente aggiornato dalla legge n 55 del 14 giugno 2019, conosciuto con il nome di “decreto sblocca cantieri”.

In altre parole il codice dei contratti pubblici, o codice appalti, è un testo unico che regola i rapporti tra Pubblica Amministrazione e le società incaricate di svolgere le opere previste nei vari bandi di appalto.

Cosa contiene il Codice dei contratti pubblici

Il codice contiene la disciplina in materia di opere pubbliche. Con questo codice sono fissati diversi criteri:

  • aggiornamento dei programmi e degli elenchi annuali
  • definizione degli ordini di priorità
  • suddivisione in eventuali lotti funzionali
  • riconoscimento delle condizioni necessarie a modificare la programmazione e la realizzazione dei vari interventi
  • criteri e modalità per terminare le opere
  • livello di progettazione minimo richiesto a seconda delle tipologie e delle classi di importo
  • schemi tipo e informazioni minime che devono essere contenute nei bandi di gara
  • le modalità di raccordo con la pianificazione dell’attività dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza ai quali le stazioni appaltanti delegano la procedura di affidamento.

Il codice stabilisce che gli eventuali controlli amministrativi in materia di appalti e opere pubbliche sono affidati all’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione). L’ANAC, di cui abbiamo già trattato nell’articolo: “CIG Smart come ottenerlo e come esserne esonerati” è un’autorità amministrativa indipendente italiana che si occupa di prevenzione della corruzione in ambito della pubblica amministrazione.

Codice dei contratti pubblici: procedure

Le fasi regolamentate dal codice sono:

  • programmazione
  • nomina del responsabile del procedimento
  • determina a contrarre

Per quanto riguarda la programmazione il Codice prevede che questa sia fatta biennale per gli acquisti e triennale per i lavori. Su questa programmazione sarà poi basata la procedura di affidamento dei singoli interventi. L’affidamento prevede a sua volta la stesura di uno studio di fattibilità ambientale prodromico per le opere urbanistiche.

Invece la nomina del responsabile del procedimento è necessaria al fine di coordinare le fasi e che risponda ai terzi nelle comunicazioni ai fini di legge.

La determina a contrarre invece è l’atto attraverso il quale la Pubblica Amministrazione individua gli elementi essenziali del contratto da affidare. Stabilisce inoltre i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte.

Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici: trasparenza, concorrenza e meritocrazia

Il codice degli appalti è utile a garantire il rispetto della trasparenza, della concorrenza e della meritocrazia tra concorrenti in materia di opere pubbliche. Le imprese appaltatrici sono scelte in base a diversi procedure:

  • aperte – vere e proprie gare d’appalto. Non vi è selezione preventiva e le imprese o le ATI (Associazioni temporanee di impresa) possono parteciparvi liberamente inviando la propria offerta. Chi ha indetto la gara d’appalto sceglierà poi in base ai vari requisiti tecnici ed economici.
  • Ristrette – prevede le fasi di invio, presentazione, valutazione delle candidature e assegnazione. Solo dopo che l’impresa è stata ammessa, può avanzare l’offerta.
  • Negoziate – è una condizione molto particolare, nella quale è la Pubblica Amministrazione stessa a scegliere diretta, ente i concorrenti da invitare.

Alla fine comunque, qualunque sia la procedura prevista dal codice dei contratti pubblici e attuata, l’operatore scelto può stipulare il contratto e occuparsi dell’esecuzione dei lavori.

ANAC e Codice dei contratti pubblici

Il codice dei contratti pubblici è chiamato anche Legge Merloni. All’articolo n°10 di questa legge è stabilito il ruolo dell’ANAC nelle opere pubbliche. Questa autorità può infatti effettuare dei controlli a campione in merito ai requisiti dichiarati da concorrenti. Svolge inoltre verifiche amministrative e può richiedere alle società appaltanti di inoltrare richiesta alle imprese appaltatrice di dimostrare entro 10 giorni, il possesso dei requisiti di capacità tecnica ed economica.

Se da questa eventuale verifica risultasse che le imprese non rispondono in tutto o in parte ai requisiti suddetti, le stazioni appaltanti possono procedere all’esclusione del concorrente dalla gara d’appalto.

Fatturazione elettronica e appalti pubblici

Nel 2019 Agenzia delle Entrate ha finalmente attuato la normativa europea in merito alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici. La normativa entrata in vigore stabilisce le regole tecniche e le modalità applicative della fatturazione elettronica in ambito di opere pubbliche. In sintesi tale normativa stabilisce che i fornitori possono emettere fatture elettroniche secondo le regole stabilite dall’UE e dalla CIUS.

Il protocollo attuativo è il n° 99370 del 18 aprile 2019, con il quale il direttore di Agenzia delle Entrate ha siglato le nuove regole tecniche (CIUS – Core Invoice Usage Specification) e le modalità applicative per la fatturazione elettronica negli appalti pubblici in Italia.

In definitiva la regola stabilisce che i fornitori possono emettere fatture elettroniche, ma queste devono essere obbligatoriamente conformi a modelli semantici e regole sintattiche precise. Inoltre la Direttiva ha disposto che le stazioni appaltanti e gli Enti Aggiudicatori degli Stati membri non possono rifiutarle solo perché in formato elettronico.

Il protocollo ha quindi stabilito:

formato corretto che le fatture elettroniche devono avere verso le PA

  • Le regole di dialogo con il Sistema di Interscambio
  • Le linee guida per le Pubbliche Amministrazioni
  • le misure di supporto per gli utenti
  • la disciplina per l’uso degli intermediari.

Gara d’appalto: cos’è, come funziona e come potervi partecipare

La gara d’appalto è una procedura precisa alla quale la Pubblica Amministrazione (PA) ricorre quando deve realizzare delle opere pubbliche, o acquistare beni/servizi o forniture. Si tratta di un iter bene preciso di cui la PA si serve per assicurare il rispetto di trasparenza, concorrenza e meritocrazia nell’assegnazione delle opere.

Cos’è un appalto

L’appalto è un contratto, tra appaltatore e appaltante.

L’appaltatore è il soggetto che si incarica di realizzare l’opera, di fornire un bene/servizio, commissionato dal committente a seguito del pagamento di un corrispettivo in denaro.

L’appaltante di conseguenza, è il committente che necessita di far realizzare un’opera, o ricevere un servizio/fornitura.

Una gara d’appalto è quindi lo strumento attraverso il quale la Pubblica Amministrazione ricerca imprese singole o Associazioni Temporanee di imprese che possano realizzare le opere di cui necessità.

Gara d’appalto: come funziona

La gara d’appalto è formata da vari step. Il primo consiste nella pubblicazione del bando di gara. Nel bando è descritto nel dettaglio l’opera che deve essere realizzata. A questo annuncio risponderanno singole imprese, oppure ATI (Associazioni temporanee di impresa) che rispondo a tutti i requisiti richiesti dal bando stesso.

Vince il bando chi risponde in maniera più idonea e pertinente ai requisiti previsti dal bando in termini di prezzo, requisiti e qualità.

Esistono vari tipi di procedure di appalto:

  • aperta
  • ristretta
  • competitiva con negoziazione
  • negoziata senza pubblicazione di un bando
  • dialogo competitivo
  • partenariato per l’innovazione.

Il bando di gara è predisposto dalle Stazioni Appaltanti, dopo l’approvazione del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dalle Categorie professionali interessate. Un bando di gara d’appalto può essere indetto da:

  1. Autorità locali
  2. Organismi di diritto pubblico
  3. Esecutivo
  4. Unione Europea
  5. Organizzazioni internazionali
  6. Aziende che operano in settori specifici

I requisiti di partecipazione

Il bando della gara d’appalto riporta l’elenco dei requisiti che un’impresa deve possedere. I requisiti si dividono in

  1. generali – affidabilità morale e professionale dell’impresa
  2. speciali – a loro volta suddivisi in:
  • requisiti di capacitàbilancio d’impresa, fatturato specifico, fatturato globale, ecc…
  • requisiti tecnici – possesso di attrezzature specifiche per realizzare l’opera, personale idoneo, ecc…

Gara d'appalto

Gara d’appalto: come partecipare

L’impresa o l’ATI che vuole partecipare alle gare d’appalto deve prima individuare le gare di suo interesse. Gli avvisi si trovano su:

  • Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea
  • Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
  • sito web del MIT
  • sito web del Committente
  • quotidiani a rilevanza locale
  • quotidiani a rilevanza nazionale
  • Albo pretorio del Comune interessato dai lavori
  • Portale appalti sito ANAC (oggi ancora non realizzato)

Una volta valutati tutti i requisiti richiesti, la dove ciascuno di esso venga soddisfatto, l’appaltatore può presentare domanda per partecipare alla gara d’appalto.

Normativa di riferimento

La gara d’appalto è regolata dal Decreto Legislativo n°50 del 18 aprile 2016, chiamato anche Codice dei Contratti Pubblici. Si tratta di un atto pubblico con il quale la Repubblica italiana attua le direttive europee n 2014/23UE, 2014/34/UE, 2014/25/UE.

Il Codice dei Contratti pubblici stabilisce materi a e adempimenti richiesti in tema di appalti pubblici per lavori e forniture di beni e servizi. In generale regola la materia delle opere pubbliche. Questo codice ha stabilito, tra le altre, le modalità di aggiornamento dei programmi e degli elenchi annuali, i criteri per la definizione degli ordini di priorità, la suddivisione in lotti funzionali, criteri e modalità per favorire la realizzazione delle opere e il livello di progettazione minimo richiesto per tipologia e classe di importo.

Nel codice sono inoltre stabiliti:

  • caratteristiche delle stazioni appaltanti e centrali di committenza
  • i requisiti che gli operatori economici, ovvero i soggetti privati o pubblici partecipanti alle gare d’appalto, devono necessariamente possedere;
  • le procedure competitive e non competitive che devono essere seguite per affidare contratti pubblici.

L’articolo 10 della Legge Merloni stabilisce che sia possibile effettuare dei controlli a campione in merito ai requisiti necessari dichiarati nella gara d’appalto. I controlli amministrativi sono svolti dall’Autorità nazionale anticorruzione. L’ANAC è un’autorità amministrativa indipendente italiana che ha l’onere di occuparsi della prevenzione della corruzione nell’ambito della Pubblica Amministrazione e che abbiamo già ritrovato nell’articolo: “CIG Smart: come ottenerlo e come esserne esonerati”. L’ANAC opera mediante il principio di trasparenza in tutti gli aspetti gestionali mediante attività di vigilanza in ambito di appalti pubblici e gare d’appalto.

Associazione Temporanea di Imprese: insieme per un progetto comune

ATI è acronimo di Associazione Temporanea di Imprese, chiamate spesso anche RTI, vale a dire raggruppamento temporaneo di imprese. Si tratta di una particolare forma giuridica nella quale più imprese si unisco per raggiungere un obiettivo comune e realizzare uno stesso progetto. Molto spesso questa forma giuridica è utilizzata per partecipare e vincere gare d’appalto. Singolarmente infatti le società non avendo tutte le caratteristiche e le prerogative necessarie per poter /partecipare alle gare, non possono accedere ai bandi. Insieme invece riescono a raggruppare tutte le competenze operative, le caratteristiche di categoria o le classifiche richieste dal bando. In un’ATI ogni soggetto mantiene la propria autonomia e restano giuridicamente distinti.

Associazione Temporanea di Imprese

Associazione Temporanea di Imprese: orizzontale, verticale, mista

L’Associazione Temporanea di Imprese può essere di tre diverse tipologie:

  1. orizzontale
  2. verticale
  3. mista

Nell’ATI orizzontale è prevista la collaborazione tra società che svolgono attività analoghe. Lo scopo di un’ATI così costituita è quello di accrescere i requisiti per partecipare alla gara d’appalto. Una volta ottenuto il bando, i compiti sono successivamente ripartiti.

Un’ATI verticale invece presenta un’impresa capo del gruppo specializzata nello svolgere l’attività principale e altre aziende che invece svolgono attività secondarie richieste nel bando di gara. Le attività secondarie sono “scorporabili” e la loro identificazione è riportata nella legge n°109/94, la Legge Merloni. All’art. 13 comma 8 è infatti specificato quanto segue: “ lavori non appartenenti alla o alle categorie prevalenti e così definiti nel bando di gara”.

Infine l’ATI mista è costituita da un’associazione di tipo orizzontale per l’attività principale e verticale per quelle scorporabili. In altre parole significa che sono costituite da due o più imprese omogenee, tra le quali è scelta un’impresa “capo gruppo(mandataria) e a questa si associano altre imprese eterogenee per realizzare le opere e i servizi scorporabili.

ATI: struttura ed elementi giuridici

Un’Associazione temporanea d’imprese è quindi costituita da un’impresa capogruppo, chiamata mandataria e altre diverse imprese secondarie chiamate mandanti. Le società mandati hanno il compito di trattare con il committente per l’esecuzione di un’opera, derivante dalla partecipazione a gare d’appalto.

Nell’associazione temporanea di imprese verticale la mandataria è l’unica responsabile nei confronti del committente. In quella orizzontale invece ciascuna impresa è solidamente responsabile nei confronti dell’appaltante.

Una volta che l’ATI è costituita, non può subire variazioni. Gli unici casi in cui è possibile, sono quelli previsti e stabiliti dall’art.37, comma 18 e 19, del decreto Legislativo 163/2006, il così detto: “Codice degli Appalti Pubblici”.

Scopo e durata

Abbiamo quindi visto che lo scopo di un’ATI è quello di arricchire e completare i requisiti necessari a più aziende, per partecipare a gare d’appalto pubblico. Questo avviene soprattutto nel settore delle grandi costruzioni.

I vantaggi che le aziende ricavano da queste aggregazioni sono molteplici. In primis la possibilità di partecipare alle gare d’appalto da parte di piccole e medie imprese che altrimenti non potrebbero farlo, perché non qualificate. Anche l’impresa mandataria ha i suoi vantaggi. Può ad esempio trovare tante diverse società che possano svolgere incarichi ed eseguire lavori perché dotate di conoscenza, mezzi e strutture idonee che lei stessa non possiede.

Un’ATI durata tutto il tempo necessario all’esecuzione dell’opera prevista dalla gara d’appalto. Al momento dell’incasso del corrispettivo finale, l’associazione temporanea d’imprese si scioglie. Un’ATI costituita per partecipare a una gara d’appalto, può nel frattempo partecipare ad altre gare e per questo motivo la sua durata può essere prolungata.

Esistono forme particolari di ATI, denominate consorzi stabili, che invece prevedono una durata indeterminata, che possono rimanere inattive per diverso tempo, senza perdere la loro forma e validità giuridica.

ATI e modalità di emissione delle fatture elettroniche

L’ATI non ha soggettività giuridica o fiscale. Le fatture elettroniche sono quindi emesse singolarmente da ciascuna impresa costituente. Quindi l’impresa mandataria, cioè la capogruppo, non ha nessun obbligo di emettere fatturazione elettronica per i mandatari.

Nonostante questo, molto spesso, le imprese mandatarie delegano alla capogruppo, l’onere dell’emissione delle fatture elettroniche. Questo è fatto soprattutto allo scopo di organizzare in maniera unitaria la fatturazione, evitando così eventuali errori o ritardi, che potrebbero avere ripercussioni sui pagamenti.

 

Numero Rea: la banca dati di un’impresa

Aprire una nuova partita IVA significa doversi scontrare con un’intrigata burocrazia fiscale. Tra le tante cose di cui doversi occupare troviamo, ad esempio, la scelta della sede legale, l’iscrizione alla Camera di Commercio, l’iscrizione al Registro delle Imprese, l’apertura di un conto corrente bancario aziendale, ecc. La burocrazia italiana è poi ricca di termini e codici alquanto particolari e molto spesso misteriosi, soprattutto per chi non ha mai avuto a che fare con questo “demone”. Uno di questi è il Numero Rea, acronimo di Repertorio economico amministrativo.

Numero Rea: che cos’è e cosa rappresenta

Il numero Rea è il Repertorio economico amministrativo di un’impresa. In altre parole è una banca dati nella quale sono raccolte una serie di informazioni di tipo amministrativo ed economico delle aziende. Si tratta di una sorta di integrazione al Registro Imprese.

Il numero Rea è composto da sei numeri, più il codice della provincia/camera di commercio che lo ha assegnato. Il codice serve a identificare in modo univoco un’impresa all’interno del Repertorio Economico amministrativo. La REA è quindi un archivio integrativo e separato al Registro delle Imprese. Contiene ogni sorta di informazione e dato fiscale, economico, amministrativo e statistico raccolto dalle Camere di Commercio. I dati sono relativi a tutti i soggetti obbligati o meno a iscriversi al Registro delle Imprese (RI).

La REA registra tutti i dati relativi a:

  1. apertura attività
  2. modifica attività
  3. sospensione o cessazione di un’impresa
  4. apertura, modifica o cessazione di unità locali
  5. nomina e cessazione di responsabili tecnici
  6. indicazione delle attività prevalenti svolte
  7. variazioni di residenza di soci e amministratori
  8. ecc…

Numero Rea e Numero Registro Imprese

Non sono la stessa cosa. A un’attività iscritta al Registro delle Imprese è assegnato un numero registro imprese nazionale. Questo è quindi composto dal codice fiscale dell’impresa, che è a sua volta assegnato dalla Camera di Commercio del comune presso la quale ha sede legale l’attività. La stessa azienda però può ricevere più numeri REA, uno per ciascuna provincia in cui l’attività ha le sedi locali, più uno per quella dove si trova la sede legale.

Iscrivendosi al Registro delle Imprese, si ottiene automaticamente la registrazione al Repertorio Economico Amministrativo e il numero REA stesso.

Numero Rea

I soggetti che devono iscriversi al REA

Abbiamo detto che i soggetti che si iscrivono al Registro delle Imprese ottengono automaticamente la registrazione al REA e il relativo numero. Gli altri soggetti che devono iscriversi per ottenere il numero REA sono:

  • Associazione
  • Fondazioni
  • Comitati
  • Enti non societari che esercitano attività commerciale e/o agricola, non come attività principale
  • Imprese con sede principale all’estero e con unità locali in Italia.
  • Imprenditori individuali commerciali non piccoli
  • Tutte le società, tranne quelle semplici, anche se non svolgono attività commerciale
  • Enti pubblici che svolgono attività commerciali

Numero Rea e Visura camerale

Il numero REA è consultabile sulle visure camerali. La visura camerale è un documento che fornisce informazioni su qualunque impresa italiana, sia essa individuale, piuttosto che collettiva. Quindi qualunque impresa iscritta presso Camere di Commercio, dell’Industria, dell’Artigianato ed dell’agricoltura.

Le visure possono essere ordinarie, oppure storiche. Per verificare il numero REA basta richiedere una visura ordinaria, in questa sono presenti i seguenti dati aziendali:

  • Dati anagrafici
  • Partita IVA
  • Data di costituzione
  • Natura giuridica
  • Codice REA
  • E-mail certificata
  • Stato dell’attività
  • Capitale sociale
  • Numero di dipendenti
  • Partecipazioni in altre società
  • Amministratori
  • Soci e loro cariche

La visura camerale può essere pertanto richiesta registrandosi online sul sito del Registro delle Imprese, alla Camera di Commercio, oppure semplicemente rivolgendosi a un professionista accreditato che ha accesso ai dati camerali.

Domicilio digitale: cos’è, come funziona e a cosa serve

Il domicilio digitale è l’indirizzo al quale sono inviate le notifiche previste dalla legge ai fini tributari ed indica la competenza dei vari uffici tributari. Il concetto è stato introdotto dalla legge Semplificazioni, che ha previsto l’obbligo del domicilio digitale per aziende e professionisti a partire dal primo ottobre. Al momento però questa operazione si è tradotta solamente nell’avere una PEC personale e ad aver fissato delle sanzioni. Si tratta comunque di un primo importante passo compiuto verso l’obbligo per tutti i cittadini, che prima o poi saranno iscritti nell’Indice nazionale dei domicili digitali (INAD).

Con il domicilio digitale le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione (PA) saranno più facile. Oggi ancora limitate alla casella di posta cartacea, in futuro saranno gestite interamente online. Con il decreto Semplificazioni è stato stabilito che aziende e professionisti devono quindi comunicare al Registro delle Imprese il proprio domicilio digitale. I professionisti invece devono comunicarlo all’ordine o al collegio al quale sono iscritti.

A oggi avere un domicilio digitale significa solamente avere l’obbligo di avere una PEC aziendale. Questo era già obbligatorio, ma non erano previste sanzioni per chi ancora non avesse provveduto ad averla. Il nuovo decreto invece modifica la dicitura di “PEC” a “domicilio digitale” e prevede delle integrazioni sanzionatorie.

Domicilio digitale: la definizione

Quindi oggi il domicilio digitale è, a tutti gli effetti, un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Questa serve a individuare un luogo virtuale dove sono inviate comunicazioni di natura giuridica, da parte di PA, professionisti, o aziende. Adesso esiste e vale anche per i privati. Non corrisponde a un indirizzo fisico, ma è composto da nome.cognome@gestorepec.it

Questo significa che adesso, qualunque sia la posizione fisica di un soggetto, gli saranno potute recapitare comunicazioni dalle PA. La PEC fa risparmiare tempo e denaro. Inoltre è matematica la certezza di ricevere e/o comunicazioni importanti.

Domicilio digitale: come fare per dichiararlo

Chi già possiede una PEC, ha in automatico il domicilio digitale. Imprese e aziende hanno già comunicato il proprio indirizzo PEC come disposto dal Decreto Legge 179/2012 e dalla Legge 2/2009.

I professionisti che ancora oggi, purtroppo non utilizzano regolarmente o che non hanno ancora una PEC valida, però sono ancora circa 1,7 milioni. Pertanto, tutti questi freelance, che ancora non hanno PEC, riceveranno delle sanzioni e gli uffici della Camera di Commercio assegnerà loro un domicilio digitale. I professionisti troveranno quindi questo nuovo “indirizzo” a disposizione sul Cassetto digitale dell’imprenditore erogato dalle Camere di Commercio (ma solo per la ricezione dei documenti).

Quindi chi non ha ancora una PEC, deve fare in fretta e crearne una il prima possibile, comunicandola poi al registro delle imprese o al proprio ordine professionale.

Domicilio digitale

Sanzioni previste per le imprese ancora senza domicilio digitale (PEC)

Per tutte le imprese che ancora non hanno una PEC sono previste delle sanzioni che vanno da un minimo di 206 euro, a un massimo di ben 2064 euro. Per le imprese individuali l’importo scende ed è compreso tra i 30 e i 1548 euro. Normalmente il Registro Imprese propone la definizione agevolata entro 60 giorni pagando il doppio del minimo o il terzo del massimo. É quindi possibile ravvedersi rispettando le scadenze versando circa 412 euro per le società e 60 euro per i lavoratori individuali.

Oltre alle sanzioni, il Registro Imprese assegnerà un nuovo indirizzo digitale di default. Questo sarà reso disponibile sul cassetto digitale dell’imprenditore. Ogni impresa trova il proprio a disposizione sul sito: impresa.italia.it Questo però sarà valido esclusivamente per ricevere documenti, comunicazioni e notifiche. Alla piattaforma è possibile accedere esclusivamente attraverso identità digitale (SPID, CNS e CIE).

Professionisti

Per i liberi professionisti ancora sprovvisti di PEC invece, la legge non prevede sanzioni pecuniarie. Però l’Ordine deve diffidare il professionista ad adempiere all’obbligo entro 30 giorni. In caso di mancata ottemperanza, l’Ordine può sospendere il professionista dal relativo Collegio od Ordine di appartenenza, fino a quando non comunicherà il domicilio digitale.

Per tutti i professionisti non obbligati a iscriversi a Ordini o Collegi, invece non è previsto ancora nessun obbligo, ne tanto meno sanzione. Possono quindi continuare a non avere la PEC.

Come chiudere la partita IVA: procedura e costi

In un articolo precedente: “Aprire una partita iva: la procedura da seguire e i costi da sostenere”, abbiamo visto l’iter burocratico e le spese da sostenere per iniziare una nuova attività. Adesso invece vogliamo spiegarvi come chiudere la partita IVA, la procedura da seguire, i costi da sostenere e i documenti da presentare.

La procedura da seguire per chiudere la partita IVA non è chiara a tutti. Per questo motivo vogliamo illustrarvi l’iter e i passaggi da seguire per chiudere un’attività e la relativa partita IVA.

Come chiudere la partita iva automaticamente

L’argomento è regolamentato dal Decreto Legislativo 193/2016, art. 7-quarter, comma 44/45. Il DL ha sostituito le precedenti disposizioni previste dal DL 471/1997, nel quale era prevista l’applicazione di una sanzione che andava dai 500€ ai 2000€,in caso di mancata comunicazione di cessazione attività.

Il DL 193/2016 prevede la chiusura automatica di tutte le partite IVA che non emettono fatture elettroniche e cartacee, da almeno tre anni consecutivi.

Come chiudere partita IVA: la domanda da inoltrare

Oltre alla chiusura automatica dopo tre anni di inattività, una partita IVA può essere cessata anche sotto richiesta diretta. La domanda deve essere inoltrata per scritto all’Agenzia delle Entrate (AdE) entro 30 giorni dalla data di cessazione dell’attività. La domanda è composta da due diversi moduli:

  1. Modello AA9/12 per le persone fisiche
  2. Modello AA7/10 per enti, società e associazioni (persone giuridiche)

Entrambi i modelli possono essere scaricati direttamente dal sito di AdE. Oltre a questi moduli AdE richiede anche la presentazione della dichiarazione di cessazione attività, sempre entro la stessa tempistica. La richiesta deve essere inoltrata dal titolare della partita IVA.

I modelli devono essere compilati seguendo tutte le indicazioni dettate e previste da Agenzia delle Entrate, facendo particolare attenzione al codice attività e all’indicazione della data di chiusura della partita IVA.

Le ditte individuali iscritte nei registri per le imprese, oltre alla dichiarazione di cessazione attività, da presentare ad AdE, devono inviare la stessa comunicazione anche in Camera di Commercio. Tale comunicazione interrompe l’obbligo del pagamento del diritto camerale e cancella dalla gestione separata INPS, commercianti e artigiani.

Se la ditta individuale non è iscritta al registro delle imprese, non è necessaria la comunicazione di fine attività.

Come chiudere la partita iva

Codice ATECO

Come ricordato nei paragrafi precedenti, sui modelli da presentare per la richiesta di chiusura partita IVA, è necessario indicare il codice dell’attività (codice ATECO). Solo indicando questo codice l’attività sarà cessata effettivamente. Il codice è sempre consultabile sul cassetto fiscale, al quale è possibile accedere con i propri dati personali.

Ricordiamo che il cassetto fiscale permette di accedere alla propria posizione fiscale personale presso il sito di Agenzia delle Entrate.

Presentazione dei modelli AA9 e AA7

Entrambi i modelli possono essere presentati:

  • in duplice copia presso l’ufficio di agenzia delle Entrate (indipendentemente dal domicilio fiscale dell’utente)
  • in un unico esemplare tramite posta raccomandata, allegando documento copia di un documento di identità fronte/retro e in corso di validità

Per via telematica (in questo la caso la comunicazione coinciderà con quella di ricezione dei dati da parte di AdE).

La dichiarazione di cessazione attività invece può essere presentata esclusivamente per via telematica da parte di tutti i soggetti iscritti nei registri delle imprese.

Quanto costa chiudere la partita IVA

In generale la chiusura della partita IVA non presenta alcun costo. Ricordiamo solamente la marca da bollo. Le ditte individuali iscritte nel registro delle imprese, per chiudere partita IVA, devono pagare una marca da bollo (di circa € 17,50) entro 30 giorni dalla cessazione attività.

Il momento giusto per chiudere partita IVA è quello in cui tutte le prestazioni relative all’attività di lavoro autonomo sono state incassate. Fino a quando ci saranno importi da incassare, la partita IVA deve rimanere aperta, per permettere la fatturazione elettronica o cartacea di tutte le operazioni.