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Canone unico patrimoniale: ecco come calcolare le tariffe

Il canone unico patrimoniale è un argomento di interesse molto attuale. Il MEF tramite Risoluzione n° 1 del 31 gennaio 2022 ha chiarito ai comuni criteri e limiti per determinarne le tariffe. Il CPU ha sostituito dal 1° gennaio 2021:

  • imposta/canone sulla pubblicità
  • diritto di affissione
  • tassa/canone per l’occupazione spazi e aree pubbliche
  • canone previsto all’art.27, commi 7 e 8, del codice della strada.

Deve essere corrisposto al comune, piuttosto che alla provincia, o alla città metropolitana. Comprende qualunque altro canone ricognitorio o concessorio previsto dai regolamenti e locali.

Canone unico patrimoniale: cosa prevedeva la legge del 27 dicembre 2019

Il MEF ha stabilito i criteri per determinare le tariffe da applicare come canone unico patrimoniale relativo alle occupazioni in aree di mercato. Finora i vari comuni avevano applicato l’art.1, comma 837 della legge 27 dicembre 2019, che prevedeva:

“coefficienti moltiplicatori delle tariffe per le occupazioni di cui ai commi 841 e 842, in base al valore economico della strada o piazza in cui si svolge l’occupazione e coefficienti moltiplicatori delle tariffe per il presunto sacrificio economico imposto alla collettività”.

L’esistenza di coefficienti moltiplicatori, ha però fatto lievitare, in modo anomalo ed esagerato, le tariffe del CPU. Una situazione che ha messo in crisi il settore stesso. Per questo motivo il MEF ha voluto chiarire tutti i criteri da utilizzare per determinare, in modo unico e insindacabile, il CPU da applicare.

Canone unico patrimoniale: tutte le novità del 2022

Sempre nella legge n. 160 del 2019 all’art. 1, comma 817, il legislatore ha previsto che il canone unico patrimoniale, sia gestito e stabilito direttamente dai vari enti. Deve essere calcolato in modo tale da garantire un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone, elencati a inizio articolo. Gli enti conservano comunque sempre la possibilità di variare il gettito, attraverso le tariffe stesse.

Comuni, provincie e città metropolitane devono disporre un proprio regolamento che disciplini e stabilisca il canone di concessione per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio, o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate.

Nelle nuove disposizione è previsto che il canone unico patrimoniale sostituisca:

  1. tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche
  2. canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche,
  3. limitatamente ai casi di occupazioni temporanee i prelievi sui rifiuti (ai commi 639, 667 e 668 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147).

Canone unico patrimoniale

Il documento stabilisce inoltre che l’ente, nel determinare la tariffa deve tenere conto di diversi fattori:

  • durata dell’occupazione
  • tipologia di occupazione
  • superficie occupata, espressa in metri quadrati
  • zona del territorio in cui è effettuata l’occupazione stessa

CPU: le diverse tipologie di occupazione

Uno dei criteri da prendere in considerazione per determinare il CPU è la natura dell’occupazione dell’area. Esistono, infatti, diverse tipologie di occupazione:

  • permanenti
  • temporanee
  • ricorrenti

Le occupazioni permanenti sono quelle che si protraggono per tutto l’anno solare. Le temporanee sono quelle che si protraggono per un periodo inferiore all’anno solare. Infine le ricorrenti sono quelle per le quali sono rilasciate concessioni per periodi che si ripetono nel tempo. Per ciascuna tipologia è stabilita una tariffa di base. Per le occupazioni temporanee la tariffa può essere variata entro determinati limiti stabiliti dagli enti, in base al frazionamento in ore, fino a un massimo di nove.

La suddivisione deve tenere conto di:

  • orario effettivo di occupazione
  • superficie occupata

sono anche previste delle eventuali riduzioni, fino all’azzeramento del canone, oppure vere e proprie esenzioni, o aumenti, sempre nella misura massima del 25% delle tariffe stesse.

I mercati rientrano nella tipologia di occupazione ricorrente. Per questa categoria specifica è applicata una riduzione del 30%-40% sul canone unico patrimoniale.

Con le nuove disposizioni, l’Ente locale mantiene comunque il potere di disporre a proprio piacimento del CPU, stabilendone il canone. Sono però stabilite delle regole, uguali per tutti, per determinare le tariffe. Norme inderogabili che devono sempre essere rispettate durante il calcolo dei coefficienti moltiplicatori. Di conseguenza, la determinazione dei coefficienti moltiplicatori per le occupazioni temporanee, diventa legittima solo se effettuata nel pieno rispetto dei limiti sanciti dal MEF.

Modulo F24: cos’è, come si può usare e tipologie esistenti

Il modulo F24 è un pratico strumento di pagamento. Lo abbiamo già rammentato in diverse occasioni, ad esempio  nell’articolo sulle metodologie di pagamento dell’acconto IVA, oppure quando parlavamo del ravvedimento operoso 2021. Esistono diverse tipologie di f24, per l’esattezza tre: base, accise ed elide. In questo articolo vogliamo andare a indicarvi gli elementi necessari per capire la differenza tra i vari modelli esistenti e sapere esattamente quando e per cosa possono essere usati.

Modulo F24: cos’è e modelli a disposizione

È già chiaro che il modulo F24 è uno strumento semplice e versatile con il quale è possibile effettuare dei pagamenti, anche online. I modelli disponibili sono tre:

  • Base – è il modello maggiormente utilizzato dai contribuenti che serve a pagare la maggior parte dei contributi, delle imposte e dei tributi
  • Accise – si differenzia dal modello precedente perché contiene una specifica sezione relativa, appunto, al pagamento delle accise, ma anche dei tributi di Monopolio e altre somme. Quando si utilizza questo modello non è possibile comprendere importi in compensazione.
  • Elide – serve a pagare l’imposta di registro sui contratti di locazione, l’imposta sui veicoli a motore e altre specifiche tipologie di versamenti per i quali sono necessarie informazioni non trascrivibili direttamente sul modello. In pratica serve per pagare: Imposta di Registro, Imposta di bollo, sanzioni e interessi relativi ai contratti di locazione, Tributi speciali e compensi, IVA per immatricolazione e voltura di mezzi di trasporto immatricolati nella UE e Contributi previdenziali INPS.

Quindi, prima di procedere a un qualunque pagamento, è bene individuare il modello esatto da usare.

Modulo F24

Tributi e imposte che si possono pagare con l’F24

Per quali tributi e imposte è possibile utilizzare il modulo F24 per effettuare il pagamento? Le imposte e i tributi (imposte, tasse, contributi previdenziali, tributi locali e accise) pagabili attraverso questo sistema, sono molteplici:

A ogni tributo corrisponde uno specifico codice tributo che deve essere indicato nel modulo f24. Si tratta di codici specifici e identificativi di ciascun tributo o imposta. Agenzia delle Entrate ha predisposto un link apposito, al quale è possibile cercare e trovare il codice tributo relativo alla propria imposta/tributo da pagare.

Modelli F24 per pagamento online

I modelli F24 possono essere usare per effettuare i pagamenti dovuti a ogni singola scadenza. Chi possiede una partita IVA deve, obbligatoriamente, effettuare il pagamento in modalità telematica. Questo è quanto previsto dall’articolo 37,comma 49, del D.L. n. 04/07/2006, n. 223. Esistono comunque delle specifiche eccezioni, vale a dire precisi casi d’esenzione.

Per pagare utilizzando un modulo F24 bisogna seguire delle precise regole:

  • I privati che devono pagare importi superiori a 1000€, o che utilizzano crediti in compensazione, a saldo zero, non possono più portare l’F24 cartaceo in banca. Anche loro dovranno quindi pagare l’F24 telematicamente
  • L’F24 cartaceo è possibile solo se precompilato dall’ente impositore, di qualsiasi importo. Non devono però essere presenti crediti in compensazione
  • È possibile infine pagare con modello cartaceo per i beneficiari di agevolazioni fiscali riconosciute sotto forma di crediti d’imposta, utilizzabili in compensazione esclusivamente presso gli agenti della riscossione

F23 VS F24

Il modello F23 non esiste più. Serviva per effettuare il pagamento dell’imposta di registro relativa ai contratti di comodato gratuito. Il modulo F24 invece si utilizza per il pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali.  L’unico modello di pagamento delle imposte con elementi identificativi è il modello F24.

Acconto iva: versamento, codice tributi e sanzioni per mancato pagamento

L’articolo precedente: “Calcolo acconto IVA: definizione, soggetti passivi iva e metodologie” ha introdotto un argomento caro a moltissimi contribuenti: il calcolo e le tempistiche dell’acconto IVA di fine anno. Entro il 27 dicembre di ogni anno, infatti, i soggetti passivi IVA, sono tenuti a versare l’acconto sull’imposta all’amministrazione finanziaria. Abbiamo, quindi, visto quali sono i soggetti obbligati a tale impegno e come può essere calcolato l’acconto di fine anno (metodo storico, previsionale e analitico). Continuiamo adesso a esplorare l’argomento andando a vedere, nel dettaglio, com’è possibile materialmente effettuare il versamento dell’acconto, quali sono i codici tributo identificativi e le eventuali sanzioni per versamento insufficiente.

Acconto IVA: ecco come effettuare i pagamenti

Una volta calcolato l’importo da versare, l’acconto può essere saldato utilizzando un modello F24, in modalità, esclusivamente, telematica. È possibile, inoltre, effettuare compensazione dell’importo dovuto a titolo d’acconto. Una scelta che può essere presa liberamente. La compensazione può essere effettuata con eventuali crediti di imposte o contributi di cui si dispone. Logico che debba trattarsi di crediti derivanti da dichiarazioni valide e presentate regolarmente.

I contribuenti trimestrali non devono, in questo caso, applicare gli interessi dell’1%. L’acconto versato deve essere poi sottratto all’IVA da versare il mese di dicembre (contribuenti mensili), in sede di dichiarazione annuale IVA (contribuenti trimestrali), o dalla liquidazione del quarto trimestre per i contribuenti speciali.

Codice tributo acconto IVA: come compilare correttamente l’F24

Il modello F24 da utilizzare per il pagamento dell’acconto IVA deve riportare, come sempre, determinati codici tributo. In questo specifico caso quelli da indicare sono:

  • 6013 – contribuenti mensili
  • 6035 – per i contribuenti trimestrali

Acconto iva

Mentre per quanto riguarda l’anno di imposta da trascrivere è sempre quello durante il quale si sta effettuando il pagamento stesso.

Scadenza acconto IVA

Ricordiamo che la scadenza prevista per il pagamento dell’acconto IVA dell’anno corrente, è sempre il 27 dicembre. Nel caso in cui il versamento non è effettuato, oppure è eseguito in ritardo, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 30%.

Sanzioni amministrative: cosa succede se l’acconto non è versato o versato in ritardo?

Come abbiamo poco prima visto, nel caso in cui l’acconto IVA non venga pagato entro i termini previsti (27 dicembre), o pagato in un importo non sufficiente, l’amministrazione finanziaria ha previsto l’applicazione di eventuali sanzioni. Nello specifico si tratta del 30% che può comunque essere regolarizzata mediante il ravvedimento operoso.

Il ravvedimento operoso è uno strumento attraverso il quale il contribuente ha la possibilità  di regolarizzare la propria posizione fiscale. Relativamente all’acconto IVA, il contribuente può pagare con il ravvedimento operoso, tramite modello F24:

  • l’imposta dovuta
  • interessi pari all’1% calcolati a giorni
  • la relativa sanzione prevista ex articolo 13, comma 1, del D.Lgs. n. 472/97

La sanzione è applicata in misura diversa a seconda di quando è effettuato il pagamento:

  • dallo 0,2% al 2,8%, se il pagamento è effettuato entro 14 giorni dalla scadenza. Per ogni giorno di ritardo è applicato lo 0,2%. Questa formula prende il nome di ravvedimento sprint
  • 3% se il pagamento è eseguito tra 15 e 30 giorni dalla scadenza
  • 3,75% se il pagamento è eseguito oltre 30 giorni ed entro il termine di presentazione del modello Iva relativo all’anno in corso

Il ravvedimento operoso consente quindi al contribuente di regolarizzare la propria posizione fiscale in caso di mancato, omesso o insufficiente pagamento di imposte e tributi (in questo caso specifico relativamente parlando dell’acconto IVA).

Il ravvedimento si esegue effettuando il pagamento del tributo, della sanzione e degli eventuali interessi calcolati. La violazione inizia dal giorno di scadenza del termine previsto. Da lì in poi, quindi, sono calcolati gli interessi da pagare.

Acconto IVA: conclusioni

La fine dell’anno corrisponde sempre a un obbligo molto importante per tutte le partite iva. Il calcolo acconto iva e il relativo pagamento entro il 27 di dicembre, segna la chiusura dell’ultimo periodo dell’anno. Vista la particolarità dell’anno in corso, è sempre bene valutare attentamente il metodo da utilizzare per il calcolo e informarsi sempre se l’Esecutivo avesse in programma delle eventuali nuove proroghe.

Calcolo acconto iva: definizione, soggetti passivi iva e metodologie

Il calcolo acconto IVA è, ogni anno, un bel cruccio per tutti i soggetti passivi IVA. Il 27 dicembre 2021 scade il termine per il pagamento dell’acconto IVA. L’importo dovuto è quello calcolato in base alle risultanze dell’ultimo periodo di versamento, relativo all’anno precedente. Diversi i metodi per calcolarlo. Con questo breve articolo vogliamo quindi vedere di chiarire, una volta per tutte, cos’è l’acconto, quali sono i soggetti che sono tenuti a pagarlo e, soprattutto, i metodi usati per calcolarlo.

Acconto IVA: cos’è e a cosa serve

L’acconto IVA è un adempimento obbligatorio. Deve essere corrisposto da tutti i soggetti passivi IVA entro il 27 dicembre di ogni anno. L’amministrazione finanziaria chiede il pagamento di un acconto dell’imposta dovuta nell’ultimo trimestre dell’anno, oppure relativo all’IVA di dicembre (per chi effettua liquidazioni mensili).

Si tratta, quindi, di un anticipo del versamento del saldo IVA che invece viene corrisposto l’anno successivo al momento della dichiarazione IVA annuale. È un modo, attraverso il quale, l’Amministrazione finanziaria, incassa parte dell’IVA dell’anno successivo, in quello precedente. Non tutti gli operatori economici sono comunque tenuti a versare l’acconto.

Soggetti passivi IVA: chi è tenuto a pagare l’acconto

Il calcolo acconto IVA lo devono fare tutti i contribuenti passivi d’IVA, come imprenditori e liberi professionisti. I soggetti che invece risultano esonerati da questo pagamento, sono tutti quelli non obbligati a liquidare periodicamente l’imposta (mensile, trimestrale che sia).

Il DPR n°633/72 definisce, nel dettaglio, tutti i soggetti esonerati dal calcolo acconto IVA e relativo pagamento:

  • chi ha iniziato attività nell’anno in corso
  • chi ha attività che risulti cessata prima del 30 novembre (mensili) o del 30 settembre (trimestrali)
  • i soggetti per i quali, applicando il metodo analitico di calcolo acconto IVA, risulta un’eccedenza di credito dalla liquidazione dell’imposta, alla data del 20 dicembre
  • i contribuenti che si trovano nel regime agevolato dei minimi o nel regime forfettario
  • chi presume di chiudere l’anno a credito
  • tutti i soggetti che eseguono solo operazioni esenti o non imponibili

Calcolo acconto iva

Calcolo acconto IVA: i metodi utilizzati

Il calcolo acconto IVA può essere fatto seguendo tre diverse metodologie. Chi è interessato al pagamento dell’acconto, quindi ditte individuali, società di persone e capitali e lavoratori autonomi, hanno a disposizione tre alternative per calcolare quanto dovuto all’amministrazione finanziaria.

Ciascuna tipologia di calcolo presenta un metodo differente e caratteristiche diverse. I tre metodi possono poi essere applicati rispettivamente, solo in base a determinate circostanze e situazioni. In ogni caso, comunque, gli importi versati in qualità di acconto, saranno poi detratti dal saldo dovuto l’anno successivo.

I tre metodi previsti per il calcolo acconto IVA sono:

  1. storico
  2. analitico
  3. previsionale

Vediamoli meglio nel dettaglio.

Calcolo acconto IVA: metodo storico

In questo caso il calcolo è fatto matematicamente. Gli importi sono determinati in base al saldo dell’anno precedente (contribuenti trimestrali) o in base alla liquidazione IVA del mese di dicembre (contribuenti mensili). L’acconto IVA dovuto, infatti, è pari all’88% dell’Iva dovuta. Esiste poi la categoria particolare dei contribuenti speciali ((autotrasportatori, distributori di carburante, odontotecnici) per i quali, gli importi corrispondono all’88% del quarto trimestre dell’anno precedente. Il metodo storico è quello che di norma è più comunemente utilizzato.

Calcolo acconto IVA: metodo analitico

In questo caso è presa in considerazione la liquidazione IVA straordinaria. È un sistema che basa il calcolo sulla percentuale del 100% dell’IVA risultante da una liquidazione straordinaria effettua considerando:

  • tutte le operazioni attive effettuate fino al 20 dicembre
  • le operazioni passive registrate fino al 20 dicembre

è un metodo che conviene a chi ha registrato nell’anno in corso, una sostanziale diminuzione del volume d’affari.

Calcolo acconto IVA: metodo previsionale

Come dice il nome stesso, è un metodo di calcolo che si basa su una previsione dell’andamento dell’azienda nel periodo considerato. La previsione è fatta basandosi sull’andamento del mese di dicembre. L’acconto quindi sarà pari all’88% dell’IVA che si prevede di dover versare per il mese di dicembre dell’anno in corso (contribuenti mensili), o per l’ultimo trimestre (contribuenti trimestrali).

Con questo sistema, però, si corre il rischio di vedere applicate delle sanzioni se il versamento risultasse inferiore rispetto al dovuto.

In ogni caso, comunque, l’acconto va versato entro e non oltre il 27 dicembre di ogni anno utilizzando un modello F24 con modalità telematica.

Identificazione diretta ai fini iva: come funziona la procedura di richiesta

Nell’articolo precedente: “Identificazione diretta iva: cos’è e qual è la procedura da seguire” abbiamo visto cos’è e a cosa serve l’identificazione diretta. Riassumendo è quell’operazione necessaria ad un soggetto estero che opera in Italia, di adempiere correttamente agli obblighi tributari e fiscali ai fini IVA. Oggi vogliamo concludere l’argomento riportando la procedura esatta che le aziende straniere dovrebbero seguire per l’identificazione diretta ai fini IVA quando operano su territorio italiano.

Identificazione diretta ai fini IVA: procedura

I soggetti esteri non residenti in Italia, che operano su territorio nostrano, sono tenuti all’identificazione diretta ai fini IVA per assolvere agli obblighi di imposta. La materia è disciplinata dall’ articolo 35-ter del DPR n. 633/72, che riporta l’intera procedura che deve essere seguita.

La prima fase della procedura di identificazione diretta a i fini IVA prevede l’inoltro della richiesta. La società estera che intende operare in Italia, ma non è residente sul nostro territorio, prima di avviare qualunque attività deve presentare ad Agenzia delle Entrate il modello ANR/3. Le richieste possono essere inoltrate esclusivamente presso l’Agenzia delle Entrate – Centro operativo di Pescara – Via Rio Sparto 21 – 65100 Pescara. La documentazione può essere recapitata di persona all’ufficio, oppure inviata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno (obbligatorio, in questo secondo caso, allegare copia fotostatica di un documento di identificazione del dichiarante e la certificazione attestante la qualità di soggetto passivo agli effetti dell’IVA posseduta nello Stato di appartenenza).

Tutti i documenti da presentare

Al modello ANR/3 devono essere allegati una serie di documenti ben precisi:

  • Certificato originale rilasciato dalle Autorità Fiscali del Paese dove ha sede legale l’impresa che attesti l’iscrizione ai fini IVA
  • Certificato aggiornato e originale rilasciato della Camera di Commercio del Paese dove ha la sede legale l’impresa
  • Traduzione in lingua italiana dell’intera documentazione presentata
  • Copia fronte retro valida di un documento di identità del firmatario o del legale rappresentante
  • Dichiarazione dove sono specificate: le attività svolte nel paese estero, l’attività che verrà svolta in Italia, le motivazioni della richiesta, l’identificazione di tutti i soggetti verso i quali si rivolge l’attività in Italia e che il soggetto straniero non è in possesso di una stabile organizzazione su nostro territorio.

Verifica della richiesta e risposta dell’Agenzia delle Entrate

Una volta che Agenzia delle Entrate ha ricevuto l’intera documentazione sopra elencata, ne controlla il contenuto e la correttezza e risponde al soggetto estero con l’avvenuta identificazione diretta ai fini IVA e il rilascio della partita IVA. Da quel momento in poi, il soggetto straniero è tenuto ad assolvere tutti gli obblighi IVA previsti dalla legge italiana.

Identificazione diretta ai fini iva

Se il soggetto estero sfora annualmente la soglia di 10.000, deve auto certificare nel modello di attribuzione della partita IVA il volume delle vendite per il quale avrebbe dovuto essere applicata l’IVA italiana. È possibile effettuare il pagamento tramite l’istituto del ravvedimento operoso.

Adempimenti

Il soggetto estero identificato IVA in Italia deve:

  • eseguire fatturazione
  • provvedere alla registrazione delle fatture di tutte le operazioni attive e passive effettuate
  • eseguire la liquidazione IVA e provvedere ai versamenti periodici
  • può richiedere eventuali rimborsi IVA trimestrali
  • effettuare la dichiarazione IVA annuale
  • redigere e conservare registri e documenti relativi all’INTRASTAT

Per i soggetti esteri non vi è obbligo di fatturazione elettronica. Inoltre possono effettuare i pagamenti tramite:

Infine, il modello ANR è quello che deve essere utilizzato anche per comunicare eventuali variazioni di uno o più dati indicati al momento della procedura per l’identificazione diretta ai fini IVA. Lo stesso vale anche in caso di cessazione di attività che deve essere comunicata sempre con il medesimo modulo. Come sempre il modello deve essere consegnato a mano, oppure inviato con raccomandata con ricevuta di ritorno presso gli uffici di Pescara dell’Agenzia delle Entrate.

La procedura per ottenere la partita IVA è particolarmente lunga, perché, purtroppo, non è ancora stata informatizzata. Si tratta inoltre di una procedura piuttosto dispendiosa. A causa di questi motivi, la maggior parte delle aziende estere preferisce procedere all’identificazione tramite stabile organizzazione, oppure nominando un rappresentante fiscale nel Bel Paese. L’unico vantaggio a procedere con l’identificazione diretta ai fini IVA è il fatto che il soggetto estero non diventa soggetto di diritti e obblighi in Italia ai fini delle imposte dirette.

Identificazione diretta iva: cos’è e qual è la procedura da seguire

Sono ancora in molti a chiedersi come funziona la procedura per l’identificazione diretta iva in Italia e qual è la documentazione da presentare. Le aziende estere che si trovano a operare nel nostro paese tramite, ad esempio, e-commerce, potrebbero aver bisogno dell’identificazione diretta ai fini IVA. Per le operazioni eseguite su territorio straniero da una società non residente, l’IVA applicata e dovuta è quella del paese prestatore. Se l’attività all’interno del territorio dell’UE supera i 10.000 euro annuali, allora è obbligatoria l’identificazione diretta IVA per le vendite effettuate nel nostro paese. Il soggetto non residente deve, quindi, inquadrare correttamente la propria posizione da un punto di vista fiscale e tributario.

Identificazione diretta IVA: quando è veramente necessaria

Le aziende straniere che intendono operare in Italia, senza avere la residenza, lo possono fare scegliendo di intraprendere una delle seguenti tre possibilità:

  • Creare una società controllata sul nostro territorio (subsidiary). -soluzione più completa di tutte, attraverso la quale è possibile gestire qualunque attività.
  • Creare una branch, cioè una stabile organizzazione in Italia – il soggetto estero, in questo caso, deve avere almeno un ufficio o una sede fissa su territorio italiano, senza che vi sia un autonomo soggetto di diritto staccato dall’azienda estera.
  • Identificazione diretta iva – in questo caso la società estera non ha nessuna presenza fisica in Italia, ma vi svolge ugualmente un’attività commerciale (tramite e-commerce).

Scegliere l’una o l’altra opzione, dipende dal grado di presenza della società straniera sul nostro territorio. L’identificazione diretta IVA è disciplinata dall’art. 35-ter del DPR n. 633/72. Le aziende straniere che vendono in Italia tramite e-commerce e superano i 10.000 euro annui di fatturato, hanno l’obbligo di identificarsi ai fini IVA. Devono inoltre applicare il regime IVA OSS per adempiere agli obblighi IVA previsti.

Identificazione diretta IVA VS rappresentante fiscale

Identificazione diretta IVA e nomina di un rappresentante fiscale, sono procedure tra loro alternative. La nomina del rappresentante fiscale riguarda i soggetti passivi IVA residenti in un Paese extra-UE. Tali soggetti non possono ricorrere alla procedura di identificazione diretta IVA e, per aprire partita IVA devono quindi nominare un rappresentante fiscale.

Identificazione diretta iva

Identificazione diretta a fini IVA: norme di riferimento e funzionamento

L’identificazione diretta IVA è regolata dal

La procedura dell’identificazione è riservata a tutti quei soggetti che esercitano attività di impresa, di arte o professione all’interno di uno stato dell’Unione Europea. Questa è applicata in alternativa alla stabile organizzazione e alla nomina di rappresentante fiscale. La procedura si attiva quando la società estera cede beni o presta servizi territorialmente rilevanti in Italia. Le operazioni di cessione sono rivolte a soggetti come:

  1. Privati consumatori
  2. Enti non commerciali privi di partita IVA
  3. Soggetti non residenti anche se in possesso di partita Iva

Tutte le operazioni eseguite nei confronti di altre imprese sono soggette all’emissione di fattura elettronica. La fattura non riporterà, in questo caso, l’indicazione della partita IVA italiana. Il soggetto committente italiano, invece, deve registrare la ricevuta del soggetto estero attraverso la procedura del Reverse Charge con il meccanismo dell’autofattura, oppure dell’integrazione contabile.

Responsabilità tributaria

Al pari dell’identificazione, anche la responsabilità tributaria riveste un ruolo molto importante per i soggetti esteri che operano in Italia. La responsabilità tributaria è imputabile all’azienda estera. È necessario fare comunque una distinzione tra imposte dirette  e imposte indirette.

Il soggetto straniero che opera in Italia non assume il territorio nostrano come fiscalmente rilevante. Mantiene quindi quello di origine come riferimento per i tributi. Nonostante questo, la società estera non residente diventa comunque soggetto destinatario di diritti e obblighi previsti dalla normativa fiscale. La legge infatti stabilisce che per le operazioni rilevanti nel territorio dello Stato ai fini IVA, il soggetto rimane obbligato al pagamento.

Al contrario, per quanto riguarda invece le imposte sui redditi, il soggetto estero che opera in Italia, non assume residenza sul nostro territorio, non diventa soggetto di diritto a cui possono essere imputati diritti e obblighi tributari. Tale soggetto rimane assoggettato alle imposte dirette nel Paese in cui risulta essere fiscalmente residente.

Tuir: cos’è e a cosa serve il Testo Unico delle Imposte sui Redditi

Tuir è acronimo di Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come dice il nome stesso, disciplina  la tassazione dei redditi di qualunque tipologia di contribuente. Che si tratti di persona fisica, piuttosto che di società, il TUIR è sempre il punto di riferimento a cui rivolgere la propria attenzione. È presente in Italia dal 1986, quando venne introdotto nell’ordinamento dal D.P.R. 917. È in continuo divenire, sempre in aggiornamento per stare al passo con i tempi e disciplinare al meglio l’argomento (spinoso) legato alla tassazione dei redditi. Si tratta di un argomento piuttosto lungo e complesso, più che altro forse, spinoso perché tocca un soggettivamente chiunque. Non si tratta infatti, di una normativa che riguarda esclusivamente le società, i liberi professionisti, le PMI e i commercianti, ma chiunque produca un qualunque tipo di reddito nel nostro paese. Cerchiamo quindi di capire com’è fatto, cosa contiene e a cosa disciplina, nello specifico.

TUIR: com’è strutturato

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi è suddiviso in quattro diverse parti:

  • IRPEF
  • IRES
  • Operazioni di carattere straordinario e operazioni di carattere internazionale
  • Disposizioni varie, transitorie e finali

Ciascuna parte è a sua volta suddivisa in Capi svariati Articoli. Per capire meglio la struttura del testo ne riportiamo la suddivisione nei vari capitoli interni:

IRPEF

  • Titolo I – Imposta sul reddito delle persone fisiche

Seguono poi i Capi dal I al VII, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 1-24)
  • Redditi fondiari (artt. 25-43)
  • Redditi di capitale (artt. 44-48)
  • Redditi di lavoro dipendente (artt. 49-52)
  • Redditi di lavoro autonomo (artt. 53-54)
  • Redditi di impresa (artt. 55-66)
  • Redditi diversi (artt. 67-71)

IRES

  • Titolo II – Imposta sul reddito delle società

Seguono poi i Capi dal I al VI, dedicati a:

  • Soggetti passivi e disposizioni generali (artt. 72-80)
  • Base imponibile società/enti commerciali residenti (artt. 81-142)
  • Enti non commerciali residenti (artt. 143-150)
  • Società ed enti commerciali non residenti (artt. 151-152)
  • Enti non commerciali non residenti (artt. 153-154)
  • Base imponibile per alcune imprese marittime (artt. 155-161)

Tuir

Disposizioni comuni

  • Titolo III – Disposizioni comuni

Seguono poi i Capi dal I al V, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 162-164)
  • Redditi prodotti all’estero e rapporti internazionali (artt. 165-169)
  • Operazioni straordinarie (artt. 170-177)
  • Operazioni straordinarie fra soggetti di diversi stati membri UE (artt. 178-181)
  • Liquidazione volontaria e procedure concorsuali (artt. 182-184)

Titolo IV – Disposizioni varie, transitorie e finali (artt. 185-191)

TUIR: modifiche e aggiunte

Come detto in apertura articolo, il TUIR è un testo sempre in continuo aggiornamento, che cerca di stare così al passo con i tempi. Lo scopo dei vari aggiornamenti, è quello di riuscire a disciplinare al meglio una materia vasta e complessa che cambia di anno in anno in base alla nascita di nuove esigenze fiscali ed economiche, nonché di dinamiche socio-politiche. Le varie modifiche apportate al testo unico vanno, di conseguenza, a incidere su ogni singolo contribuente italiano. Dalla persona fisica, all’azienda più piccola, fino ad arrivare alle società strutturate in compagnie maggiori che emettono ogni anno diverse centinaia di migliaia di fatture elettroniche.

Una delle ultime e più importanti modifiche al TUIR è stata quella applicata con il DLGS 344 del 12 dicembre 2003. Questa norma ha infatti introdotto nel testo unico l’IRPEG= Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche e l’IRES=Imposta sul Reddito delle Società. 

Per quanto riguarda l’IRES, negli articoli: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” e “Irpef e Ires: cosa sono e come funzionano” abbiamo già visto cos’è e quando grava sulle spalle dei contribuenti. Per quanto riguarda invece l’IRPEG, spendiamo qualche parola.

L’IRPEG è stata il precursore dell’IRES. Era una imposta italiana di tipo proporzionale. Dal 1° gennaio 2004 è stata definitivamente sostituita dall’IRES. Lo scopo è stato quello di disciplinare il regime fiscale dei capitali e delle imprese seguendo il modello prevalente nei Paesi membri dell’Unione Europea. Ai tempi fu una modifica radicale e profonda per il Testo unico sulle imposte sui Redditi, che segnò un punto di svolta per tutti. Il Decreto Legislativo artefice di questa modifica fu il 12 dicembre 2003, n. 344 “Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80“.

Accertamento sintetico: cos’è e come funziona

L’accertamento sintetico, conosciuto più comunemente come redditometro, è uno strumento utilizzato dal Fisco. Serve a determinare il reddito presunto dei contribuenti. Basa i calcoli sulle spese sostenute ed effettuati dai vari soggetti. È presente in Italia dal lontano 1973, ma rivisitato e potenziato nel 2010 in seguito al decreto legge n° 78.

Questo strumento è utilizzato dall’Agenzia delle Entrate. Serve quindi a determinare il reddito complessivo netto dei contribuenti e prende in esame le spese generiche sostenute dai vari soggetti. In base alle spese, Ade, determina il reddito netto e spetta al contribuente la prova contraria. In altre parole è a carico dell’utente dimostrare all’Agenzia delle Entrate che le spese sostenute sono state pagate con redditi diversi da quelli posseduti durante il periodo d’imposta (vale a dire preso in esame), oppure con redditi che non partecipano alla formazione del reddito imponibile, o ancora con redditi soggetti, o esenti, dalla ritenuta alla fonte.

Accertamento sintetico: dalle origini ad oggi

Per conoscere meglio questo particolare strumento del Fisco, partiamo proprio dalle sue origini. È introdotto nel 1973, dall’articolo n°38, c. 4 a 8, DPR n°600/1973. Fino al 2008 l’accertamento sintetico previsto dalla legge, prevedeva:

“… Con riferimento esclusivo alle persone fisiche, che prevede che l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39 del DPR n. 600/1973, può in base ad elementi e circostanze di fatto certo, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.

Nel 2010 le disposizioni sono state rivisitate. Oggi, infatti, l’accertamento sintetico e quindi il relativo redditometro consiste nella:

“… Determinazione sintetica del reddito complessivo ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. L’ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fi ni dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione”.

Una forma leggermente diversa, con termini modificati che, in sostanza, comunque prevede sempre il redditometro quale strumento per l’accertamento del reddito netto di un contribuente. A lui poi l’onere della prova contraria.

Accertamento sintetico

Accertamento sintetico: a chi si applica

L0’accertamento sintetico è applicabile a tutte le persone fisiche ai fini di determinare l’imposta sul reddito. È inoltre applicabile a tutte le persone fisiche  che esercitano imprese, arti e professioni. In quest’ultimo caso il reddito complessivo dei soggetti deve risultare essere inferiore a quello a loro attribuibile, in base a tutte le spese sostenute nel periodo d’imposta esaminato e ai relativi indici di capacità contributiva. In altre parole si ricorre al redditometro, solo quando il reddito presunto supera di almeno il 20% di quello realmente dichiarato.

Il calcolo del reddito è eseguito in base a specifici indicatori di capacità contributiva. Il Fisco prende in esame specifiche spese sostenute dal soggetto durante il periodo d’imposta e ne moltiplica gli importi per determinati coefficienti di riferimento. I coefficienti sono legati alla classe di appartenenza del contribuente.

Accertamento sintetico: ecco come funziona

Cerchiamo adesso di capire nel dettaglio come funziona l’accertamento sintetico. Le caratteristiche prese in considerazione sono tre:

  • Composizione familiare – i calcoli sono effettuati valutando la situazione familiare del contribuente. Quindi si tiene conto se è single, oppure in coppia e se ha o no dei figli.
  • Età – tre i diversi scaglioni di appartenenza: fino a 35 anni, da 35 a 64 anni e oltre i 65 anni.
  • Area geografica di riferimento – in base alla residenza del contribuente sul territorio nazionale.

Ogni contribuente è identificato all’interno di specifiche classi. A ciascuna classe corrispondono dei coefficienti. Le spese effettuate dai contribuenti nell’arco del periodo d’imposta, sono moltiplicate per i relativi coefficienti. Il risultato corrisponde al presunto reddito netto. Agenzia delle Entrate, dopo aver calcolato l’importo, invia comunicazione al contribuente. In seguito alla ricezione dell’avviso, spetta al contribuente presentarsi presso gli uffici AdE competenti per territorio, e fornire le prove che giustificano le eventuali differenze tra spese e reddito dichiarato.

Successivamente all’accertamento sintetico, il contribuente può richiedere un accertamento di adesione. Agenzia delle Entrate mette inoltre a disposizione un sistema, chiamato Redditest che consente di calcolare preventivamente un’eventuale congruenza tra reddito dichiarato e spese sostenute.

Ravvedimento operoso 2021: cos’è, come funziona e quali sanzioni prevede

Il ravvedimento operoso è un istituto che permette ai contribuenti di sanare spontaneamente irregolarità fiscali, beneficiando di una riduzione delle sanzioni. Questo strumento è particolarmente utile in caso di:

  • Omessi o tardivi pagamenti di imposte e contributi
  • Errori in dichiarazione che hanno portato a un calcolo errato dell’imposta dovuta
  • Tardiva emissione di fatture elettroniche

Ravvedimento operoso 2021: quando si applica e quali sono i vantaggi

Lo strumento del ravvedimento operoso è utilizzabile da tutti (o quasi) privati cittadini e imprese. Introdotto in Italia dall’art 13 del Decreto legislativo n° 472 del 1997 ha portata a una diminuzione delle sanzioni applicabili a chi commette violazione fiscale. Si può utilizzare nei casi di:

  • versamenti omessi
  • pagamenti ritardati
  • versamenti errati o insufficienti
  • dichiarazione dei redditi omesse, oppure in ritardo, o ancora errate o insufficienti
  • comunicazioni omesse, presentate in ritardo o sbagliate

Ravvedimento operoso 2021

I vantaggi di sfruttare il ravvedimento operoso 2021 si possono riassumere in quattro diversi punti:

  1. pagare una sanzione ridotta in base al numero dei giorni del mancato, ritardato, o insufficiente adempimento
  2. avere la possibilità di saldare un tributo omesso, ritardato o insufficiente
  3. presentare comunicazione o dichiarazione dei redditi omessa
  4. pagare gli interessi di mora legali solo in base al tasso legale annuo stabilito dalla BCE

Ravvedimento operoso 2021: uno strumento versatile e potente

Il meccanismo di funzionamento di questo strumento è piuttosto semplice. In pratica un contribuente, cittadino o impresa che sia, che ha commesso una violazione fiscale, sa che può ricorrere spontaneamente al ravvedimento operoso 2021 per sanare la violazione stessa, pagando solo la sanzione ridotta, il tributo omesso e gli interessi di mora, calcolati sugli effettivi giorni di ritardo.

Il ravvedimento operoso è uno strumento per mettersi in regola spontaneamente. Nessuna lettera, comunicazione, o sollecito è inviata al contribuente per far presente che può pagare una sanzione ridotta, adottando questo sistema. È possibile usufruire del ravvedimento anche quando è già iniziata la procedura di accertamento della violazione, o la sua contestazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Il ravvedimento operoso 2021 è usufruibile solo per mettersi in regola con tributi e tasse dell’Agenzia delle Entrate: IRPEF, IVA, IRAP, imposta di registro, imposta ipotecaria, imposta catastale, di bollo, successione, ecc…

Anche i contribuenti che hanno già ricevuto una lettera di accertamento fiscale, possono ancora ricorrere all ravvedimento operoso. Non è invece più possibile farvi ricorso nei casi in cui la notifica è per atti di liquidazione, accertamento. Allo stesso modo non si può utilizzare questo strumento in caso di ricezione di comunicazione di irregolarità, emessa a seguito di controlli automatici, o del controllo formale delle dichiarazioni dei redditi.

Tipologie di ravvedimento operoso

Ne esistono di ben 5 diverse tipologie, suddivise in base alle percentuali sanzionatorie applicate. I ravvedimenti quindi possono essere:

  • sprint – se il pagamento è effettuato entro i primi 14 giorni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1%
  • breve – se il pagamento è effettuato dal 15° al 30° giorno dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1,5%
  • intermedio – se il pagamento è effettuato entro 90 giorni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1,67%
  • lungo – se il pagamento è effettuato entro lo stesso anno della violazione (o meglio, entro la dichiarazione dei redditi successiva) e corrisponde all’3,75%
  • lunghissimo – se il pagamento è effettuato entro e oltre i due anni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’4,95-5,00%

Calcolo del Ravvedimento Operoso per Tardiva Emissione Fattura Elettronica

In caso di tardiva emissione di fattura elettronica, il calcolo del ravvedimento operoso segue queste regole:

  1. Ritardo fino a 30 giorni: riduzione della sanzione a 1/10
  2. Ritardo tra 31 e 90 giorni: riduzione a 1/9
  3. Entro la scadenza dell’IVA annuale: riduzione a 1/8
  4. Entro un anno dalla scadenza IVA: riduzione a 1/7

Esempio Pratico

Per una fattura emessa con 45 giorni di ritardo:

  • Sanzione base: 250 euro
  • Riduzione applicata: 1/9
  • Importo da versare: 27,78 euro

Il pagamento va effettuato tramite modello F24, utilizzando il codice tributo 8911

Pace contributiva: cos’è, come funziona e chi può beneficiarne

La pace contributiva, da poco introdotta grazie ad una nuova legge, è una misura che permette di andare in pensione prima della scadenza del periodo previsto. Uno strumento che può essere utilizzato dai lavoratori più giovani, per riscattare fino a 5 anni di contributi, scaricando il costo delle tasse. In alcuni casi è previsto anche che l’onere di riscatto sia sostenuto dal datore di lavoro. La pace contributiva può essere utilizzata per andare a coprire vari versamenti di contributi mancanti tra l’anno di iscrizione all’INPS e l’ultimo anno in cui sono stati versati gli ultimi contributi. Gli anni riscattabili però non possono essere già oggetto di obbligo contributivo o coperti da altra contribuzione versata altre forme di previdenza obbligatoria. Il riscatto è inoltre rateizzabile senza interessi.

Pace contributiva: gli anni riscattabili

Esistono dei casi particolari e delle eccezioni alla pace contributiva, ma in linea generale gli anni riscattabili per quasi la totalità dei lavoratori sono:

  • anni di lavoro all’estero
  • corsi di laurea
  • corsi per diplomi universitari, di specializzazione
  • dottorati di ricerca
  • periodi di aspettativa non retribuita per assistenza e cura dei disabili, sino a un massimo di 5 anni
  • congedo familiare per gravi motivi (massimo due anni)
  • congedo parentale al di fuori del rapporto di lavoro (massimo 5 anni)
  • sospensione o interruzione del rapporto lavorativo (massimo 3 anni)
  • formazione professionale
  • studio e ricerca ed inserimento nel mercato di lavoro
  • intervalli tra lavori saltuari e discontinui (come quelli stagionali o temporanei)
  • intervalli tra un part-time e l’altro
  • servizio civile universale (sempre se non coperto da contribuzione obbligatoria

Pace contributiva

Pace contributiva: le forme assicurative previste

Secondo il decreto ministeriale di riferimento è quindi possibile riscattare, in tutto o in parte, anni di mancati versamenti contributivi. Per farlo sono state creare delle formule assicurative particolari:

  • assicurazione generale obbligatoria (AGO), a sua volta suddivisa in:
  1. fondo speciale degli addetti ad attività commerciali, o gestione speciale Commercianti
  2. fondo della previdenza degli artigiani
  3. sistema dei coltivatori diretti/imprenditori agricoli professionali, coloni e mezzadri
  • fondi esonerativi dell’AGO:
  1. ad esaurimento degli spedizionieri doganali (confluita nell’Inps a seguito della soppressione operata nel 1997)
  2. speciale dei lavoratori delle miniere, cave e torbiere
  3. ad esaurimento del consorzio autonomo del porto di Genova e Trieste
  4. speciale dei lavoratori dipendenti di ex-enti creditizi
  • forme sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria (Inpdap, Enpals…)
  • gestione separata

come già specificato, i periodi riscattabili non devono essere soggetti a diverso obbligo contributivo, né coperti da altre forme previdenziali. È possibile riscattare al massimo 5 anni di contributi.

I soggetti beneficiari

La pace contributiva non è aperta a tutti i lavoratori. La possono infatti richiedere e sfruttare solamente i lavoratori:

  • iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, oppure ad altre forme sostitutive ed esclusive, o alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, o, ancora, alla gestione separata
  • non sono già titolari di pensione
  • sono privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995

In altre parole tutti quei lavoratori che contano contributi versati alla data del 31/12/1995, non possono beneficiarne. Allo stesso modo non ne beneficiano i lavoratori iscritti ad una o più casse professionali, oppure che non risultano essere registrati a nessuna gestione amministrata dall’INPS.

Pace contributiva: il calcolo

Gli anni da riscattare con il sistema della pace contributiva sono calcolati con il sistema contributivo. Ci sono quindi alcune regole generali che valgono per tutti i calcoli e le situazioni possibili:

  • ad ogni anno da riscattare va applicata l’aliquota vigente nella gestione previdenziale a cui appartiene l’iscritto (33% per i dipendenti), per il reddito imponibile degli ultimi 12 mesi
  • (imponibile ultimi 12 mesi X aliquota contributiva X numero anni da riscattare)
  • L’imponibile è da rapportare a mese, o settimana qualora non risultino annualità intere
  • quando l’imponibile è inferiore al reddito minimale, o non sono stati percepiti redditi, l’aliquota si applica sul minimale annuo.

Come già anticipato, l’onere del riscatto è rateizzabile, senza interessi, per un massimo di 120 rati, vale a dire 10 anni. Il datore di lavoro volendo può pagare tutto o parte del riscatto, devolvendo i premi di produzione  del lavoratore a tale scopo. In questo caso il costo può essere dedotto dal reddito d’impresa. Per il dipendente questo costo, non è comunque considerato un reddito imponibile.

Il versamento può avvenire in un’unica rata, oppure rateizzato in massimo 120 rate (10 anni). In caso di rateizzazione, ogni rata non può essere inferiore a 30€. Il costo del riscatto, infine, è detraibile nella misura del 50% dall’IRPEF. Questo è ripartito in 5 diverse quote annuali, costanti e di egual importo per ogni anno successivo.