Prop trader: chi sono e quale regime fiscale scegliere

Un prop trader è un professionista che si occupa di prop trading. Si tratta di una professione nata recentemente grazie al web. Una figura molto particolare che lavora per conto delle Prop House. Non si tratta di comuni promotori finanziari o di gestori diretti del rischio. Trattandosi di una nuova forma di lavoro cerchiamo di capire meglio quale sia il regime fiscale migliore da adottare per svolgere questa attività.

Prop Trader: chi è e cosa fa

Il Prop Trader gestisce un portafogli d’investimento per conto delle Prop House che altro non è che una società finanziaria che gestisce vari portafogli finanziari d’investitori. La gestione di questi portafogli è affidata proprio ai Prop Trader. Il professionista ha a disposizione una data somma di denaro da gestire, ma non risponde di eventuali perdite subite dall’attività d’investimento.

Beneficia esclusivamente di parte dei proventi ottenuti dalle attività d’investimento. Infatti, la gestione dell’investimento riguarda solo il rapporto tra l’investitore e la Prop House. Il Prop Trader lavora per la Prop House. Questo significa che, in caso di eventuale perdita subita dal committente, il trader può decidere di recedere dal contratto e dalla collaborazione professionale con il singolo professionista.

Prop Trader: lavoro, partita iva e regime fiscale

Per svolgere l’attività di prop trader, se continuativa e abituale, è necessario aprire una partita IVA. La partita IVA è quindi sempre richiesta e non esiste una soglia minima sotto la quale è possibile operare in assenza di partita IVA. È obbligo inoltre dichiarare i proventi relativi all’attività svolta. Il professionista che vuole esercitare tale attività deve anche stabilire la gestione previdenziale e scegliere il codice ATECO corretto.

Agenzia delle Entrate, per il momento, non avendo discusso di questa professione, non ha stabilito un codice ATECO preciso. Quindi, è necessario scegliere un codice già esistente tra i tanti presenti nelle attività residuali. Durante la scelta è d’uopo tenere in considerazione anche la diversa tipologia di contratto che il professionista va a sottoscrivere con la società d’investimento committente.

Allo stesso modo, non esistono specifiche, almeno per adesso, sugli aspetti previdenziali di questa attività professionale. In linea generale, quindi, è possibile farla rientrare nei casi di gestione separata INPS che prevede un’aliquota variabile di anno in anno, da applicare sul valore del reddito prodotto su ogni annualità. Come per il codice, anche in questo caso, la situazione deve essere valutata caso per caso con un dottore commercialista tenendo conto anche del contratto sottoscritto con la Prop House.

Prop trader

Organismo OCF: iscrizione e aspetti amministrativi

L’organismo OCF è un ente che tutela e vigila l’Albo Unico dei Consulenti Finanziari. Per potersi iscrivere all’OCF occorre superare un esame specifico. Per quanto riguarda i prop trader, non essendoci chiarimenti ufficiali, non è chiaro se debbano o no iscriversi a questo organismo. Analizzando il loro operato sembra non essere necessaria l’iscrizione, essendo professionisti che operano al di fuori delle normative che regolano l’attività dei consulenti finanziari.

Prop trader lavoro e regime fiscale

I prop trader possono ricorrere al regime forfettario, fuori campo IVA. Così facendo hanno un’aliquota molto bassa del 5% (nei primi 5 anni) o del 15% e non si pagano IRPEF, IRAP o altre imposte addizionali. Per accedere al forfettario devono sempre essere rispettati determinati criteri:

  1. ricavi annui non superiori ai 65.000€
  2. redditi da lavoro dipendente o pensioni non superiori a 30.000€
  3. non superare i 20.000€ annui di spese per i dipendenti
  4. non possedere quote di partecipazione a società di persone o associazioni
  5. non possedere partecipazioni di controllo in SRL che svolgono attività analoghe

In alternativa al regime forfettario, è possibile, per il Prop Trader, aprire partita IVA individuale in contabilità semplificata, oppure aprire una SRL. Meglio, comunque, valutare ogni situazione caso per caso avvalendosi dell’ausilio di un commercialista esperto in materia.

Come pagare meno tasse per i professionisti della fatturazione

I professionisti sono sempre alla ricerca di nuovi modi per sapere come pagare meno tasse. Farlo legalmente è possibile, ma è necessario cambiare un po’ mentalità. Vediamo quindi come possono ridurre in modo legale il carico fiscale professionisti e freelancer.

Come pagare meno tasse: trovare un consulente fiscale e gestire i costi

Per pagare meno tasse, prima di tutto, bisogna trovare un consulente fiscale adatto alle proprie esigenze e al proprio business. Stringere una forte e profonda collaborazione con una figura competente nel proprio settore, è sicuramente, un’agevolazione da non sottovalutare.

In secondo luogo è necessario ripensare a una corretta gestione dei costi. È importante che ogni spesa effettuato nell’esercizio della propria attività, sia correttamente registrata con fattura elettronica o scontrino elettronico. Ma non basta. Ogni documento deve anche essere giustificato nel modo giusto, visto che, purtroppo, in Italia, molte spese non possono essere dedotte perché non inerenti al proprio lavoro. Registrare e giustificare ogni spesa nel modo giusto può essere un modo per pagare meno tasse, visto che vanno a essere dedotti dal reddito professionale.

Come aumentare le deduzioni: giustificazioni corrette

Chi decide di aprire una partita IVA e inizia a fare impresa deve sapere cosa sono le deduzioni e come pagare meno tasse aumentandole legalmente. Ogni costo sostenuto dal professionista può essere dedotto se correttamente giustificato.  Affinché ogni costo sostenuto possa essere portato in deduzione deve:

La deduzione è legale, prevista e spiegata dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Quindi, ogni volta che si presenta l’occasione di documentare una spesa inerente alla propria attività, deve essere sfruttata per arrivare, al momento della dichiarazione dei redditi, a dedurre il maggior numero possibile di spese.

Come pagare meno tasse: il principio d’inerenza

Secondo questo principio, ogni spesa sostenuta dal professionista nell’ambito dell’esercizio della propria attività, può essere dedotta. Per capire se un costo è deducibile è necessario verificare se è possibile applicare il principio d’inerenza. In pratica è necessario controllare attentamente se il costo sostenuto è da imputare alla sfera personale, oppure all’attività lavorativa.

Come pagare meno tasse

Oltre alle spese completamente deducibili, esistono quelle parzialmente deducibili. Si tratta di spese che rispettano il diritto di cassa e d’inerenza. Ne sono un esempio i beni immobili considerati strumentali per l’esercizio dell’attività professionale. Sono beni immobili strumentali deducibili gli uffici, ma anche le abitazioni private destinate in parte allo svolgimento delle proprie mansioni. L’immobile, in questo specifico caso, è destinato a uso promiscuo, cioè in parte sono designati ad abitazione privata e in parte ad ambiente lavorativo. Di conseguenza tutte le spese che lo riguardano (acquisto, affitto, bollette, ecc…) possono essere deducibili a metà. Requisito fondamentale è che l’immobile sia intestato al professionista.

Allo stesso modo, anche l’utilizzo del cellulare e l’auto aziendale, destinati a uso promiscuo, possono dare luogo a una detrazione fiscale. Le spese telefoniche sono detraibili all’80% mentre l’IVA al 50% (che sale al 100% in caso di utilizzo esclusivamente aziendale). Lo stesso vale per l’uso dell’auto aziendale. Detto al 100% in caso mezzo usato nel pieno rispetto del principio d’inerenza oppure in misura ridotta se destinato alla promiscuità.

Infine, anche vitto e alloggio sono detraibili nella percentuale del 75% purché i costi sostenuti nell’anno non siano maggiori del “% dei compensi percepiti nello stesso anno d’imposta. Tutte le spese finora elencate devono essere corroborate da regolare fattura elettronica. Solo in questo caso l’IVA è totalmente detraibile. In presenza invece di ricevuta fiscale, l’IVA diventa indetraibile.

Consulente fiscale: una scelta importante

Non facile capire come pagare meno tasse legalmente. I casi sono tanti e le situazioni tutte diverse le une dalle altre. Il mondo fiscale è piuttosto complicato e diventa difficile muoversi correttamente, evitando errori grossolani che portano a sanzioni amministrative. Diventa quindi importante affiancarsi di un consulente finanziario che sappia bene come destreggiarsi tra regolamenti e aggiornamenti fiscali e legali. Affidare a qualcuno di esperto la gestione del proprio business lavorandovi a stretto contatto, è sicuramente la mossa vincente per riuscire al meglio nel proprio lavoro.

Tracciabilità pagamenti e riduzione dei termini di accertamento

La tracciabilità pagamenti è un argomento sempre attuale e di grandissima importanza per tutti gli imprenditori e i professionisti. Grazie all’articolo 3 del D. Lgs n° 127/2015 è possibile ottenere delle discrete agevolazioni fiscali se pagamenti e incassi sopra i 500€ sono tracciati. Vediamo allora di capire come, quando e a chi si applicano queste agevolazioni

Tracciabilità pagamenti e accertamenti

Attualmente i termini di accertamento per pagamenti e incassi su lavoro autonomo e imprese corrisponde al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi. A stabilire questa scadenza è l’articolo 43 comma 1 del DPR n° 600/1973.

Adesso, però, è possibile ottenere una riduzione dei termini di accertamento di ben due anni rispetto a quelli ordinari. Quindi, rispettando determinati criteri è possibile una riduzione che equivale al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni. In altre parole, Agenzia delle Entrate, si impegna a non controllare i cinque anni precedenti, ma solamente tre dal momento della presentazione della dichiarazione, a patto che alcuni requisiti minimi siano rispettati dai contribuenti. Un aspetto molto importante da tenere sicuramente in considerazione durante la propria pianificazione fiscale.

Agenzia delle entrate pagamenti tracciabili

I termini di accertamento IVA e quelli sulle imposte sui redditi hanno scadenza quinquennale. È possibile ridurre questo termini di due anni a patto che tutti i pagamenti effettuati e ricevuti sopra i 500€ siano correttamente tracciati. Questo significa che tutte le operazioni realizzate devono essere documentate tramite fattura elettronica via SdI (Sistema di Interscambio) e/o memorizzate e tramite l’invio dei corrispettivi. I modi stabiliti con il decreto Mef del 4 agosto 2016, devono pertanto essere pienamente rispettati, ivi compreso quello che stabilisce che la regola vale per tutti i pagamenti oltre i 500€ comprensivi di eventuali imposte.

Pagamento tracciato: come deve avvenire

La tracciabilità pagamenti può avvenire effettuando o ricevendo i pagamenti con:

  1. bonifico bancario
  2. bonifico postale
  3. assegno circolare bancario – recante la clausola di non trasferibilità
  4. assegno circolare postale – recante la clausola di non trasferibilità
  5. carta di credito
  6. carta di debito

Tracciabilità pagamenti

I contribuenti che hanno ricevuto o effettuato anche un solo pagamento con metodo diverso da quelli sopra elencati, non possono beneficiare dell’agevolazione fiscale di riduzione dei termini di accertamento. Quindi, basta anche un solo pagamento fatto o ricevuto in contanti, ad esempio, per perdere il diritto all’agevolazione fiscale.

Inoltre, affinché sia possibile usufruire di tale agevolazione, in dichiarazione dei redditi deve essere comunicata l’esistenza dei requisiti. Per farlo è necessario compilare il riquadro RS indicando:

  • RS 136 dei modello redditi PF e SP
  • RS 269 dei modello redditi SC e ENC

Importante barrare correttamente le caselle corrispondenti, pena la perdita del diritto alla riduzione. Infine, per usufruire della riduzione dei termini di accertamento, la dichiarazione dei requisiti deve essere fatta ogni anno.

Agevolazione fiscale: i soggetti beneficiari

L’art.1 del D.Lgs. n. 127/2015 stabilisce i soggetti che possono beneficiare dell’agevolazione fiscale. Ne possono godere i soggetti passivi che emettono esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il Sistema di Interscambio. Dal 2020 rientrano in questa categoria anche i commercianti al minuto grazie alla certificazione telematica dei corrispettivi. A conti fatti è possibile far rientrare nella categoria dei beneficiari anche i soggetti sotto regime forfettario.

Accertamento fiscale: i controlli

I soggetti devono essere in grado di provare che tutte le operazioni attive e passive inerenti alla propria attività, sono eseguite esclusivamente con mezzi tracciabili. A seguito di accertamenti fiscali è possibile che i soggetti siano passibili di sanzioni che vanno da un minimo di 250€ a un massimo di 2000€. Sanzioni applicate nel caso di violazione di obblighi informativi, senza contare che perderebbero anche il diritto di poter continuare a beneficiare dell’agevolazione fiscale.

La tracciabilità pagamenti è difficile da garantire, ma non impossibile. Grazie a piattaforme come quella di FatturaPRO.click è possibile automatizzare qualunque operazione attiva o passiva, garantendo così la piena tracciabilità di ogni operazione eseguita nell’ambito della propria attività.

Coltivatore diretto: chi è, cosa fa e su quali agevolazioni può contare

Il coltivatore diretto è un imprenditore agricolo con codice Ateco specifico, iscritto alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura dedito alla coltivazione di terreni. Si tratta di un’attività che non va confusa con l’imprenditore agricolo professionale che invece di svolgere solo attività manuale si occupa anche di dirigenza e organizzazione.

Coltivatore diretto: chi è

Per diventare un coltivatore diretto è necessario aprire una partita IVA e iscriversi alla Camera di commercio competente sul territorio di riferimento. L’attività principale svolta da questo imprenditore agricolo è manuale e riguarda la coltivazione dei terreni, oppure l’allevamento di bestiame. Il lavoro può essere svolto in autonomia, oppure con il supporto della propria famiglia. Ci sono alcuni specifici requisiti da rispettare affinché la legge riconosca il ruolo di coltivatore diretto e per poter usufruire del regime previdenziale INPS. I requisiti sono oggettivi e soggettivi:

  • Il soggetto deve dedicarsi direttamente alla coltivazione del terreno, o all’allevamento del bestiame.
  • Il lavoro svolto dal coltivatore e dalla sua famiglia deve corrispondere almeno a un terzo del lavoro complessivo necessario a condurre l’attività.
  • Deve svolgere tale attività per almeno 104 giorni l’anno.
  • L’attività agricola deve essere continuativa e prevalente.
  • Il lavoro principale del coltivatore deve essere dato dall’agricoltura e dall’allevamento, dal quale deve anche poter ricavare la maggior parte del proprio reddito.
  • Svolgendo molteplici attività, deve essere individuata quella prevalente.

Iscrizione a INPS e INAIL è obbligatoria. Invece quella al Registro delle Imprese prevede l’esonero per tutti coloro che hanno realizzato un fatturato inferiore a 7.000€ annui. Chi fattura di più deve invece procedere all’iscrizione.

Come diventare coltivatore diretto

Per diventare coltivatore diretto è necessario aprire una partita IVA con relativo codice Ateco specifico, iscriversi alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, all’INPS e all’INAIL. Il coltivatore diretto deve occuparsi della coltivazione diretta del terreno o dell’allevamento di bestiame. Può occuparsi dei terreni in qualità di:

  1. proprietario
  2. affittuario
  3. usufruttuario
  4. enfiteuta

Deve perciò possedere un diritto reale sul terreno in cui svolge la propria attività. È il comune di appartenenza che rilascia uno specifico certificato, della durata di un anno, nel quale è specificato il ruolo, la qualifica e il rispetto di tutti i requisiti di coltivatore diretto.

Coltivatore diretto

Coltivatori diretti e diritto di prelazione

Il coltivatore diretto ha il diritto di prelazione sul terreno dove lavora, nel caso di compravendita. In questo modo ha la possibilità di diventare, se già non lo fosse, il proprietario del terreno dove fare impresa. I soggetti che lavorano un terreno in affitto da almeno due anni, hanno quindi la possibilità di entrarne in possesso sfruttando il diritto di prelazione. Lo stesso vale nel caso in cui il soggetto operasse tramite società agricola (solo, però, se la metà dei soci è formata da coltivatori diretti). Invece, in caso di vendita forzata, permuta, fallimento, espropriazione, il diritto di prelazione non si applica.

Agevolazione PPC

Tra le tante agevolazioni che hanno i coltivatori diretti troviamo anche quella di comprare terreni con imposte agevolate:

  • Imposta catastale all’1% sul prezzo totale;
  • Imposta di registro – 200 euro fissi;
  • Bollo: esente;
  • Imposta ipotecaria – 200 euro fissi.

Le agevolazioni PPC valgono per qualunque tipo di terreno, indipendentemente dalle dimensioni e dall’ubicazione. L’unica regola da rispettare, affinché si possano applicare le agevolazioni sulle imposte, è che il terreno in questione deve essere classificato come agricolo.

Imprenditore agricolo professionale VS coltivatore diretto

Queste due figure non sono la stessa cosa. L’imprenditore agricolo professionale differisce dal coltivatore diretto in:

  • l’imprenditore deve impiegare solo il 50% del proprio tempo nell’attività agricola;
  • dal proprio lavoro, l’imprenditore agricolo professionale, deve ricavare almeno il 50% del proprio reddito complessivo;
  • l’imprenditore non svolge solo un lavoro manuale, ma anche e soprattutto di gestione e organizzazione;
  • può avere manodopera stipendiata alle proprie dipendenze;
  • non ha diritto di prelazione sull’eventuale acquisto del terreno che lavora

Si tratta, quindi, di due distinte figure professionali che, come le differenze tra impresa e azienda, sono distinte tra loro anche se spesso confuse nell’attività svolta e nei ruoli ricoperti.

Imprenditore commerciale: requisiti e attività

In un precedente articolo: “differenza tra impresa e azienda” abbiamo visto cosa significano i termini impresa e azienda. Oggi quindi vediamo chi è e cosa fa un imprenditore commerciale. Esistono diverse categorie d’imprenditori (commerciali, agricoli, ecc…) e il Codice Civile lo definisce come colui che si occupa e gestisce in modo professionale un’attività di tipo economico. Il lavoro svolto deve essere organizzato e finalizzato alla produzione, o allo scambio, di beni o servizi.

Imprenditore commerciale: definizione e classificazione

La definizione esatta è contenuta nell’articolo 2082 del Codice Civile:

“E’ imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.”

Un imprenditore commerciale può avere diversi collaboratori e/o dipendenti. Esistono due distinte categorie di imprenditori commerciali:

  • Individuale – l’attività è svolta da una persona fisica
  • Collettivo – l’attività è svolto da un ente.

L’imprenditore commerciale: obblighi e oneri

L’imprenditore commerciale per fare impresa è tenuto ad aprire una partita IVA e a effettuare l’iscrizione al Registro delle Imprese. La Partita IVA richiede, come normale conseguenza, il versamento delle tasse annuali e l’accantonamento dei contributi all’ente previdenziale. È, inoltre, obbligato a:

  1. tenere traccia delle scritture contabili (libro giornale, libro degli inventari, ecc…)
  2. conservare documenti, fatture e contratti per eventuali futuri controlli da parte delle autorità competenti.

La figura dell’imprenditore è soggetta a una serie di oneri, tra i quali ricordiamo:

  • il fallimento/bancarotta
  • procedure concorsuali
  • obbligo d’iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese
  • obbligo di tenuta delle scritture contabili
  • la continuazione dell’impresa da parte degli incapaci può avvenire con l’autorizzazione del tribunale

Imprenditore commerciale

Imprenditore commerciale: le caratteristiche

Per essere considerato tale, la legge chiede all’imprenditore commerciale di soddisfare alcune caratteristiche specifiche. Tra queste la prima è quella relativa allo svolgimento di un’attività economica (cioè un lavoro dal quale ricavare un guadagno in termini di denaro, atto alla produzione e/o scambio di beni e servizi) che deve essere:

  • Organizzata – affinché l’attività economica svolta risulti essere organizzata, l’imprenditore può impiegare mezzi materiali, collaboratori e svolgere azioni per mandare avanti l’impresa e finalizzare risultati prestabiliti. I collaboratori impiegati possono essere interni, oppure esterni all’azienda (Ausiliari subordinati, o Ausiliari autonomi).
  • Professionale – l’attività svolta deve essere realizzata in modo continuativo e duraturo nel tempo. Non deve essere saltuaria. Si tratta quindi d’imprese stabili e durevoli, non lavori svolti una tantum.
  • Con l’obiettivo di produrre e/o scambiare beni o servizi – la finalità è l’ultima caratteristica che contraddistingue un imprenditore commerciale. L’obiettivo deve sempre essere quello di produrre e/o scambiare beni o servizi. Le attività commerciali possono essere molto disparate tra loro. Per lo più rientrano in quattro macro categorie di attività:
    • Industriali
    • Scambio e circolazione di beni
    • Trasporto via terra, acqua o aria
    • Bancarie e assicurative
    • Attività ausiliarie a tutte le precedenti sopra elencate

Capacità Di Agire

La capacità di agire è l’ultima caratteristica che contraddistingue l’imprenditore commerciale. Quando la capacità di agire viene a mancare, la condizione d’imprenditore commerciale cessa automaticamente. Questo significa che un soggetto minorenne, un interdetto, o un inabilitato non potendo svolgere normalmente un’attività, non possono diventare imprenditori commerciali.

Possono, però, continuare a esserlo se già lo erano in precedenza, vale a dire se continuano a svolgere la stessa attività di quella realizzata da un’impresa rilevata. I minori non possono essere imprenditori commerciali a meno che non siano minori emancipati.

Esercizio abusivo della professione: cos’è, sanzioni e risarcimenti

L’esercizio abusivo della professione corrisponde all’esercizio di un’attività professionale senza avere il titolo abilitativo previsto da legge. Esistono infatti alcune professioni che non è possibile svolgere senza la giusta autorizzazione. Solitamente l’abilitazione professionale è ottenibile in seguito al perseguimento di un determinato titolo di studio e successivamente al superamento di un esame di Stato. L’accesso all’esame richiede altresì dei precisi requisiti, come, ad esempio, lo svolgimento di un tirocinio professionale. Solo dopo aver partecipato e superato l’esame di Stato, il soggetto può procedere all’iscrizione all’albo del proprio ordine professionale. I soggetti che decidono di svolgere un’attività in assenza del titolo abilitativo richiesto da legge, sono perseguibili per reato di esercizio abusivo della professione. La pena prevista per tale reato è la reclusione.

Esercizio abusivo della professione: cosa dice la legge

Per esercitare la propria professione, avvocati, medici, architetti, agronomi, ecc. Non devono limitarsi ad aprire una partita IVA e iniziare a fare impresa. Prima di arrivare a gestire gli aspetti amministrativi, fiscali e contributivi, l’utente deve prima essere in possesso di un titolo abilitativo che gli consenta di svolgere tale attività.

Il reato di esercizio abusivo della professione è normato dall’articolo 348 del Codice Penale. La legge stabilisce che l’abuso della professione non corrisponde all’esercizio abusivo di un mestiere, ma solo quello relativo a professionisti ai quali occorre un particolare titolo abilitativo per esercitare.  Si tratta di un reato procedibili d’ufficio. Basta una segnalazione all’autorità giudiziaria affinché parta un provvedimento nei confronti del soggetto che esercita senza abilitazione. Non è necessaria, invece, una querela da parte della persona offesa.

Il reato possiede natura immediata. Significa che si realizza nel momento stesso in cui è compiuta un’azione tipica della professione. Non è necessario che si tratti di un atto retribuito.

Esercizio abusivo della professione

348 C.P.: quali sanzioni sono previste

Il reato di esercizio abusivo della professione può essere punito con la reclusione per un minimo di sei mesi, fino a un massimo di tre anni. È inoltre richiesta una sanzione pecuniaria che può arrivare fino a cinquantamila euro. A tutto questo si aggiungono delle pene accessorie:

  1. pubblicazione della sentenza
  2. confisca di beni e strumenti usati per commettere il reato
  3. interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività esercitata. La sanzione disciplinare in questione, affinché possa essere attuata, deve essere comunicata all’Ordine o all’Albo competente.

Ogni sanzione è prevista come deterrente e svolge una funzione preventiva, per evitare la reiterazione del reato stesso. È possibile che un soggetto istighi addirittura un altro all’abuso di reato. In questo caso il legislatore ha previsto delle sanzioni ancora più gravi:

  • reclusione fino a 5 anni
  • multa da 15mila a 75mila euro nei confronti del professionista che:
    • istigato altri all’abuso della professione
    • ha diretto l’attività delle persone che hanno concorso al reato stesso

348 codice penale e risarcimento del danno

I soggetti che operano l’esercizio abusivo della professione sono tenuti a risarcire il danno causato alla vittima. In particolare, la categoria di danno all’immagine, può essere richiesta esclusivamente dall’Ordine professionale, che potrebbe, quindi, anche costituire parte civile nel procedimento penale. Un privato, invece, ha la possibilità di richiedere, un risarcimento del danno commisurato alle conseguenze patite.

Un’ultima nota riguarda l’esercizio di una professione richiedente un titolo abilitativo in un paese diverso da quello dove il titolo è stato ottenuto. Chi ha ottenuto un’abilitazione alla professione in uno Stato membro dell’Unione Europea, ha la possibilità di esercitare anche in Italia. È comunque richiesto un accertamento della regolarità dell’istanza e della relativa documentazione. Inoltre, il soggetto deve aver trasmesso tale documentazione anche all’ordine professionale competente per poter procedere all’iscrizione.

Vendita porta a porta: come funziona il regime fiscale delle vendite a domicilio

Così come aprire un blog e iniziare a fatturare correttamente richiede degli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, anche la vendita porta a porta ha le proprie regole da dover rispettare. Si tratta di una particolare vendita al dettaglio di beni e servizi  direttamente presso il domicilio del cliente finale. È un’attività svolta da un incaricato alle vendite che opera, solitamente, senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa mandante e al di fuori dell’inquadramento di agente di commercio.

Vendita porta a porta: il regime fiscale

La disciplina fiscale relativa alla vendita porta a porta, stabilisce le imposte sui redditi e sull’attività occasionale e professionale del venditore, con relative conseguenze sull’imposta sul valore aggiunto (IVA).

I venditori a domicilio sono agenti e rappresentanti di commercio. I guadagni derivanti dalle vendite di beni e servizi si chiamano provvigioni. Quest’ultime sono soggette all’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta del 23%. La ritenuta è applicata sul totale delle provvigioni ridotte del 22% a titolo di deduzione forfettaria delle spese legate alla produzione del reddito.

Il valore delle provvigioni nette è determinato dalla seguente formula:

provvigioni nette = provvigioni premi e incentivi lordi X 78%

Il valore delle provvigioni nette è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta del 23%. I venditori a domicilio non devono presentare dichiarazione dei redditi a meno che non percepiscano altri redditi al di fuori delle provvigioni derivanti dalla vendita porta a porta. Inoltre sono altresì esonerati dall’applicazione dell’IRAP.

Venditore a domicilio e sostituto d’imposta

La società mandante del venditore a domicilio è obbligata a versare, entro il 16 del mese successivo a quello del pagamento delle provvigioni, le ritenute. Il pagamento è eseguito tramite modello F24 con codice contributivo 1038 nella sezione erario.

Ciascuna ritenuta e i compensi annuali devono essere riepilogati nella venditore a domicilio Certificazione Unica. Infine la società committente è tenuta a segnalare con il modello 770, all’Amministrazione Finanziaria, il totale delle provvigioni per la base imponibile e il calcolo delle ritenute operate.

Vendita porta a porta

Venditore Porta A Porta: professionale od occasionale

La vendita porta a porta può essere effettuata in modo occasionale, oppure professionale. Si tratta di vendita occasionale quando il reddito annuo derivante da tale attività non supera i 5000€. I venditori porta a porta occasionali non sono tenuti ad avere scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi. Inoltre sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei redditi, a meno che non percepiscano altri redditi derivanti da attività diverse.

I venditori a domicilio occasionali non sono, pertanto, tenuti ad aprire una partita IVA  e non devono applicare l’IVA sui compensi percepiti. Devono solamente rilasciare una ricevuta alla società mandante per ricevere le provvigioni stabilite.

Si tratta invece di vendita porta a porta professionale quando le provvigioni annue superano i 6426,10€. In questo caso il venditore deve obbligatoriamente aprire una partita IVA entro 30 giorni. Il codice attività per aprire partita IVA è il 46.19.02, “Procacciatori di affari di vari prodotti senza prevalenza di alcuno”. È inoltre obbligato ad assoggettare a IVA tutti i compensi che eccedono il limite indicato. In questo caso i venditori non possono accedere al regime forfettario in quanto per loro esiste già un apposito regime agevolato.

Venditori Porta A Porta e INPS

Gli addetti alla vendita porta a porta sono obbligati a iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS quando il reddito annuo supera i 5000€. L’iscrizione può essere fatta online sul sito messo a disposizione da INPS, dove è anche possibile versare i contributi relativi.

I contributi da versare sono composti da:

  1. 1/3 a carico del contribuente/venditore
  2. 2/3 a carico dell’azienda mandante

I contributi devono essere versati entro il 16 del mese successivo al pagamento delle provvigioni. Il venditore a domicilio deve indicare in fattura elettronica la trattenuta INPS per la Gestione Separata. I venditori non sono comunque tenuti a iscriversi anche all’INAIL.

Come aprire un blog e fatturare correttamente

Oggi sono in molti a chiedersi come aprire un blog. Sembra un’operazione facile e banale, ma in realtà la gestione degli aspetti finanziaria può riservare qualche sorpresa ai meno esperti in materia. Prima di aprire una partita IVA ad hoc e iniziare a monetizzare, è importante conoscere ogni aspetto di quest’attività, dagli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, fino alla gestione dei guadagni online. Indipendentemente dalla natura del blog (turistico, artistico, tecnico, ecc…)le regole da seguire rimangono sempre le stesse, sia per le affiliazioni che per i guadagni derivanti da banner pubblicitari.

Come aprire un blog e guadagnare

Per capire come aprire un blog e iniziare a guadagnare bisogna, prima di tutto, distinguere tra guadagni diretti e indiretti. Tra i guadagni indiretti derivanti da un blog troviamo:

  • Banner pubblicitari – si tratta di guadagni derivanti da accordi con società di raccolta pubblicitaria. Per ciascun click, o per ogni visualizzazione, di un banner pubblicitario presente sul blog, il blogger riceve una percentuale. Il più famoso tra tutti è sicuramente Google Adsense.
  • Affiliazioni commerciali – in questo caso i guadagni derivano dall’ospitare sul proprio blog dei banner pubblicitari di aziende terze che vogliono offrire dei servizi/prodotti agli utenti. Per ogni vendita effettuata tramite il link presente sul blog, il blogger riceve una percentuale.
  • Post sponsorizzati – i guadagni provengono da accordi tra blogger di successo (influencer) e società terze che intendono sfruttare la loro popolarità per la vendita di prodotti e servizi.

Tra i guadagni diretti ci sono:

  • Servizi offerti direttamente dal blogger – è il blogger stesso a mettere a disposizione dei suoi utenti le sue capacità e il proprio tempo. È una forma nota come inbound marketing. Una tecnica che sfrutta la capacità empatica di una persona di convincere i proprio followers a comprare servizi e prodotti pubblicizzati sulla propria piattaforma online.

Come fare ad aprire un blog: partita iva o prestazione occasionale?

È necessari aprire una partita IVA solo quando è soddisfatta la condizione di abitualità della prestazione. Questo significa svolgere un’attività in modo continuativo nel tempo. Quando invece l’attività da blogger è occasionale o sporadico, è possibile ricorrere alle prestazioni di lavoro autonomo occasionale. Invece non esiste una soglia massima di guadagni superata la quale è obbligatorio aprire partita IVA.

Come aprire un blog

Aprire un blog: gli adempimenti fiscali

La gestione fiscale di un blog richiede:

  1. Apertura di una partita IVA – come visto, è necessario aprirla solo se l’attività risponde alla caratteristica di abitualità. Aprirla non costa niente. Basta compilare e presentare un apposito modello all’Agenzia delle Entrate scegliendo il regime fiscale più adatto alle proprie esigenze (come ad esempio il regime forfettario).
  2. Iscrizione alla Camera di Commercio – l’iscrizione è obbligatoria. Le campagne pubblicitarie sono considerate un’attività commerciale che richiede l’iscrizione nel Registro delle Imprese. Ogni anno devono quindi essere versati i diritti camerali.
  3. Iscrizione alla Gestione Commercianti dell’INPS – è obbligatorio l’iscrizione all’INPS alla Gestione Commercianti e al relativo versamento annuale dei contributi fissi (circa 4800 € fino a 15.000€ di fatturato annuo).

Come guadagnare da un blog: la partita iva

I guadagni derivanti dall’apertura di un blog, sono, per lo più, di modesta entità. Per questo motivo molti sono scoraggiati nell’aprire una partita IVA ad hoc. In realtà il legislatore fiscale ha ideato un regime fiscale perfetto per questo genere di situazioni: il regime forfettario.

Come abbiamo già visto in altri articoli, il forfettario è un regime agevolato che prevede una cospicua serie di vantaggi:

  • Applicazione del regime di cassa per la determinazione del reddito
  • Determinazione dei costi dell’attività con metodo a forfait
  • Esclusione dall’ambito di applicazione di:
    • Imposta sul valore aggiunto (IVA);
    • Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA);
    • Ritenute di acconto.
  • Applicazione obbligatoria fatturazione elettronica (sopra i 25.000 euro di compensi dell’anno precedente) per avere la possibilità di ridurre di un’annualità i tempi di accertamento.

Sicuramente si tratta di un regime molto agevolato per chi avesse intenzione d’iniziare una nuova attività di blogger.

Merito creditizio: cos’è com’è calcolato e perché è utilizzato

Il merito creditizio è conosciuto anche con la denominazione di credit score. Si tratta di un parametro utilizzato dalle banche per valutare e decidere se un creditore è meritevole di ricevere un finanziamento. In altre parole, è un fattore che stabilisce il grado e la pericolosità di “insolvenza” di un soggetto. Un documento che riassume la storia finanziaria di una persona, registrata e custodita presso la Centrale dei Rischi e gestita dalla Banca d’Italia. Ogni informazione contenuta nel merito creditizio, concorre a generare un punteggio (rating) che gli istituti bancari utilizzano per conoscere e classificare un soggetto e la sua posizione finanziaria.

Conoscere il proprio merito creditizio

Per calcolare il merito creditizio, gli istituti di credito effettuano delle indagini patrimoniali e un’analisi della situazione personale del cliente. La valutazione del rischio di credito prende in esame diversi fattori:

  • livello d’indebitamento del cliente
  • rapporto con crediti già erogati in precedenza
  • flussi di reddito
  • possibilità di godere o meno di fonti di patrimonio alternative
  • disponibilità del proprio patrimonio personale
  • solvibilità
  • abitudini comportamentali
  • abitudini di spesa, risparmio e gestione del denaro

Ogni soggetto, nel corso della propria vita, accumula (spesso inconsapevolmente) tutta una serie d’informazioni creditizie e finanziarie personali. Quindi, quando una persona, o un’impresa, desiderano accedere a un credito, le banche analizzano tutti i dati immagazzinati fino a quel momento. In questo modo possono giudicare e classificare il cliente come un “buon pagatore” o un “soggetto a rischio” che presenta alte probabilità di bancarotta. Tutti i dati disponibili sono presenti nei database del Sistema di Informazioni Creditizia (SIC) DI CRIF, Experian, CTC e nella Centrale Rischi Banca d’Italia, ma anche in Camera di Commercio e in Conservatoria.

Qual è l’obiettivo della valutazione del merito creditizio del cliente

La normativa che regola il merito creditizio è contenuta nel decreto legge 4 del 13 agosto del 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 settembre del 2010. Tutto ciò che riguarda il merito o il rischio credito è racchiusa nella Riforma del Credito e inviata a ciascun istituto bancario. Ogni banca è invitata a controllare e monitorare il merito creditizio di ciascuna persona fisica o giuridica che richiede un mutuo, un prestito personale o un finanziamento.

Lo scopo è quello di evitare che i soggetti con un basso livello di merito creditizio, possano accedere a una delle predette formule. Un sistema ideato per evitare le situazioni relative ai crediti deteriorati e salvaguardare l’integrità dell’intero sistema creditizio italiano. Il merito del credito offre la possibilità di accedere in maniera rapida a prestiti importanti (se la valutazione è positiva). I parametri analizzati sono oggettivi, così da evitare qualunque pregiudizio o valutazione soggettiva. Grazie al rating un soggetto (inteso come persona fisica, oppure giuridica) ha la possibilità di accedere a un flusso di credito tanto più alto quanto lo è il proprio rating. Infine, ma non per importanza, i tassi d’interesse migliori (quindi più bassi!) sono riservati a chi possiede un merito creditizio alto.

Merito creditizio

Rating creditizio

Il rating creditizio è una vera e propria classifica. Questa comprende una lunga e complessa sequenza di classi, secondo le quali le banche decidono di concedere l’accesso a linee di credito, oppure no. Il rating più alto è indicato con le lettere: AAA. Si tratta dell’indicazione di massima sicurezza finanziaria. A seguire si trovano: AA, A, BBB, BB, ecc… La classe di merito più bassa corrisponde alla lettera C. Questa lettera identifica un alto rischio d’insolvenza finanziaria ed è un dato preso molto in considerazione da ciascun istituto di credito. In particolare troviamo:

  1. AAA: sicurezza elevata
  2. AA: sicurezza
  3. A: ampia solvibilità
  4. BBB: solvibilità
  5. BB: vulnerabilità
  6. B: elevata vulnerabilità
  7. CCC: rischio
  8. CC: rischio elevato
  9. C: rischio molto elevato 

Alla fine della raccolta e dell’analisi di tutti i dati relativi alla situazione creditizia e finanziaria di un soggetto, l’istituto di credito decide se concedere o meno un muto, un finanziamento o un prestito personale. In sede decisionale, il rapporto creditizio, svolge un ruolo essenziale per ottenere una linea di credito.