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Dichiarazione redditi: è possibile omettere qualcosa?

Compilare correttamente e completamente la dichiarazione redditi è di fondamentale importanza sia per i privati cittadini che per coloro che hanno aperto una partita IVA. Infatti, la dichiarazione rappresenta uno strumento attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate può verificare che i contribuenti abbiano pagato tutte le tasse dovute e in modo corretto. Una dichiarazione accurata può essere utilizzata come prova di reddito in caso di richiesta di finanziamenti o di accesso ad altre prestazioni, come ad esempio il reddito di cittadinanza. Per i titolari di partita IVA, invece, una corretta compilazione della dichiarazione dei redditi rappresenta uno strumento importante per la gestione della propria attività, per monitorare i propri ricavi e i propri costi e per valutare l’andamento dell’attività stessa nel corso dell’anno fiscale.

Dichiarazione redditi: conseguenze dell’omissione di informazioni

La dichiarazione redditi è un documento ufficiale che deve essere compilato in modo preciso e completo. Qualsiasi omissione o errore, anche involontario, potrebbe causare problemi e costi elevati per il contribuente. Ad esempio, se il contribuente non dichiara una parte dei propri redditi, potrebbe essere soggetto a una sanzione fino al 200% dell’importo non dichiarato. Se l’omissione è intenzionale e finalizzata all’evasione fiscale, il contribuente potrebbe essere accusato di un reato penale e soggetto a conseguenze legali anche più gravi. Tali conseguenze potrebbero includere la reclusione, oltre a multe salate e costi legali. Anche se l’omissione non è intenzionale, il contribuente dovrà comunque affrontare i costi e la perdita di tempo associati alla risoluzione del problema.

Le conseguenze dell’omissione di informazioni nella dichiarazione dei redditi possono essere molto gravi e avere un impatto significativo sulla vita del contribuente. Le sanzioni e le multe potrebbero mettere a rischio la stabilità finanziaria del contribuente e la possibilità di ottenere prestiti e finanziamenti. Inoltre, l’accusa di evasione fiscale potrebbe portare a un grave danno alla reputazione del contribuente e potrebbe influire sulla sua capacità di ottenere un lavoro o di svolgere attività commerciali in futuro. Per evitare tali conseguenze, è fondamentale che i contribuenti compilino la dichiarazione dei redditi con estrema attenzione e verifichino che tutte le informazioni fornite siano corrette e complete. In caso di dubbi o incertezze, è possibile richiedere l’aiuto di un professionista fiscale o dell’Agenzia delle Entrate per evitare errori costosi e problemi futuri.

Dichiarazione dei redditi: l’importanza della precisione nella denuncia

Compilare la dichiarazione dei redditi in modo preciso è fondamentale per evitare di incorrere in problemi con le autorità fiscali. Anche piccoli errori od omissioni possono avere conseguenze significative. Ad esempio, se il contribuente commette un errore nella dichiarazione dei redditi e paga meno tasse di quanto dovrebbe, potrebbe essere soggetto a sanzioni e multe da parte dell’Agenzia delle Entrate. D’altra parte, se il contribuente paga più tasse di quanto dovrebbe, potrebbe non ricevere il rimborso a cui ha diritto e perdere del denaro. In entrambi i casi, l’errore potrebbe causare un danno economico.

Dichiarazione redditi

La precisione nella dichiarazione dei redditi può avere anche un impatto sulle future dichiarazioni. Se il contribuente ha commesso errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi di un anno, l’Agenzia delle Entrate potrebbe decidere di approfondire i controlli nelle denunce degli anni successivi. Ciò potrebbe causare ulteriori problemi e costi, quindi, per evitare questi problemi, è importante compilare la dichiarazione dei redditi con estrema attenzione e verificare che tutte le informazioni fornite siano corrette e complete.

Denuncia dei redditi: la responsabilità del contribuente

Come abbiamo visto la dichiarazione dei redditi è un documento importante per il contribuente e deve essere compilata con estrema cura. La responsabilità della veridicità delle informazioni fornite ricade completamente sul contribuente, il quale deve assicurarsi di avere tutte le informazioni necessarie prima di compilarla. Se ci sono errori o omissioni, il contribuente è il solo responsabile e potrebbe essere soggetto a sanzioni e multe da parte di AdE.

Il Codice Penale italiano prevede diverse sanzioni per le omissioni o gli errori nella dichiarazione dei redditi, in particolare nell’articolo 2 della Legge 24 novembre 1981, n. 689. In caso di omissione di elementi essenziali nella dichiarazione, come ad esempio la non dichiarazione di tutti i redditi percepiti, il contribuente può essere accusato di reato di dichiarazione fraudolenta, il quale prevede una sanzione penale che va dai 6 mesi ai 3 anni di reclusione.

Il Codice Civile italiano, invece, stabilisce che il contribuente che presenta una dichiarazione dei redditi incompleta o errata può essere soggetto a sanzioni e multe da parte dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, l’art. 2 del D.P.R. n. 322 del 1998 prevede una sanzione amministrativa che può variare dal 120% al 240% dell’imposta evasa a seconda della gravità della violazione.

Quanto tempo ha un privato per pagare una fattura

Il pagamento delle fatture è un passaggio fondamentale per qualsiasi privato, poiché permette di evitare sanzioni e ritardi nei pagamenti. Tuttavia, sono ancora in molti a chiedersi quanto tempo ha un privato per pagare una fattura e quali sono i rischi e le conseguenze di una fattura non pagata. Cerchiamo quindi di fare chiarezza su questo argomento valutando tutti fattori, i rischi e le eventuali conseguenze.

Quanto tempo ha un privato per pagare una fattura: Termini di pagamento

Per quanto riguarda i termini di pagamento per i privati, la legge prevede un limite di tempo per pagare una fattura. Solitamente, il tempo massimo per pagare una fattura è di 30 giorni dalla data di emissione della fattura stessa. Tuttavia, è possibile che il fornitore stabilisca un termine di pagamento differente, ad esempio di 60 o 90 giorni. In ogni caso, il termine di pagamento deve essere indicato chiaramente sulla fattura, anche e soprattutto se si tratta di una fattura elettronica.

I privati che non rispettano i termini di pagamento possono incorrere in sanzioni e interessi moratori. Ad esempio, l’interesse moratorio può essere del 2% o del 3% l’anno, a seconda delle disposizioni contrattuali. Inoltre, è possibile che il fornitore possa interrompere o sospendere il servizio in caso di mancato pagamento.

Per evitare ritardi nei pagamenti e sanzioni, i privati possono adottare alcune strategie:

  1. Pianificare i pagamenti delle fatture in modo da non avere problemi di liquidità
  2. Verificare regolarmente gli estratti del conto corrente per verificare eventuali pagamenti scaduti
  3. Tenere traccia dei termini di pagamento delle fatture in un’agenda o in un software di gestione delle fatture

Quanto tempo ha un privato per pagare una fattura

Fattura non pagata: rischi e conseguenze

Le fatture non pagate possono avere conseguenze negative sia per il privato che per il fornitore. Per il privato, le conseguenze possono essere:

  • Sanzioni e interessi moratori – Le sanzioni possono essere stabilite dal fornitore in base alle disposizioni contrattuali e possono variare da un minimo del 2% ad un massimo del 3% dell’importo della fattura. Gli interessi moratori, invece, sono calcolati sulla base del tasso di interesse legale e possono variare in base al periodo di ritardo del pagamento.
  • Interruzione o sospensione del servizio – questo significa che il privato non avrà più accesso al servizio o al bene acquistato fino a quando non avrà saldato la fattura.
  • Difficoltà a ottenere finanziamenti o prestiti – Le banche e gli istituti di credito possono infatti considerare il mancato pagamento delle fatture come un segnale di rischio e quindi rifiutare la richiesta di finanziamento.
  • Problemi di reputazione – non pagare delle fatture può essere visto come un segnale di scarsa affidabilità e di mancanza di serietà nei confronti degli obblighi contrattuali.

Per il fornitore, le conseguenze possono essere:

  • Perdite finanziarie: il mancato pagamento delle fatture comporta perdite finanziarie per il fornitore, poiché non riceve il denaro dovuto per il servizio o il bene fornito.
  • Problemi di liquidità: il mancato pagamento delle fatture può causare problemi di liquidità per il fornitore, poiché gli impedisce di utilizzare il denaro per pagare le proprie fatture e gli obblighi finanziari.
  • Difficoltà a ottenere nuovi clienti: il mancato pagamento delle fatture può causare difficoltà per il fornitore nell’ottenere nuovi clienti, poiché può essere visto come un segnale di scarsa affidabilità e di mancanza di serietà nei confronti degli obblighi contrattuali.

Fatture non pagate: come richiederne il pagamento

In caso di fatture non pagate, il fornitore può richiedere il pagamento attraverso diverse modalità:

  1. Sollecito di pagamento: il fornitore invia un sollecito di pagamento al cliente per ricordargli la scadenza del pagamento e i termini contrattuali.
  2. Inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno: il fornitore invia una raccomandata al cliente per richiedere il pagamento e per informarlo delle conseguenze in caso di mancato pagamento.
  3. Recarsi in tribunale: il fornitore può presentare una richiesta di pagamento al tribunale competente. In questo caso, il giudice emetterà una sentenza che obbliga il cliente a pagare la fattura.
  4. Utilizzare un’agenzia di recupero crediti: è sempre possibile rivolgersi a un’agenzia di recupero crediti per richiedere il pagamento della fattura elettronica non saldata. L’agenzia si occuperà di contattare il cliente e di concordare un piano di pagamento.

Alla luce di quanto detto finora è importante che i privati rispettino i termini di pagamento delle fatture per evitare sanzioni e problemi con i fornitori. Tuttavia, in caso di difficoltà a pagare una fattura, è possibile concordare un piano di pagamento con il fornitore o chiedere il supporto di un’agenzia di recupero crediti.

Esercizio abusivo della professione: cos’è, sanzioni e risarcimenti

L’esercizio abusivo della professione corrisponde all’esercizio di un’attività professionale senza avere il titolo abilitativo previsto da legge. Esistono infatti alcune professioni che non è possibile svolgere senza la giusta autorizzazione. Solitamente l’abilitazione professionale è ottenibile in seguito al perseguimento di un determinato titolo di studio e successivamente al superamento di un esame di Stato. L’accesso all’esame richiede altresì dei precisi requisiti, come, ad esempio, lo svolgimento di un tirocinio professionale. Solo dopo aver partecipato e superato l’esame di Stato, il soggetto può procedere all’iscrizione all’albo del proprio ordine professionale. I soggetti che decidono di svolgere un’attività in assenza del titolo abilitativo richiesto da legge, sono perseguibili per reato di esercizio abusivo della professione. La pena prevista per tale reato è la reclusione.

Esercizio abusivo della professione: cosa dice la legge

Per esercitare la propria professione, avvocati, medici, architetti, agronomi, ecc. Non devono limitarsi ad aprire una partita IVA e iniziare a fare impresa. Prima di arrivare a gestire gli aspetti amministrativi, fiscali e contributivi, l’utente deve prima essere in possesso di un titolo abilitativo che gli consenta di svolgere tale attività.

Il reato di esercizio abusivo della professione è normato dall’articolo 348 del Codice Penale. La legge stabilisce che l’abuso della professione non corrisponde all’esercizio abusivo di un mestiere, ma solo quello relativo a professionisti ai quali occorre un particolare titolo abilitativo per esercitare.  Si tratta di un reato procedibili d’ufficio. Basta una segnalazione all’autorità giudiziaria affinché parta un provvedimento nei confronti del soggetto che esercita senza abilitazione. Non è necessaria, invece, una querela da parte della persona offesa.

Il reato possiede natura immediata. Significa che si realizza nel momento stesso in cui è compiuta un’azione tipica della professione. Non è necessario che si tratti di un atto retribuito.

Esercizio abusivo della professione

348 C.P.: quali sanzioni sono previste

Il reato di esercizio abusivo della professione può essere punito con la reclusione per un minimo di sei mesi, fino a un massimo di tre anni. È inoltre richiesta una sanzione pecuniaria che può arrivare fino a cinquantamila euro. A tutto questo si aggiungono delle pene accessorie:

  1. pubblicazione della sentenza
  2. confisca di beni e strumenti usati per commettere il reato
  3. interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività esercitata. La sanzione disciplinare in questione, affinché possa essere attuata, deve essere comunicata all’Ordine o all’Albo competente.

Ogni sanzione è prevista come deterrente e svolge una funzione preventiva, per evitare la reiterazione del reato stesso. È possibile che un soggetto istighi addirittura un altro all’abuso di reato. In questo caso il legislatore ha previsto delle sanzioni ancora più gravi:

  • reclusione fino a 5 anni
  • multa da 15mila a 75mila euro nei confronti del professionista che:
    • istigato altri all’abuso della professione
    • ha diretto l’attività delle persone che hanno concorso al reato stesso

348 codice penale e risarcimento del danno

I soggetti che operano l’esercizio abusivo della professione sono tenuti a risarcire il danno causato alla vittima. In particolare, la categoria di danno all’immagine, può essere richiesta esclusivamente dall’Ordine professionale, che potrebbe, quindi, anche costituire parte civile nel procedimento penale. Un privato, invece, ha la possibilità di richiedere, un risarcimento del danno commisurato alle conseguenze patite.

Un’ultima nota riguarda l’esercizio di una professione richiedente un titolo abilitativo in un paese diverso da quello dove il titolo è stato ottenuto. Chi ha ottenuto un’abilitazione alla professione in uno Stato membro dell’Unione Europea, ha la possibilità di esercitare anche in Italia. È comunque richiesto un accertamento della regolarità dell’istanza e della relativa documentazione. Inoltre, il soggetto deve aver trasmesso tale documentazione anche all’ordine professionale competente per poter procedere all’iscrizione.

Obbligo pos: come funziona dal 30 giugno

Dal 30 giugno 2022 è scattato l’obbligo POS per negozianti e studi professionali. Gli esercenti sono tenuti ad accettare i pagamenti con bancomat e carte di credito. Non è più possibile rifiutare i pagamenti elettronici anche se le somme sono molto basse. Sono previste e pronte a scattare sanzioni amministrative a seguito di possibili segnalazioni da parte dei clienti.

Obbligo POS: i soggetti a cui sono applicate le nuove regole

Dal 30 giugno, negozianti e studi professionali devono essere muniti di POS e accettare sempre i pagamenti con bancomat (carta di credito o carta di debito), indipendentemente dall’importo. A imporre il nuovo obbligo POS è decreto legge 36/2022 (cosiddetto “decreto Pnrr 2”, articolo 18, commi 1, 2 e 3) che attua gli obiettivi fissati nel PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza).

L’obbligo doveva partire dal 1° gennaio del 2023, ma il decreto legge lo ha anticipato all’inizio della seconda metà del 2022. Sono quindi applicabili le sanzioni a tutti gli esercenti che rifiutano il pagamento con carta di credito e bancomat. L’obbligo POS deve essere rispettato da tutti coloro che vendono prodotti e/o prestazioni di servizio, anche professionali. È comunque possibile evitare di far pagare tramite POS, senza far scattare le eventuali sanzioni, quando i professionisti possano materialmente dimostrare “l’oggettiva impossibilità tecnica” relativa al suddetto pagamento.

Obbligo POS 2022: le conseguenza per chi non si adegua

I soggetti che dovessero negare la possibilità di pagare tramite POS (bancomat, carta di credito o debito) sono soggetti a sanzioni pecuniarie, un po’ come accade per le sanzioni scontrino elettronico. La sanzione amministrativa ammonta a 30 euro, aumentata del 4% del valore della transazione stessa, per la quale è rifiutato il pagamento con carta.

Ad esempio, se il cliente deve pagare 100€ con il POS e l’esercente non ne fosse provvisto, la cifra che il negoziante deve pagare come sanzione ammonta a 34 euro. Il calcolo è dato dalla base di 30 euro previsti come sanzione pecuniaria , più il 4% di 100 euro, che corrisponde a 4 euro.

Obbligo pos

Obbligo pagamento POS: I casi di oggettiva impossibilità tecnica

Alla regola esiste un’eccezione, o meglio, è previsto una casistica particolare. Il decreto legge 179/2012 articolo 15, stabilisce che i negozianti possono non accettare il pagamento con POS solo nei casi di oggettiva impossibilità tecnica. Qualora si dovessero verificare tali circostanze, le sanzioni amministrative applicate, sono quelle previste dalla legge 689/81, con riferimento alle procedure e ai termini (a eccezione dell’articolo 16, che disciplina il pagamento in forma ridotta).

L’oblazione amministrativa, vale a dire l’alternativa alla contestazione della sanzione di effettuare il pagamento in forma ridotta, non è più valida. L’oblazione consente, infatti, al soggetto contravventore di pagare una somma pari a un terzo del massimo della sanzione. In alternativa, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento. Il pagamento è previsto entro 60 giorni dalla contestazione immediata, oppure se questa non dovesse sussistere, dalla notificazione degli estremi della contestazione.

I pagamenti con POS, essendo pagamenti elettronici, sono soggetti a eventuali errori e/o malfunzionamenti tecnici. Di conseguenza è possibile, per gli esercenti, evitare le sanzioni in caso di

  1. malfunzionamento del POS
  2. problemi a rilevare la carta
  3. problemi di connettività a internet che rendono impossibile la trasmissione del pagamento avvenuto
  4. guasti alla rete elettrica

Per evitare le sanzioni, però, è necessario che i negozianti comunichino i disservizi e siano in grado di dimostrarne l’effettività.

Obbligo POS professionisti

L’obbligo POS non vale solo per i commercianti, ma anche per tutti i professionisti che vendono beni e/o servizi. Come per gli esercenti, anche i professionisti potrebbero limitarsi ad accettare anche un unico circuito di pagamento e una sola tipologia di carta di debito e di credito, ma devono comunque accettare il pagamento elettronico.

Per andare incontro a tutti, il Governo ha comunque previsto anche un bonus POS che consiste in un aiuto per acquistare o noleggiare strumenti digitali dedicati alle transazioni B2C, legati a sistemi di pagamento elettronico. Nonostante il bonus, è importante sapere che, per accettare i pagamenti con POS e assolvere all’obbligo POS, basta installare un’app sul proprio smartphone.

Già in passato, i precedenti Governi (Conte e Monti) avevano provato a stabilire l’obbligo POS per i negozianti, ma senza successo. Il governo Conte II, con l’art. 23 del Decreto legge n.124, stabiliva dal 1° luglio 2020 una multa pecuniaria di 30 euro più il 4 % dell’importo rifiutato. Tuttavia, nel corso della conversione in Legge del DL n. 124/2019, l’art. 23 veniva abrogato. Il Governo Monti provò nel 2021 con il Decreto-legge 179/2012, articolo 15, comma 4, ma ugualmente senza risultati.

Comunicazione lavoro occasionale: cos’è e chi deve farla

La comunicazione lavoro occasionale è diventata un obbligo grazie al Decreto fisco-lavoro n° 146 del 2021. È possibile effettuarla anche online dal 28 marzo 2022, direttamente sul sito dell’ispettorato del lavoro grazie alle credenziali SPID e CIE. Vogliamo ricordare modalità, tempi e regole generali di comunicazione.

Comunicazione lavoro occasionale: i soggetti obbligati

Oltre ai precedenti soggetti obbligati a comunicare la prestazione occasionale, le nuove disposizioni a norma di legge hanno incluso nell’elenco anche:

  1. i committenti che operano in qualità d’imprenditori (esclusi quindi i professionisti)
  2. lavoratori autonomi occasionali inquadrati nella definizione dell’articolo 222 c.c.

Una classificazione che porta, di conseguenza, all’esclusione di:

  1. collaborazioni coordinate e continuative, comprese quelle etero-organizzate  già oggetto di comunicazione preventiva
  2. rapporti instaurati in base all’54-bis del D.L. n. 50/2017
  3. professioni intellettuali, in base alla disciplina dell’articolo 2229 c.c. Tutte le attività autonome esercitate in maniera abituale e assoggettate al regime IVA
  4. rapporti di lavoro “intermediati da piattaforma digitale, comprese le attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l), TUIR, soggetti a specifici obblighi di comunicazione)

Una nota esplicativa dell’ispettorato del lavoro ha specificato che gli Enti del Terzo Settore che svolgono esclusivamente attività non commerciale, non sono soggetti all’obbligo di comunicazione.  Solo nel caso in cui svolgano attività d’impresa, anche in forma marginale, tornano immediatamente ad assoggettarsi all’obbligo della comunicazione.

Anche le aziende di vendita diretta a domicilio sono escluse dall’obbligo di comunicazione. Così come i lavoratori autonomi occasionali impiegati in prestazioni di natura intellettuale, i lavoratori dello spettacolo, le ASD, le SSD e gli studi professionali a patto che non siamo organizzati in forma d’impresa.

Comunicazione lavoro occasionale 2022: tempistiche

La comunicazione lavoro occasionale deve essere trasmessa entro il 18 gennaio nel caso di collaborazioni iniziate prima o dopo il 21.12 e ancora attive alla data dell’11 gennaio 2022. Stessa scadenza per le collaborazioni iniziate dopo il 21.12 e cessate prima dell’11.1.2022.

È necessaria invece una comunicazione preventiva nel caso di collaborazioni iniziate dopo l’11 gennaio. Sono invece escluse dall’obbligo della comunicazione tutte quelle collaborazioni iniziate e cessate  entro il 21 dicembre.

Lavoro autonomo occasionale 2022: le modalità di comunicazione

La normativa attualmente vigente prevede l’obbligo di comunicare la prestazione di lavoro occasionale all’Ispettorato competente. Tale comunicazione può essere inviata tramite sms oppure posta elettronica (all’indirizzo specifico del relativo Ispettorato del Lavoro). È inoltre disponibile una piattaforma chiamata “Comunicazioni obbligatorie” con la quale è possibile indicare la prestazione in via telematica.

L’indicazione per email deve contenere dei dati obbligatori:

  • dati del committente
  • dati del prestatore
  • luogo di lavoro
  • descrizione dell’attività svolta
  • data d’inizio prestazione
  • arco temporale entro il quale la prestazione lavorativa possa dirsi conclusa
  • importo del compenso pattuito

Se la data di termine prestazione non dovesse essere rispettata, è necessario inviare una nuova comunicazione. Le varie dichiarazioni possono essere modificate e/o annullate entro e non oltre l’inizio dell’attività del prestatore. I dati trasmessi incompleti e/o errati (data d’inizio e dati personali dei soggetti coinvolti), non sono considerati come un’omessa comunicazione.

Comunicazione lavoro occasionale

Per quanto riguarda le indicazione dei termini entro le quali la prestazione può ritenersi conclusa sono tre:

  • 7 giorni
  • 15 giorni
  • 30 giorni

Comunicazione lavoro occasionale: sanzioni per omessa trasmissione

È prevista una precisa sanzione amministrativa in caso di omissione di comunicazione lavoro occasionale. Si tratta di un importo compreso tra i 500 € e i 2500 €. La sanzione pecuniaria è applicata per ciascun lavoratore autonomo occasionale per il quale sia stata omessa la comunicazione obbligatoria.

Le sanzioni sono applicate anche nel caso in cui la prestazione lavorativa si protragga nel tempo oltre la data indicata inizialmente e manchi la successiva nuova comunicazione. I lavoratori occasionali che svolgono prestazioni non comunicate sono annoverati e conteggiati come lavoratori irregolari. Sono soggetti a ispezioni e, se il loro numero supera il 10% dei lavoratori impiegati nello svolgimento della prestazione, l’ispettorato può prendere la decisione di sospendere l’attività lavorativa.

Cumulo giuridico: cos’è, a cosa serve e quando è applicato

Il cumulo giuridico  delle sanzioni tributarie è disciplinato dalla legge n° 472 del 18 dicembre 1997. Il cumulo giuridico altro non è che un meccanismo attraverso il quale è irrogata una sanzione in caso di più violazioni commesse dal contribuente. La sanzione è irrogata applicando quella di base prevista per la violazione più grave e aumentata secondo quanto stabilito dalla legge stessa. Vediamo come funziona e i casi in cui è previsto.

Cumulo giuridico: cos’è, definizione

L’articolo 12 del decreto legislativo numero 471/1997, è rubricato sotto il nome di  “Concorso di violazioni e continuazione”. Tratta e gestisce il cumulo giuridico. Si tratta di un meccanismo utilizzato solamente dagli uffici finanziari e applicato durante le fasi di accertamento ed irrogazione di sanzioni tributarie. Il cumulo è applicato quando un contribuente non paga, in modo continuo, dei tributi.

In altre parole si tratta di un meccanismo che prevede l’irrogazione di una sanzione nel caso di più violazioni, irrogata applicando la sanzione per la violazione più grave commessa e maggiorata in base a quanto stabilisce la legge.

Cumulo giuridico: ecco a cosa serve veramente

Anche se non sembra, il cumulo giuridico rappresenta uno sgravio per il contribuente. Infatti, con questo meccanismo, si evita un gravoso accumulo di sanzioni singole, previste per ciascuna violazione commessa dal contribuente. Rispetto al cumulo materiale, questo processo permette al contribuente di ottenere una sorta di “sconto” sulla somma totale che dovrebbe pagare se venissero invece applicate le singole sanzioni su ciascuna violazione commessa. Il cumulo giuridico si applica in molteplici situazioni, ognuna delle quali è disciplinata dall’articolo 12 del Decreto Legislativo n°472/1997.

Quando è applicato il cumulo giuridico

I casi in cui il cumulo giuridico si applica si dividono in:

  • ​concorso formale di violazioni omogeneo ed eterogeneo – si tratta di violazione omogenea quando con una sola azione o omissione si commettono diverse violazioni della stessa disposizione. Si tratta invece di violazione eterogenea quando, con una sola azione o omissione, sono violate disposizioni diverse anche relative a tributi differenti.
  • concorso materiale di violazioni – più azioni o omissioni commesse attraverso le quali si commettono diverse violazioni della stessa disposizione.

Cumulo giuridico

Cumulo giuridico: continuazione e progressione dell’illecito tributario

La continuazione, disciplinata sempre dal medesimo articolo, consiste nella condotta del contribuente che commette più violazioni (anche in tempi diversi) che tendono a pregiudicare o pregiudicare nella sua determina, l’imponibile o la liquidazione periodica del tributo.

Anche in questo caso la sanzione irrogata è pari a quella prevista per la violazione più grave commessa dal contribuente e maggiorata da un quarto del doppio di quanto disposto dalla legge stessa. La continuazione nel cumulo giuridico si verifica quando le violazioni commesse dal contribuente sono concatenate tra loro. Significa che tutte le violazioni commesse hanno come scopo ultimo, l’evasione fiscale dello stesso tributo.

È un esempio calzante di continuazione nel cumulo giuridico l’omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA. Detta in altre parole, si verifica in presenza di mancata emissione di scontrini, fatture, ricevute fiscali. Infatti, non emettere uno scontrino elettronico, piuttosto che una fattura elettronica, porta alla loro mancata registrazione. Di conseguenza, al termine dell’anno fiscale, sarà presentata una dichiarazione annuale iva falsata, proprio perché mancate delle operazioni omesse (operazioni non scontrinate o fatturate).

In tutti questi casi, quindi, le singole operazioni non sono sanzionate una per una, ma soggette alla continuazione del cumulo giuridico. Il cumulo prevede l’applicazione della sanzione più alta prevista per la violazione più grave commessa, che comprende un importo tra il 90% e il 180% della maggiore imposta dovuta , aumentata di un quarto del suo doppio.

Esempi di omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA

Il secondo comma dell’articolo 12 del D. Lgs. 472/1997 disciplina la cd continuazione o progressione dell’illecito tributario. In questa sede riportiamo alcuni esempi per capire meglio quando è applicata la continuazione nel cumulo giuridico per le seguenti violazioni:

  • formale per mancata emissione della fattura
  • del dpr 917/1986 in termini di determinazione del reddito di impresa o di lavoro autonomo o professionale
  • del dpr 633/1972 in materia di determinazione e liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto
  • degli obblighi comunicativi e dichiarativi in materia di imposte dirette e IVA.

Infine si riporta il comma 3 dell’articolo 12 del Decreto Legislativo n°472/1997 che dispone:

“Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera quale sanzione base cui riferire l’aumento, quella più grave aumentata di un quinto.”

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa si rischia e come rimediare

La disciplina vuole che l’emissione della fattura elettronica avvenga entro 24 ore massime dal momento in cui si effettua un’operazione. Invece per le fatture differite il termine di emissione è stabilito al 15 del mese successivo a quello in cui l’operazione si è conclusa. Il legislatore ha quindi previsto una serie di sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. Inizialmente, al fine di agevolare la fase di avvio della fatturazione elettronica, erano stati previsti degli esoneri sull’applicazione di eventuali sanzioni. Ad oggi, invece, non esistono esoneri e sono quindi applicate sistematicamente le sanzioni previste dall’ dall’art. 6 del D.Lgs. n 471/97. Vediamo qualche dettaglio in più.

Emissione fattura elettronica: termini e scadenze

Le fatture elettroniche non sono tutte uguali. Ne esistono di vari tipi e, a seconda della tipologia di appartenenza, prevedono un termine di emissione diverso. Le fatture elettroniche possono essere:

  • immediate
  • differite

 

Una e-fattura è considerata emessa solo se inviata al Sistema di Interscambio e se non risulta scartata. Le fatture immediate devono essere emesse entro 12 giorni dal momento dell’effettuazione dell’operazione, come stabilisce l’art. 6 del DPR n. 633/72. Le fatture elettroniche differite, invece, deve essere emessa e registrata entro il 15 del mese successivo a quello in cui si è conclusa l’operazione di riferimento. Per quest’ultime è d’obbligo indicare il mese di riferimento, perché l’operazione rientra nella liquidazione periodica dello stesso mese e l’IVA è da versare entro il 16 del mese successivo.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa prevede la legge

Visti i termini entro i quali una e-fattura deve essere emessa, il legislatore ha previsto anche delle sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. A stabilire la misura della sanzione amministrativa applicata, ci pensa l’ art. 6 del D.Lgs. n. 471/97, che cita:

“La sanzione varia dal 90% al 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato, con un minimo di 500 euro. La sanzione è dovuta nella misura da 250 a 2.000 euro, se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Entrando nel dettaglio, la norma prevede una diversa sanzione a seconda della violazione commessa:

  • Fra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato (con un minimo di 500 euro)
  • Da 250 a 2.000 euro, qualora la violazione non abbia inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

Le sanzioni possono comunque essere ridotte grazie all’esercizio del ravvedimento operoso. L’esercizio del ravvedimento operoso è previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo n°472/1997. Sono previste diverse casistiche a seconda della data entro la quale avverrà il pagamento richiesto.

Anche le fatture scartate dal Sistema di Interscambio, potrebbero essere soggette a sanzioni amministrative. Per ovviare al problema è possibile rinviare la fattura elettronica in questione entro 5 giorni dalla data di notifica dello scarto (provvedimento 30 aprile 2018 dell’Agenzia delle Entrate).

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: le conseguenze per il cessionario o committente

Inviare una fattura elettronica in ritardo, comporta delle conseguenze e relative sanzioni, anche da parte del committente o cessionario. Nell’ art. 6 co. 8 del D.Lgs. n. 471/97 è stabilito che tali sanzioni debbano ammontare al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro per ogni violazione. Per evitare di dover pagare questi importi, il committente/cessionario deve adempiere a una serie precisa di obblighi documentali.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica

 

Nel caso in cui il committente/cessionario non riceva la fattura elettronica entro 4 mesi dalla data dell’operazione deve trasmettere, al SddI, un’autofattura di regolarizzazione. Inoltre deve pagare l’imposta entro il tredicesimo giorno successivo. Nella documentazione inviata deve indicare, alla sezione anagrafica del cedente/prestatore i dati del fornitore e in quella del cessionario/committente i propri. Infine, il campo “TipoDocumento” deve essere compilato con il codice “TD20”.

Nel caso in cui, invece, il cessionario/committente riceva una fattura elettronica irregolare deve trasmettere lo stesso documento previsto nell’altra casistica, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo alla registrazione. Inviare digitalmente l’autofattura di regolarizzazione al Sistema di Interscambio solleva il committente dall’obbligo di presentare la fattura in formato analogico, direttamente presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente.

Codice tributo F24

Le sanzioni tardiva emissione fattura elettronica possono essere pagate tramite un modello F24. È necessario compilare la sezione erario e utilizzare il codice tributo 8911. Il modello chiede inoltre l’indicazione dell’anno di riferimento. Quello da indicare è l’anno in cui è avvenuta la violazione stessa.

Fatturazioni false: tutto quello che c’è da sapere

Le fatturazioni false, per quanto incredibile possa sembrare, sono ancora una piaga in Italia. La falsificazione delle fatture è considerato, nel nostro paese, un reato tributario, o frode fiscale. A tal proposito è il decreto legislativo n°74 del 2000 che ha individuato, con precisione, le conseguenza ad un tale operato. Le fatturazioni false sono fatte per frode il Fisco, pagare meno tasse, oppure non pagarle proprio. In pratica un soggetto fa un dichiarazione fraudolenta, utilizzando fatture elettroniche per operazioni inesistenti, o per valori maggiori/minori rispetto a quanto effettivamente sostenuto. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta questo fenomeno.

Fatturazioni false: cosa sono

Per comprendere meglio questo fenomeno, è bene capire cosa si intende, con esattezza, per fatturazioni false. In pratica una fattura elettronica è considerata falsa quando:

  • è emessa per operazioni mai avvenute, in modo parziale o totale
  • riportano l’indicazione di corrispettivi o IVA più alti rispetto a quelli effettivamente sostenuti
  • riportano l’indicazione di corrispettivi o IVA che si riferiscono a soggetti diversi da quelli effettivi

Esistono comunque diversi reati di frode fiscale  legati proprio alle fatture. Tra questi, ad esempio, il legislatore distingue:

  • dichiarazione fraudolenta tramite fatture false
  • emissione di fatture false

Fatturazioni false: dichiarazione fraudolenta per operaizoni inesistenti

Questa particolare forma di dichiarazione fraudolenta è prevista dal decreto legislativo 74 del 2000 all’articolo 2. In pratica un soggetto, nella propria dichiarazione dei redditi, indica elementi passivi fittizi. Il fine è quello di evadere le imposte sui redditi e/o sull’IVA. 

Gli elementi passivi fittizi possono vere varia natura. Ad esempio, si possono riferire a costi mai sostenuti, oppure a costi sostenuti ma non deducibili. Nel secondo caso si tratta di spese realmente sostenute, ma non inerenti allo svolgimento della propria attività lavorativa. È il caso, ad esempio, di un viaggio personale, fatto passare come viaggio di lavoro. In questo modo il professionista può scaricare l’IVA sostenuta durante il viaggio, ma compie reato di dichiarazione fraudolenta con una o più fatture elettroniche emesse per operazioni inesistenti.

Fatturazioni false

Il reato di dichiarazione fraudolenta si perfeziona al momento in cui le fatture elettroniche sono registrate in contabilità obbligatoria. In altre parole quando sono utilizzate come prove nei confronti del Fisco e di eventuali accertamenti. Si tratta di un reato davvero molto grave, per il quale è prevista la reclusione da sei mesi, a un anno, fino al massimo della pena prevista di sei anni.

Fattura elettroniche emesse per operazioni inesistenti

Facendo sempre riferimento al decreto legislativo 74 del 2000, l’articolo 8 tratta dei casi in cui le fatture sono emesse per giustificare operazioni mai realmente compiute. Un reato, questo, commesso per permettere a un soggetto terzo di evadere le imposte sui redditi e/o sull’IVA. In pratica sono emesse o rilasciate fatture per operazioni inesistenti al 100%. La pena prevista per questo genere di reato è la reclusione da sei mesi a un anno, fino a massimo sei anni di galera.

Fatturazioni false e il Decreto Legislativo Fiscale del 2020

Delle importanti novità in materia di evasione fiscale, reati tributari e frodi fiscali, sono state introdotte dal Decreto Legislativo fiscale del 2020 (Decreto-legge n. 124/2019). In particolare, la norma, ha inasprito il reato di falsificazione per i grandi evasori. Inoltre il decreto distingue tra persone fisiche e persone giuridiche.

Per le persone fisiche la reclusione va da un minimo di quattro a un massimo di otto anni. Se la somma evasa (relativa agli importi fittizi) è inferiore a 100.000 euro, la pena resta quella prevista dal D.Lgs. 74/2000 (da un minimo di 18 mesi  a un massimo di sei anni).

Le persone giuridiche invece sono obbligate a pagare delle sanzioni amministrative. Le sanzioni sono previste in relazione alla responsabilità amministrativa di reato prevista, nel dettaglio, dal Decreto Legislativo 231 del 2001. In particolare per il reato di dichiarazione fraudolente delle tasse tramite fatture false (art. 2 d.lgs. 74/2000), il decreto fiscale ha previsto una sanzione pecuniaria fino 500 quote. Ogni quota va da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro. In base a questi dati, si stima che un’azienda può subire una sanzione massima di 774.500 euro (ossia 1.549 per 500).

Si tratta di un argomento molto delicato e complicato. È possibile approfondirlo leggendo i decreti legislativi pubblicati in Gazzetta ufficiale:

Ravvedimento operoso 2021: cos’è, come funziona e quali sanzioni prevede

Il ravvedimento operoso è uno strumento ideato da Agenzia delle Entrate che permette ai contribuenti che vogliono mettersi in regola spontaneamente con il fisco. Si tratta quindi di uno strumento utilizzabile nei casi di violazioni, omissioni, pagamenti insufficienti e dichiarazioni dei redditi errate. Con il ravvedimento operoso 2021 è possibile sanare eventuali violazioni pagando delle sanzioni ridotte e applicando degli interessi di mora in base al numero dei giorni di omesso o ritardato adempimento fiscale. In questo modo i contribuenti che vogliono mettersi in regola fiscalmente in modo spontaneo, pagano delle sanzioni notevolmente ridotte rispetto a quelle che riceverebbero se aspettassero l’accertamento fiscale.

Ravvedimento operoso 2021: quando si applica e quali sono i vantaggi

Lo strumento del ravvedimento operoso è utilizzabile da tutti (o quasi) privati cittadini e imprese. Introdotto in Italia dall’art 13 del Decreto legislativo n° 472 del 1997 ha portata a una diminuzione delle sanzioni applicabili a chi commette violazione fiscale. Si può utilizzare nei casi di:

  • versamenti omessi
  • pagamenti ritardati
  • versamenti errati o insufficienti
  • dichiarazione dei redditi omesse, oppure in ritardo, o ancora errate o insufficienti
  • comunicazioni omesse, presentate in ritardo o sbagliate

Ravvedimento operoso 2021

I vantaggi di sfruttare il ravvedimento operoso 2021 si possono riassumere in quattro diversi punti:

  1. pagare una sanzione ridotta in base al numero dei giorni del mancato, ritardato, o insufficiente adempimento
  2. avere la possibilità di saldare un tributo omesso, ritardato o insufficiente
  3. presentare comunicazione o dichiarazione dei redditi omessa
  4. pagare gli interessi di mora legali solo in base al tasso legale annuo stabilito dalla BCE

Ravvedimento operoso 2021: uno strumento versatile e potente

Il meccanismo di funzionamento di questo strumento è piuttosto semplice. In pratica un contribuente, cittadino o impresa che sia, che ha commesso una violazione fiscale, sa che può ricorrere spontaneamente al ravvedimento operoso 2021 per sanare la violazione stessa, pagando solo la sanzione ridotta, il tributo omesso e gli interessi di mora, calcolati sugli effettivi giorni di ritardo.

Il ravvedimento operoso è uno strumento per mettersi in regola spontaneamente. Nessuna lettera, comunicazione, o sollecito è inviata al contribuente per far presente che può pagare una sanzione ridotta, adottando questo sistema. È possibile usufruire del ravvedimento anche quando è già iniziata la procedura di accertamento della violazione, o la sua contestazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Il ravvedimento operoso 2021 è usufruibile solo per mettersi in regola con tributi e tasse dell’Agenzia delle Entrate: IRPEF, IVA, IRAP, imposta di registro, imposta ipotecaria, imposta catastale, di bollo, successione, ecc…

Anche i contribuenti che hanno già ricevuto una lettera di accertamento fiscale, possono ancora ricorrere all ravvedimento operoso. Non è invece più possibile farvi ricorso nei casi in cui la notifica è per atti di liquidazione, accertamento. Allo stesso modo non si può utilizzare questo strumento in caso di ricezione di comunicazione di irregolarità, emessa a seguito di controlli automatici, o del controllo formale delle dichiarazioni dei redditi.

Tipologie di ravvedimento operoso

Ne esistono di ben 5 diverse tipologie, suddivise in base alle percentuali sanzionatorie applicate. I ravvedimenti quindi possono essere:

  • sprint – se il pagamento è effettuato entro i primi 14 giorni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1%
  • breve – se il pagamento è effettuato dal 15° al 30° giorno dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1,5%
  • intermedio – se il pagamento è effettuato entro 90 giorni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1,67%
  • lungo – se il pagamento è effettuato entro lo stesso anno della violazione (o meglio, entro la dichiarazione dei redditi successiva) e corrisponde all’3,75%
  • lunghissimo – se il pagamento è effettuato entro e oltre i due anni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’4,95-5,00%

Ravvedimento operoso 2021 ed interessi di mora

È quindi possibile pagare usando lo strumento del ravvedimento operoso, saldando la sanzione prevista, ma ridotta, il tributo omesso, insufficiente o in ritardo e infine sommando anche gli interessi di mora.

Gli interessi di mora del ravvedimento operoso 2021 si calcolano in base al tasso legale, vale a dire al tasso effettivo 2021 fissato dal nuovo decreto MEF. Un tasso che rimane valido fino al 31 dicembre del 2021 e che risulta essere pari allo 0,01%. La formula esatta per effettuare il calcolo è la seguente:

Tasso ufficiale interessi di mora X € contributi X numero di giorni trascorsi dalla violazione / 36500

Il ravvedimento operoso 2021 può essere pagato mediante F24 (imposte sui redditi, imposte sostitutive, IRAP, IVA, imposta sugli intrattenimenti), F23 (tributi indiretti), F24 Elide (tributi connessi alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili).

Interessi di mora: cosa sono e come sono calcolati

Gli interessi di mora, o interessi moratori, sono un costo maggiorato applicato nel caso di mancato pagamento di una rata. Quando gli importi dovuti non sono saldati entro i termini prestabiliti, allora su questi sono calcolati e aggiunti gli interessi. Il sovrapprezzo applicato è solitamente calcolato ad un tasso di mora superiore a quello applicato al finanziamento stesso. Lo scopo della mora è quello di tutelare banche e finanziarie che prestano i soldi. Si tratta di un deterrente per i cattivi pagatori e serve ai creditori per far recuperare le rate non pagate, più un risarcimento danni. Dal punto di vista dei debitori invece rappresenta una vera e propria multa per illecito.  In ogni caso comunque il tasso degli interessi può essere stabilito dalla legge (tasso legale), oppure dalle parti (tasso convenzionale). Nel caso di ritardo di pagamento delle transazioni commerciali, si parla di interessi commerciali.

Interessi di mora: la formula matematica

Gli interessi di mora sono quindi applicati ad un tasso superiore a quello legale. La formula matematica utilizzata per calcolarli è la seguente:

importo dovuto X tasso di mora X numero di giorni di interessi maturati : 365

365 giorni è un elemento fisso usato anche nel caso di anni bisestili. Quello che varia, da banca a banca, è proprio il tasso di mora. Il tasso, che non può superare l’8%, è stabilito dal decreto legislativo 192/2012. Ogni istituto di credito ha comunque la propria politica personale ed interna relativa ai ritardi dei pagamenti.

Ufficialità e validità degli interessi di mora

Affinché gli interessi moratori possano essere applicati e quindi siano ritenuti validi, devono essere dichiarati in modo chiaro e preciso sin dall’inizio. Quindi il debitore deve sapere sin dall’inizio del contratto sottoscritto quali e quanti sono gli interessi di mora applicati in caso di ritardo di pagamento. Non solo. Il creditore ha l’obbligo di inviare al debitore anche una lettera raccomandata A/R entro 30 giorni dalla scadenza della rata di pagamento. Al termine di questa scadenza scattano immediatamente e in maniera automatica gli interessi di mora. Arrivati a questo punto non è più possibile patteggiare e il debitore è obbligato a pagare rata, più interessi senza poter contestare nulla.

Interessi di mora

Esiste però un’eccezione alla regola. Il solo caso in cui il debitore può evitare di pagare gli interessi di mora alla banca ed intentare una causa giustificativa. È il caso dimostrabile di errore della banca. Questo avviene, ad esempio, quando l’addebito della rata mensile non è andato a buon fine a causa di disguidi bancari. In questo caso non c’è intenzionalità di non pagare la rata, ma semplicemente un disguido tra banca e cliente. Quindi il debitore può saldare solo la rata senza dover pagare gli interessi di mora.

Transazioni commerciali, termini e ritardi di pagamento

Il decreto legislativo 231/2002 disciplina i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La norma può essere applicata ai contratti tra:

  • imprese e professionisti
  • imprese e pubbliche amministrazioni

Per oggetto i contratti in questione possono avere:

  • consegna di merci
  • prestazioni di servizi

Quindi, anche nelle transazioni commerciali, che prevedono scambio di beni/servizi contro il pagamento corrispettivo di una somma di denaro, possono essere calcolati e applicati gli interessi di mora, in caso di mancato pagamento. In questo specifico caso sono individuati due diverse tipologie di interessi:

  • concordati tra imprese
  • interessi legali di mora (che corrispondono ad interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali)

In questi specifici casi, gli interessi iniziano a decorrere senza che sia necessaria la costituzione in mora. Partono dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. I termini possono essere legali o convenzionali.

I termini convenzionali sono quelli concordati preventivamente dalle parti. Questi però non possono essere superiori ai 60 giorni, nel caso di pagamento tra professionisti lavoratori autonomi. Questa convenzione è specificata nell’articolo 3 della legge 81/2017 recante “recante “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

Per la precisione è stabilito che: “si considerano abusive e prive di effetto le clausole […] mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura elettronica o della richiesta di pagamento”.