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Fare impresa: cosa significa aprire partita IVA nel 2021

Fare impresa nel 2021 vuol dire avere sicuramente grande coraggio visto il periodo delicato che sta attraversando l’economia, ma vuol dire anche gettarsi in un mercato che sta subendo una grande trasformazione a livello digitale. Fatturazione elettronica e scontrino elettronico sono solo 2 dei pilastri di un’impresa completamente nuova che sta cercando di trovare la sua dimensione. Ma cerchiamo di comprendere quali sono i passi per fare impresa nel 2021 e soprattutto quanto costa farlo.

Fare impresa: quando si apre una partita IVA

Fare impresa non vuol dire altro se non fare il grande passo ed entrare nel mondo della partita IVA, la cui apertura è indispensabile per tutti coloro che superano i 5.000 euro annui di reddito svolgendo un’attività da libero professionista o da imprenditore. Quando si parla di Partita IVA ci si riferisce a un codice numerico di 11 cifre che rilascia l’Agenzia delle Entrate e che identifica una certa impresa sul mercato o appunto un libero professionista. Niente di complicato vero? Se non fosse per tutta una serie di obblighi a cui si deve far fronte dal momento in cui si apre partita IVA.

Come si apre Partita IVA

 

La prima cosa che ti occorre per poter ottenere il tuo numero di Partita IVA è un indirizzo di posta elettronica certificata (la classica PEC per intenderci) che verrà utilizzata per ricevere e inviare tutte le comunicazioni ufficiali. Il proprio numero di partita IVA verrà poi richiesto all’Agenzia delle Entrate o affidandosi a un professionista in grado di svolgere tutte le pratiche al nostro posto oppure in completa autonomia compilando un apposito modulo di richiesta in cui dovrà essere inserito il codice ATECO della propria attività.

Un percorso piuttosto semplice questo, riservato però ai liberi professionisti. Per gli imprenditori invece si procederà all’iscrizione tramite la Camera di Commercio, la comunicazione di inizio attività al Comune in cui quest’ultima ha sede legale (SCIA) e contestualmente avverrà anche l’iscrizione alla gestione INPS per Commercianti e artigiani. Se tutto ciò in precedenza avveniva con la consegna manuale di alcuni moduli, a oggi il tutto avviene per via telematica, accedendo al sito della Camera di Commercio e del Comune, nella sezione Impresa in un giorno.

Se tale procedimento viene portato a termine in maniera autonoma, l’apertura della partita IVA non prevede alcun costo, se ci si affida a un professionista, allora se ne pagherà la parcella.

Fare impresa: a cosa serve la partita IVA

Quindi per poter dire che si sta facendo impresa occorre aprire la partita IVA, ma a cosa serve questo codice numerico? La partita IVA permette:

  • di verificare che il soggetto abbia i requisiti richiesti per l’esercizio della professione. Questo succede soprattutto in tutte quelle professioni in cui è richiesto l’iscrizione all’Albo;
  • permette di assolvere l’obbligo di iscrizione alla posizione previdenziale INPS per il pagamento dei contributi dovuti e all’INAIL per eventuali infortuni sul lavoro;
  • determina la forma giuridica dell’attività e il relativo regime fiscale.

Per dirla in poche parole la partita IVA è quell’elemento che permette all’azienda o al libero professionista di effettuare compravendite di beni e servizi ed emissione di fattura o scontrino fiscale.

Fare impresa

Regime forfettario vs regime ordinario

Come anticipato poco fa l’apertura della Partita IVA permette di determinare anche il tipe di regime a cui si aderisce. In genere la scelta avviene tra il regime forfettario e quello ordinario. A livello generico è possibile affermare che al di sotto dei 85.000 euro annui di ricavo è possibile aderire al regime forfettario a meno che non ci siano anche altri requisiti minimi non soddisfatti.

Al di sopra dei 85.000 euro di ricavi occorre procedere ad adesione al regime ordinario. Questo prevede l’aliquota fissa al 22% sul reddito imponibile. L’aliquota può variare a seconda dell’attività svolta fino a un minimo del 4% applicato alle attività che producono beni di prima necessità.

Con il regime forfettario invece si gode di non poche agevolazioni. Tra queste l’aliquota unica del 15% su una base imponibile calcolata in maniera forfettaria. Il calcolo è stabilito anche in base al proprio codice ATECO. Inoltre per tutti coloro che avviano una nuova attività per i primi 5 anni, l’imposta dovuta si riduce al 5%. Successivamente passa al 15%.

 

Digital Transformation: cos’è e come attuarla nelle aziende

Siamo in un mondo digitale e le aziende non potevano certe restare nelle retrovie a riguarda, ecco per quale motivo si parla sempre più spesso di Digital Transformation, partita con la fatturazione elettronica, primo passo verso una vera e propria rivoluzione che punta a modificare l’intero sistema lavorativo e renderlo semplice e snello.

Con il passare del tempo, da innovazione la digital transformation sta diventando la nuova normalità, ovvio che è servito del tempo per abituarcisi e ancora ne servirà con l’ingresso dello scontrino elettronico e di molto altro. Ma a cosa ci si riferisce quando si parla di trasformazione digitale delle imprese e in cosa consiste questo processo inevitabile?

Digital Transformation: cos’è

La presenza della tecnologia nella vita quotidiana è sempre più una costante e non poteva essere diversamente in ambito lavorativo. Sarebbe assurdo pensare che l’azienda potesse restare in dietro per quel che riguarda la digitalizzazione.

Quella che si sta affrontando è un’evoluzione dinamica che coinvolge l’azienda in ogni suo aspetto, tanto organizzativo quanto strategico. Tutto questo permette allo stesso professionista di sfruttare tutte le possibilità che le tecnologie offrono nei nuovissimi sistemi organizzativi che spianano la strada a numerosi cambiamenti futuri. In tale processo ciò di cui si tiene conto non è solo il mercato e i cambiamenti attuali, ma anche quelli futuri che al momento sono solo previsioni.

Digital Transformation

In che misura si tratta di un cambiamento essenziale

La digitalizzazione per le aziende è divenuta indispensabile a prescindere dalle dimensioni della stessa. Questo avviene perché solo procedendo in questa direzione si sarà in grado di soddisfare le attese sempre crescenti dei clienti. La trasformazione permette di migliorare la propria produttività a fronte di una spesa a livello di risorse per creare quello che viene definito vantaggio competitivo. Ciò che viene definita Digital Transformation non solo coinvolge tutti gli aspetti dell’azienda, ma anche a tutte le tipologie di attività che si tratti di un negozio fisico oppure un e-commerce o qualunque altra tipologia.

I vantaggi

Questi cambiamenti digitali, tanto voluti quanto temuti sono fonte di numerosi vantaggi:

  • una maggiore efficienza delle aziende
  • prodotto di qualità maggiore
  • facilità del coordinamento di squadra
  • tempi ristretti e puntualità nella consegna del prodotto
  • clienti fidelizzati
  • prodotti nuovi
  • qualità più alta

Le aziende che decidono di non conformarsi alla Digital Transformation non sono non riusciranno a ottenere i suddetti vantaggi, ma resteranno a un livello inferiore rispetto ai loro competitors. Un elemento di successo? Sicuramente si.

Digital Transformation e i suoi limiti

Diciamolo pure chiaramente, nessun cambiamento a livello storico è stato indolore oppure semplice o immediato e ci sono alcuni limiti della Digital Transformation che in alcune occasioni hanno impedito ai manager di conformarsi e di trarre vantaggio da tali modifiche.

I limiti e gli ostacoli che generalmente vengono riscontrati sono:

  • competenze limitate in ambito digitale
  • mancanza di sperimentazione per i nuovi sistemi
  • basso budget a disposizione
  • poca propensione al rischio di impresa
  • difficoltà nell’affrontare i problemi di sicurezza informatica.

Tutti limiti dovuti all’abitudine dell’agire nella maniera tradizionale, nonostante il suo essere molto meno semplice ed immediata.

B Corp: cosa sono e come funzionano

Da quando scontrino e fatturazione elettronica  sono diventate una realtà, molte aziende hanno iniziato a guardare ai processi di digitalizzazione, innovazione, automazione con un occhio diverso rispetto al passato. Se fattura e scontrino elettronico consentono di semplificare i processi ed evitare ogni sorta di errore umano, lo stesso vale infatti anche per i macchinari di nuova generazione, per l’automazione, per la domotica, per i software gestionali di ultima generazione e simili. Sono innovazioni e nuove tecnologie che aiutano le aziende a migliorare il proprio business, semplificando e rendendo più veloci molte attività, consentendo inoltre di diventare sempre più produttivi e competitivi nel proprio settore così da veder ingrassare le casse aziendali.

Ma tutto questo basta? Secondo molte aziende no, ci vuole ben altro per poter rendere davvero eccellente il proprio business. Non tutte le aziende credono che l’innovazione costante e la corsa a un profitto sempre maggiore siano gli unici obiettivi da perseguire. Molte aziende credono che sia necessario migliorare il proprio modo di fare business per poter garantire un impatto positivo sull’ambiente in cui viviamo, sulla comunità, sui dipendenti. Alcune aziende hanno persino deciso di dare vita a un movimento globale che ha come obiettivo dichiarato proprio quello di diffondere in tutto il mondo un nuovo modo di fare business. Stiamo parlando delle B Corp

Quali obiettivi si pongono le aziende di oggi e le B Corp

Le B Corp certificate sono aziende che hanno scelto di mettersi sulla strada dell’innovazione per cercare di avere un impatto positivo di tipo sociale e ambientale, mentre cercano di ottenere il profitto desiderato. Si tratta di un modello di business che cerca di rispondere in modo preciso e puntuale a quelle che sono le esigenze dei tempi odierni. A oggi sono oltre 100 le B Corp certificate. Inoltre sono circa 500 le aziende che hanno scelto lo status giuridico di Società Benefit. Si tratta di una forma legale che, in Italia, è arrivata solo da qualche anno. Nel proprio oggetto sociale integra agli obiettivi di profitto anche l’impatto positivo sulla società e sull’ambiente che si desidera ottenere.

Perché diventare una B Corp

Diventare una B Corp significa trasformare in modo radicale il proprio business. Ma quali vantaggi comporta tutto questo? Prima di tutto è possibile differenziarsi sul mercato. Un valore aggiunto che permette di far circolare il proprio nome più intensamente e di essere conosciuti anche all’estero con maggiore semplicità. Ottenendo questa visibilità, è possibile incrementare ulteriormente il proprio lavoro. Avere un impatto positivo su comunità e ambiente, significa anche riuscire a lavorare di più insomma!

B Corp

 

È possibile poi migliorare le proprie performance, perché si tratta di aziende che sanno trattare al meglio i dipendenti, che sanno creare per loro un luogo di lavoro eccellente. Se i dipendenti sono felici, se stanno bene, ecco che lavorano meglio. Sono aziende che proprio per questo motivo sono viste di buon occhio da tutti coloro che sono alla ricerca di un luogo di lavoro che sappia sviluppare il loro personale talento. È quindi possibile attirare talenti nelle B Corp e ottenere una forza lavoro davvero d’eccellenza. Anche gli investitori vedono in modo positivo queste aziende. I vantaggi insomma sono davvero numerosi.

Come diventare una B Corp

Prima di tutto è necessario misurare il valore creato dall’azienda, cosa che è possibile fare in modo semplice tramite lo strumento gratuito B Impact Assessment. Nel caso in cui il punteggio sia di almeno 80 punti, l’azienda può validarlo tramite l’ente certificatore delle B Corp, che prende il nome di B Lab. A quel punto è sufficiente firmare la Dichiarazione di Interdipendenza delle B Corp per diventare una B Corp a tutti gli effetti.

Nel caso in cui invece il punteggio sia inferiore, l’azienda deve farsi carico di mettere in atto tutti quei cambiamenti che possono comportare un netto miglioramento del suo impatto sull’ambiente, sui dipendenti, sulla comunità stessa. Dopo aver migliorato la situazione, è possibile poi misurare di nuovo il valore creato dall’azienda sino a quando non si sarà ottenuto il punteggio necessario. È possibile, soprattutto nel caso in cui il punteggio sia più basso di quanto si pensi, che ci voglia un po’ di tempo per raggiungere l’obiettivo desiderato. Questo non deve scoraggiare però le aziende che desiderano diventare B Corp. Anche se la strada è lunga e in salita, l’obiettivo è degno di essere considerato più che positivo.

Prima nota: registro di entrate e uscite

La prima nota è un documento contabile. Si tratta di un registro delle entrate e delle uscite della cassa che non è obbligatorio redigere, ma è sempre molto consigliato. In un’azienda infatti è sempre molto importante avere sotto controllo entrate ed uscite. Lasciare quindi traccia dei movimenti di denaro e dovendoli poi inserire nel bilancio d’esercizio, un registro aiuta a segnare in modo ordinato le entrate e le spese effettuate con i contanti. Un registro che risulta indispensabile per i movimenti economici quotidiani. Non ha una forma determinata, basta che contenga, in ordine di data, i movimenti e le operazioni finanziarie dell’attività. Si tratta di un registro che serve anche a trovare traccia di ogni evento esterno che ha coinvolto l’utilizzo di denaro contante. Risulta particolarmente importante, sia per i liberi professionisti, che per le aziende, perché molto spesso o movimenti in denaro sfuggono al controllo. Inoltre, se redatta correttamente, la prima nota, è un aiuto valido per preparare le varie scritture contabili all’interno del libro giornale.

Prima nota: la normativa di riferimento

La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 prevede che la prima nota acquista validità giuridica e fiscale quando è numerata regolarmente, bollata prima dell’utilizzo e, soprattutto, se contiene ogni operazione di gestione.

L’articolo 24 del DPR n. 633/1972, prevede inoltre che i commercianti al dettaglio esonerati dall’obbligo dei corrispettivi telematici, siano invece obbligati a redigere la prima nota. Sono inoltre obbligati a tenere correttamente un registro prima nota di cassa, quando il registro dei corrispettivi è conservato in un luogo diverso.

Un monitoraggio costante

Se la prima nota è tenuta correttamente, può rappresentare un valido riferimento per capire come sta andando l’azienda. Per redigerlo non esiste un modello standard, visto che non è obbligatorio. Esistono comunque delle regole di scrittura che ne assicurino una redazione precisa e puntuale.

Visto che si tratta di un registro giornaliero, che serve a tenere sotto controllo i movimenti dei contanti, deve riportare ogni singola operazione redatta e catalogata in ordine cronologico. Questo perché la prima nota riporta ogni transazione che deve poi essere trascritta nel libro giornale che raccoglie tutti gli eventi di gestione esterni.

Prima nota

I dati necessari e immancabili in una prima nota sono:

  • data
  • riferimenti specifici a documenti come ricevute, fatture, ecc…
  • importi singoli
  • importi totali
  • descrizione estesa ed esaustiva della natura della transazione eseguita
  • riferimento alla natura del documento contabile (fattura, ricevuta, ecc…)
  • partite fuori cassa (banca, o altro)

Prima nota di cassa e le operazioni da segnalare

Maggiore è la precisione con la quale la prima nota è redatta, maggiori saranno le informazioni da riportare poi più facilmente sul libro giornale. Tra le tante operazioni finanziarie che possono essere annotate nella prima nota ricordiamo:

Consegnare la documentazione al commercialista

La prima nota cassa è un documento da consegnare periodicamente al proprio commercialista. Il contabile infatti utilizza la prima nota integrandone le informazioni in essa contenute per predisporre i documenti di:

  • elenco fatture emesse e ricevute (ordinandole in base alla data di emissione)
  • elenchi ordinati di altra documentazione, come ad esempio, buste paghe, ricevute, quietanze di pagamento, estratti conto, ecc…

Di conseguenza è facile intuire come la redazione corretta della prima nota sia il primo passo da compiere per avere una contabilità attendibile e ordinata. Da questa poi, è possibile studiare l’andamento della propria attività, individuando e analizzando eventuali andamenti positivi e negativi relativi alla gestione stessa.

Da precisare comunque che, a differenza del libro giornale, la prima nota non è un documento fiscale. Nel libro giornale la registrazione è molto più rigida e dettagliata. La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 specifica infatti:

“Diviene un vero e proprio libro giornale con validità giuridica e fiscale quando è regolarmente numerato e bollato prima dell’uso e contiene tutte le operazioni di gestione di un’impresa”.

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Internazionalizzazione d’impresa: un futuro possibile e sempre più vicino

L’internazionalizzazione è un processo di penetrazione in nuovi mercati esteri da parte delle aziende nostrane. Le società si aprono sempre più frequentemente ai mercati esteri. I motivi di questa scelta sono svariati. Alcuni ad esempio lo fanno perché i mercati sui quali stanno già operando stagnano e non progrediscono (o addirittura retrocedono), in altri casi invece si prospettano semplicemente delle nuove opportunità di guadagno. Qualunque sia la motivazione di questa scelta è opportuno ponderarla e munirsi degli strumenti amministrativi e gestionali adatti a dirigere i vari aspetti economici e fiscali, per far fronte alle eventuali necessità (ne è un esempio il connubio “valuta estera e fatturazione elettronica”).

Internazionalizzazione: un nuovo modo di fare impresa

L’internazionalizzazione è evoluzione del tradizionale “fare impresa”. Si tratta infatti dell’apertura delle società locali ai mercati esteri, con i quali sono instaurati rapporti atti a vendere, e/o scambiare merce e servizi, produrre, acquistare materie prime e trovare, perché no, nuove fonti di finanziamento.

In questo processo le aziende presenti su un certo territorio entrano in contatto con aziende ed enti esteri, consumatori ed istituzioni operanti su diversi territori stranieri.

Molto spesso le società italiane decidono di ricorrere all’internazionalizzazione  perché:

  • il mercato locale è saturo
  • la concorrenza dei competitors è troppo alta e agguerrita
  • mancano stimoli al consumo
  • è presente un’eccessiva burocratizzazione che rallenta la produttività
  • le società sono oppresse da un elevato carico fiscale

I mercati stranieri allettano le imprese italiane per la presenza di una burocrazia snella  e una tassazione semplificata. Il processo di internazionalizzazione non è comunque privo di ostacoli. Per avvicinarsi ad un dato mercato estero è importante prima conoscere l’ambiente politico, sociale, economico e fiscale del paese con il quale si intende intrattenere rapporti commerciali.

In cosa consiste l’internazionalizzazione

In buona sostanza un’azienda sta compiendo il processo di internazionalizzazione quando svolge una delle seguenti attività:

  • produzione all’estero
  • esportazione all’estero dei propri prodotti
  • vendita all’estero dei propri prodotti
  • alleanze e coalizioni con partner stranieri
  • apporti di capitali di azionisti stranieri
  • creazione nei paesi stranieri di unità produttive locali

si tratta di un’ottima occasione di fare business all’estero.

Obiettivi dell’internazionalizzazione

Un’impresa italiana si interessa ai vari processi di internazionalizzazione per:

  • aumentare i propri ricavi
  • ridurre i costi di produzione
  • affacciarsi a nuovi sbocchi commerciali
  • delocalizzazione aziendale
  • ottimizzazione e/o riduzione del carico fiscale e del cuneo fiscale
  • trovare nuovi acquirenti

Internazionalizzazione

è possibile aspirare all’internazionalizzazione della propria azienda quando:

  • è ideato è ideato un nuovo prodotto adatto al mercato estero sul quale si vuole operare
  • esistono particolari opportunità di business
  • si hanno contatti e/o clienti all’estero
  • si hanno partner o contatti con papabili partner per la produzione all’estero
  • è possibile attirare eventuali investitori stranieri grazie a particolari prodotti e/o metodologie di produzione/lavoro
  • necessità di approvvigionamento presso fornitori esteri
  • è necessario ridurre i costi e trovare delle migliori condizioni economiche e fiscali all’estero

Internazionalizzazione: i requisiti

Non è possibile prendere in considerazione un processo di internazionalizzazione se prima non si valuta lo stato di “salute” della propria ditta. Non esistono regole precise da seguire, ma indubbiamente volersi affacciare ai mercati esteri è possibile quando la società ha una discreta solidità economica-finanziaria alle spalle, produce prodotti di qualità e adatti al target straniero, vanta prezzi competitivi sui mercati di destinazione, dispone di un sistema d’informazione affidabile e dispone infine di risorse temporali, economiche e umane per investire su un’altra piazza.

Immancabili dovrebbero essere anche interlocutori e controparti estere affidabili. Infatti poter fare affidamento su uno o più partner già presenti sul mercato straniero, significa riuscire a far fronte ad eventuali problematiche legate alla logistica, agli investimenti, ai pagamenti, ecc.

La migliore strategia

L’internalizzazione è sicuramente una buona carta da giocare per un’impresa che voglia avere maggiori opportunità di business. Affrontarla nel modo giusto però, significa fare affidamento ed essere affiancati durante il processo da professionisti in grado di stilare e strutturare un’adeguata strategia. Il tutto infatti deve essere realizzato tenendo conto delle caratteristiche intrinseche dell’azienda e degli specifici mercati d’interesse. Per questi obiettivi sono erogati anche diversi contributi a fondo perduto pubblici  nonché finanziamenti agevolati.

Indagini Patrimoniali: recupero credito e report patrimoniale persone fisiche e giuridiche

Le indagini patrimoniali sono uno strumento utile e fondamentale per l’attività di recupero crediti. In Italia circa il 50% delle transazioni avviene a credito. Questo significa che il pagamento è fatto a 30, 60, o 90 giorni dalla data della fattura. Il Belpaese detiene anche un altro spiacevole record. È in vetta alla classifica per i ritardi dei pagamenti, rispetto alla media europea. Alla fine lo scenario che si prospetta, nella maggior parte dei casi, vede i creditori costretti ad inseguire i debitori per farsi pagare o saldare le fatture già emesse.

Esistono diversi strumenti a servizio di professionisti ed imprese che possono aiutare a far recuperare quanto dovuto. Qualche volta, prima di passare alle vie legali vere e proprie, è sufficiente dimostrare semplicemente la determinazione al recupero del credito. Per farlo è necessario ricorrere ad uno strumento potente, quanto sconosciuto ai più: l’indagine patrimoniale. Questa serve per capire la capacità patrimoniale del debitore e scoprire se il debitore ha sostanze più o meno aggredibili. È utile anche quando è necessario ricorrere alle vie legali per avere un quadro chiaro della situazione e degli eventuali beni pignorabili.

Report e Indagini patrimoniali

Dalle indagini patrimoniali è possibile ottenere il report patrimoniale. Questo è recuperabile sia che si tratti di persona fisica, che di persona giuridica. Anche se nella maggior parte dei casi si ha a che fare con imprese, i due report non differiscono molto l’uno dall’altro. In pratica nel documento sono riportati gli effettivi e verificati dati di residenza del soggetto interessato, nel caso di persona fisica, oppure la sede legale, per le persone giuridiche. È un’informazione molto importante ai fini legali, perché ogni comunicazione inviata a un indirizzo sbagliato, non ha alcuna validità legale.

Oltre a questo il report elenca:

  1. reperibilità del soggetto (persona fisica)
  2. operatività dell’azienda (persona giuridica)
  3. presenza di atti pregiudizievoli
  4. probabilità di successo dell’eventuale azione di recupero
  5. stima del patrimonio aggredibile
  6. azione consigliata per raggiungere l’obiettivo
  7. indicazione dell’eventuale presenza di protesti, pregiudizievoli di conservatoria o procedure concorsuali già attive.

Indagini Patrimoniali

Il report è suddiviso in sezioni nella quali è analizzata la situazione del soggetto, da un punto di vista lavorativo, di referenze bancarie, possesso di beni immobili, partecipazioni e quote azionarie, Beni mobili/autoveicoli intestati, negatività, Dati legali aziende collegate, Dati legali, sedi e dati di bilancio.

Negatività

Nota di attenzione sulle negatività. In questa sezione del report patrimoniale sono indicati eventuali protesti, pregiudizievoli di conservatoria e procedure concorsuali attualmente in essere. Queste sono informazioni molto importanti per capire l’effettivo stato patrimoniale e la situazione economica del soggetto. Capire infatti se ci sono altri creditori nei suoi confronti, può aiutare a stilare meglio il quadro generale della situazione per capire la strategia da intraprendere. Ad esempio, è in questa specifica sezione che sono indicati eventuali pignoramenti da banche, finanziarie e/o agenzie di riscossione tributi. La raccolta di questi dati evita di dover richiedere un’ispezione ipocatastale (che poi sarebbe quella con la quale si dimostra la titolarità immobiliare di un soggetto, eventuali gravami come ipoteche, pignoramenti e note di cancellazione di ipoteche parziali o totali).

Beni immobili

Nel report patrimoniale alla sezione beni immobili sono riportati tutti gli immobili (case, fabbricati, terreni, ecc…) intestati al soggetto dell’indagine patrimoniale. La verifica e l’accertamento è fatto a livello nazionale e per ogni immobile identificato sono riportati nello specifico tutti i dati catastali.

È comunque sempre consigliata una successiva verifica ipocatastale prima di procedere con eventuali azioni esecutive.

Beni mobili e auto intestate

Sezione di particolare interesse nell’ambito di recupero crediti. Qui vi sono infatti riportati tutti i veicoli intestati al soggetto. Per ciascun veicolo è indicato targa, marca e modello, date di immatricolazione e intestazioni.

I veicoli sono beni pignorabili e, se sono beni strumentali all’attività del soggetto, si trasformano velocemente in un mezzo valido a risolvere il contenzioso.

Associazione Temporanea di Imprese: insieme per un progetto comune

ATI è acronimo di Associazione Temporanea di Imprese, chiamate spesso anche RTI, vale a dire raggruppamento temporaneo di imprese. Si tratta di una particolare forma giuridica nella quale più imprese si unisco per raggiungere un obiettivo comune e realizzare uno stesso progetto. Molto spesso questa forma giuridica è utilizzata per partecipare e vincere gare d’appalto. Singolarmente infatti le società non avendo tutte le caratteristiche e le prerogative necessarie per poter /partecipare alle gare, non possono accedere ai bandi. Insieme invece riescono a raggruppare tutte le competenze operative, le caratteristiche di categoria o le classifiche richieste dal bando. In un’ATI ogni soggetto mantiene la propria autonomia e restano giuridicamente distinti.

Associazione Temporanea di Imprese

Associazione Temporanea di Imprese: orizzontale, verticale, mista

L’Associazione Temporanea di Imprese può essere di tre diverse tipologie:

  1. orizzontale
  2. verticale
  3. mista

Nell’ATI orizzontale è prevista la collaborazione tra società che svolgono attività analoghe. Lo scopo di un’ATI così costituita è quello di accrescere i requisiti per partecipare alla gara d’appalto. Una volta ottenuto il bando, i compiti sono successivamente ripartiti.

Un’ATI verticale invece presenta un’impresa capo del gruppo specializzata nello svolgere l’attività principale e altre aziende che invece svolgono attività secondarie richieste nel bando di gara. Le attività secondarie sono “scorporabili” e la loro identificazione è riportata nella legge n°109/94, la Legge Merloni. All’art. 13 comma 8 è infatti specificato quanto segue: “ lavori non appartenenti alla o alle categorie prevalenti e così definiti nel bando di gara”.

Infine l’ATI mista è costituita da un’associazione di tipo orizzontale per l’attività principale e verticale per quelle scorporabili. In altre parole significa che sono costituite da due o più imprese omogenee, tra le quali è scelta un’impresa “capo gruppo(mandataria) e a questa si associano altre imprese eterogenee per realizzare le opere e i servizi scorporabili.

ATI: struttura ed elementi giuridici

Un’Associazione temporanea d’imprese è quindi costituita da un’impresa capogruppo, chiamata mandataria e altre diverse imprese secondarie chiamate mandanti. Le società mandati hanno il compito di trattare con il committente per l’esecuzione di un’opera, derivante dalla partecipazione a gare d’appalto.

Nell’associazione temporanea di imprese verticale la mandataria è l’unica responsabile nei confronti del committente. In quella orizzontale invece ciascuna impresa è solidamente responsabile nei confronti dell’appaltante.

Una volta che l’ATI è costituita, non può subire variazioni. Gli unici casi in cui è possibile, sono quelli previsti e stabiliti dall’art.37, comma 18 e 19, del decreto Legislativo 163/2006, il così detto: “Codice degli Appalti Pubblici”.

Scopo e durata

Abbiamo quindi visto che lo scopo di un’ATI è quello di arricchire e completare i requisiti necessari a più aziende, per partecipare a gare d’appalto pubblico. Questo avviene soprattutto nel settore delle grandi costruzioni.

I vantaggi che le aziende ricavano da queste aggregazioni sono molteplici. In primis la possibilità di partecipare alle gare d’appalto da parte di piccole e medie imprese che altrimenti non potrebbero farlo, perché non qualificate. Anche l’impresa mandataria ha i suoi vantaggi. Può ad esempio trovare tante diverse società che possano svolgere incarichi ed eseguire lavori perché dotate di conoscenza, mezzi e strutture idonee che lei stessa non possiede.

Un’ATI durata tutto il tempo necessario all’esecuzione dell’opera prevista dalla gara d’appalto. Al momento dell’incasso del corrispettivo finale, l’associazione temporanea d’imprese si scioglie. Un’ATI costituita per partecipare a una gara d’appalto, può nel frattempo partecipare ad altre gare e per questo motivo la sua durata può essere prolungata.

Esistono forme particolari di ATI, denominate consorzi stabili, che invece prevedono una durata indeterminata, che possono rimanere inattive per diverso tempo, senza perdere la loro forma e validità giuridica.

ATI e modalità di emissione delle fatture elettroniche

L’ATI non ha soggettività giuridica o fiscale. Le fatture elettroniche sono quindi emesse singolarmente da ciascuna impresa costituente. Quindi l’impresa mandataria, cioè la capogruppo, non ha nessun obbligo di emettere fatturazione elettronica per i mandatari.

Nonostante questo, molto spesso, le imprese mandatarie delegano alla capogruppo, l’onere dell’emissione delle fatture elettroniche. Questo è fatto soprattutto allo scopo di organizzare in maniera unitaria la fatturazione, evitando così eventuali errori o ritardi, che potrebbero avere ripercussioni sui pagamenti.

 

Domicilio digitale: cos’è, come funziona e a cosa serve

Il domicilio digitale è l’indirizzo al quale sono inviate le notifiche previste dalla legge ai fini tributari ed indica la competenza dei vari uffici tributari. Il concetto è stato introdotto dalla legge Semplificazioni, che ha previsto l’obbligo del domicilio digitale per aziende e professionisti a partire dal primo ottobre. Al momento però questa operazione si è tradotta solamente nell’avere una PEC personale e ad aver fissato delle sanzioni. Si tratta comunque di un primo importante passo compiuto verso l’obbligo per tutti i cittadini, che prima o poi saranno iscritti nell’Indice nazionale dei domicili digitali (INAD).

Con il domicilio digitale le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione (PA) saranno più facile. Oggi ancora limitate alla casella di posta cartacea, in futuro saranno gestite interamente online. Con il decreto Semplificazioni è stato stabilito che aziende e professionisti devono quindi comunicare al Registro delle Imprese il proprio domicilio digitale. I professionisti invece devono comunicarlo all’ordine o al collegio al quale sono iscritti.

A oggi avere un domicilio digitale significa solamente avere l’obbligo di avere una PEC aziendale. Questo era già obbligatorio, ma non erano previste sanzioni per chi ancora non avesse provveduto ad averla. Il nuovo decreto invece modifica la dicitura di “PEC” a “domicilio digitale” e prevede delle integrazioni sanzionatorie.

Domicilio digitale: la definizione

Quindi oggi il domicilio digitale è, a tutti gli effetti, un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Questa serve a individuare un luogo virtuale dove sono inviate comunicazioni di natura giuridica, da parte di PA, professionisti, o aziende. Adesso esiste e vale anche per i privati. Non corrisponde a un indirizzo fisico, ma è composto da nome.cognome@gestorepec.it

Questo significa che adesso, qualunque sia la posizione fisica di un soggetto, gli saranno potute recapitare comunicazioni dalle PA. La PEC fa risparmiare tempo e denaro. Inoltre è matematica la certezza di ricevere e/o comunicazioni importanti.

Domicilio digitale: come fare per dichiararlo

Chi già possiede una PEC, ha in automatico il domicilio digitale. Imprese e aziende hanno già comunicato il proprio indirizzo PEC come disposto dal Decreto Legge 179/2012 e dalla Legge 2/2009.

I professionisti che ancora oggi, purtroppo non utilizzano regolarmente o che non hanno ancora una PEC valida, però sono ancora circa 1,7 milioni. Pertanto, tutti questi freelance, che ancora non hanno PEC, riceveranno delle sanzioni e gli uffici della Camera di Commercio assegnerà loro un domicilio digitale. I professionisti troveranno quindi questo nuovo “indirizzo” a disposizione sul Cassetto digitale dell’imprenditore erogato dalle Camere di Commercio (ma solo per la ricezione dei documenti).

Quindi chi non ha ancora una PEC, deve fare in fretta e crearne una il prima possibile, comunicandola poi al registro delle imprese o al proprio ordine professionale.

Domicilio digitale

Sanzioni previste per le imprese ancora senza domicilio digitale (PEC)

Per tutte le imprese che ancora non hanno una PEC sono previste delle sanzioni che vanno da un minimo di 206 euro, a un massimo di ben 2064 euro. Per le imprese individuali l’importo scende ed è compreso tra i 30 e i 1548 euro. Normalmente il Registro Imprese propone la definizione agevolata entro 60 giorni pagando il doppio del minimo o il terzo del massimo. É quindi possibile ravvedersi rispettando le scadenze versando circa 412 euro per le società e 60 euro per i lavoratori individuali.

Oltre alle sanzioni, il Registro Imprese assegnerà un nuovo indirizzo digitale di default. Questo sarà reso disponibile sul cassetto digitale dell’imprenditore. Ogni impresa trova il proprio a disposizione sul sito: impresa.italia.it Questo però sarà valido esclusivamente per ricevere documenti, comunicazioni e notifiche. Alla piattaforma è possibile accedere esclusivamente attraverso identità digitale (SPID, CNS e CIE).

Professionisti

Per i liberi professionisti ancora sprovvisti di PEC invece, la legge non prevede sanzioni pecuniarie. Però l’Ordine deve diffidare il professionista ad adempiere all’obbligo entro 30 giorni. In caso di mancata ottemperanza, l’Ordine può sospendere il professionista dal relativo Collegio od Ordine di appartenenza, fino a quando non comunicherà il domicilio digitale.

Per tutti i professionisti non obbligati a iscriversi a Ordini o Collegi, invece non è previsto ancora nessun obbligo, ne tanto meno sanzione. Possono quindi continuare a non avere la PEC.

Contributo a Fondo Perduto: il più ambito finanziamento per le PMI

Le PMI sono sempre in cerca di finanziamenti per ampliare, migliorare e consolidare la propria realtà. Che si tratti di una società avviata, piuttosto che una start up innovativa, riuscire a trovare finanziamenti è molto importante. Per accedere a bandi e incentivi nazionali, regionali e/o europei è necessario seguire determinate procedure. Non tutti i fondi si richiedono con lo stesso iter e soprattutto sono erogati con diverse modalità. Il contributo a fondo perduto, ad esempio, è uno dei più ambiti dalle imprese e permette di acquistare prodotti, servizi e beni, senza dover poi preoccuparsi di pagare interessi sui prestiti e i mutui ricevuti.

Contributo a Fondo Perduto: cos’è e come funzionano

Il contributo a fondo perduto è un’agevolazione erogata dall’ente pubblico all’azienda, che non prevede alcun tipo di rimborso. In altre parole l’ente erogatore (che può essere la Regione, la Camera di Commercio, il Ministero, ecc…) elargisce un importo in denaro, senza chiedere nulla in cambio. Si tratta quindi di una sorta di aiuto economico che viene dato alle piccole/medie imprese per comprare beni/servizi necessari alla crescita, allo sviluppo e alla digitalizzazione dell’attività.

Contributo a fondo perduto: il calcolo

Nel contributo a fondo perduto è solitamente fissato un tetto massimo di importo erogabile, che non può essere superato. Il calcolo per determinare l’importo erogabile si base sul totale delle spese ammissibili al bando stesso.

Difficilmente questa tipologia di contributo copre il 100% delle spese presentate dall’azienda. Solitamente la copertura va da un 40% all’80%. Quello che rimane è a carico della società che ha richiesto il contributo. La società in questo caso deve essere in grado di dimostrare di poter coprire tutte le rimanenti spese, con i propri capitali (prestati o già in possesso). Analogo al contributo a fondo perduto è il contributo in conto capitale.

Una specifica molto importante. In Italia, il contributo a fondo perduto, non è soggetto a IVA (imposta valore aggiunto), anche in caso di erogazioni condizionate.

Condizioni e restrizioni

Gli interventi a fondo perduto sono solitamente soggetti a determinate condizioni stabilite dall’ente erogante. Queste, ad esempio, possono includere:

  • indicazioni sugli interventi possibili
  • prescrizione di determinati utilizzi del capitale concesso
  • facoltà di controllo e verifica dell’utilizzo del capitale erogatore

L’ente può inoltre stabilire di poter annullare l’intervento, oppure richiedere addirittura la restituzione del capitale in caso di utilizzi diversi da quelli oggetto della condizione.

Contributo a Fondo Perduto

Alternative al contributo a fondo perduto

Le agevolazioni a fondo perduto non sono le uniche alle quali le PMI possono accedere. Le Regioni ad esempio utilizzano molto “il finanziamento agevolato”. In questo caso l’ente pubblico eroga l’agevolazione prevista, ma la società deve pagare un piccolo interesse, che solitamente si aggira attorno allo 0,5% (in alcuni casi è addirittura inferiore).

In altre parole l’ente pubblico eroga una determinata somma di denaro, per permettere alla PMI di acquistare beni/servizi, attraverso un finanziamento che prevede un tasso agevolato inferiore a quello di mercato. A differenza del contributo a fondo perduto, il finanziamento agevolato copre tutte (o quasi)le spese presentate dall’azienda e ammissibili al bando.

Il vantaggio per una società nel richiedere un finanziamento agevolato è nella differenza degli interessi da pagare. Il tasso applicato, solitamente, è compreso tra lo 0% e lo 0,5%. Un bando che usa soprattutto la forma di finanziamento agevolato, è il fondo rotativo.

Contributo in conto interessi: cos’è e come funziona

Alternativa al contributo a fondo perduto, quello in conto interessi è una forma agevolata di incentivo che copre solamente la quota interessi che un’azienda paga su un mutuo o un prestito. In questo caso l’importo erogabile non è calcolato sulla base del valore del bene/servizio acquistato, ma sull’ammontare degli interessi passivi pagati sul prestito.

Si tratta di una forma molto particolare di agevolazione che risulta particolarmente vantaggiosa per tutte le imprese che hanno acceso un mutuo o un prestito elevato.

Credito d’imposta

Altra forma di agevolazione riconosciuta alle PMI. Lo Stato centrale e le amministrazioni territoriali o locali, sono solite utilizzare questa forma di agevolazione per aiutare le imprese. Il credito d’imposta non è un finanziamento. Si tratta infatti di acquisire o generare un credito che permette di pagare meno tasse o contributi. Il credito d’imposta può essere destinato a compensare debiti, diminuire le imposte, oppure a chiederne il rimborso (quando ammesso) in sede di dichiarazione dei redditi.

Stato patrimoniale e conto economico: definizione e differenze

Qualche articolo fa abbiamo iniziato a conoscere e a definire cos’è il Bilancio d’esercizio. In linea di massima, possiamo affermare che si tratta di un insieme di documenti che un’impresa è obbligata a redigere per definire la propria situazione patrimoniale e finanziaria, nonché il risultato economico d’esercizio. É composto da cinque diversi documenti: lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico, il rendiconto finanziario, la Nota Integrativa e la relazione sulla gestione. Sviscerato l’argomento “Rendiconto finanziario”, passiamo adesso a definire e capire lo Stato Patrimoniale e conto Economico.

Stato patrimoniale e conto economico: cosa sono e a cosa servono

Stato Patrimoniale e Conto Economico rappresentano i principali prospetti contabili del Bilancio d’esercizio e tra i due esistono dei collegamenti. Entrambi sono indispensabili nella contabilità aziendale. I dati che i due documenti contengono devono essere d’aiuto a ogni analista economico-finanziario, per giudicare correttamente lo stato di “salute” di un’impresa. L’analisi di questi due documenti deve portare a un giudizio obiettivo sulla situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale d’impresa.

Stato patrimoniale

È il documento che rappresenta la situazione del patrimonio aziendale in un determinato momento di vita dell’impresa. Solitamente questo “momento”, coincide con la fine dell’anno solare (31 Dicembre) e nello stato patrimoniale sono riportate tutte le attività, le passività e il patrimonio netto d’impresa.

Finanziariamente questo significa che l’analisi del patrimonio di una società serve a capire se l’azienda è in grado di mantenere un corretto equilibrio patrimoniale e finanziario. Quindi le “attività” si identificano come i mezzi finanziari impiegati dalla ditta. Mentre le passività e il patrimonio netto sono da intendersi come fonti di finanziamento di tali impieghi.

Conto Economico

Si tratta del documento facente parte del Bilancio d’Esercizio che riassume l’insieme delle operazioni aziendali che hanno contribuito a determinare il risultato economico finale di un certo esercizio, comprende i costi e i ricavi di un’azienda.

Stato patrimoniale e conto economico

Le due sezioni contrapposte dello stato patrimoniale

Lo Stato patrimoniale definisce il patrimonio di un’azienda in un preciso momento. Inoltre definisce i diritti dei terzi che gravano sull’attività stessa. Si suddivide in:

  • Attivo
  • Passivo

L’attivo comprende il magazzino, le immobilizzazioni, le disponibilità liquide e i crediti. Si identifica come la somma di tutti gli investimenti eseguiti da un’impresa per svolgere al meglio la propria attività

Il passivo invece comprende le riserve, il capitale sociale, gli utili e le perdite dell’esercizio riportati a nuovo, ossia i debiti a breve, medio e lungo termine. In altre parole rappresenta i mezzi propri o di terzi, di cui si è dotata l’azienda per finanziare gli investimenti in modo da svolgere al meglio la propria attività.

Conto Economico: componenti positive e negative di reddito

Il conto economico è quindi l’insieme di tutte le operazioni che l’azienda ha compiuto per arrivare a un determinato risultato economico. É formato da due componenti: positivi e negativi di reddito, che si riferiscono sempre a un determinato periodo temporale.

In altre parole il conto Economico è formato da due voci:

  1. Ricavi – corrispondono alle vendite dei propri beni, agli interessi attivi o ai fitti attivi.
  2. Costi – riguardano gli acquisti, le utenze, le spese del personale, i fitti passivi, le imposte (IRAP, IRPEF, IRES) e le tasse. Tra quest’ultime l’IVA non è considerata un costo per la società. L’IVA infatti rappresenta un debito e al tempo stesso un credito che l’azienda ha nei confronti dell’Erario. Per questo motivo, a seconda del momento preso in esame, la voce IVA si potrebbe trovare da una parte o dall’altra del conto economico.

Documenti indispensabili per una gestione responsabile

Stato patrimoniale e conto economico sono documenti indispensabili per raggiungere una gestione responsabile delle risorse di una società e in generale della sua amministrazione complessiva.

Entrambi i documenti sono necessari alla definizione della situazione finanziaria, utilizzata poi per determinare il carico fiscale. Inoltre stato patrimoniale e conto economico servono anche a fornire tutti i dati aziendali all’erario. Questi documenti servono a fornire una misura tangibile di tutte le operazioni fatte durante il corso dell’anno solare. In base ai dati contenuti in essi, un’attività si rende conte se è necessario un miglioramento, oppure se è possibile continuare sulla stessa strada.