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Internazionalizzazione d’impresa: un futuro possibile e sempre più vicino

L’internazionalizzazione è un processo di penetrazione in nuovi mercati esteri da parte delle aziende nostrane. Le società si aprono sempre più frequentemente ai mercati esteri. I motivi di questa scelta sono svariati. Alcuni ad esempio lo fanno perché i mercati sui quali stanno già operando stagnano e non progrediscono (o addirittura retrocedono), in altri casi invece si prospettano semplicemente delle nuove opportunità di guadagno. Qualunque sia la motivazione di questa scelta è opportuno ponderarla e munirsi degli strumenti amministrativi e gestionali adatti a dirigere i vari aspetti economici e fiscali, per far fronte alle eventuali necessità (ne è un esempio il connubio “valuta estera e fatturazione elettronica”).

Internazionalizzazione: un nuovo modo di fare impresa

L’internazionalizzazione è evoluzione del tradizionale “fare impresa”. Si tratta infatti dell’apertura delle società locali ai mercati esteri, con i quali sono instaurati rapporti atti a vendere, e/o scambiare merce e servizi, produrre, acquistare materie prime e trovare, perché no, nuove fonti di finanziamento.

In questo processo le aziende presenti su un certo territorio entrano in contatto con aziende ed enti esteri, consumatori ed istituzioni operanti su diversi territori stranieri.

Molto spesso le società italiane decidono di ricorrere all’internazionalizzazione  perché:

  • il mercato locale è saturo
  • la concorrenza dei competitors è troppo alta e agguerrita
  • mancano stimoli al consumo
  • è presente un’eccessiva burocratizzazione che rallenta la produttività
  • le società sono oppresse da un elevato carico fiscale

I mercati stranieri allettano le imprese italiane per la presenza di una burocrazia snella  e una tassazione semplificata. Il processo di internazionalizzazione non è comunque privo di ostacoli. Per avvicinarsi ad un dato mercato estero è importante prima conoscere l’ambiente politico, sociale, economico e fiscale del paese con il quale si intende intrattenere rapporti commerciali.

In cosa consiste l’internazionalizzazione

In buona sostanza un’azienda sta compiendo il processo di internazionalizzazione quando svolge una delle seguenti attività:

  • produzione all’estero
  • esportazione all’estero dei propri prodotti
  • vendita all’estero dei propri prodotti
  • alleanze e coalizioni con partner stranieri
  • apporti di capitali di azionisti stranieri
  • creazione nei paesi stranieri di unità produttive locali

si tratta di un’ottima occasione di fare business all’estero.

Obiettivi dell’internazionalizzazione

Un’impresa italiana si interessa ai vari processi di internazionalizzazione per:

  • aumentare i propri ricavi
  • ridurre i costi di produzione
  • affacciarsi a nuovi sbocchi commerciali
  • delocalizzazione aziendale
  • ottimizzazione e/o riduzione del carico fiscale e del cuneo fiscale
  • trovare nuovi acquirenti

Internazionalizzazione

è possibile aspirare all’internazionalizzazione della propria azienda quando:

  • è ideato è ideato un nuovo prodotto adatto al mercato estero sul quale si vuole operare
  • esistono particolari opportunità di business
  • si hanno contatti e/o clienti all’estero
  • si hanno partner o contatti con papabili partner per la produzione all’estero
  • è possibile attirare eventuali investitori stranieri grazie a particolari prodotti e/o metodologie di produzione/lavoro
  • necessità di approvvigionamento presso fornitori esteri
  • è necessario ridurre i costi e trovare delle migliori condizioni economiche e fiscali all’estero

Internazionalizzazione: i requisiti

Non è possibile prendere in considerazione un processo di internazionalizzazione se prima non si valuta lo stato di “salute” della propria ditta. Non esistono regole precise da seguire, ma indubbiamente volersi affacciare ai mercati esteri è possibile quando la società ha una discreta solidità economica-finanziaria alle spalle, produce prodotti di qualità e adatti al target straniero, vanta prezzi competitivi sui mercati di destinazione, dispone di un sistema d’informazione affidabile e dispone infine di risorse temporali, economiche e umane per investire su un’altra piazza.

Immancabili dovrebbero essere anche interlocutori e controparti estere affidabili. Infatti poter fare affidamento su uno o più partner già presenti sul mercato straniero, significa riuscire a far fronte ad eventuali problematiche legate alla logistica, agli investimenti, ai pagamenti, ecc.

La migliore strategia

L’internalizzazione è sicuramente una buona carta da giocare per un’impresa che voglia avere maggiori opportunità di business. Affrontarla nel modo giusto però, significa fare affidamento ed essere affiancati durante il processo da professionisti in grado di stilare e strutturare un’adeguata strategia. Il tutto infatti deve essere realizzato tenendo conto delle caratteristiche intrinseche dell’azienda e degli specifici mercati d’interesse. Per questi obiettivi sono erogati anche diversi contributi a fondo perduto pubblici  nonché finanziamenti agevolati.

Indagini Patrimoniali: recupero credito e report patrimoniale persone fisiche e giuridiche

Le indagini patrimoniali sono uno strumento utile e fondamentale per l’attività di recupero crediti. In Italia circa il 50% delle transazioni avviene a credito. Questo significa che il pagamento è fatto a 30, 60, o 90 giorni dalla data della fattura. Il Belpaese detiene anche un altro spiacevole record. È in vetta alla classifica per i ritardi dei pagamenti, rispetto alla media europea. Alla fine lo scenario che si prospetta, nella maggior parte dei casi, vede i creditori costretti ad inseguire i debitori per farsi pagare o saldare le fatture già emesse.

Esistono diversi strumenti a servizio di professionisti ed imprese che possono aiutare a far recuperare quanto dovuto. Qualche volta, prima di passare alle vie legali vere e proprie, è sufficiente dimostrare semplicemente la determinazione al recupero del credito. Per farlo è necessario ricorrere ad uno strumento potente, quanto sconosciuto ai più: l’indagine patrimoniale. Questa serve per capire la capacità patrimoniale del debitore e scoprire se il debitore ha sostanze più o meno aggredibili. È utile anche quando è necessario ricorrere alle vie legali per avere un quadro chiaro della situazione e degli eventuali beni pignorabili.

Report e Indagini patrimoniali

Dalle indagini patrimoniali è possibile ottenere il report patrimoniale. Questo è recuperabile sia che si tratti di persona fisica, che di persona giuridica. Anche se nella maggior parte dei casi si ha a che fare con imprese, i due report non differiscono molto l’uno dall’altro. In pratica nel documento sono riportati gli effettivi e verificati dati di residenza del soggetto interessato, nel caso di persona fisica, oppure la sede legale, per le persone giuridiche. È un’informazione molto importante ai fini legali, perché ogni comunicazione inviata a un indirizzo sbagliato, non ha alcuna validità legale.

Oltre a questo il report elenca:

  1. reperibilità del soggetto (persona fisica)
  2. operatività dell’azienda (persona giuridica)
  3. presenza di atti pregiudizievoli
  4. probabilità di successo dell’eventuale azione di recupero
  5. stima del patrimonio aggredibile
  6. azione consigliata per raggiungere l’obiettivo
  7. indicazione dell’eventuale presenza di protesti, pregiudizievoli di conservatoria o procedure concorsuali già attive.

Indagini Patrimoniali

Il report è suddiviso in sezioni nella quali è analizzata la situazione del soggetto, da un punto di vista lavorativo, di referenze bancarie, possesso di beni immobili, partecipazioni e quote azionarie, Beni mobili/autoveicoli intestati, negatività, Dati legali aziende collegate, Dati legali, sedi e dati di bilancio.

Negatività

Nota di attenzione sulle negatività. In questa sezione del report patrimoniale sono indicati eventuali protesti, pregiudizievoli di conservatoria e procedure concorsuali attualmente in essere. Queste sono informazioni molto importanti per capire l’effettivo stato patrimoniale e la situazione economica del soggetto. Capire infatti se ci sono altri creditori nei suoi confronti, può aiutare a stilare meglio il quadro generale della situazione per capire la strategia da intraprendere. Ad esempio, è in questa specifica sezione che sono indicati eventuali pignoramenti da banche, finanziarie e/o agenzie di riscossione tributi. La raccolta di questi dati evita di dover richiedere un’ispezione ipocatastale (che poi sarebbe quella con la quale si dimostra la titolarità immobiliare di un soggetto, eventuali gravami come ipoteche, pignoramenti e note di cancellazione di ipoteche parziali o totali).

Beni immobili

Nel report patrimoniale alla sezione beni immobili sono riportati tutti gli immobili (case, fabbricati, terreni, ecc…) intestati al soggetto dell’indagine patrimoniale. La verifica e l’accertamento è fatto a livello nazionale e per ogni immobile identificato sono riportati nello specifico tutti i dati catastali.

È comunque sempre consigliata una successiva verifica ipocatastale prima di procedere con eventuali azioni esecutive.

Beni mobili e auto intestate

Sezione di particolare interesse nell’ambito di recupero crediti. Qui vi sono infatti riportati tutti i veicoli intestati al soggetto. Per ciascun veicolo è indicato targa, marca e modello, date di immatricolazione e intestazioni.

I veicoli sono beni pignorabili e, se sono beni strumentali all’attività del soggetto, si trasformano velocemente in un mezzo valido a risolvere il contenzioso.

Fringe Benefits: cosa sono e come funzionano

I Fringe Beneficts sono benefici collaterali, accessori. Si tratta di particolari benefici che sono riconosciuti ai dipendenti, da parte di alcune aziende e imprese particolarmente solide, erogati non in denaro, ma sotto altre molteplici forme. Sono quindi dei benefici supplementari alla busta paga, erogati per incentivare la produttività, oppure per integrare il semplice stipendio.

Quindi i fringe beneficts, o semplicemente beneficts, sono elementi aggiuntivi della retribuzione che concorrono alla formazione del reddito tassato del lavoratore dipendente. Si tratta di benefici in natura e non sotto forma di denaro, che migliorano la qualità della vita del dipendente, evitandogli di sostenere personalmente delle spese.

Molto spesso questi beneficts sono rappresentati dal cellulare aziendale, oppure dal computer portatile, o dal tablet, o ancora dalla casa in affitto, o dall’uso di un’auto aziendale. In particolare la concessione al lavoratore di un veicolo a uso privato, parziale o totale, è una forma di retribuzione in natura molto diffusa. I benefici aggiuntivi sono solitamente fissati nel contratto stipulato tra azienda e dipendente.

Fringe Benefits: tassazione

I fringe benefits sono tassati, ma con alcune eccezioni. Il Testo Unico sulle imposte stabilisce che:

“…il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali (ossia regali), in relazione al rapporto di lavoro”.

Essendo i benefici aggiuntivi beni che concorrono al reddito del lavoratore dipendente, sono soggetti a relativa tassazione. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni. Se il dei beneficts erogati non supera i 258,23€ nel periodo d’imposta, allora non sono soggetti a tassazione. Se il limite è superato, il valore del bene allora concorre a formare il reddito e di conseguenza viene tassato. Questo vale per qualunque fringe beneficts percepito, da qualunque lavoro, anche diverso dal principale.

Fringe Benefits, benefici supplementari alla busta paga

Se l’azienda opera all’ingrosso e i beneficts concessi sono prodotti aziendali, il loro valore è calcolato considerando il prezzo che l’impresa è solita applicare al grossista. Il sostituto d’imposta (ossia l’azienda) deve applicare la ritenuta sul valore dei fringe benefits.

I beneficts possono essere elargiti mediante i cosiddetti voucher in formato cartaceo oppure elettronico, riportanti un preciso valore nominale. I voucher non possono essere usati da una persona diversa dal titolare, non possono essere convertiti in denaro o ceduti a terzi. Danno inoltre diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio, per l’intero valore nominale, senza che il titolare debba fare ulteriori integrazioni.

Fringe beneficts: le tipologie

La natura dei benefici concessi ai dipendenti varia molto. In alcuni casi, ad esempio, le aziende danno ai propri dipendenti la possibilità di acquistare uno o più beni prodotti dall’impresa stessa, con l’applicazione di un forte sconto sul prezzo di listino. È questo il caso delle aziende automobilistiche, che permettono ai dipendenti di comprare le vetture prodotte con sconti molto consistenti. Il valore nominale di riferimento, in questo caso, è rappresentato dal prezzo scontato che il costruttore applica sulla base di convenzioni ricorrenti.

In altri casi, invece, i datori di lavoro pagano i dipendenti fornendo loro dei buoni utilizzabili presso esercizi convenzionati. Il valore nominale è quindi rappresentato dal valore del buono stesso. Anche in questo caso non c’è tassazione se il valore non supera 258,23 euro.

Un altro esempio di fringe beneficts sono le opzioni sull’acquisto di azioni. Vale a dire che qualche volta l’azienda consente ai dipendenti di acquistare delle azioni dell’impresa stabilendo un preciso prezzo, che rimane sempre fisso e un termine entro il quale l’opzione può essere esercitata (stock options).

Risoluzione consensuale: dimissioni e termine del rapporto di lavoro

In un rapporto di lavoro figurano due parti: un committente e un prestatore d’opera e servizi. Il termine del rapporto di lavoro può avvenire in due modi. Il primo per volere del committente, tramite l’esercizio del licenziamento. Il secondo invece per volere del prestatore, usando la formula del licenziamento. Esiste però una terza via, anche se meno comune, che è quella che prevede la risoluzione consensuale. Quest’ultima si verifica quando entrambe le parti decidono, di comune accordo, di porre fine al rapporto di lavoro. La normativa di riferimento è racchiusa nell’articolo 1372 del Codice Civile.

Fino a qualche anno fa e più esattamente al 12 marzo del 2016, datore di lavoro e dipendente che volevano ricorrere alla risoluzione consensuale, non dovevano adempiere a particolari obblighi. Da quella data in poi però si è reso necessario compilare degli appositi moduli messi a disposizione dal Ministero del Lavoro, da inviare esclusivamente per via telematica. Una volta compilata, tale documentazione deve essere trasmessa al datore di lavoro e all’Ispettorato Territoriale del lavoro. Sono comunque previsti casi particolari per:

  • lavoratrici in stato di gravidanza
  • lavoratrici collaboratore nei primi 3 anni di vita del bambino o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o concesso in affidamento

In questi due casi, la risoluzione consensuale è valida solo a seguito della conferma ricevuta dal servizio ispettivo svolto dall’ufficio del Ministero del Lavoro, competente sul territorio.

Risoluzione consensuale

Risoluzione consensuale: cosa prevede

L’accordo di risoluzione consensuale può riportare qualunque aspetto stabiliscano datore e lavoratore. Uno di questi è sicuramente la data di decorrenza del termine di lavoro. In caso di termine immediato, la cessazione parte al momento della sottoscrizione stessa. Se l’attività invece dovesse perdurare, le due parti devono concordare che l’attività lavorativa debba continuare fino alla data indicata.

A discrezione del datore di lavoro, può essere aggiunto alla risoluzione consensuale, una somma di denaro aggiuntiva, a favore del dipendente. Si tratta di una somma supplementare a quando il committente deve al lavoratore. Questa somma prende il nome di “incentivo all’esodo”. Quello che caratterizza questa cifra è che, sia il datore che il dipendente, su tale somma non dovranno pagare i contributi INPS. È invece applicata la tassazione separata, con la stessa aliquota prevista per il trattamento di fine rapporto.

Il lavoratore ha a disposizione sette giorni di tempo, che partono dalla data di trasmissione, per evocare la propria dichiarazione di risoluzione consensuale del contratto.

Risoluzione consensuale VS Licenziamento

La risoluzione consensuale è quindi stabilita di comune accordo tra le parti. Il licenziamento invece è stabilito unilateralmente da parte del datore di lavoro, o da parte del dipendente di lavoro, in caso di dimissioni. Licenziamento e dimissioni valgono sempre, anche se una delle due parti non è d’accordo. Invece la risoluzione consensuale vale solo se c’è accordo da entrambi le parti.

La risoluzione consensuale, rispetto al licenziamento o alle dimissioni, offre maggiori vantaggi a entrambi le parti. Vantaggi che si concretizzano in maggiore libertà di azione per i soggetti coinvolti. Da una parte il datore di lavoro può evitare di sottostare alle restrizioni e alle limitazioni previste nel contratto di lavoro, o nell’atto del licenziamento stesso. Dall’altra parte il lavoratore può ottenere una riduzione del giorno effettivo di licenziamento, oppure può concordare una liquidazione maggiore.

Con la risoluzione consensuale il datore di lavoro ha il vantaggio di:

  • non pagare nessun ticket licenziamento – nessun contributo aziendale di recesso (esclusi i casi NASPI)
  • evitare i processi formali di licenziamento
  • anticipare la data di cessazione rapporto.

Il lavoratore invece ha il vantaggio di:

  • beneficiare di tempistiche anticipate
  • ottenere una libera uscita – in alcuni casi supplementare la TFR
  • avere diretto a una maggiore personalizzazione andando a inserire nell’accordo, particolari condizioni vantaggiose, che normalmente non sarebbero presenti per legge.

Risoluzione Consensuale online

Un fenomeno particolarmente diffuso fino al 2016, era quello che prendeva il nome di “dimissioni in bianco”. Al fine di scongiurare dimissioni-ricatto, dal 2016 sono state stabilite alcune regole per presentare e richiedere la risoluzione consensuale. Una di queste prevede che la documentazione obbligatoria sia inviata esclusivamente in maniera telematica. Il dipendente deve infatti inviare via PEC i moduli al datore di lavoro e all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

La risoluzione consensuale è irrevocabile. Il dipendente ha tempo di revocarla entro 7 giorni dalla data di presentazione, poi diventa irrevocabile.

Auto aziendale e deducibilità: leasing, noleggio o acquisto cosa conviene e perchè

Nell’articolo precedente “Deducibilità e detraibilità: cosa sono e quali sono le principali differenze” abbiamo visto le differenze tra deducibilità e detraibilità. In merito a quest’argomento, è spesso oggetto di discussione la deducibilità dell’auto aziendale.

La domanda, che più di ogni altra, cerca risposta, è quale sia la forma maggiormente conveniente, dal punto di vista fiscale, quando si tratta di auto aziendale: acquisto, leasing o noleggio.

Auto aziendale: che cos’è

L’auto aziendale è quella destinata ai dipendenti di una società, oppure utilizzate per fini aziendali. Per essere definite tali devono rispondere a una serie di caratteristiche. Devono, ad esempio, avere meno di 24 mesi di vita e meno di 30,000 km. L’auto aziendale può essere assegnata al dipendente per uso strumentale, oppure promiscuo.

Nel primo caso, l’unico soggetto che può guidarla sarà il dipendente a cui è stata assegnata. Nel secondo caso invece può essere guidata anche dai familiari del lavoratore assegnatario. Se l’auto aziendale è inquadrata come “autocarro” per il trasporto di merci, a bordo vi possono salire esclusivamente gli appartenenti alla società addetti al trasporto e al carico/scarico della merce.

Se la disponibilità dell’auto aziendale data al dipendente è superiore a 30 giorni, il nominativo deve essere comunicato alla Motorizzazione (questo perché non è intestatario del veicolo). É prevista anche una sanzione amministrativa per chi non comunica il nominativo, pari a 705€, più il ritiro della carta di circolazione.

Se l’auto aziendale non è assegnata per uso privato, allora non è tassata, o è tassata solo parzialmente.

Auto aziendale: acquisto e deducibilità

La deducibilità dell’auto aziendale è stabilita nell’articolo 164 comma 1 lett. b) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). L’articolo prevede una doppia limitazione:

  • La deducibilità è ridotta nella misura del 20%
  • È riconosciuto un limite al valore fiscale del mezzo.

Nel caso di acquisto diretto dell’auto aziendale la legge prevede un limite al valore fiscalmente riconosciuto, diverso a seconda della tipologia di auto aziendale:

  • 18.075,99 € per le autovetture e gli autocaravan
  • 4.131,66 € per i motocicli
  • 2.065,82 € per i ciclomotori

Nel primo caso quindi la deducibilità massima per l’auto aziendale è di € 3.615,20.

Auto Aziendale in Leasing: cos’è e come funziona la deducibilità

Il leasing è una forma contrattuale di locazione, nella quale una società concedente, mette a disposizione di un cliente utilizzatore, un bene mobile e/o immobile. Il bene deve essere strumentale all’attività dell’utilizzatore, che dovrà corrispondere un canone periodico per usufruire del bene.

Nel caso di un’auto aziendale, il leasing non può durare meno di 48 mesi, alla fine dei quali l’utilizzatore può esercitare il diritto di riscatto del bene.

In alcuni casi il leasing finanziario comprende anche assicurazione e manutenzione dell’auto. I servizi accessori sono validi per tutta la durata del contratto. L’articolo 102 comma 7 del Tuir prevede le condizioni di deducibilità nel caso di acquisto di un veicolo in leasing.

I contratti in leasing stipulati prima dal 29 aprile 2012 prevedono un canone di competenza annua calcolato in base al coefficiente di ammortamento stabilito per quel determinato bene.

Il canone deducibile è calcolato in base al rapporto tra il costo massimo fiscalmente riconosciuto e il costo di acquisto sostenuto dall’utilizzatore. A questo è poi applicata la percentuale di deducibilità del 20% prevista dalla legge.

Auto aziendale

Auto aziendale e noleggio a lungo termine: caratteristiche e deducibilità

I professionisti e i possessori di partita IVA conoscono molto bene il noleggio a lungo termine. Le aziende e i regolari possessori di partita IVA possono stipulare contratti di noleggio a lungo termine. Oggi però questa possibilità è data anche ai privati, titolari di semplice codice fiscale.

Il noleggio a lungo termine prevede il pagamento di un canone mensile fisso, per un determinato lasso di tempo e per una percorrenza complessiva da effettuarsi con il veicolo. Il canone è una somma stabilita contrattualmente dalle due parti che comprende tutti gli oneri connessi all’uso del veicolo: imposta di circolazione, bollo, assicurazione, Kasko, manutenzione ordinaria compresi cambio pneumatici, ecc… In caso di danneggiamento o guasto dell’autovettura all’utilizzatore deve essere sempre messa a disposizione da parte della società di noleggio, un’autovettura sostitutiva.

Il periodo di noleggio può variare dai 24 ai 48 mesi e le percorrenze possono arrivare anche a 80,000 km. Terminato il periodo prestabilito dal contratto, l’auto aziendale può essere riscattata dall’utilizzatore. Il prezzo è quello prefissato da entrambi le parti.

Da un punto di vista fiscale la legge prevede che i canoni di noleggio siano deducibili entro certi limiti. Il costo del canone del noleggio per le autovetture, sono deducibili fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno. Per i contratti “full service” il limite di costo previsto per i canoni di noleggio deve essere considerato al netto dei costi riferibili alle prestazioni accessorie.

Domicilio digitale: cos’è, come funziona e a cosa serve

Il domicilio digitale è l’indirizzo al quale sono inviate le notifiche previste dalla legge ai fini tributari ed indica la competenza dei vari uffici tributari. Il concetto è stato introdotto dalla legge Semplificazioni, che ha previsto l’obbligo del domicilio digitale per aziende e professionisti a partire dal primo ottobre. Al momento però questa operazione si è tradotta solamente nell’avere una PEC personale e ad aver fissato delle sanzioni. Si tratta comunque di un primo importante passo compiuto verso l’obbligo per tutti i cittadini, che prima o poi saranno iscritti nell’Indice nazionale dei domicili digitali (INAD).

Con il domicilio digitale le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione (PA) saranno più facile. Oggi ancora limitate alla casella di posta cartacea, in futuro saranno gestite interamente online. Con il decreto Semplificazioni è stato stabilito che aziende e professionisti devono quindi comunicare al Registro delle Imprese il proprio domicilio digitale. I professionisti invece devono comunicarlo all’ordine o al collegio al quale sono iscritti.

A oggi avere un domicilio digitale significa solamente avere l’obbligo di avere una PEC aziendale. Questo era già obbligatorio, ma non erano previste sanzioni per chi ancora non avesse provveduto ad averla. Il nuovo decreto invece modifica la dicitura di “PEC” a “domicilio digitale” e prevede delle integrazioni sanzionatorie.

Domicilio digitale: la definizione

Quindi oggi il domicilio digitale è, a tutti gli effetti, un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Questa serve a individuare un luogo virtuale dove sono inviate comunicazioni di natura giuridica, da parte di PA, professionisti, o aziende. Adesso esiste e vale anche per i privati. Non corrisponde a un indirizzo fisico, ma è composto da nome.cognome@gestorepec.it

Questo significa che adesso, qualunque sia la posizione fisica di un soggetto, gli saranno potute recapitare comunicazioni dalle PA. La PEC fa risparmiare tempo e denaro. Inoltre è matematica la certezza di ricevere e/o comunicazioni importanti.

Domicilio digitale: come fare per dichiararlo

Chi già possiede una PEC, ha in automatico il domicilio digitale. Imprese e aziende hanno già comunicato il proprio indirizzo PEC come disposto dal Decreto Legge 179/2012 e dalla Legge 2/2009.

I professionisti che ancora oggi, purtroppo non utilizzano regolarmente o che non hanno ancora una PEC valida, però sono ancora circa 1,7 milioni. Pertanto, tutti questi freelance, che ancora non hanno PEC, riceveranno delle sanzioni e gli uffici della Camera di Commercio assegnerà loro un domicilio digitale. I professionisti troveranno quindi questo nuovo “indirizzo” a disposizione sul Cassetto digitale dell’imprenditore erogato dalle Camere di Commercio (ma solo per la ricezione dei documenti).

Quindi chi non ha ancora una PEC, deve fare in fretta e crearne una il prima possibile, comunicandola poi al registro delle imprese o al proprio ordine professionale.

Domicilio digitale

Sanzioni previste per le imprese ancora senza domicilio digitale (PEC)

Per tutte le imprese che ancora non hanno una PEC sono previste delle sanzioni che vanno da un minimo di 206 euro, a un massimo di ben 2064 euro. Per le imprese individuali l’importo scende ed è compreso tra i 30 e i 1548 euro. Normalmente il Registro Imprese propone la definizione agevolata entro 60 giorni pagando il doppio del minimo o il terzo del massimo. É quindi possibile ravvedersi rispettando le scadenze versando circa 412 euro per le società e 60 euro per i lavoratori individuali.

Oltre alle sanzioni, il Registro Imprese assegnerà un nuovo indirizzo digitale di default. Questo sarà reso disponibile sul cassetto digitale dell’imprenditore. Ogni impresa trova il proprio a disposizione sul sito: impresa.italia.it Questo però sarà valido esclusivamente per ricevere documenti, comunicazioni e notifiche. Alla piattaforma è possibile accedere esclusivamente attraverso identità digitale (SPID, CNS e CIE).

Professionisti

Per i liberi professionisti ancora sprovvisti di PEC invece, la legge non prevede sanzioni pecuniarie. Però l’Ordine deve diffidare il professionista ad adempiere all’obbligo entro 30 giorni. In caso di mancata ottemperanza, l’Ordine può sospendere il professionista dal relativo Collegio od Ordine di appartenenza, fino a quando non comunicherà il domicilio digitale.

Per tutti i professionisti non obbligati a iscriversi a Ordini o Collegi, invece non è previsto ancora nessun obbligo, ne tanto meno sanzione. Possono quindi continuare a non avere la PEC.

Cassetto fiscale fatture elettroniche: cos’è, a cosa serve e come accedervi

Il cassetto fiscale è un servizio personale messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Il cassetto è accessibile da privati e aziende. Dal cassetto è possibile controllare tutta una serie di informazioni fiscali personali. A tutti gli effetti è una sorta di archivio personale, un valido e comodo strumento di riferimento per tenere sotto controllo tutta la propria documentazione fiscale (tasse, contributi e fatture elettroniche). I documenti fiscali aggiunti di volta in volta, sono automaticamente inseriti da AdE (Agenzia delle Entrate). Cassetto fiscale fatture elettroniche, informazioni fiscali personali, ecc… Tutto è strettamente correlato. Vediamo come.

Cassetto fiscale: fatture elettroniche, tasse e contributi

Dal cassetto fiscale si possono quindi consultare tutta una serie di dati fiscali personali:

  1. anagrafici
  2. dichiarazioni fiscali
  3. rimborsi
  4. dati dei versamenti effettuati tramite modello F24 e F23
  5. atti del registro (dati patrimoniali)
  6. dati e informazioni relativi agli studi di settore e agli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (Isa)
  7. le informazioni sul proprio stato di iscrizione al Vies
  8. fatture elettroniche emesse e ricevute

Cassetto fiscale fatture elettroniche

Le fatture elettroniche sono tra i vari documenti che possono essere controllati tramite il cassetto fiscale. Il servizio è libero e gratuito per tutti i contribuenti. Questo però non vuol dire che si tratti di un sistema particolarmente semplice e intuitivo da utilizzare. Chi non ha molta dimestichezza con la tecnologia e internet, potrebbe a tutti gli effetti, incontrare delle difficoltà. Il procedimento per controllare le e-fatture emesse e ricevute, o semplicemente per verificare un solo documento, è alquanto macchinoso.

Suggeriamo quindi di utilizzare sistemi alternativi a quelli statali, di più semplice e veloce comprensione. Uno fra tutti FatturaPRO.click. Interfaccia intuitiva e registrazioni rapide con un semplice click. I documenti rimangono sempre a portata di mano e consultabili ovunque.

In ogni caso, il cassetto fiscale assolve comunque ai servizi di conservazione delle fatture elettroniche e di consultazione degli status. Permette inoltre di generare il QR code relativo alla propria attività.

Una breve parentesi sul QR code aziendale. Questo contiene tutti i dati della propria attività e della partita IVA, oltre all’indirizzo telematico al quale ricevere le fatture elettroniche. Il QR lo si può conservare sul tablet o smartphone, sempre a portata di mano.

Abilitazione del cassetto fiscale: richiesta del PIN e dello SPID

L’accesso al cassetto è possibile rivolgendosi ad AdE. É necessario iscriversi a Fisconline o Entratel. La registrazione può essere fatta telefonicamente al call center di Agenzia delle Entrate, oppure allo sportello territorialmente competente (serve un documento di identità in corso di validità).

Al momento della registrazione AdE inoltra richiesta per ottenere un PIN a dieci cifre. Le prime quattro cifre sono fornite al momento della richiesta, mentre le restanti sei, sono inoltrate all’utente per posta entro quindici giorni (oggi questa procedura è stata semplificata e i tempi ridotti causa Coronavirus).

Il PIN serve per entrare e consultare tutti i servizi del cassetto fiscale e non solo. Al posto del PIN è possibile eseguire l’accesso con lo SPID (sistema pubblico di identità digitale).

INPS e cassetto previdenziale

Tra i vari servizi consultabili c’è il cassetto previdenziale INPS. Questo è un fascicolo digitale che contiene tutte le informazioni relative ai propri contributi. A seconda dell’utente, le funzioni e le visualizzazioni del cassetto fiscale sono diverse. I fruitori del cassetto sono:

  • liberi professionisti
  • committenti Gestione separata
  • agricoltori autonomi
  • aziende agricole
  • aziende
  • artigiani
  • commercianti.

Delegare la consultazione del cassetto fiscale

L’utente può delegare un altro soggetto alla verifica e al controllo del proprio cassetto fiscale. Questa procedura è disciplinata dall’art.3, comma 3, del DPR 322/1998. Gli intermediari a cui delegare la consultazione possono essere un massimo di due.

La delega avviene online, presso gli uffici abilitati locali, oppure consegnando una delega PDF.

Online è predisposta una specifica funzione, disponibile a tutti gli utenti registrati al servizio telematico e presente nell’area riservata del Fisconline/Entratel. Recando presso gli uffici invece è necessario presentare la delega sottoscritta, più un documento di identità valido.

La delega in formato PDF può anche essere trasmessa dall’intermediario ad Agenzia delle Entrate, accompagnata da un documento di identità in corso di validità. In quest’ultimo caso l’utente, entro 15 giorni, riceverà un codice al proprio recapito. Questo codice deve essere successivamente consegnato all’intermediario.

La delega si revoca con le stesse modalità con le quali è possibile inoltrarla. Gli intermediari sono tenuti a sottoscrivere un regolamento-pdf per consultare il cassetto.

Come chiudere la partita IVA: procedura e costi

In un articolo precedente: “Aprire una partita iva: la procedura da seguire e i costi da sostenere”, abbiamo visto l’iter burocratico e le spese da sostenere per iniziare una nuova attività. Adesso invece vogliamo spiegarvi come chiudere la partita IVA, la procedura da seguire, i costi da sostenere e i documenti da presentare.

La procedura da seguire per chiudere la partita IVA non è chiara a tutti. Per questo motivo vogliamo illustrarvi l’iter e i passaggi da seguire per chiudere un’attività e la relativa partita IVA.

Come chiudere la partita iva automaticamente

L’argomento è regolamentato dal Decreto Legislativo 193/2016, art. 7-quarter, comma 44/45. Il DL ha sostituito le precedenti disposizioni previste dal DL 471/1997, nel quale era prevista l’applicazione di una sanzione che andava dai 500€ ai 2000€,in caso di mancata comunicazione di cessazione attività.

Il DL 193/2016 prevede la chiusura automatica di tutte le partite IVA che non emettono fatture elettroniche e cartacee, da almeno tre anni consecutivi.

Come chiudere partita IVA: la domanda da inoltrare

Oltre alla chiusura automatica dopo tre anni di inattività, una partita IVA può essere cessata anche sotto richiesta diretta. La domanda deve essere inoltrata per scritto all’Agenzia delle Entrate (AdE) entro 30 giorni dalla data di cessazione dell’attività. La domanda è composta da due diversi moduli:

  1. Modello AA9/12 per le persone fisiche
  2. Modello AA7/10 per enti, società e associazioni (persone giuridiche)

Entrambi i modelli possono essere scaricati direttamente dal sito di AdE. Oltre a questi moduli AdE richiede anche la presentazione della dichiarazione di cessazione attività, sempre entro la stessa tempistica. La richiesta deve essere inoltrata dal titolare della partita IVA.

I modelli devono essere compilati seguendo tutte le indicazioni dettate e previste da Agenzia delle Entrate, facendo particolare attenzione al codice attività e all’indicazione della data di chiusura della partita IVA.

Le ditte individuali iscritte nei registri per le imprese, oltre alla dichiarazione di cessazione attività, da presentare ad AdE, devono inviare la stessa comunicazione anche in Camera di Commercio. Tale comunicazione interrompe l’obbligo del pagamento del diritto camerale e cancella dalla gestione separata INPS, commercianti e artigiani.

Se la ditta individuale non è iscritta al registro delle imprese, non è necessaria la comunicazione di fine attività.

Come chiudere la partita iva

Codice ATECO

Come ricordato nei paragrafi precedenti, sui modelli da presentare per la richiesta di chiusura partita IVA, è necessario indicare il codice dell’attività (codice ATECO). Solo indicando questo codice l’attività sarà cessata effettivamente. Il codice è sempre consultabile sul cassetto fiscale, al quale è possibile accedere con i propri dati personali.

Ricordiamo che il cassetto fiscale permette di accedere alla propria posizione fiscale personale presso il sito di Agenzia delle Entrate.

Presentazione dei modelli AA9 e AA7

Entrambi i modelli possono essere presentati:

  • in duplice copia presso l’ufficio di agenzia delle Entrate (indipendentemente dal domicilio fiscale dell’utente)
  • in un unico esemplare tramite posta raccomandata, allegando documento copia di un documento di identità fronte/retro e in corso di validità

Per via telematica (in questo la caso la comunicazione coinciderà con quella di ricezione dei dati da parte di AdE).

La dichiarazione di cessazione attività invece può essere presentata esclusivamente per via telematica da parte di tutti i soggetti iscritti nei registri delle imprese.

Quanto costa chiudere la partita IVA

In generale la chiusura della partita IVA non presenta alcun costo. Ricordiamo solamente la marca da bollo. Le ditte individuali iscritte nel registro delle imprese, per chiudere partita IVA, devono pagare una marca da bollo (di circa € 17,50) entro 30 giorni dalla cessazione attività.

Il momento giusto per chiudere partita IVA è quello in cui tutte le prestazioni relative all’attività di lavoro autonomo sono state incassate. Fino a quando ci saranno importi da incassare, la partita IVA deve rimanere aperta, per permettere la fatturazione elettronica o cartacea di tutte le operazioni.

Stato patrimoniale e conto economico: definizione e differenze

Qualche articolo fa abbiamo iniziato a conoscere e a definire cos’è il Bilancio d’esercizio. In linea di massima, possiamo affermare che si tratta di un insieme di documenti che un’impresa è obbligata a redigere per definire la propria situazione patrimoniale e finanziaria, nonché il risultato economico d’esercizio. É composto da cinque diversi documenti: lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico, il rendiconto finanziario, la Nota Integrativa e la relazione sulla gestione. Sviscerato l’argomento “Rendiconto finanziario”, passiamo adesso a definire e capire lo Stato Patrimoniale e conto Economico.

Stato patrimoniale e conto economico: cosa sono e a cosa servono

Stato Patrimoniale e Conto Economico rappresentano i principali prospetti contabili del Bilancio d’esercizio e tra i due esistono dei collegamenti. Entrambi sono indispensabili nella contabilità aziendale. I dati che i due documenti contengono devono essere d’aiuto a ogni analista economico-finanziario, per giudicare correttamente lo stato di “salute” di un’impresa. L’analisi di questi due documenti deve portare a un giudizio obiettivo sulla situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale d’impresa.

Stato patrimoniale

È il documento che rappresenta la situazione del patrimonio aziendale in un determinato momento di vita dell’impresa. Solitamente questo “momento”, coincide con la fine dell’anno solare (31 Dicembre) e nello stato patrimoniale sono riportate tutte le attività, le passività e il patrimonio netto d’impresa.

Finanziariamente questo significa che l’analisi del patrimonio di una società serve a capire se l’azienda è in grado di mantenere un corretto equilibrio patrimoniale e finanziario. Quindi le “attività” si identificano come i mezzi finanziari impiegati dalla ditta. Mentre le passività e il patrimonio netto sono da intendersi come fonti di finanziamento di tali impieghi.

Conto Economico

Si tratta del documento facente parte del Bilancio d’Esercizio che riassume l’insieme delle operazioni aziendali che hanno contribuito a determinare il risultato economico finale di un certo esercizio, comprende i costi e i ricavi di un’azienda.

Stato patrimoniale e conto economico

Le due sezioni contrapposte dello stato patrimoniale

Lo Stato patrimoniale definisce il patrimonio di un’azienda in un preciso momento. Inoltre definisce i diritti dei terzi che gravano sull’attività stessa. Si suddivide in:

  • Attivo
  • Passivo

L’attivo comprende il magazzino, le immobilizzazioni, le disponibilità liquide e i crediti. Si identifica come la somma di tutti gli investimenti eseguiti da un’impresa per svolgere al meglio la propria attività

Il passivo invece comprende le riserve, il capitale sociale, gli utili e le perdite dell’esercizio riportati a nuovo, ossia i debiti a breve, medio e lungo termine. In altre parole rappresenta i mezzi propri o di terzi, di cui si è dotata l’azienda per finanziare gli investimenti in modo da svolgere al meglio la propria attività.

Conto Economico: componenti positive e negative di reddito

Il conto economico è quindi l’insieme di tutte le operazioni che l’azienda ha compiuto per arrivare a un determinato risultato economico. É formato da due componenti: positivi e negativi di reddito, che si riferiscono sempre a un determinato periodo temporale.

In altre parole il conto Economico è formato da due voci:

  1. Ricavi – corrispondono alle vendite dei propri beni, agli interessi attivi o ai fitti attivi.
  2. Costi – riguardano gli acquisti, le utenze, le spese del personale, i fitti passivi, le imposte (IRAP, IRPEF, IRES) e le tasse. Tra quest’ultime l’IVA non è considerata un costo per la società. L’IVA infatti rappresenta un debito e al tempo stesso un credito che l’azienda ha nei confronti dell’Erario. Per questo motivo, a seconda del momento preso in esame, la voce IVA si potrebbe trovare da una parte o dall’altra del conto economico.

Documenti indispensabili per una gestione responsabile

Stato patrimoniale e conto economico sono documenti indispensabili per raggiungere una gestione responsabile delle risorse di una società e in generale della sua amministrazione complessiva.

Entrambi i documenti sono necessari alla definizione della situazione finanziaria, utilizzata poi per determinare il carico fiscale. Inoltre stato patrimoniale e conto economico servono anche a fornire tutti i dati aziendali all’erario. Questi documenti servono a fornire una misura tangibile di tutte le operazioni fatte durante il corso dell’anno solare. In base ai dati contenuti in essi, un’attività si rende conte se è necessario un miglioramento, oppure se è possibile continuare sulla stessa strada.

Il Rendiconto Finanziario: cos’è e a cosa serve

Nell’articolo precedente: “Bilancio di Esercizio soggetti obbligati, documenti e funzioni” abbiamo visto cos’è il Bilancio d’esercizio, quali funzioni svolge e da quali documenti è composto. Cinque i documenti fondamentali contenuti in un bilancio: Stato Patrimoniale, Conto Economico, rendiconto finanziario, Nota Integrativa e relazione sulla gestione. Oggi in particolare andiamo a vedere i dettagli del rendiconto finanziario.

Il rendiconto finanziario: decreto legislativo 139/2015

Il rendiconto finanziario è un dei cinque documenti obbligatori previsti nel bilancio d’esercizio che una società deve obbligatoriamente redigere secondo norma di legge. É stato introdotto come obbligatorio dal decreto legislativo 139/2015. Prima si trattava di un documento facoltativo.

Il rendiconto finanziario riassume tutti i flussi di cassa di un’impresa, avvenuti in un determinato periodo di tempo. In altre parole il rendiconto finanziario contiene l’indicazione di tutte le fonti che hanno portato a incrementare i fondi liquidi disponibili della società e il tracciamento di tutti gli impieghi di capitale sostenuto dall’impresa. Se volessimo spiegarlo in modo ancora più semplice, è possibile affermare che il rendiconto finanziario indica quanto “denaroè entrato e uscito dal conto aziendale e quali sono i fattori che ne hanno determinato tutte le variazioni.

La rendicontazione di questo documento non tiene conto della distinzione tra attività, passività, ricavi o costi. Di tutte queste voci è presa in considerazione solo quelle sottovoci per le quale c’è stato nel concreto, un’entrata o un’uscita di cassa.

Un importante strumento di controllo nella gestione di un’azienda

Il rendiconto finanziario è uno strumento potente e importante per un’impresa. Serve infatti a determinare la disponibilità di denaro dell’azienda. Inoltre permette di controllare le variazioni della disponibilità di denaro nel tempo. Serve quindi ad anticipare le dinamiche di entrate ed uscite dalle casse d’impresa.

Il rendiconto finanziario inoltre aumenta la credibilità dell’azienda, quando questa, ad esempio, cerca di accedere al credito tramite gli istituti bancari. La capacità di misurare e controllare le dinamiche finanziarie di un’attività è sinonimo di affidabilità (rating).

Infatti da un rendiconto finanziario è possibile calcolare:

  1. se l’azienda è in grado di pagare gli interessi passivi sui prestiti
  2. la capacità di rimborsa i finanziamenti richiesti
  3. se è in grado di pagare le imposte (IRPEF, IRES, IRAP)
  4. la necessità di richiedere un nuovo finanziamento
  5. la programmazione per futuri investimenti

Principi e finalità

In base al principio OIC n°10 il rendiconto finanziario deve riassumere:

  • l’attività di finanziamento (sia autofinanziamento sia esterno);
  • le variazioni delle risorse finanziarie causate dall’attività produttiva di reddito;
  • l’attività di investimento dell’impresa;
  • le variazioni della situazione patrimoniale-finanziaria.

Il Rendiconto Finanziario

Le finalità da raggiungere invece sono:

  • Conoscere per effetto di quali cause è variata la situazione patrimoniale dell’impresa rispetto alla chiusura dell’esercizio precedente;
  • Esplicitare le modalità di reperimento delle risorse finanziarie,
  • Esplicitare le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie;
  • Evidenziare le correlazioni esistenti tra le singole categorie di fonte e le singole categorie di impieghi;
  • Determinare le incidenze percentuali delle fonti e degli impieghi di risorse sul totale delle medesime.

Il Rendiconto Finanziario: compilazione e contenuto

Non si tratta di un documento facile da compilare. In generale il rendiconto è impostato secondo due diverse modalità:

  1. Metodo Diretto
  2. Metodo Indiretto

Metodo Diretto

Tiene conto della traccia di tutti i movimenti in entrata e in uscita. Questi sono classificati in base alla loro entità e natura.

Metodo Indiretto

In questo caso la rendicontazione parte dall’Utile Netto. L’utile netto non tiene conto degli elementi che non hanno natura monetaria. In questo modo è possibile arrivare a individuare esattamente incassi ed esborsi. Questo secondo metodo è il più diffuso, perché legato strettamente alla redazione dello Stato patrimoniale e del conto economico.