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Prima nota: registro di entrate e uscite

La prima nota è un documento contabile. Si tratta di un registro delle entrate e delle uscite della cassa che non è obbligatorio redigere, ma è sempre molto consigliato. In un’azienda infatti è sempre molto importante avere sotto controllo entrate ed uscite. Lasciare quindi traccia dei movimenti di denaro e dovendoli poi inserire nel bilancio d’esercizio, un registro aiuta a segnare in modo ordinato le entrate e le spese effettuate con i contanti. Un registro che risulta indispensabile per i movimenti economici quotidiani. Non ha una forma determinata, basta che contenga, in ordine di data, i movimenti e le operazioni finanziarie dell’attività. Si tratta di un registro che serve anche a trovare traccia di ogni evento esterno che ha coinvolto l’utilizzo di denaro contante. Risulta particolarmente importante, sia per i liberi professionisti, che per le aziende, perché molto spesso o movimenti in denaro sfuggono al controllo. Inoltre, se redatta correttamente, la prima nota, è un aiuto valido per preparare le varie scritture contabili all’interno del libro giornale.

Prima nota: la normativa di riferimento

La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 prevede che la prima nota acquista validità giuridica e fiscale quando è numerata regolarmente, bollata prima dell’utilizzo e, soprattutto, se contiene ogni operazione di gestione.

L’articolo 24 del DPR n. 633/1972, prevede inoltre che i commercianti al dettaglio esonerati dall’obbligo dei corrispettivi telematici, siano invece obbligati a redigere la prima nota. Sono inoltre obbligati a tenere correttamente un registro prima nota di cassa, quando il registro dei corrispettivi è conservato in un luogo diverso.

Un monitoraggio costante

Se la prima nota è tenuta correttamente, può rappresentare un valido riferimento per capire come sta andando l’azienda. Per redigerlo non esiste un modello standard, visto che non è obbligatorio. Esistono comunque delle regole di scrittura che ne assicurino una redazione precisa e puntuale.

Visto che si tratta di un registro giornaliero, che serve a tenere sotto controllo i movimenti dei contanti, deve riportare ogni singola operazione redatta e catalogata in ordine cronologico. Questo perché la prima nota riporta ogni transazione che deve poi essere trascritta nel libro giornale che raccoglie tutti gli eventi di gestione esterni.

Prima nota

I dati necessari e immancabili in una prima nota sono:

  • data
  • riferimenti specifici a documenti come ricevute, fatture, ecc…
  • importi singoli
  • importi totali
  • descrizione estesa ed esaustiva della natura della transazione eseguita
  • riferimento alla natura del documento contabile (fattura, ricevuta, ecc…)
  • partite fuori cassa (banca, o altro)

Prima nota di cassa e le operazioni da segnalare

Maggiore è la precisione con la quale la prima nota è redatta, maggiori saranno le informazioni da riportare poi più facilmente sul libro giornale. Tra le tante operazioni finanziarie che possono essere annotate nella prima nota ricordiamo:

Consegnare la documentazione al commercialista

La prima nota cassa è un documento da consegnare periodicamente al proprio commercialista. Il contabile infatti utilizza la prima nota integrandone le informazioni in essa contenute per predisporre i documenti di:

  • elenco fatture emesse e ricevute (ordinandole in base alla data di emissione)
  • elenchi ordinati di altra documentazione, come ad esempio, buste paghe, ricevute, quietanze di pagamento, estratti conto, ecc…

Di conseguenza è facile intuire come la redazione corretta della prima nota sia il primo passo da compiere per avere una contabilità attendibile e ordinata. Da questa poi, è possibile studiare l’andamento della propria attività, individuando e analizzando eventuali andamenti positivi e negativi relativi alla gestione stessa.

Da precisare comunque che, a differenza del libro giornale, la prima nota non è un documento fiscale. Nel libro giornale la registrazione è molto più rigida e dettagliata. La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 specifica infatti:

“Diviene un vero e proprio libro giornale con validità giuridica e fiscale quando è regolarmente numerato e bollato prima dell’uso e contiene tutte le operazioni di gestione di un’impresa”.

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Cuneo Fiscale: cos’è e perché è necessario ridurlo

In un nostro precedente articolo: “Evasione fiscale: un fenomeno dilagante” abbiamo visto cos’è l’evasione fiscale, l’elusione fiscale e come il Governo italiano ha deciso di affrontare una volta per tutte questa piaga dilagante nel nostro paese. I primi veri passi sono stati mossi con l’adozione della fattura elettronica e dei corrispettivi telematici. Strumenti innovativi suggeriti dall’Unione Europea e prontamente adottati anche nel nostro Paese. Uno Stato che, come purtroppo ben sappiamo, vanta uno dei primati più tristi che ci siano. È infatti in vetta alla classifica europea degli Stati Membro con la percentuale di evasione fiscale più alta che ci sia. Altro grande fenomeno italiano, identificato con il nome di cuneo fiscale, è un ulteriore fenomeno che piaga l’Italia ormai da diversi decenni. Legato all’evasione perché sempre di tasse si tratta e del costante scoraggiamento che queste provocano nell’impiego privato e pubblico. In poche parole il cuneo fiscale è un indicatore. Vuole infatti segnalare gli effetti che la tassazione ha sul reddito dei lavoratori, sull’occupazione e il mercato di lavoro (di conseguenza anche sull’elusione e l’evasione fiscale).

Cuneo Fiscale: il costo del lavoro

Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette e contributi previdenziali) che gravano sul costo del lavoro. Un peso che schiaccia sia i lavoratori dipendenti, i liberi professionisti, ma anche i datori di lavoro stessi.

In altre parole il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta incassata dai dipendenti. A verifica del gravame su imprese e dipendenti, l’ISTAT ha condotto delle ricerche dalle quali è emerso che nel 2016, questo era pari al 46% del costo del lavoro. Un dato sconcertante. Per essere precisi il costo del lavoro è dato dalla somma delle retribuzioni lorde dei lavoratori e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Dallo studio ISTAT è quindi emerso che quello che rimane a disposizione dello stipendio al lavoratore, è poco più della metà del costo del lavoro stesso.

Tutto quello che rimane è il cuneo fiscale e contributivo, vale a dire la somma dell’imposta personale sul reddito da lavoro dipendente e dei contributi sociali del lavoratore e del datore di lavoro. La maggior parte è composto soprattutto dai contributi sociali dei datori di lavoro.

Inoltre è stata rilevata una sostanziale differenza di incidenza tra nord e sud Italia. Infatti nel nord Italia il costo del lavoro è nettamente superiore.

Lavoratore dipendente e cuneo fiscale

Per il lavoratore dipendente il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali

Cuneo Fiscale

Lavoratore autonomo e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Libero professionista e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito dalle seguenti imposte:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Taglio del cuneo fiscale

Quest’anno è stato finalmente approvato il taglio del cuneo fiscale (l’ok da parte del Senato con a favore 254 voti). Con il decreto legge è attuata la norma della Legge di Bilancio con la quale sono stanziati oltre 3 miliardi per il 2020 e 5 miliardi per il 2021, atti a ridurre il carico fiscale.

Nonostante tutte le buone intenzioni dei vari Governi che si sono succeduti dal 2014 ad oggi, l’Italia è ancora uno dei paesi al mondo con il gravame fiscale più alto di tutti. Secondo il Taxing wages OCSE il peso delle tasse sul lavoro in Italia è infatti salito sopra il 49%, in confronto alla media che lo stesso ente ha registrato negli anni precedenti (pari a 35,9%).

Quindi il cuneo in Italia è da sempre uno dei più alti in Europa. In quasi tutti i paesi membri il maggior carico del cuneo è rappresentato dalla quota spettante all’impresa per i contributi fiscali e contributivi. Unica eccezione è la Germania dove tale quota grava maggiormente sul dipendente e non sul datore di lavoro.

Istruzioni certificazione unica: modello, informazioni e aggiornamenti 2021

Il 15 gennaio 2021 Agenzia delle Entrate(AdE) ha emesso un nuovo provvedimento con il quale ha pubblicato il nuovo modello CU definitivo per l’anno in corso. Allegato al modello sono state inserite le relative istruzioni certificazione unica per una corretta compilazione. Molteplici le novità inserite da AdE, sia per quanto riguarda le voci aggiuntive (come ad esempio il nuovo bonus IRPEF 2021, o le voci relative all’emergenza Covid-19), che la nuova scadenza prevista per il 16 marzo per la trasmissione ad Agenzia delle Entrate. Rimane invece invariata la data del 31 ottobre 2021 il termine ultimo per la trasmissione della CU contenente i redditi esenti o non dichiarabili tramite certificazione unica precompilata.

Istruzioni certificazione unica: modello e novità

I sostituti d’imposta usano la CU per dichiarare i redditi di lavoro dipendente e assimilati, redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. In CU inoltre sono inseriti anche tutti i redditi derivanti dai contratti di locazione brevi relativi al periodo di imposta 2020.

Il 15 gennaio Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento “dichiarazioni fiscali 2021 modelli definitivi 730, CU, IVA e 770″. Provvedimento con il quale è stato quindi messo finalmente a disposizione il modello definitivo della CU con le relative istruzioni certificazione unica. Il modello è quindi quello che deve essere obbligatoriamente utilizzato da:

  • tutti i soggetti che durante il 2020 hanno ricevuto denaro o valori soggetti a ritenute alla fonte
  • coloro che hanno corrisposto contributi previdenziali e assistenziali e/o premi assicurativi dovuti all’INAIL
  • tutti i coloro che sono assoggettati alla contribuzione INPS, anche se hanno corrisposto somme e valori per i quali non è prevista l’applicazione delle ritenute alla fonte
  • titolari posizione assicurativa INAIL
  • Amministrazioni che operano come sostituto d’imposta

CU: le novità sulle informazioni contenute nel documento

Il provvedimento  di AdE ha introdotto una serie di novità sui contenuti della CU. Ogni certificazione unica infatti, deve contenere:

  • frontespizio – dove sono riportate le informazioni relative alla tipologia di comunicazione, ai dati del soggetto che inoltra la CU, i dati del rappresentante firmatario della comunicazione stessa, firma e impegno alla comunicazione telematica
  • quadro CT – in questa sezione sono da riportare tutte le informazioni relative alla comunicazione telematica dei dati relativi ai modelli 730 – 4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate
  • certificazione unica 2020 – sezione principale del modulo che deve contenere: dati fiscali, dati previdenziali, assistenza fiscale, certificazione lavoro autonomo, provvigioni, redditi diversi e i dati fiscali relativi alle certificazioni dei redditi relativi alle locazioni brevi.

Istruzioni certificazione unica

Certificazione Unica 2021: scadenze

Altra grande novità introdotta da Agenzia delle Entrate con il medesimo provvedimento del 15 gennaio, è quella relativa al calendario scadenze. Infatti il Decreto Fiscale 2020 e il Decreto Legislativo numero 9 del 2020 hanno stabilito un nuovo scadenzaria per far fronte anche all’attuale situazione pandemica dovuta alla diffusione del Covid-19. Entra quindi in ballo la scadenza unica datata 16 marzo (Consegna della Certificazione Unica ai lavoratori e Consegna dei dati CU all’Agenzia delle Entrate). Invariata invece la data del 31 ottobre 2021 pre presentare la CU relativa ai redditi esenti o non dichiarabili con CU precompilata.

La trasmissione della CU deve avvenire in forma telematica. Questa può essere fatta direttamente dal soggetto obbligato alla comunicazione, oppure tramite un intermediario abilitato.

Inoltre Agenzia delle Entrate specifica:

“Il flusso si considera presentato nel giorno in cui è conclusa la ricezione dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate. La prova della presentazione del flusso è data dalla comunicazione attestante l’avvenuto ricevimento dei dati, rilasciata per via telematica”.

Istruzioni certificazione unica 2021: modelli e novità fiscali

Quest’anno sono stati messi a disposizione due diversi modelli CU definitivi:

Assieme a questi sul sito di AdE sono presenti anche il Modello CU 2021 – Istruzioni dell’Agenzia delle Entrate  e la Certificazione Unica 2021 – Specifiche tecniche.

Molte le novità fiscali previste vista l’attuale situazione:

  • trattamento integrativo
  • detrazione redditi di lavoro dipendente e assimilati
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del sostituto del bonus IRPEF
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del trattamento integrativo in presenza di ammortizzatori sociali
  • attribuzione premio ai lavoratori dipendenti nel mese di marzo

Fringe Benefits: cosa sono e come funzionano

I Fringe Beneficts sono benefici collaterali, accessori. Si tratta di particolari benefici che sono riconosciuti ai dipendenti, da parte di alcune aziende e imprese particolarmente solide, erogati non in denaro, ma sotto altre molteplici forme. Sono quindi dei benefici supplementari alla busta paga, erogati per incentivare la produttività, oppure per integrare il semplice stipendio.

Quindi i fringe beneficts, o semplicemente beneficts, sono elementi aggiuntivi della retribuzione che concorrono alla formazione del reddito tassato del lavoratore dipendente. Si tratta di benefici in natura e non sotto forma di denaro, che migliorano la qualità della vita del dipendente, evitandogli di sostenere personalmente delle spese.

Molto spesso questi beneficts sono rappresentati dal cellulare aziendale, oppure dal computer portatile, o dal tablet, o ancora dalla casa in affitto, o dall’uso di un’auto aziendale. In particolare la concessione al lavoratore di un veicolo a uso privato, parziale o totale, è una forma di retribuzione in natura molto diffusa. I benefici aggiuntivi sono solitamente fissati nel contratto stipulato tra azienda e dipendente.

Fringe Benefits: tassazione

I fringe benefits sono tassati, ma con alcune eccezioni. Il Testo Unico sulle imposte stabilisce che:

“…il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali (ossia regali), in relazione al rapporto di lavoro”.

Essendo i benefici aggiuntivi beni che concorrono al reddito del lavoratore dipendente, sono soggetti a relativa tassazione. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni. Se il dei beneficts erogati non supera i 258,23€ nel periodo d’imposta, allora non sono soggetti a tassazione. Se il limite è superato, il valore del bene allora concorre a formare il reddito e di conseguenza viene tassato. Questo vale per qualunque fringe beneficts percepito, da qualunque lavoro, anche diverso dal principale.

Fringe Benefits, benefici supplementari alla busta paga

Se l’azienda opera all’ingrosso e i beneficts concessi sono prodotti aziendali, il loro valore è calcolato considerando il prezzo che l’impresa è solita applicare al grossista. Il sostituto d’imposta (ossia l’azienda) deve applicare la ritenuta sul valore dei fringe benefits.

I beneficts possono essere elargiti mediante i cosiddetti voucher in formato cartaceo oppure elettronico, riportanti un preciso valore nominale. I voucher non possono essere usati da una persona diversa dal titolare, non possono essere convertiti in denaro o ceduti a terzi. Danno inoltre diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio, per l’intero valore nominale, senza che il titolare debba fare ulteriori integrazioni.

Fringe beneficts: le tipologie

La natura dei benefici concessi ai dipendenti varia molto. In alcuni casi, ad esempio, le aziende danno ai propri dipendenti la possibilità di acquistare uno o più beni prodotti dall’impresa stessa, con l’applicazione di un forte sconto sul prezzo di listino. È questo il caso delle aziende automobilistiche, che permettono ai dipendenti di comprare le vetture prodotte con sconti molto consistenti. Il valore nominale di riferimento, in questo caso, è rappresentato dal prezzo scontato che il costruttore applica sulla base di convenzioni ricorrenti.

In altri casi, invece, i datori di lavoro pagano i dipendenti fornendo loro dei buoni utilizzabili presso esercizi convenzionati. Il valore nominale è quindi rappresentato dal valore del buono stesso. Anche in questo caso non c’è tassazione se il valore non supera 258,23 euro.

Un altro esempio di fringe beneficts sono le opzioni sull’acquisto di azioni. Vale a dire che qualche volta l’azienda consente ai dipendenti di acquistare delle azioni dell’impresa stabilendo un preciso prezzo, che rimane sempre fisso e un termine entro il quale l’opzione può essere esercitata (stock options).

Digital Tax: cos’è e quando si paga

La digital tax è l’imposta sui servizi digitali contenuta nel provvedimento dell’agenzia delle entrate del 15 gennaio 2021. La tassa sui servizi dell’economia digitale ha trovato ispirazione nella direttiva europea COM (2018) 148 final. Mentre l’Europa si prepara a far debuttare una web tax europea, l’Italia si porta avanti (almeno per una volta) dotandosi di una propria imposta sui servizi online.

È vero che si tratta di una nuova tassa, che si va a sommare al carico già abbastanza pesante che i contribuenti italiani devono sostenere ogni anno, ma, per fortuna, i soggetti passivi rientrano in una specifica categoria. Ne verranno colpiti infatti gli esercenti attività d’impresa, anche non residenti in Italia, che, nel corso dell’anno, hanno realizzato ovunque nel mondo (da solo o in gruppo) ricavi non inferiori a 750.000.000 di euro, di cui almeno 5.500.000 nel territorio dello Stato. I piccoli commercianti, artigiani e liberi professionisti possono quindi stare tranquilli, per questa volta.

Digital Tax: soggetti inclusi ed esclusi dal pagamento

La digital tax è l’imposta sui servizi digitali con aliquota imposta al 3%. La tassa è stata istituita dalla Legge di Bilancio 2019 e modificata in seguito dalla Manovra dell’anno successivo. La tassa è quindi applicata alla fornitura di servizi digitali. I soggetti che singolarmente, o a livello di gruppo, nell’anno solare precedente, hanno realizzato:

  • un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro;
  • un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali conseguiti nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni di euro.

Sono considerati soggetti passivi. L’imposta è applicata sui rivani annuali, totalizzati in un anno solare. Non è calcolata o applicata trimestralmente. È probabile che il versamento debba essere effettuato entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello di riferimento. Le imprese interessate devono presentare una dichiarazione annuale contenente l’ammontare dei servizi tassabili, entro il 31 marzo dello stesso anno. Per quanto riguarda le società di gruppo, ne viene indicata una singola che debba far fronte agli obblighi derivanti dalle disposizioni relative all’imposta sui servizi digitali.

Web Tax Europea: tutto è iniziato da qui

La Commissione Europea, nel marzo del 2018, aveva proposto la Web Tax applicabile a:

  • ricavi da vendita di pubblicità
  • cessione dati
  • intermediazione tra utenti e business

Digital Tax

L’obiettivo della Commissione era quello di tassare i profitti dei grandi di Internet (come ad esempio Amazon). Inoltre l’UE desiderava che ogni Stato Membro potesse tassare i loro proventi generati sul proprio territorio, anche se le aziende in questione non avevano una presenza fisica nello stato.

Affinché una società possa essere riconosciuta come una “presenza digitale tassabile” devono essere rispettati tre diversi criteri:

  • deve superare i 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno stato membro
  • contare avere oltre 100mila utenti registrati in uno stato
  • deve avere oltre 3000 contratti per servizi digitali ad utenti business.

Nonostante gli obiettivi della Commissione Europea siano piuttosto chiari, la situazione rimane comunque in stallo. Questo perché molti paesi, come ad esempio Irlanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, si oppongono fermamente. Il motivo è da ricercare nella bassa imposizione fiscale e nel meccanismo che consente ai colossi del web di eludere il fisco nazionale spostando liberamente i propri ricavi da un paese all’altro.

In attesa di una soluzione univoca, alcuni stati membro, come appunto Italia, ma anche Francia, Spagna, Ungheria e Gran Bretagna, hanno deciso di adottare soluzioni “locali”.

Digital Tax: immediata esecuzione

La disciplina in questione è stata trattata e studiata ampiamente con la Legge di bilancio 2019 ed è entrata immediatamente in vigore. Non c’è infatti stato bisogno di richiedere un apposito decreto ministeriale affinché l’imposta diventasse esecutiva. Nella norma sono quindi riportate tutte le indicazioni per:

  • prevedere le modalità applicative del tributo circa i corrispettivi colpiti
  • dichiarazioni
  • periodicità del prelievo
  • individuazione di ipotesi di esclusione
  • inserito l’obbligo per i soggetti passivi non residenti di nominare un rappresentante fiscale.

Le esclusioni italiane

La digital tax italiana prevede l’esclusione dall’imposta digitale per fornitura diretta di beni e servizi, nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia, da parte del soggetto che gestisce l’interfaccia stessa, di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento”; la messa a disposizione di un’interfaccia digitale utilizzata per gestire diversi servizi bancari e finanziari

In altre parole sono esclusi dal pagamento della digital tax:

  1. banche
  2. siti aziendali
  3. soggetti finanziari già soggetti ad accise
  4. operatori telefonici
  5. fornitori di contenuti digitali, come TV e giornali.

Responsabilità del commercialista: chi paga se sbaglia?

Il rapporto tra un dottore commercialista e un cliente, è uno dei più importanti e delicati che possano esistere nel mondo del business. I dottori commercialisti, così come gli esperti contabili, hanno delle responsabilità nei confronti dei propri clienti. Responsabilità che riguarda la consulenza prestata e le attività svolte in favore della propria clientela. In Italia questa materia è addirittura oggetto di normativa. La responsabilità del commercialista si configura quando il professionista, volontariamente o involontariamente non si attiene alla diligenza professionale.

L’attività del commercialista rientra nell’ambito delle professioni intellettuali. Il rapporto che si instaura tra commercialista e cliente è ritenuto un contratto d’opera intellettuale ed è disciplinato dagli articoli 2229 e seguenti del Codice Civile.

Alla base di questo rapporto non c’è l’obbligo da parte del commercialista di raggiungere l’obiettivo voluto dal cliente, c’è invece l’impegno a prestare diligentemente la propria opera. Questo significa che il commercialista deve adoperarsi al meglio per prestare la propria opera. Opera che assume un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

Responsabilità del commercialista: art. 1176 comma 2 del Codice Civile

L’articolo 1176 comma 2 del Codice Civile cita:

 “…  Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Questo significa che, quando il commercialista è chiamato ad esercitare la propria professione, deve farlo applicando e utilizzando una diligenza pari o superiore a quella ritenuta standard per l’adempimento delle sue mansioni. In caso contrario potrebbe essere ritenuto responsabile per negligenza e, di conseguenza, condannato all’eventuale risarcimento del danno causato.

Nello svolgere la propria attività il commercialista deve usare lealtà, correttezza e competenza. Deve inoltre rispettare la legge e il codice deontologico della propria categoria professionale. Non può e non deve accettare incarichi se le proprie competenze non sono all’altezza del compito da svolgere. È obbligato ad informare i propri clienti sulle varie difficoltà e i rischi che l’attività svolta comporta. Infine deve svolgere l’incarico con cura e perizia professionale.

I limiti della propria competenza

Una sentenza della Corte di Cassazione, per l’esattezza la n°13007 del 23 giugno 2016, ha stabilito un’importante caratteristica affinché un commercialista possa ritenersi e definirsi “diligente” e, di conseguenza, esente da responsabilità. La sentenza ha stabilito che il professionista deve sempre e comunque dichiarare al cliente la propria competenza tecnica. In altre parole la responsabilità del commercialista dipende anche dal riconoscimento delle proprie capacità. Se non si ritiene in grado di soddisfare una specifica richiesta di un cliente, deve comunicarglielo e consigliargli di rivolgersi ad altro professionista.

Nella sentenza della Corte di Cassazione n°11213 del 9 maggio del 2017, il tribunale stabilì:

“la responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato”.

Da parte sua invece il professionista, per uscire indenne dalla responsabilità, ha l’onere di provare di aver adempiuto ai propri obblighi rispettando gli standard di diligenza che la norma prevede ed impone.

Responsabilità del commercialista

Conclusioni

Tirando le somme è quindi possibile affermare che un dottore commercialista non è obbligato a ottenere il risultato richiesto dal cliente, è invece obbligato a svolgere la propria attività diligentemente secondo il proprio mandato. Successivamente all’esecuzione dello stesso è altresì obbligato a svolgere tutte le attività conseguenti e connesse affinché sia preservata l’utilità della prestazione svolta nell’interesse del cliente.

È inoltre obbligato a valutare oggettivamente le proprie competenze tecniche specifiche in funzione delle richieste inoltrate. Questo significa che è obbligato a consigliare il cliente a rivolgersi ad altro professionista nel caso non sia in grado di assolvere alle necessità richieste dal cliente.

Responsabilità del commercialista per la consulenza fiscale

Per quanto riguarda invece la responsabilità del commercialista in ambito di consulenza fiscale e ricorsi tributari, vanno distinti:

  1. danno risarcibile
  2. nesso causale tra condotta del professionista e danno subito.

Si tratta di materia delicata e di un settore piuttosto border line. Per danno risarcibile di norma si intendono i maggiori oneri che il cliente è costretto a sostenere. Oneri nei confronti dell’amministrazione finanziaria come conseguenza di uno o più errori commessi dal dottore commercialista. In altre parole il danno risarcibile è quantificabile nelle sanzioni e negli interessi dovuti sulle imposte non versate.

Per quanto riguarda invece il “nesso causale” per un’errata e/o mancata impugnazione di un accertamento fiscale, questa è stimabile solo a seguito di una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso.

Anagrafe tributaria: banca dati della fiscalità italiana

Quando abbiamo parlato del risparmiometro, è stato fatto cenno all’anagrafe tributaria. Il riferimento è stato necessario in virtù del fatto che i dati raccolti dagli istituti bancari e dai mediatori finanziari, devono, per legge, essere trasmessi direttamente all’anagrafe tributaria. Ma che cos’è effettivamente l’anagrafe tributaria? E qual è il ruolo che svolge nel quadro fiscale generale dell’Italia?

Con il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n° 605, nasce l’anagrafe tributaria. Si tratta di una baca dati utilizzata per la raccolta e l’elaborazione relativi alla fiscalità di tutti i contribuenti italiani. Cerchiamo quindi di capire meglio come funziona e quale il suo obiettivo.

Anagrafe tributaria: che cos’è e come funziona

L’amministrazione finanziaria in Italia, utilizza dati proveniente dall’anagrafe tributaria. I dati sono raccolti grazie alle denunce e alle dichiarazioni dei redditi dai soggetti d’imposta e dagli accertamenti effettuati. Qui sono inoltre raccolte tutte le informazioni, le notizie e i dati ritenuti importanti per scopi tributari.

Ogni informazione contenuta nell’anagrafe tributaria corrisponde a una operazione, nonché a un soggetto. Il soggetto può essere una persona fisica, una persona giuridica, una società, un’associazione, o un’organizzazione di persone o di beni prive di personalità giuridica. Ogni soggetto è identificato tramite Codice Fiscale o Partita IVA. L’insieme di tutti i dati forma il complesso dell’archivio anagrafico dei codici fiscali e delle partite IVA.

Provenienza del flusso dei dati

I dati che arricchiscono il database dell’anagrafe tributaria sono raccolti da diverse fonti:

  1. denunce e dichiarazione dei redditi dai soggetti d’imposta e accertamenti fiscali ex articolo1 del DPR 605/1973;
  2. dichiarazioni fiscali annuali dei redditi e dell’IVA dei contribuenti (ai sensi dell’art. 31 comma 1 del D.P.R. n. 600/1973, ma anche dalle comunicazioni ex l. 311/2004 e dal d.l. 223/2006);
  3. comunicazioni obbligatorie (come ad esempio utenze elettriche, telefoniche, assicurazioni, contenziosi tributari, contratti immobiliari registrati, contratti d’affitto, proprietà immobiliari, proprietà di azioni e partecipazioni in società, ecc…);
  4. segnalazioni di dati, aggiornamenti e notizie da parte dei comuni.

L’Anagrafe Tributaria è gestita prevalentemente da Agenzia delle Entrate (AdE) che si occupa dell’acquisizione, della conservazione e degli eventuali aggiornamenti di tutti i dati.

A cosa serve l’Anagrafe Tributaria

L’Anagrafe Tributaria è quindi la più grande banca dati fiscali di cui dispone il Fisco. Una ricca e potente fonte informativa anagrafica, finanziaria e fiscale (vale a dire della capacità contributiva di ciascun soggetto). L’Anagrafe svolge inoltre un ruolo di valutazione dei rischi ed è un valido strumento per ogni attività svolta dalle amministrazioni finanziarie. Senza contare che svolge un ruolo essenziale nell’accertamento e nel controllo finanziario finalizzato al contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale.

Anagrafe tributaria

Come se tutto questo non fosse già sufficiente di per se, l’Anagrafe Tributaria ha lo scopo di contrastare il riciclaggio, la criminalità organizzata, il finanziamento al terrorismo internazionale, le frodi contro l’Unione Europea e in materia doganale e il traffico internazionale di stupefacenti.

Come sono utilizzati i dati contenuti nell’Anagrafe

Tutti i dati contenuti all’anagrafe tributaria possono essere utilizzati per:

  • il controllo cartolare della dichiarazione fiscale
  • accertamenti
  • verifiche
  • accessi
  • ispezioni
  • attività di riscossione coattiva e sanzionatoria
  • anali del rischio

In particolare l’analisi del rischio è svolta a discrezione dell’amministrazione e consiste nel calcolo della capacità contributiva di ciascun soggetto fiscale. Da questa analisi preliminare, seguono poi ulteriori verifiche portate avanti da enti e organi territorialmente competenti.

Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate, per effettuare i dovuti controlli e accertamenti, si avvalgono anche di un’altra serie di dati, conservati presso l’Anagrafe Tributaria. Ci riferiamo a tutti i dati relativi alle partite IVA, il redditometro, l’esterometro, rapporti finanziari (come ad esempio i conti correnti con tutti i dati a essi collegati), il risparmiometro, l’invio telematico dei corrispettivi giornalieri e la fatturazione elettronica.

Tutte le attività di controllo svolte, si basano su un accurato incrocio e studio dei dati e delle informazioni provenienti dalle diverse fonti, che vanno ad alimentare la banca dati dell’anagrafe.

Il sistema interno

Il sistema centrale dell’anagrafe è basato su quattro diversi mainframe. La memorizzazione dei dati è stata affidata a una Storage Area Network, una rete ad velocità di trasmissione. Mentre la storicizzazione dei dati è realizzata da una Tape Area Network.

Risparmiometro: cos’è, come funziona e a cosa serve

Nel 2019 Agenzia delle Entrate ha introdotto diversi strumenti per combattere l’evasione fiscale. In primis la fatturazione elettronica, seguita a ruota dallo scontrino elettronico e infine dal risparmiometro. Un algoritmo avanzato che controlla conti correnti di contribuenti e imprese, valutando ciascuna situazione fiscale personale.

Risparmiometro: cos’è e quali sono gli obiettivi

Il risparmiometro è uno strumento di Agenzia delle Entrate per combattere l’evasione fiscale. Si tratta di un algoritmo che controlla i conti correnti dei contribuenti e delle imprese e individua eventuali discrepanze tra quanto riportato in dichiarazione dei redditi e quello che è presente sul conto stesso.

L’obiettivo del risparmiometro è quello di riuscire a individuare chi non ha dichiarato tutti i redditi percepiti e chi ha ottenuto compensi al nero (dunque introiti sommersi e non dichiarati al fisco). Lo scopo è quindi riuscire a trovare una corretta collaborazione con le banche per reprimere l’evasione fiscale, piaga dilagante e sempre presente in Italia.

Il risparmiometro è previsto da norma di legge. Per quanto riguarda il redditto d’impresa e di lavoro autonomo, la normativa di riferimento è contenuta nell’art 32 del DPR 600/1973 e 51 del DPR 633/1972. Dal gennaio del 2012 l’Esecutivo ha imposto a Poste Italiane, intermediari finanziari, imprese di investimento, OICR (Organismi di investimento collettivo del risparmio), società di gestione e risparmio, ecc. A comunicare all’anagrafe tributaria le movimentazioni dei rapporti avuti con qualunque soggetto.

Decreto Legislativo 119/2018: più poteri alla Guardia di Finanza

Con il decreto legislativo 119/2018 sono stati attribuiti alla Guardia di Finanza molti più poteri di controllo sui movimenti finanziari dei contribuenti, sulle posizioni fiscali e accesso a molti più dati rispetto al passato. La guardia di Finanza infatti oggi collabora con Agenzia delle Entrate, accedendo al database delle informazioni comunicate all’Anagrafe Tributaria dagli operatori finanziari.

Il Risparmiometro quindi ha messo nelle mani del Fisco e della Guardia di Finanza uno strumento in più per controllare ogni singola operazione, obbligando i contribuenti a tracciare tutte le operazioni eseguite.

In definitiva oggi, la lotta all’evasione fiscale si combatte su due diversi fronti. Da un lato si cerca di limitare l’uso del contante, favorendo pagamenti tracciati e premiando quelli digitale (come ad esempio avviene con la lotteria degli scontrini). Dall’altro si cerca di rendere efficaci i controlli dei movimenti delle masse finanziare, con strumenti come il risparmiometro.

Risparmiometro

Risparmiometro: i dati che vengono comunicati

Banche e intermediari finanziari hanno obbligo di legge di comunicare all’anagrafe tributaria i seguenti dati, ogni qualvolta intraprendono rapporti con qualunque soggetto:

  1. Numero Conto corrente
  2. Conto deposito titoli e/od obbligazioni
  3. Numero Conto deposito a risparmio libero/vincolato
  4. Gestione patrimoniale
  5. Certificati di deposito e buoni fruttiferi
  6. Portafoglio
  7. Conto terzi individuale/globale
  8. Dopo incasso
  9. Cessione indisponibile
  10. Cassette di sicurezza
  11. Depositi chiusi
  12. Acquisto e vendita di oro e metalli preziosi
  13. Operazione Extra-conto
  14. Contratti derivati
  15. Carte di credito/debito
  16. Garanzie
  17. Crediti
  18. Finanziamenti
  19. Fondi pensione
  20. Rapporti fiduciario ex legge n. 1966/1939
  21. Gestione collettiva del risparmio
  22. Patto compensativo
  23. Finanziamento in pool
  24. Partecipazione
  25. Prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione
  26. Altri rapporti

Quando sono comunicati dati

La periodicità di comunicazione dei dati può essere mensile, oppure annuale. È mensile, ad esempio, per i rapporti finanziari e le operazioni extra-conto comprensive del codice identificativo, oppure per quanto riguarda i dati anagrafici dei vari soggetti.

Sono annuali invece per i dati relativi all’identificazione del rapporto, o dei vari saldi (compreso quello iniziale alla data di apertura), i dati relativi agli importi totali, alla giacenza media annua, ecc…

I dati così comunicati sono utilizzati dall’Agenzia delle Entrate, dalla GdF, dagli Agenti della Riscossione, dall’ Autorità Giudiziaria, dall’Ufficio Italiano cambi, dal Ministero dell’interno, dagli esperti del Servizio consultivo e Ispettivo tributario.

Imprese e attività di lavoro autonomo

Visto scopo e funzionamento dello spesometro, per le imprese e le attività di lavoro autonomo (individuali o collettive che siano) è molto importate prestare attenzione ai conti diversi da quelli dell’impresa.

Sarebbe opportuno infatti che eventuali movimenti in entrata su conti estranei all’attività, avvenissero esclusivamente tramite bonifico e in maniera tracciata. Se così non venisse fatto, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe infatti sospettare che tali versamenti potrebbero arrivare da attività non dichiarate.

Evasione fiscale: un fenomeno dilagante

Se ne sente tanto parlare, ma non tutti sanno effettivamente cosa sia e come viene compiuta. In Italia il fenomeno dell’evasione fiscale, negli ultimi decenni si è paurosamente aggravato. I vari Governi hanno cercato di arginare il problema, ma non sempre sono riusciti a risolverlo o per lo meno a ridurlo. Uno spiraglio di luce in fondo al tunnel si è avvistato con le manovre che mirano alla dematerializzazione e digitalizzazione dei processi di gestione dei documenti fiscali e dei dati.

Ne sono un esempio lo scontrino elettronico, l’introduzione della fatturazione elettronica e, dal primo gennaio 2021, l’entrata in vigore della Lotteria degli Scontrini.

Evasione Fiscale: cos’è e come funziona

Per evasione fiscale, in ambito di scienza delle finanze, si intende l’insieme dei metodi adottati per ridurre o eliminare del tutto il prelievo fiscale da parte dello Stato sul cittadino. L’Italia purtroppo in quest’ambito vanta un triste primato. È lo stato europeo con la più alta percentuale di evasione fiscale. Recenti stime dimostrano che l’evasione fiscale in Italia è pari a 300 miliardi di euro l’anno, evasione riconducibile a imposte dirette, al lavoro al “nero” e all’economia sommersa (vale a dire l’insieme di tutte le attività economiche che contribuiscono al prodotto interno lordo, ma che non sono registrate e dunque regolarmente tassate).

Sul podio comunque non si trova da sola, ma in buona compagnia. Seguita a ruota da Germania e Francia, combatte una guerra dura da ormai svariati anni. L’evasione fiscale si manifesta attraverso la violazione di specifiche norme fiscali.

L’evasione fiscale in termini giuridici non può essere considerata un furto. Questo perché ha a oggetto somme di denaro che, in assenza dell’evasore, non esisterebbero. Nonostante questo però l’evasione tende a ledere il tessuto socio-economico di un paese perché fa diminuire il gettito fiscale statale. Il gettito fiscale, cioè l’insieme delle entrate nell’erario di uno Stato, serve a fornire ai cittadini i servizi necessari. Servizi che non possono essere forniti se manca il gettito fiscale perché gli evasori non pagano le tasse.

Come avviene l’evasione fiscale

Ci sono vari metodi per evadere il fisco. Quello più noto è non emettere regolare fattura, ricevuta fiscale o scontrino elettronico per operazioni di vendita di beni e servizi. É considerata evasione fiscale anche quando è emessa regolare fattura, ma per importo parziale rispetto a quello realmente sostenuto.

Anche redigere dichiarazioni dei redditi false, equivale a evadere il fisco. Tutte le informazioni mancanti, parziali, o infedeli portano a un successivo mancato versamento dell’imposta realmente dovuta. Le tipologie di evasione continuano e le ritroviamo anche in ambito di lavoro regolarmente concettualizzato. Quando a un dipendente parte dello stipendio è somministrato in forma non documentata, si parla sempre di evasione fiscale.

Evasione Fiscale

Le alterazioni del cedolino paga (ad esempio quando sono indicate false trasferte e/o richieste di rimborsi non dovuti) sono considerate evasione fiscale, tanto quando accordarsi segretamente per evitare l’esposizione in fattura del dovuto (anche alterandone le voci).

Infine la più classica delle evasioni fiscali: non pagare imposte e tributi e non eseguire adempimenti obbligatori (come ad esempio pagare il canone RAI, oppure apporre la dovuta marca da bollo, o evitare di pagare il bollo auto).

Elusione fiscale: cos’è e come funziona

Quando tributi e tasse non sono pagati, ma senza violare la legge, si parla di elusione fiscale. In altre parole la legittimità formale delle norme è rispettata, ma il fine rimane sempre lo stesso. Questo è il caso in cui i contribuenti che “non contribuiscono” lo fanno andando a sfruttare le carenze dell’ordinamento giuridico. In questo modo riescono a non pagare tributi e tasse senza violare la legge e, di conseguenza, senza essere assoggettati a sanzioni da parte delle autorità.

L’elusione fiscale è normata dal DPR n° 600/1973 articolo 37-bis che sancisce l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di atti, fatti e negozi, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Tramite questa norma la pubblica amministra “disconosce” i vantaggi tributari che vengono conseguiti attraverso l’elusione delle disposizioni relative alle imposte.

Conclusioni

Alla fine che si tratti di evasione fiscale vera e propria, piuttosto che di elusione fiscale, lo scopo rimane sempre lo stesso: evitare di pagare tasse e contributi, o quanto meno di ridurne la pressione. In ogni caso l’Esecutivo ha cercato di ridurre il fenomeno attraverso una serie di manovre volte alla digitalizzazione del sistema fiscale, introducendo sistemi come lo scontrino elettronico, la Lotteria degli scontrini e l’ormai nota, fattura elettronica.

Stato patrimoniale e conto economico: definizione e differenze

Qualche articolo fa abbiamo iniziato a conoscere e a definire cos’è il Bilancio d’esercizio. In linea di massima, possiamo affermare che si tratta di un insieme di documenti che un’impresa è obbligata a redigere per definire la propria situazione patrimoniale e finanziaria, nonché il risultato economico d’esercizio. É composto da cinque diversi documenti: lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico, il rendiconto finanziario, la Nota Integrativa e la relazione sulla gestione. Sviscerato l’argomento “Rendiconto finanziario”, passiamo adesso a definire e capire lo Stato Patrimoniale e conto Economico.

Stato patrimoniale e conto economico: cosa sono e a cosa servono

Stato Patrimoniale e Conto Economico rappresentano i principali prospetti contabili del Bilancio d’esercizio e tra i due esistono dei collegamenti. Entrambi sono indispensabili nella contabilità aziendale. I dati che i due documenti contengono devono essere d’aiuto a ogni analista economico-finanziario, per giudicare correttamente lo stato di “salute” di un’impresa. L’analisi di questi due documenti deve portare a un giudizio obiettivo sulla situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale d’impresa.

Stato patrimoniale

È il documento che rappresenta la situazione del patrimonio aziendale in un determinato momento di vita dell’impresa. Solitamente questo “momento”, coincide con la fine dell’anno solare (31 Dicembre) e nello stato patrimoniale sono riportate tutte le attività, le passività e il patrimonio netto d’impresa.

Finanziariamente questo significa che l’analisi del patrimonio di una società serve a capire se l’azienda è in grado di mantenere un corretto equilibrio patrimoniale e finanziario. Quindi le “attività” si identificano come i mezzi finanziari impiegati dalla ditta. Mentre le passività e il patrimonio netto sono da intendersi come fonti di finanziamento di tali impieghi.

Conto Economico

Si tratta del documento facente parte del Bilancio d’Esercizio che riassume l’insieme delle operazioni aziendali che hanno contribuito a determinare il risultato economico finale di un certo esercizio, comprende i costi e i ricavi di un’azienda.

Stato patrimoniale e conto economico

Le due sezioni contrapposte dello stato patrimoniale

Lo Stato patrimoniale definisce il patrimonio di un’azienda in un preciso momento. Inoltre definisce i diritti dei terzi che gravano sull’attività stessa. Si suddivide in:

  • Attivo
  • Passivo

L’attivo comprende il magazzino, le immobilizzazioni, le disponibilità liquide e i crediti. Si identifica come la somma di tutti gli investimenti eseguiti da un’impresa per svolgere al meglio la propria attività

Il passivo invece comprende le riserve, il capitale sociale, gli utili e le perdite dell’esercizio riportati a nuovo, ossia i debiti a breve, medio e lungo termine. In altre parole rappresenta i mezzi propri o di terzi, di cui si è dotata l’azienda per finanziare gli investimenti in modo da svolgere al meglio la propria attività.

Conto Economico: componenti positive e negative di reddito

Il conto economico è quindi l’insieme di tutte le operazioni che l’azienda ha compiuto per arrivare a un determinato risultato economico. É formato da due componenti: positivi e negativi di reddito, che si riferiscono sempre a un determinato periodo temporale.

In altre parole il conto Economico è formato da due voci:

  1. Ricavi – corrispondono alle vendite dei propri beni, agli interessi attivi o ai fitti attivi.
  2. Costi – riguardano gli acquisti, le utenze, le spese del personale, i fitti passivi, le imposte (IRAP, IRPEF, IRES) e le tasse. Tra quest’ultime l’IVA non è considerata un costo per la società. L’IVA infatti rappresenta un debito e al tempo stesso un credito che l’azienda ha nei confronti dell’Erario. Per questo motivo, a seconda del momento preso in esame, la voce IVA si potrebbe trovare da una parte o dall’altra del conto economico.

Documenti indispensabili per una gestione responsabile

Stato patrimoniale e conto economico sono documenti indispensabili per raggiungere una gestione responsabile delle risorse di una società e in generale della sua amministrazione complessiva.

Entrambi i documenti sono necessari alla definizione della situazione finanziaria, utilizzata poi per determinare il carico fiscale. Inoltre stato patrimoniale e conto economico servono anche a fornire tutti i dati aziendali all’erario. Questi documenti servono a fornire una misura tangibile di tutte le operazioni fatte durante il corso dell’anno solare. In base ai dati contenuti in essi, un’attività si rende conte se è necessario un miglioramento, oppure se è possibile continuare sulla stessa strada.