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Formazione aziendale: cos’è, come farla e perché è importante

La formazione aziendale serve ad aumentare le competenze del personale favorendone la crescita professionale per raggiungere più velocemente gli obiettivi di business. In un mercato dove la globalizzazione e la digitalizzazione sono in continua evoluzione, le aziende maggiormente competitive sono quelle che hanno capito l’importanza del team building e della formazione aziendale.

Formazione aziendale: cos’è e a cosa serve

La formazione aziendale è una forma d’investimento. Investimento rivolto alle persone e alle loro competenze. Il ritorno dell’investimento è quantificato dalla crescita professionale dei singoli, del gruppo, ma soprattutto dalla crescita del proprio business.

Le aziende che decidono di formare il proprio personale mettono a loro disposizione tutti gli strumenti più utili allo scopo. La formazione in azienda serve a:

  1. colmare lacune importanti
  2. affrontare tutti i cambiamenti legati all’innovazione tecnologica
  3. migliorare le soft skills, vale a dire competenze trasversali che influiscono sulla qualità del lavoro svolto e costituiscono il vero plus che differenzia un’attività da un’altra
  4. sviluppare capacità di problem solving
  5. incrementare la produttività
  6. aumentare la motivazione del personale
  7. incentivare lo spirito di squadra
  8. migliorare l’organizzazione aziendale
  9. migliorare le capacità comunicative dei singoli individui e dei gruppi di lavoro
  10. aiutare a gestire i cambiamenti e i conflitti
  11. aiutare a individuare le priorità

I piani di formazione aziendale rappresentano delle opportunità  di crescita che vanno a toccare tutti i livelli della scala gerarchica di un’attività. Riguarda ogni singolo aspetto tecnico, ma anche tutte le relazioni personali. L’investimento che un’impresa opera sulle proprie risorse umane è l’ago della bilancia che può far cambiare, in meglio o in peggio,  le sorti di un’azienda. Come sempre, anche la formazione aziendale è uno dei tasselli che dovrebbe sempre essere previsto all’interno di un buon piano aziendale strutturato.

Piani di formazione aziendale: struttura, tipologie e obiettivi

I piani di formazione aziendale possono essere organizzati e concepiti diversamente a seconda degli obiettivi da raggiungere:

  • corsi di apprendistato
  • nuove esperienze all’estero o all’interno di altre imprese
  • corsi di formazione interni oppure esterni
  • lezioni individuali
  • lezioni di gruppo

L’improvvisazione è nemica della formazione aziendale. Le attività di training devono quindi essere sempre organizzate seguendo regole precise e determinati step. La prima fase è quella dedicata alla ricerca e alla raccolta d’informazioni per arrivare a un’analisi approfondita dei fabbisogni. Quest’ultimi poi, possono essere suddivisi in tre differenti tipologie di bisogni:

  1. organizzativi
  2. professionali
  3. individuali

Formazione aziendale

L’analisi permette la formazione specifica e il raggiungimento degli obiettivi prefissati che determinato step successivi:

  • progettazione del corso di formazione in base a strumenti e metodi necessari a raggiungere il traguardo
  • svolgimento del corso formativo vero e proprio
  • misurazione dei risultati ottenuti e del grado di efficacia della formazione impartita

Formazione aziendale: metodo SMART

Il famoso metodo S.M.A.R.T. messo a punto dall’economista e saggista Peter Drucker nel suo libro “Le sfide del Management nel XXI Secolo” è quello universalmente usato per individuare i principi e gli obiettivi della formazione aziendale. SMART è acronimo di:

S = Specif (Specifico)

M = Misurable (Misurabile)

A = Achievable (Raggiungibile)

R = Relevant (Rilevante)

T = Time-Based (Temporizzato)

Un sistema che fornisce tutti i criteri per guidare nella definizione di scopi e obiettivi che servono a migliorare la produttività personale e aziendale. Inoltre, la formazione deve sempre essere coinvolgente. Il primo passo per rendere le attività di training interessanti è quello di avere sempre ben chiari gli obiettivi da raggiungere e fornire al personale tutte le nozioni veramente indispensabili. Inoltre sono preferibili attività interattive che stimolano la partecipazione e riducono i momenti di distrazione.

La formazione, di norma, si suddivide in tre fasi principali:

  1. acquisizione dei dati
  2. comprensione, organizzazione dei dati
  3. esposizione dei contenuti

Fasi da tenere sempre ben a mente quando è necessario organizzare in modo efficace e produttivo un corso di formazione aziendale.

La formazione aziendale è quindi una necessità per tutte quelle imprese che vogliono crescere e migliorare in modo efficace e produttivo. L’apprendimento stimola la condivisione e favorisce la creatività, caratteristiche indispensabili in qualunque genere d’impresa. Progressi e successi nel mondo del business vanno di pari passo al livello formativo del personale delle aziende che può guardare al futuro e alle sfide prossime venture con maggiore sicurezza e preparazione.

Aumentare le vendite massimizzando l’efficacia dei social media

Il mondo degli affari è in continua evoluzione. Aziende e marchi continuano ad adottare sempre nuovi metodi per soddisfare le richieste del proprio pubblico. Le esigenze dei clienti non sono mai costanti e variano di anno in anno e da persona a persona. Ogni brand deve garantire al consumatore un certo grado di soddisfazione, apportando valore aggiunto al proprio nome. Per stare dietro a tutte le novità del mercato e alla domanda crescente dei clienti, aumentare le vendite richiede però l’utilizzo d’intelligenze artificiali che supportano e massimizzano l’efficacia di una comunicazione diretta, semplice, chiara e convincente.

Aumentare le vendite: conoscere il mercato

Per aumentare le vendite, un’azienda deve conoscere molto bene le attuali richieste di mercato. In particolare, deve conoscere il proprio target di riferimento e le loro esigenze da soddisfare. Un’esigenza è sinonimo di “mancanza”, vale a dire un’assenza che può essere colmata attraverso un prodotto/servizio preciso.

Oggi, grazie alla globalizzazione, tutto (o quasi) avviene su internet. Dalle compravendite alla fatturazione elettronica, ogni passaggio dell’iter commerciale passa per un cavo di rete. I clienti sono diventati quindi il fulcro di ogni marco e di ciascuna azienda. L’adozione dell’intelligenza artificiale semplifica la comprensione dei comportamenti dei clienti, delle loro preferenze e della probabilità che acquistino un prodotto.

L’AI aiuta a far capire alle aziende, attraverso l’elaborazione di molti dati, come soddisfare le svariate esigenze dei clienti. Estratte le informazioni necessarie, un’attività può pianificare nel dettaglio la produzione e la vendita dei propri prodotti, anche attraverso un piano aziendale attento e puntuale.

IA: i vantaggi per le aziende

Le vendite sono il pilastro che sorregge qualunque azienda. Aumentare le vendite diventa quindi di fondamentale importanza per la sopravvivenza di qualsiasi attività. L’intelligenza artificiale è indispensabile a raggiungere questo scopo perché permette alle attività di entrare a conoscenza d’informazioni e particolari che altrimenti non avrebbe potuto conoscere, o per la cui raccolta avrebbe impiegato mesi, se non addirittura anni.

Inoltre, nonostante i continui cambiamenti nei comportamenti dei clienti, IA consente alle aziende di rimanere sempre aggiornate e di continuare a raccogliere dati in maniera costante.

Aumentare le vendite

Aumentare le vendite massimizzando l’efficacia dei social media

Le aziende hanno a disposizione diversi sistemi per aumentare le vendite massimizzando l’IA:

  1. Piattaforme social media – i social media hanno il potere di far conoscere a tutti un prodotto/servizio. Trasformano il mercato in una piazza globale nella quale ogni società ha il potere di raggiungere il proprio pubblico di destinazione. Potenti strumenti di marketing che suggeriscono alle aziende interessi e preferenze di migliaia di potenziali nuovi clienti. Con Facebook, ad esempio, prodotti e servizi possono essere commercializzati organicamente al proprio target perché il contenuto entra nei feed di amici, famiglie e altre persone collegate a loro nella loro rete. Il segreto, per far funzionare il passaparola digitale, è riuscire ad “umanizzare” il marchio e a renderlo facilmente accessibile a chiunque.
  2. Annunci sponsorizzati e campagne marketing – Le campagne di marketing sulle piattaforme di social media hanno fatto un ulteriore passo avanti. Gli annunci sponsorizzati su Google e su altre piattaforme come LinkedIn, YouTube, Twitter, Instagram, Facebook e altro ancora, stanno cambiando le regole del gioco. Infatti, oggi le campagne possono essere indirizzate a un pubblico specifico, colpendo proprio la fascia di target nicchia interessata. Il targeting si basa su fattori quali età, dati demografici, sesso, ecc… L’IA supervisiona gli annunci e li porta all’attenzione del pubblico giusto.

E ancora…

  1. Chatbot – progettati per comunicare con utenti umani su internet, i chatbot hanno assunto, nel corso del tempo, un ruolo sempre più importante nel commercio online. Possono svolgere funzioni specifiche e ricoprire ruoli precisi come, ad esempio, assistenti online, lead generator, bot di vendita e altro ancora. Inoltre, elevano l’esperienza del cliente a un altro livello rispondendo in base alla cronologia degli acquisti precedenti.
  2. Analisi dei dati – l’analisi può guidare saggiamente le vendite del proprio marchio. I dati delle piattaforme dei social media possono essere analizzati per vedere come si sono comportate le varie campagne. Dati che possono essere facilmente raccolti, elaborati e analizzati in pochi minuti, proprio grazie alla tecnologia IA. Dopo l’analisi, le informazioni sono utilizzate per migliorare le campagne di marketing e aumentare la disponibilità dei prodotti all’interno dei settori dei dati demografici dove c’è stata una maggiore conversione. Un “trucco” che porta, in definitiva, ad aumentare le vendite.

Piano aziendale: crearne uno efficace e chiaro

Un piano aziendale è necessario per fissare gli obiettivi di un’impresa e per avere chiaro le tappe per lo sviluppo dell’attività. Studiare una strategia aziendale consente alle imprese di raggiungere e superare la concorrenza, tenendo sempre ben presenti i risultati, a medio e lungo termine, da conseguire. Per essere efficace deve rispettare alcune regole fondamentali e deve tenere conto di molteplici valori e riferimenti.

Piano aziendale: la visione d’insieme del business

Affinché un piano aziendale risulti chiaro e sia efficace occorre, prima di tutto, avere una visione chiara e complessiva del business d’impresa. La cosa migliore in tal senso è quella di suddividere il business in specifiche aree di lavoro e, in ciascuna di esse, fissare degli obiettivi da perseguire.

Alle aree di lavoro devono essere associati progetti in essere o in fase di realizzazione, necessari al raggiungimento dei target aziendali. Target specifici per ogni obiettivo definito. Inoltre, è necessario stabilire indicatori economici e finanziari, solitamente di durata pluriannuale, che servono a calibrare e implementare il piano aziendale.

Piani strategici aziendali: la suddivisione in aree

Non esistono delle regole o degli schemi standard per redigere un efficiente piano strategico aziendale. Ci sono, però, delle indicazioni che è sempre bene seguire per riuscire al meglio nell’intento. Prima fra tutte quella relativa alla suddivisione in specifiche aree di lavoro a ciascuna delle quali devono essere associati degli obiettivi determinati.

Le aree di lavoro differiscono da azienda ad azienda: area produttiva, di comunicazione d’impresa e brand, amministrativa, gestionale, innovativa, ecc… Alcune aree si rivelano essere fondamentali per il perseguimento dei fini aziendali. Di norma, tutte quelle legate al rapporto con i clienti e/o con i fornitori, all’innovazione dei prodotti, alla stabilità a livello economico e finanziario dell’impresa e alla prospettiva di sviluppo sul mercato nel medio e lungo periodo, sono assolutamente basilari.

Piano aziendale

Sviluppo aziendale: come fissare gli obiettivi

A ogni area di lavoro definita all’interno di un piano aziendale, devono corrispondere specifici obiettivi. Risultati da raggiungere correlati da relative spiegazioni su programmi, tecniche, attività e metodologie da applicare per perseguirle. Inoltre devono essere previste delle strategie di miglioramento con tanto di deadline. La “linea della morte”, di solito, ha durata di un anno e coincide con la durata del bilancio di esercizio.

Analisi KPI: cosa sono e come fissarli in una strategia d’azienda

KPI è acronimo di Key Performance Indicator, vale a dire le chiavi di riferimento che indicano le performance per un determinato obiettivo. Le KPI devono sempre essere contemplate in un piano aziendale efficace. Si tratta di parametri con precisi valori tangibili, misurabili e, nella maggioranza dei casi, di tipo numerico. Sono indicatori che servono a capire quali e quanti sono i target da raggiungere.

Quando si parla di target non si fa riferimento esclusivamente alle vendite di beni e servizi e di conseguenza al relativo fatturato. I target riguardano anche altri indicatori chiave per la crescita di un’impresa:

  1. tasso di automazione
  2. automatizzazione aziendale
  3. gradi di soddisfazione dei clienti
  4. grado di soddisfazione dei fornitori
  5. livello di qualità di beni e servizi offerti
  6. ecc…

In altre parole un Key Performance Indicator può essere una qualsiasi metrica che possa misurare il successo di un progetto. Per questo motivo è necessario che siano “misurabili”, vale a dire quantificabili con numeri e dati reali e tangibili.

Pianificazione aziendale

La pianificazione aziendale definisce anche le strategie da adottare per raggiungere gli obiettivi prefissi seguendo la mission dell’attività. Si tratta di un genere di pianificazione che si basa sulla responsabilità e sulle procedure di tutto il personale aziendale. Alla luce di quanto detto finora, quindi, il processo di pianificazione aziendale si basa su attività ben strutturate che, di norma, si possono riassumere come segue:

  • Dichiarazione di visione – definizione degli obiettivi che guidano il processo decisionale interno (analisi di mercato, dei competitors, sviluppi futuri, individuazione e analisi dei punti di forza e di criticità dell’azienda ecc…)
  • dichiarazione di missione – scopo ed essenza dell’azienda
  • Risorse e portata aziendale
  • Elenco degli obiettivi da perseguire – e relativo sviluppo di programmi e strategie per raggiungere gli obiettivi
  • Suddivisione in aree di lavoro a cui fa corrispondere degli obiettivi specifici
  • Individuazione dei KPI per monitorare lo stato di sviluppo aziendale attraverso parametri misurabili.

Piano di welfare aziendale: come funziona, benefit e agevolazioni

Nel precedente articolo: “Welfare aziendale: cos’è e a cosa serve” abbiamo iniziato a vedere cos’è un piano di welfare aziendale e a cosa serve. Nello specifico, adesso, vogliamo spiegare come funziona, come viene erogato e chi sono i destinatari delle agevolazioni. Prima di iniziare riassumiamone il concetto. Il welfare aziendale è un insieme di agevolazioni che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti a tempo indeterminato. I welfare sono quindi dei benefit di cui i dipendenti possono godere a proprio piacimento. Sono stabiliti dal datore di lavoro senza consultare le associazioni sindacali, né i dipendenti (con qualche eccezione). Concedere dei welfare aziendali e usufruire di tali benefit, comporta delle notevoli agevolazioni fiscali sia per i datori di lavoro che per i dipendenti stessi. Vediamo adesso nello specifico come funzionano e chi ne può usufruire al meglio.

Piano di welfare aziendale: ecco come funziona

I welfare aziendali si sono andati via via sempre più diffondendo negli ultimi anni. Incentivati dalle varie leggi di rilancio, dal 2016, i piani di welfare aziendale sono aumentati rispetti alla previsione dei comuni premi di produzione. La loro diffusione è andata di pari passo all’implementazione di tantissime piattaforme che servono a erogare i vari benefit ai dipendenti. Questi portali sono gestiti da società che si occupano esclusivamente, oppure no, di seguire i piani di welfare delle aziende. È attraverso queste piattaforme che il datore di lavoro mette a disposizione dei dipendenti i benefit che ha previsto per loro. I dipendenti registrandosi e accedendo alle varie piattaforme, possono scegliere come utilizzare i vari benefit fino a esaurimento del proprio portafoglio.

Piano di welfare aziendale: i soggetti destinatari dei benefit

Per essere definito tale, un welfare aziendale deve essere rivolto a tutti i dipendenti di un’azienda. In alternativa può anche essere previsto per specifiche categorie di lavoratori. Per categoria non si intende una specifica qualifica contrattuale (impiegati, quadri, operai e dirigenti), ma, in generale, possono essere inclusi vari gruppi di lavoratori accomunati da criteri specifici e comuni (livelli, posizioni, fasce gerarchiche, ecc…).

Uno dei vantaggi del piano welfare aziendale è che i benefit previsti possono anche essere estesi ai familiari dei dipendenti (secondo quanto previsto dall’articolo 12 del TUIR):

  • coniuge non legalmente ed effettivamente separato (o partner nelle unioni civili ex L.76/2016)
  • figli, compresi i naturali riconosciuti, i figli adottivi o affidati
  • coniuge
  • genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi
  • fratelli e sorelle
  • genitori adottanti
  • generi e nuore
  • suocero e suocera

Piano di welfare aziendale

Tipologie di benefit

Abbiamo già visto che il welfare aziendale può prevedere diverse tipologie di benefit. La loro natura è stabilita direttamente dal datore di lavoro. Tra questi ricordiamo:

  • Spese familiari – si tratta di una serie di rimborsi che il lavoratore può richiedere al datore di lavoro per usufruire del proprio portafoglio welfare. I rimborsi sono erogati in busta paga. Le spese sono esenti da imposizione fiscale o previdenziale.
  • Fringe benefit (Beneficts) – i fringe benefit sono beni ceduti o dati in concessione al dipendente da parte del datore di lavoro. Spesso sono dati in concessione beni come l’auto aziendale, un appartamento aziendale, buoni carburante, buoni spesa, card spendibili per viaggi in aereo o in treno. Questi benefit non sono tassati quando il loro valore annuale è inferiore a 258,23€.
  • Buoni Pasto – completamente esenti da tassazione fino ad un importo giornaliero pari a 5,29€ per i buoni pasto cartacei e aumentato a 7€ nel caso di ticket pasto elettronici.
  • Assistenza sanitaria e previdenza – i dipendenti possono destinare tutto o parte dei propri benefit a incrementare e integrare le prestazioni statali fornite dall’INPS, in materia di previdenza e sistema sanitario nazionale. In altre parole possono decidere di destinare il welfare aziendale in casse, fondi e gestioni previsti da contratti collettivi, accordi, regolamenti aziendali che erogano prestazioni integrative previdenziali o assistenziali.
  • Spese per il servizio di trasporto pubblico – rientrano in questa categoria gli abbonamenti di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale. Ci sono due alternative: il datore di lavoro acquista per il dipendente l’abbonamento, oppure ne rimborsa il costo sostenuto dal lavoratore, direttamente in busta paga.

Rimborso degli interessi pagati per un mutuo

Infine i dipendenti possono decidere di usare il portafoglio di welfare aziendali per richiedere il rimborso degli interessi pagati per un mutuo stipulato con la propria banca. In questo caso, il lavoratore non potrà, successivamente, portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi, gli interessi già rimborsati tramite il piano di welfare aziendale.

Factoring: cos’è e come funziona

Il factoring è una particolare tipologia di contratto che, soprattutto negli ultimi anni, si è sempre più diffusa a macchia d’olio. Si tratta di un istituto giuridico utilizzato nel diritto commerciale. Serve per tenere sotto controllo i flussi di cassa e ottenere credito immediato dagli istituti bancari. L’esigenza è nata soprattutto perché risulta sempre più difficile riuscire a riscuotere dai propri creditori. Chi ha intenzione di aprire una partita IVA, ma anche chi è già titolare di una microimpresa, o di una grande azienda strutturata, dovrebbe conoscere bene questo istituto. Può essere una vera e propria “ancora di salvezza” in moltissime occasioni. Cerchiamo quindi di conoscerlo meglio e di capirne il corretto funzionamento.

Factoring: un indispensabile strumento per le PMI

L’istituto giuridico del factoring è un contratto con il quale un’impresa cede a una società specializzata (che può anche essere un istituto bancario) i propri crediti. I crediti possono essere presenti o futuri. Lo scopo è quello di ottenere liquidità immediata e una serie di servizi correlati alla gestione del credito ceduto. Con questo sistema è possibile, infatti, ottenere la gestione e l’amministrazione, l’incasso e l’anticipazione dei crediti, prima ancora della loro effettiva scadenza.

Questa particolare risorsa è sfruttata soprattutto dalle imprese che si avvalgono di pagamenti dilazionati con i propri clienti. Un’altra categoria che sfrutta appieno questo sistema è rappresentata dalle PMI che lavorano con la pubblica amministrazione, che ha, notoriamente, tempi molto lunghi per eseguire i pagamenti.

I soggetti coinvolti

Nel factoring i soggetti coinvolti sono:

  • Factor – è l’operatore specializzato che prende in carico i crediti dell’impresa cedente. Il factor gestisce e finanzia anticipatamente una parte (o tutta) dei crediti dell’impresa.
  • Impresa cedente – si tratta dell’impresa che decide di cedere al factor il proprio credito e che ottiene in cambio, immediata liquidità.
  • Debitore ceduto – è rappresentato dall’azienda con la quale l’impresa cedente ha un contratto di fornitura.

Factoring: come funziona

L’impresa cedente cede al factor i crediti che deve avere dall’azienda con cui ha un contratto di fornitura. In cambio, il factor mette a disposizione dell’impresa cedente immediata liquidità. Spetta poi al factor riscuotere i crediti dell’azienda fornitrice. È chiaro quindi che il factoring è un vero e proprio finanziamento d’impresa. Un sistema che consente all’impresa cedente di continuare a pagare puntualmente i propri fornitori e portare avanti la propria attività, senza doversi preoccupare dei pagamenti in ritardo da parte dei propri clienti.

Il factor si assume quindi l’onere di riscuotere i crediti dell’impresa cedente. Per eseguire una tale operazione, il factor richiede il pagamento all’impresa di una relativa commissione. Una tipologia di contratto molto particolare che consente al factor di erogare liquidità all’impresa sotto forma di anticipo sui crediti non ancora scaduti.

Factoring: soluzioni personalizzate

Il contratto di factoring offre numerose soluzioni personalizzate che si differenziano a seconda del business dell’impresa cedente. Il factoring si occupa di:

  • Valutare il portafoglio commerciale dell’impresa cedente
  • Amministrare, gestire e incassare i crediti ceduti (attuali e futuri)
  • Anticipare i crediti all’impresa cedente prima che questi scadano
  • Fornire assistenza legale in fase di recupero crediti
  • Fornire una garanzia del buon fine delle operazioni al termine delle stesse

Factoring

Tipologie di contratto factoring

I contratti factoring non sono tutti uguali. Ne esistono di diverse tipologie:

  • Pro Solvendo – anche se l’impresa cedente passa i propri crediti al factor, rimane comunque titolare dei rischi di insolvenza.
  • Pro Soluto – in questo caso è il factor che, oltre ad occuparsi del servizio di gestione, incasso e finanziamento, si assume anche il rischio di insolvenza.
  • Garantito dal Fondo Di Garanzia – al Factoring Pro Solvendo è possibile aggiungere il factor garantito dal Fondo Centrale di Garanzia. Il fondo copre ben il 60% del finanziamento. Un contratto molto utile per le piccole e nuove imprese, nonché per quelle artigiane.
  • Acquisto a Titolo Definitivo – il rischio d’impresa è a carico del factor ed è possibile fare la derecognition dal bilancio delle attività finanziarie cedute. Con questa formula è esclusa totalmente la possibilità di regresso dei crediti ceduti anche nel caso di insolvenza o mancato pagamento del debitore ceduto.
  • Anticipo Crediti Futuri – il factor anticipa all’impresa cedente un 10-20% del totale imponibile stesso. Il recupero dell’anticipazione dei crediti futuri, avviene con trattenuta di una parte delle anticipazioni dei corrispettivi. Avviene quindi di volta in volta, da parte dell’impresa sui crediti sorti e decaduti pro solvendo o pro soluto.
  • Opzione Maturity – Un’opzione che fa si che il factor garantisca l’erogazione del 100% del corrispettivo e un’eventuale dilazione di pagamento del credito. L’opzione è frutto di un accordo preventivo tra factor e impresa debitrice. L’accordo contrattuale è stipulato tra impresa, banca e debitore ceduto. L’opzione regolamenta il pagamento a scadenza ed i termini dell’eventuale dilazione accordata al debitore.

Forma giuridica: cos’è, quante ne esistono e come sceglierla

Un forma giuridica è un’organizzazione creata da uno o più soggetti per fare business. Esistono diverse tipologie di forme giuridiche. Sceglierne una, piuttosto che un’altra, determina la struttura, l’organizzazione e la tassazione di un’azienda. Al momento in cui si decide di aprire partita IVA una delle prime cose da fare, prima ancora di iniziare a emettere fatture elettroniche, o prendere un software gestionale per la fatturazione elettronica, è quella di scegliere la forma giuridica. Si tratta di una scelta veramente importante perché da questa dipendono differenti conseguenze finanziarie, legali e una diversa esposizione al rischio in caso di contenziosi legali. Vediamo quindi di capire quante forme giuridiche esistono in Italia e quale scegliere per lo svolgimento della propria attività.

Forma giuridica: le diverse tipologie

Come abbiamo già detto, esistono molteplici forme giuridiche in Italia:

Per quanto la scelta possa essere varia, in Italia, la maggior parte delle piccole e medie imprese tende sempre a scegliere tra una s.n.c., piuttosto che una s.a.s., una s.r.l., o un’s.r.l.s. Scegliere una forma, oppure un’altra significa determinare a priori un diverso sistema di struttura interno e una diversa tassazione da parte dello Stato e del Fisco. Iniziamo quindi, in questo articolo, a vedere nel dettaglio ogni singola forma giuridica per capirne meglio le conseguenti implicazioni e la struttura organizzativa interna.

Ditta individuale

Si tratta della forma giuridica più semplice in assoluto. Titolare e gestore della ditta è un’unica persona. Per aprire partita iva come ditta individuale basta iscriversi alla Camera di Commercio della propria provincia. Molti liberi professionisti, Freelancer e consulenti scelgono questa forma giuridica per la propria attività.

La ditta individuale è facile da avviare, non richiede alcuna formalità aziendale (come ad esempio la sottoscrizione di un verbale. Di riunione o di uno Statuto) e permette di detrarre la maggior parte delle spese sulla dichiarazione dei redditi.

Forma giuridica

Società in Nome Collettivo (s.n.c.)

È molto simile alla ditta individuale, la differenza fondamentale è che al “timone” si trovano due o più soci (persone). In una s.n.c. ogni socio gestisce l’attività personalmente e condivide perdite e profitti. Anche questa forma giuridica è piuttosto facile da avviare, non vuole anch’essa nessuna formalità aziendale e le perdite aziendali sono sempre suddivise tra i vari soci.

Società in accomandita semplice (s.a.s.)

Anche in questa forma giuridica l’azienda è gestita e amministrata attivamente da più soci. A differenza della s.n.c. però, ci sono due diverse tipologie di soci:

  • Accomandatari – possiedono, gestiscono e si assumono la responsabilità per l’azienda
  • Accomandanti – agiscono solo come investitori.

In una s.a.s. è facile raccogliere fondi grazie ai soci accomandanti, mentre i soci accomandatari possono mantenere il controllo totale sull’attività svolta.

Società a responsabilità limitata (s.r.l.)

Come dice il nome stesso, una società a responsabilità limitata offre il vantaggio di una responsabilità limitata a ogni socio in base al proprio capitale sociale. Avviarla richiede qualche formalità legale in più, ma i titolari non hanno alcuna responsabilità  personale per gli eventuali debiti dell’azienda. Questo vuol dire che se qualcosa andasse storto, i debiti dovrebbero essere saldati esclusivamente con il patrimonio aziendale. Il patrimonio personale di ciascun socio, rimarrebbe quindi integro e salvo.

Forma Giuridica: Scegliere in modo oculato

La scelta della forma giuridica è davvero molto importante. L’organizzazione scelta infatti, può influenzare la percezione dell’attività stessa da parte delle persone che ne prendono parte. Senza contare che è una scelta che determina precise conseguenza legali e fiscali. Il trattamento fiscale di ciascuna forma giuridica è, difatti, ben diverso l’uno dall’altro. Inoltre, per alcune di esse, è richiesto anche un cospicuo investimento iniziale, mentre per altre non è necessario disporre di grandi somme di denaro per avviarle. Anche dal punto di vista amministrativo possono esserci delle sostanziali differenze. Si parla in termini di fattura elettronica, dichiarazione dei redditi e pagamento di determinate imposte.

Nei prossimi articoli continueremo l’approfondimento sulle ultime forme restanti (Società per azioni – S.p.A.- , Società in accomandita per azioni – S.a.p.A. – e la Cooperativa) e cercheremo di capire come scegliere quella più adatta alla propria attività, in base anche al trattamento fiscale previsto per ciascuna forma giuridica.

Società di fatto: cosa sono e come funzionano

In Italia esistono molteplici forme societarie: B Corp, società benefit, SRL, SPA, società tra imprenditori, ecc… Ne esiste anche un’altra categoria che, sebbene la giurisprudenza non ne dia una definizione precisa, queste prendono la denominazione di società di fatto. Per spiegarla in modo semplice, una società di fatto è quella che nasce dall’intesa verbale o da un comportamento concludente, dal quale emerge la volontà delle parti di costituire un rapporto sociale. Fare impresa e aprire partita IVA nel nostro paese, richiede delle regole precise. Anche per questa formula societaria esistono quindi dei presupposti specifici affinché un rapporto possa definirsi tale. Infatti l’elemento soggettivo non è l’unico necessario perché possa costituirsi società di fatto. Deve anche esserci la volontà tra i soci di conferire beni e servizi e la conseguente formazione di un fondo comune. Quindi è necessario che sia presente uno scopo di lucro e la volontà di essere soci.

Società di fatto: copertura disciplinare

Anche se non esiste una disciplina giuridica specifica che regola le società di fatto, queste ricadono comunque sotto le normative delle società semplici. Allo stesso modo, valgono anche le regole delle società in nome collettivo irregolari, che esercitino o meno un’attività commerciale.

In base a questa puntualizzazione è quindi possibile affermare che le società di fatto sono in realtà società di persone che non si costituiscono sulla base di un contratto. Infatti queste nascono dalla volontà dei soci di costituire società e dai comportamenti reciproci finalizzati a un unico obiettivo.

Ne esistono comunque varie tipologie. Per quanto queste possano essere accomunate a società irregolari, non sono esattamente la stessa cosa. In altre parole, una società di fatto è una società irregolare, ma non tutte le società irregolari sono anche società di fatto. Nelle società irregolari manca l’iscrizione nel registro delle imprese e, di conseguenza, non c’è alcuna pubblicità dichiarativa. Mentre nelle società di fatto manca l’atto costitutivo, documento necessario per poter procedere alla pubblicità.

Personalità giuridica e soggettività giuridica

Tutte le forme societarie sono dotate di soggettività giuridica. Di conseguenza significa che le società sono titolari di posizioni giuridiche attive e passive, di crediti e debiti, diritti e obblighi. In più, hanno anche la possibilità di avere un patrimonio distinto da quello dei soci. In questo modo si determina una situazione di autonomia patrimoniale. Invece le società di fatto non hanno una personalità giuridica. Questa è riservata alle società di capitali e alle cooperative, che acquistano al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese. Questa responsabilità consente ai soci di beneficiare della limitazione della. Responsabilità per le obbligazioni sociali.

società di fatto

Fallimento

Queste società che esercitano attività commerciale possono fallire. Con il fallimento danno luogo, di conseguenza, al fallimento anche di tutti i soci e pertanto sono soggette alla legge fallimentare. Vanno quindi incontro a eventuali procedure giudiziarie fallimentari.

Società di fatto e società occulte

In molti possono pensare che siano la stessa cosa. In realtà non è esattamente così. Il vincolo sociale occulto è quello che si instaura tra diversi soci che esprimono la volontà di costituirne uno. Una volontà che si manifesta all’esterno e che rimane occultato ai terzi. Tutti i rapporti instaurati da una società occulta sono posti in essere per conto della società stessa, ma non in suo nome. In una società occulta può effettivamente esserci latto costitutivo. Documento invece mancante nelle società di fatto. Atto che i soci possono deliberatamente aver scelto di mantenere segreto a terzi.

Società di fatto e società apparente

Anche in questo caso si parla di due diverse forme societarie, che non devono essere confuse tra loro. In pratica le società apparenti si creano quando i terzi, in seguito a comportamenti di due o più soci, credano di trovarsi di fronte a un’impresa collettiva. Questo però avviene tutto in assenza di un atto costitutivo e, soprattutto, in mancanza di una vera e propria volontà da parte degli apparenti soci in questione. Le società apparenti sono comunque soggette a fallimento.

In conclusione, le società di fatto sono il risultato di fatti e comportamenti da parte dei soci, che non formalizzano l’accordo con un atto costitutivo. Non sono iscritte al Registro delle imprese, ma sono comunque soggette alle procedure giudiziarie fallimentari.

Rischio di credito: che cos’è e perché è importante conoscerlo

Si parla di rischio di credito nel momento in cui ci si riferisce a quei casi, che ad oggi non sono poi così rari in cui un debitore si rende insolvente e non vada a saldare i debito che ha contratto con un certo creditore. Questo per la controparte porta una perdita di denaro indipendentemente dalla volontà del debito che può essersi comportato così per la volontà di non pagare e poi impossibilità e difficoltà sopraggiunte.  Il valore del rischio di credito non è semplice da analizzare, anche se la sua valutazione si rivela un’operazione molto più importante di quella che si pensa.

Il rischio di credito è definibile come la possibilità che al verificarsi di un cambiamento inatteso ci sia anche una modifica nel valore del credito stesso. Proprio per questa sua definizione si rivela indispensabile valutarlo prima di qualunque operazione di tipo finanziario.

Aziende a rischio e assicurare il credito

Ogni azienda viene valutata in base al suo rating, di cosa si tratta? Della possibilità di insolvenza della stessa azienda. Nel momento della fatturazione elettronica di una prestazione di servizi o la cessione di bene di cui se ne consente il pagamento in maniera dilazionata, si va incontro alla possibilità che il cliente sia incapiente e che quindi alla fine non paghi nei tempi stabiliti.

Lo stesso non vale nel caso dello scontrino elettronico che invece prevede un pagamento immediato della prestazione o del bene acquistato. Nei casi in cui il pagamento poi alla fine non avviene allora si verifica uno stop del flusso di cassa e un ridimensionamento inevitabile dei profitti aziendali. Si tratta comunque di un rischio che è possibile correre nel caso in cui si punti a fidelizzare il cliente, portandolo a spendere più di ciò che al momento ha a propria disposizione. Ma si tratta di un’operazione che andrebbe fatta solo a seguito di attenta valutazione del cliente stesso.

In genere è meglio evitare di concedere fiducia a tutte quelle aziende che hanno un rating basso, anche se a volte capita anche con quelle nate relativamente da poco.

Ma per far crescere queste azienda da qualche parte si deve pur iniziare. Ecco quindi che si rende conveniente ricorrere a polizze di assicurazione del credito che vanno a coprire tutti quei crediti che hanno scadenza nell’arco dei 12 mesi.

Rischio di credito

Rischio di credito: 3 diverse tipologie

 

Nel mondo della digital transformation delle aziende è possibile affermare che controllarne la capienza e la capacità di saldare i propri debiti è estremamente semplice. Le problematiche nell’economia però, sono sempre dietro l’angolo.

Il rischio di credito si suddivide in 3 tipologie in base a diverse eventualità che possono portare il debitore a non pagare il proprio debito:

  • di inadempimento – il cliente non paga la fattura alla scadenza, si presenta ogni volta in cui il pagamento è previsto in un momento successivo a quello dello scambio.
  • di concentrazione: vi è una concessione di credito a un’azienda importante o a più clienti che insieme compongono una parte importante degli interi incassi di un’azienda;
  • rischio Paese: riguarda l’eventualità che si facciano affari con paesi esteri e quello di riferimento nel momento del saldo ha tassi di cambio pochi vantaggiosi.

Qualunque sia il rischio a cui ci si espone ciò che ne risentirà sarà il flusso di cassa che subirà una netta diminuzione.

Come si riduce il rischio in tempo di digital transformation

Come già detto non molte righe fa, non è proprio semplice determinare in maniera corretta e precisa il rischio di credito. Soprattutto in un momento storico come questo in cui la digital transformation sembra più semplice per via dell’immediatezza con cui si possono avere i dati di ogni singola azienda. Quindi l’unico modo per valutare il rischio di credito è quello di esaminare tutti i dati dell’azienda. Una verifica appurabile tramite la Camera di Commercio, consultare i bilanci annuali e le informazioni commerciali.

Insomma un percorso che porta a determinare quanto l’azienda cliente sia affidabile e quanto sia opportuno affidarsi. Si rivela inoltre utile sapere quale impatto si avrà sul flusso di cassa nel caso in cui ci sia insolvenza. Questi sembrano gli unici modi validi per ridurre al minimo il rischio che è connaturato con la natura economica degli scambi.

 

Fare impresa: cosa significa aprire partita IVA nel 2021

Fare impresa nel 2021 vuol dire avere sicuramente grande coraggio visto il periodo delicato che sta attraversando l’economia, ma vuol dire anche gettarsi in un mercato che sta subendo una grande trasformazione a livello digitale. Fatturazione elettronica e scontrino elettronico sono solo 2 dei pilastri di un’impresa completamente nuova che sta cercando di trovare la sua dimensione. Ma cerchiamo di comprendere quali sono i passi per fare impresa nel 2021 e soprattutto quanto costa farlo.

Fare impresa: quando si apre una partita IVA

Fare impresa non vuol dire altro se non fare il grande passo ed entrare nel mondo della partita IVA, la cui apertura è indispensabile per tutti coloro che superano i 5.000 euro annui di reddito svolgendo un’attività da libero professionista o da imprenditore. Quando si parla di Partita IVA ci si riferisce a un codice numerico di 11 cifre che rilascia l’Agenzia delle Entrate e che identifica una certa impresa sul mercato o appunto un libero professionista. Niente di complicato vero? Se non fosse per tutta una serie di obblighi a cui si deve far fronte dal momento in cui si apre partita IVA.

Come si apre Partita IVA

 

La prima cosa che ti occorre per poter ottenere il tuo numero di Partita IVA è un indirizzo di posta elettronica certificata (la classica PEC per intenderci) che verrà utilizzata per ricevere e inviare tutte le comunicazioni ufficiali. Il proprio numero di partita IVA verrà poi richiesto all’Agenzia delle Entrate o affidandosi a un professionista in grado di svolgere tutte le pratiche al nostro posto oppure in completa autonomia compilando un apposito modulo di richiesta in cui dovrà essere inserito il codice ATECO della propria attività.

Un percorso piuttosto semplice questo, riservato però ai liberi professionisti. Per gli imprenditori invece si procederà all’iscrizione tramite la Camera di Commercio, la comunicazione di inizio attività al Comune in cui quest’ultima ha sede legale (SCIA) e contestualmente avverrà anche l’iscrizione alla gestione INPS per Commercianti e artigiani. Se tutto ciò in precedenza avveniva con la consegna manuale di alcuni moduli, a oggi il tutto avviene per via telematica, accedendo al sito della Camera di Commercio e del Comune, nella sezione Impresa in un giorno.

Se tale procedimento viene portato a termine in maniera autonoma, l’apertura della partita IVA non prevede alcun costo, se ci si affida a un professionista, allora se ne pagherà la parcella.

Fare impresa: a cosa serve la partita IVA

Quindi per poter dire che si sta facendo impresa occorre aprire la partita IVA, ma a cosa serve questo codice numerico? La partita IVA permette:

  • di verificare che il soggetto abbia i requisiti richiesti per l’esercizio della professione. Questo succede soprattutto in tutte quelle professioni in cui è richiesto l’iscrizione all’Albo;
  • permette di assolvere l’obbligo di iscrizione alla posizione previdenziale INPS per il pagamento dei contributi dovuti e all’INAIL per eventuali infortuni sul lavoro;
  • determina la forma giuridica dell’attività e il relativo regime fiscale.

Per dirla in poche parole la partita IVA è quell’elemento che permette all’azienda o al libero professionista di effettuare compravendite di beni e servizi ed emissione di fattura o scontrino fiscale.

Fare impresa

Regime forfettario vs regime ordinario

Come anticipato poco fa l’apertura della Partita IVA permette di determinare anche il tipe di regime a cui si aderisce. In genere la scelta avviene tra il regime forfettario e quello ordinario. A livello generico è possibile affermare che al di sotto dei 85.000 euro annui di ricavo è possibile aderire al regime forfettario a meno che non ci siano anche altri requisiti minimi non soddisfatti.

Al di sopra dei 85.000 euro di ricavi occorre procedere ad adesione al regime ordinario. Questo prevede l’aliquota fissa al 22% sul reddito imponibile. L’aliquota può variare a seconda dell’attività svolta fino a un minimo del 4% applicato alle attività che producono beni di prima necessità.

Con il regime forfettario invece si gode di non poche agevolazioni. Tra queste l’aliquota unica del 15% su una base imponibile calcolata in maniera forfettaria. Il calcolo è stabilito anche in base al proprio codice ATECO. Inoltre per tutti coloro che avviano una nuova attività per i primi 5 anni, l’imposta dovuta si riduce al 5%. Successivamente passa al 15%.

 

Digital Transformation: cos’è e come attuarla nelle aziende

Siamo in un mondo digitale e le aziende non potevano certe restare nelle retrovie a riguarda, ecco per quale motivo si parla sempre più spesso di Digital Transformation, partita con la fatturazione elettronica, primo passo verso una vera e propria rivoluzione che punta a modificare l’intero sistema lavorativo e renderlo semplice e snello.

Con il passare del tempo, da innovazione la digital transformation sta diventando la nuova normalità, ovvio che è servito del tempo per abituarcisi e ancora ne servirà con l’ingresso dello scontrino elettronico e di molto altro. Ma a cosa ci si riferisce quando si parla di trasformazione digitale delle imprese e in cosa consiste questo processo inevitabile?

Digital Transformation: cos’è

La presenza della tecnologia nella vita quotidiana è sempre più una costante e non poteva essere diversamente in ambito lavorativo. Sarebbe assurdo pensare che l’azienda potesse restare in dietro per quel che riguarda la digitalizzazione.

Quella che si sta affrontando è un’evoluzione dinamica che coinvolge l’azienda in ogni suo aspetto, tanto organizzativo quanto strategico. Tutto questo permette allo stesso professionista di sfruttare tutte le possibilità che le tecnologie offrono nei nuovissimi sistemi organizzativi che spianano la strada a numerosi cambiamenti futuri. In tale processo ciò di cui si tiene conto non è solo il mercato e i cambiamenti attuali, ma anche quelli futuri che al momento sono solo previsioni.

Digital Transformation

In che misura si tratta di un cambiamento essenziale

La digitalizzazione per le aziende è divenuta indispensabile a prescindere dalle dimensioni della stessa. Questo avviene perché solo procedendo in questa direzione si sarà in grado di soddisfare le attese sempre crescenti dei clienti. La trasformazione permette di migliorare la propria produttività a fronte di una spesa a livello di risorse per creare quello che viene definito vantaggio competitivo. Ciò che viene definita Digital Transformation non solo coinvolge tutti gli aspetti dell’azienda, ma anche a tutte le tipologie di attività che si tratti di un negozio fisico oppure un e-commerce o qualunque altra tipologia.

I vantaggi

Questi cambiamenti digitali, tanto voluti quanto temuti sono fonte di numerosi vantaggi:

  • una maggiore efficienza delle aziende
  • prodotto di qualità maggiore
  • facilità del coordinamento di squadra
  • tempi ristretti e puntualità nella consegna del prodotto
  • clienti fidelizzati
  • prodotti nuovi
  • qualità più alta

Le aziende che decidono di non conformarsi alla Digital Transformation non sono non riusciranno a ottenere i suddetti vantaggi, ma resteranno a un livello inferiore rispetto ai loro competitors. Un elemento di successo? Sicuramente si.

Digital Transformation e i suoi limiti

Diciamolo pure chiaramente, nessun cambiamento a livello storico è stato indolore oppure semplice o immediato e ci sono alcuni limiti della Digital Transformation che in alcune occasioni hanno impedito ai manager di conformarsi e di trarre vantaggio da tali modifiche.

I limiti e gli ostacoli che generalmente vengono riscontrati sono:

  • competenze limitate in ambito digitale
  • mancanza di sperimentazione per i nuovi sistemi
  • basso budget a disposizione
  • poca propensione al rischio di impresa
  • difficoltà nell’affrontare i problemi di sicurezza informatica.

Tutti limiti dovuti all’abitudine dell’agire nella maniera tradizionale, nonostante il suo essere molto meno semplice ed immediata.