Fringe Benefits: cosa sono e come funzionano

I Fringe Beneficts sono benefici collaterali, accessori. Si tratta di particolari benefici che sono riconosciuti ai dipendenti, da parte di alcune aziende e imprese particolarmente solide, erogati non in denaro, ma sotto altre molteplici forme. Sono quindi dei benefici supplementari alla busta paga, erogati per incentivare la produttività, oppure per integrare il semplice stipendio.

Quindi i fringe beneficts, o semplicemente beneficts, sono elementi aggiuntivi della retribuzione che concorrono alla formazione del reddito tassato del lavoratore dipendente. Si tratta di benefici in natura e non sotto forma di denaro, che migliorano la qualità della vita del dipendente, evitandogli di sostenere personalmente delle spese.

Molto spesso questi beneficts sono rappresentati dal cellulare aziendale, oppure dal computer portatile, o dal tablet, o ancora dalla casa in affitto, o dall’uso di un’auto aziendale. In particolare la concessione al lavoratore di un veicolo a uso privato, parziale o totale, è una forma di retribuzione in natura molto diffusa. I benefici aggiuntivi sono solitamente fissati nel contratto stipulato tra azienda e dipendente.

Fringe Benefits: tassazione

I fringe benefits sono tassati, ma con alcune eccezioni. Il Testo Unico sulle imposte stabilisce che:

“…il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali (ossia regali), in relazione al rapporto di lavoro”.

Essendo i benefici aggiuntivi beni che concorrono al reddito del lavoratore dipendente, sono soggetti a relativa tassazione. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni. Se il dei beneficts erogati non supera i 258,23€ nel periodo d’imposta, allora non sono soggetti a tassazione. Se il limite è superato, il valore del bene allora concorre a formare il reddito e di conseguenza viene tassato. Questo vale per qualunque fringe beneficts percepito, da qualunque lavoro, anche diverso dal principale.

Fringe Benefits, benefici supplementari alla busta paga

Se l’azienda opera all’ingrosso e i beneficts concessi sono prodotti aziendali, il loro valore è calcolato considerando il prezzo che l’impresa è solita applicare al grossista. Il sostituto d’imposta (ossia l’azienda) deve applicare la ritenuta sul valore dei fringe benefits.

I beneficts possono essere elargiti mediante i cosiddetti voucher in formato cartaceo oppure elettronico, riportanti un preciso valore nominale. I voucher non possono essere usati da una persona diversa dal titolare, non possono essere convertiti in denaro o ceduti a terzi. Danno inoltre diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio, per l’intero valore nominale, senza che il titolare debba fare ulteriori integrazioni.

Fringe beneficts: le tipologie

La natura dei benefici concessi ai dipendenti varia molto. In alcuni casi, ad esempio, le aziende danno ai propri dipendenti la possibilità di acquistare uno o più beni prodotti dall’impresa stessa, con l’applicazione di un forte sconto sul prezzo di listino. È questo il caso delle aziende automobilistiche, che permettono ai dipendenti di comprare le vetture prodotte con sconti molto consistenti. Il valore nominale di riferimento, in questo caso, è rappresentato dal prezzo scontato che il costruttore applica sulla base di convenzioni ricorrenti.

In altri casi, invece, i datori di lavoro pagano i dipendenti fornendo loro dei buoni utilizzabili presso esercizi convenzionati. Il valore nominale è quindi rappresentato dal valore del buono stesso. Anche in questo caso non c’è tassazione se il valore non supera 258,23 euro.

Un altro esempio di fringe beneficts sono le opzioni sull’acquisto di azioni. Vale a dire che qualche volta l’azienda consente ai dipendenti di acquistare delle azioni dell’impresa stabilendo un preciso prezzo, che rimane sempre fisso e un termine entro il quale l’opzione può essere esercitata (stock options).

CIE: carta identità elettronica per i servizi online di AdE e riscossione

La CIE andrà, piano piano, a sostituire il vecchio documento di identità e la precedente carta di identità elettronica. Da ottobre 2020 sono già state emesse oltre 17 milioni di CIE e le procedure per rilasciare il documento sono già state snellite e semplificate moltissimo. Ad oggi, ad esempio, è possibile caricare la foto direttamente online, anche scattata da smartphone, usando la nuova Agenda CIE.

Dal 13 gennaio 2021 è stato predisposta la possibilità di accedere ai servizi telematici di Agenzia delle Entrate, da parte degli utenti persone fisiche, tramite identità digitale autenticata con CIE (Carta di identità elettronica). Quindi, anche chi non possiede le credenziali dei servizi telematici delle Agenzie, Fisconline ed Entratel e non dispone nemmeno di SPID, potrà comunque accedere all’area riservata tramite CIE.

Da metà del mese scorso infatti è disponibile il nuovo sistema di identificazione: “Entra con CIE”. Agenzia delle Entrate e agenzia delle entrate e delle Riscossioni hanno aderito all’iniziativa, per estendere sempre di più la possibilità di accedere ai propri servizi, senza costringere gli utenti a recarsi di persona presso gli sportelli fisici.

CIE e servizi disponibili

I soggetti che si registrano sul sito con le credenziali CIE ottengono password e pin code associate al proprio profilo. Con la CIE è possibile fruire di diversi servizi online:

Per i professionisti

Il soggetto che accede tramite autenticazione CIE può essere persona fisica, oppure delegato da altro professionista, impresa, oppure ente. Al momento dell’autenticazione deve selezionare il ruolo corrispondente alla reale natura dell’accesso.

La CIE può essere sfruttata anche per accedere tramite smartphone, utilizzando l’applicazione denominata “IO”, che gestisce una serie piuttosto ampia di servizi pubblici.

È inoltre previsto l’accesso con CIE anche per l’esecuzione di pagamenti e servizi di riscossione, tramite sito e app Equiclick. In questo caso lo scenario che si prospetta è quello molto ampio di svariate funzioni e operazioni che possono essere svolte in completa autonomia, senza doversi rivolgere a funzionari e uffici preposti.

carta identità elettronica

Chi può richiedere la carta di identità elettronica

La nuova carta di identità, CIE, per accedere ai servizi sopra citati, può essere richiesta da:

  1. chi non ne ha mai avuta una
  2. i soggetti che hanno smarrito il proprio documenti di identità
  3. chi ha danneggiato la sua carta
  4. i soggetti che hanno apportato modifiche ai propri dati anagrafici
  5. i contribuenti che hanno raggiunto la data di scadenza del proprio documenti di riconoscimento

è inoltre possibile richiedere la CIE in caso di rinnovo di documento, prima ancora che scada. Il Decreto Legislativo 76/2020 ha infatti reso possibile inoltrare richiesta di CIE prima del centottantesimo giorno precedente la scadenza (e non solamente dopo come invece era possibile fino a poco tempo fa).

Obiettivo è sempre quello di favorire al massimo l’accesso dei cittadini ai servizi in rete di Agenzia delle Entrate e di ogni altra Pubblica Amministrazione.

La durata di validità della CIE varia in base all’età del titolare:

  • 3 anni per i minori di età inferiore a 3 anni
  • 5 anni per i minori di età compresa tra i 3 e i 18 anni
  • 10 anni per i maggiorenni.

Le carte di identità adesso scadono nel giorno del compleanno del titolare, successivo allo scadere del decimo (oppure quinto o terzo, come sopra) anno dal giorno dell’emissione del documento. Durano quindi di più rispetto al passato. Anche i cittadini residenti all’estero possono richiedere la CIE. Dovranno, in questo caso presentare domanda presso il Consolato.

CIE: quanto costa

L’importo varia leggermente da comune a comune. In linea di massima comunque ammonta a 22,21€. La carta di identità elettronica è stampata dal Poligrafico dello Stato al costo basi di 16,79€. A questo importo sono poi aggiunti i diritti di segreteria e i diritti fissi spettanti al comune. Questi ammontano al massimo a 5,16€ per diritto fisso e 0,26€ per diritto di segreteria. La somma alla fine è di 22,21€. Sul totale delle CIE emesse, il Ministero riconosce ai Comuni la cifra forfettaria di 0,70 euro per ciascun documento.

Beni strumentali: cosa sono, come si ammortizzano e quali agevolazioni sono previste

I beni strumentali sono un insieme di beni materiali e immateriali, utilizzati per diversi anni, per il regolare svolgimento di un’impresa. Essendo il loro utilizzo spalmato su molti anni la loro registrazione contabile segue il principio dell’ammortamento.

Ammortamento: cos’è e in cosa consiste

L’ammortamento è, in generale, un procedimento amministrativo-contabile, secondo il quale il costo di un bene è ripartito nel corso di più esercizi. Oggetto degli ammortamenti sono i beni definiti “a fecondità ripetuta”. In altre parole si tratta di beni che mantengono e garantiscono la loro utilità nel corso del tempo.

Grazie al procedimento dell’ammortamento il loro costo è spalmato, cioè ripartito, su più anni. Il costo del bene è quindi suddiviso in varie quote. Il numero di quote varia in base al numero di esercizi in cui il bene sarà utilizzato.

Oggetto di ammortamento sono :

  • immobilizzazioni materiali – fabbricati, macchinari, impianti, automezzi, attrezzature industriali, ecc…
  • immobilizzazioni immateriali – brevetti, marchi, concessioni governative, costi di pubblicità, ecc…

Chi acquista un bene strumentale non deduce subito l’intero costo sostenuto, ma solo la quota relativa  all’anno di utilizzo. Non sono soggetti ad ammortamento tutti quei bene che invece non presentano utilità pluriennale e non sono quindi beni strumentali. Esclusi dal sistema di ammortamento anche tutti quei beni utilizzati e non acquistati dall’impresa o dal professionista (leasing, noleggio, affitti, ecc…). s

Durata di ammortamento

Dipende sempre dalla durata di utilizzo del bene. Questo vale, in linea di massima, ai fini della redazione del bilancio (ammortamento civilistico). Diversa invece la durata per la normativa fiscale. In questo caso infatti la durata varia in base a:

  • settore di attività dell’impresa
  • tipologia di bene acquistato

Infatti, per la normativa fiscale è possibile dedurre l’intero costo del bene nell’anno di acquisto solo per il cui valore sia inferiore a 516,46€ (superammortamento).

Beni strumentali: natura e ammortamento

I beni strumentali si dividono in tre diverse categorie:

  • mobili strumentali
  • strumentali immobili
  • strumentali immateriali

Beni mobili strumentali

È sicuramente la categoria più ampia, che raccoglie una gran varietà di beni: veicoli commerciali e industriali, attrezzature e impianti di lavoro, macchine da ufficio e arredi per uffici e negozi (computer, smartphone, scrivanie, armadi, ecc…). L’ammortamento dei beni strumentali mobile avviene solitamente nel giro di dieci anni circa.

Beni strumentali immobili

Si tratta dei fabbricati strumentali: capannoni, uffici, magazzini, negozi, laboratori, ecc… Possono essere immobili già realizzati, che da costruire, o in fase di costruzione e/o restauro. La durata dell’ammortamento per questi beni è di gran lunga superiore a quella dei beni strumentali mobili. Si parla di circa 50 anni.

Beni strumentali immateriali

Terza ed ultima categoria comprende quelli immateriali, o immobilizzazioni immateriali, comprende specifici beni. Si tratta, ad esempio, di brevetti, marchi, diritti su opere di ingegno, software, ecc… L’ammortamento in questo caso dipende dalla velocità con la quale il bene in questione perde via via di valore, oppure dalla durata del diritto.

Beni strumentali

I soggetti che possono ammortizzare

I beni strumentali possono essere ammortizzati dalle imprese e dai professionisti. Queste categorie basano l’ammortamento sui valori stabiliti dai coefficienti di ammortamento previsti dal ministero. Grazie ai vari ammortamenti, l’imponibile per il calcolo delle imposte è ridotto in base alle quote di detrazione. Nel regime forfettario, oppure in quello dei minimi, l’uso di questi beni e il loro ammortamento, segue regole specifiche diverse.

Regime forfettario

Nel regime agevolato forfettario non è previsto l’ammortamento dei beni. Il loro valore è dedotto dal reddito in modo diverso. In questo regime infatti i costi sostenuti sono “forfettizzati”. Non esistono quindi quote esatte dei costi da dedurre, che sono invece calcolati a forfait in percentuale al fatturato e alla tipologia di lavoro svolto.

Regime dei minimi

Nel regime dei minimi invece, l’ammortamento dei beni strumentali  è possibile. L’unica regola da rispettare è che imprese e professionisti non possono possedere beni strumentali per un valore superiore ad una determinata soglia (attualmente 20.000€). Se la soglia dovesse essere superata, decade il regime dei minimi.

Acquisto e agevolazioni

La legge attuale prevede alcune agevolazioni volte ad incentivare l’acquisto di questi elementi. Esistono, ad esempio, incentivi materiali per spingere i contribuenti ad acquistarli, oppure è prevista un’agevolazione sulla durata di ammortamento, ridotta, rispetto magari allo standard (iperammortamento).

Digital Tax: cos’è e quando si paga

La digital tax è l’imposta sui servizi digitali contenuta nel provvedimento dell’agenzia delle entrate del 15 gennaio 2021. La tassa sui servizi dell’economia digitale ha trovato ispirazione nella direttiva europea COM (2018) 148 final. Mentre l’Europa si prepara a far debuttare una web tax europea, l’Italia si porta avanti (almeno per una volta) dotandosi di una propria imposta sui servizi online.

È vero che si tratta di una nuova tassa, che si va a sommare al carico già abbastanza pesante che i contribuenti italiani devono sostenere ogni anno, ma, per fortuna, i soggetti passivi rientrano in una specifica categoria. Ne verranno colpiti infatti gli esercenti attività d’impresa, anche non residenti in Italia, che, nel corso dell’anno, hanno realizzato ovunque nel mondo (da solo o in gruppo) ricavi non inferiori a 750.000.000 di euro, di cui almeno 5.500.000 nel territorio dello Stato. I piccoli commercianti, artigiani e liberi professionisti possono quindi stare tranquilli, per questa volta.

Digital Tax: soggetti inclusi ed esclusi dal pagamento

La digital tax è l’imposta sui servizi digitali con aliquota imposta al 3%. La tassa è stata istituita dalla Legge di Bilancio 2019 e modificata in seguito dalla Manovra dell’anno successivo. La tassa è quindi applicata alla fornitura di servizi digitali. I soggetti che singolarmente, o a livello di gruppo, nell’anno solare precedente, hanno realizzato:

  • un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro;
  • un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali conseguiti nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni di euro.

Sono considerati soggetti passivi. L’imposta è applicata sui rivani annuali, totalizzati in un anno solare. Non è calcolata o applicata trimestralmente. È probabile che il versamento debba essere effettuato entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello di riferimento. Le imprese interessate devono presentare una dichiarazione annuale contenente l’ammontare dei servizi tassabili, entro il 31 marzo dello stesso anno. Per quanto riguarda le società di gruppo, ne viene indicata una singola che debba far fronte agli obblighi derivanti dalle disposizioni relative all’imposta sui servizi digitali.

Web Tax Europea: tutto è iniziato da qui

La Commissione Europea, nel marzo del 2018, aveva proposto la Web Tax applicabile a:

  • ricavi da vendita di pubblicità
  • cessione dati
  • intermediazione tra utenti e business

Digital Tax

L’obiettivo della Commissione era quello di tassare i profitti dei grandi di Internet (come ad esempio Amazon). Inoltre l’UE desiderava che ogni Stato Membro potesse tassare i loro proventi generati sul proprio territorio, anche se le aziende in questione non avevano una presenza fisica nello stato.

Affinché una società possa essere riconosciuta come una “presenza digitale tassabile” devono essere rispettati tre diversi criteri:

  • deve superare i 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno stato membro
  • contare avere oltre 100mila utenti registrati in uno stato
  • deve avere oltre 3000 contratti per servizi digitali ad utenti business.

Nonostante gli obiettivi della Commissione Europea siano piuttosto chiari, la situazione rimane comunque in stallo. Questo perché molti paesi, come ad esempio Irlanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, si oppongono fermamente. Il motivo è da ricercare nella bassa imposizione fiscale e nel meccanismo che consente ai colossi del web di eludere il fisco nazionale spostando liberamente i propri ricavi da un paese all’altro.

In attesa di una soluzione univoca, alcuni stati membro, come appunto Italia, ma anche Francia, Spagna, Ungheria e Gran Bretagna, hanno deciso di adottare soluzioni “locali”.

Digital Tax: immediata esecuzione

La disciplina in questione è stata trattata e studiata ampiamente con la Legge di bilancio 2019 ed è entrata immediatamente in vigore. Non c’è infatti stato bisogno di richiedere un apposito decreto ministeriale affinché l’imposta diventasse esecutiva. Nella norma sono quindi riportate tutte le indicazioni per:

  • prevedere le modalità applicative del tributo circa i corrispettivi colpiti
  • dichiarazioni
  • periodicità del prelievo
  • individuazione di ipotesi di esclusione
  • inserito l’obbligo per i soggetti passivi non residenti di nominare un rappresentante fiscale.

Le esclusioni italiane

La digital tax italiana prevede l’esclusione dall’imposta digitale per fornitura diretta di beni e servizi, nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia, da parte del soggetto che gestisce l’interfaccia stessa, di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento”; la messa a disposizione di un’interfaccia digitale utilizzata per gestire diversi servizi bancari e finanziari

In altre parole sono esclusi dal pagamento della digital tax:

  1. banche
  2. siti aziendali
  3. soggetti finanziari già soggetti ad accise
  4. operatori telefonici
  5. fornitori di contenuti digitali, come TV e giornali.

Cashback: spese incluse ed escluse dal rimborso

Nell’articolo: “Cashback: cos’è e come funziona”abbiamo visto l’introduzione di questo nuovo sistema ideato dall’Esecutivo per incentivare l’utilizzo di carte e bancomat per i pagamenti dei contribuenti. Il Cashback è un’ulteriore manovra che il Governo ha intrapreso per continuare a combattere contro il dilagante fenomeno dell’ evasione fiscale. Insieme allo scontrino elettronico  e alla fatturazione elettronica, questo sistema si prefigge di disincentivare l’uso dei contatti e contrastare evasione ed elusione fiscale.

A dicembre 2020 abbiamo assistito a una prima fase sperimentale del Cashback e adesso, chi ha raggiunto la soglia prevista delle dieci transazioni minime, attende il rimborso. Questo deve avvenire entro il primo marzo 2021, ma non tutti i pagamenti elettronici effettuati, danno diritto al rimborso. Ad esempio, chi voleva usufruire dell’iniziativa, ma è stato costretto a effettuare gli acquisti online, perché in “zona rossa” con negozi chiusi, è stato penalizzato. Ma ci sono molte altre spese che purtroppo non possono essere incluse e considerate per il calcolo del rimborso.

Cashback: le spese escluse

La diffusione della pandemia di Covid-19 e le relative misure di contenimento che hanno portato molte regioni italiane a passare diverse settimane in zona rossa, ha penalizzato l’iniziativa del Cashback. Questo perché in zona rossa negozi, centri commerciali e molte altre attività, sono dovute rimanere chiuse. Di conseguenza le persone che necessitavano di fare acquisti e al tempo stesso volevano partecipare all’iniziativa del Cashback, hanno dovuto ricorrere agli acquisti online.

Cashback

Purtroppo gli acquisti effettuati online e pagati con carte di credito, di debito, PayPal, o altri sistemi, non rientrano nella lista delle spese che permettono di accedere al Cashback di Stato. Nella lista delle spese escluse, tra le altre, ci sono anche quelle sostenute per l’esercizio della propria attività imprenditoriale, professionale, o artigianale. Ai fini del Cashback valgono, infatti, esclusivamente le spese personali.

Cashback: le spese incluse

Escluse quindi le spese online e quelle effettuate ai fini dell’esercizio della propria attività, vediamo quali sono quelle incluse nella lista. L’elenco è molto più ricco di quello che si possa pensare. Per ottenere il 10% di rimborso sulle spese effettuate nei periodi di riferimento è possibile sfruttare i pagamenti digitali. Questo significa che gli acquisti effettuati all’interno delle sedi fisiche delle attività, possono essere pagati tramite carte di credito, carte di debito, bancomat e/o app. Sistemi tracciati e rintracciabili che possono facilmente essere controllati dal Fisco.

Quindi è possibile fare acquisti in qualunque negozio, per quanto piccolo possa essere, purché abbia a disposizione un sistema di pagamento digitale. Addirittura anche un caffè al bar, o un panino in fast food possono essere pagati con carta o bancomat e concorrere così all’accumulo del Cashback.

Alla soglia prevista concorrono inoltre il pagamento di bollo auto e moto, assicurazioni, bollette utenze, carburanti e addirittura multe. Ma non solo. Anche gli importi dovuti ai professionisti e ai vari lavoratori a domicilio, come ad esempio idraulici, elettricisti, antennisti, ecc… Rientrano tra le spese incluse nel rimborso per il Cashback. Infine, da ultimo, ma non per importanza, nelle spese per il cashback, a differenza per esempio della lotteria degli scontrini, sono incluse anche tutte le spese detraibili e deducibili.

Conclusioni

In conclusione quindi, il cashback nonostante forse sia partito con il piede sbagliato, visto il periodo non esattamente molto propizio, ha una buona potenzialità di riuscita. Le persone sono predisposte a provare, anche se devono essere messe in condizione di poter sfruttare l’intero processo. Con l’ipotetica riapertura delle zone è probabile che il sistema prenderà uno slancio maggiore in futuro. Sicuramente una volta concretizzati i primi rimborsi, i contribuenti si renderanno conto meglio di come funziona il sistema e nei periodi successivi si comporterà di conseguenza.

Dichiarazione IVA precompilata 2021: cos’è e come funziona

Dal primo gennaio 2021 è partita, in via sperimentale, l’iniziativa promossa da Agenzia delle Entrate(AdE) sulla dichiarazione IVA precompilata. Il sistema è stato ideato con lo scopo di semplificare al massimo le procedure a vantaggio dei contribuenti. È previsto che siano utilizzate tutte le informazioni utili ricavabili dalle fatture elettroniche, dalle operazioni transfrontaliere e dai corrispettivi telematici. Con tutti questi dati raccolti, in automatico, il sistema predisporrà le bozze dei Registri delle fatture emesse e ricevute.

La dichiarazione è precompilata e predisposta da AdE. Per tutte le operazioni IVA 2021 è messa a disposizione anche la bozza della dichiarazione annuale dell’IVA. Si tratta comunque di semplici “bozze”, che richiederanno la conferma da parte del contribuente (un po’ come già avviene per il modello 730 precompilato).

Dichiarazione IVA precompilata: le categorie dei soggetti interessati

Nell’articolo “Riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili per specifiche categorie di soggetti” previsto nella legge di bilancio del 2019, sono individuati i soggetti che possono usufruire della semplificazione fiscale attraverso la dichiarazione IVA precompilata. L’articolo prevede che tali soggetti siano individuati direttamente con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.

In categoria rientrano imprese e società di piccole dimensioni, come artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori individuali. Sono inoltre compresi anche chi svolgi attività d’impresa, arte o professione anche se solo per il periodo in cui l’attività stessa è iniziata, o per due anni successivi.

Il materiale messo a disposizione dall’Agenzia delle entrate

Agenzia delle Entrate mette a disposizione una serie di bozze e documenti, tra cui:

  • Lipe – liquidazione IVA periodica (mensile o trimestrale) con determinazione del saldo a debito o a credito per il periodo
  • Registri obbligatori – vale a dire registro fatture e registro acquisti. Questi saranno precompilati partendo dai dati rilevati dalle fatture elettroniche emesse e ricevute tramite SdI.
  • Dichiarazione IVA annuale – dichiarazione con cui è effettuato il calcolo IVA annuale (tenendo conto di ogni variabile: reverse charge, split payment, immediata o differita, ecc…).
  • Modelli F24 – questi servono per il versamento a saldo a debito o a credito della dichiarazione IVA.

Dichiarazione IVA

Dichiarazione IVA precompilata 2021: obiettivi

Lo scopo della dichiarazione IVA precompilata è quella di semplificare al massimo il rapporto tra contribuente e fisco. In questo modo si vuole ridurre al minimo il rischio di evasione fiscale  ed elusione fiscale, puntando sull’aumento del tasso di adempimento spontaneo.

Questa iniziativa non è che l’ultima in casa del fisco italiano, adottata per le ragioni sopra citate. Insieme alla fatturazione elettronica, allo scontrino elettronico, alle semplificazioni previste per il calcolo degli acconti IRES, IRAP e IRPEF, nonché il modello 730 precompilato introdotto già  a partire dal 2015, il sistema si sta muovendo verso una digitalizzazione totale e una semplificazione di massa di ogni processo fiscale.

Fatture elettroniche e nuovi codici

A inizio 2021 sono entrati in vigori come obbligatori, alcuni nuovi codici relativi all’emissione e alla trasmissione delle fatture elettroniche. Questi codici sono stati introdotti da Agenzia delle Entrate per semplificare il processo di raccolta dati necessari ad AdE per creare le bozze delle dichiarazioni IVA precompilate. I codici infatti semplificano i procedimenti nei casi di reverse charge, fatture di vendita e note di credito.

Per quanto riguarda la fattura attiva (vendita) è obbligatoria la fatturazione e ciclo attivo. Per la fattura passiva invece diventerà obbligatorio il ciclo passivo da gennaio 2022. Di conseguenza le integrazioni ai documenti esteri in caso di integrazione e auto fatturazione sono facoltative per il 2021. Le novità introdotte porteranno all’eliminazione dell’esterometro a partire dal 20222. Per quanto riguarda invece il reverse charge estero, i nuovi codici permettono una gestione digitale del procedimento e non più solo cartacea. Infatti i codici TD17, TD18 e TD19 si possono usare adesso per il reverse charge relativo ai servizi acquistati da soggetti stranieri, sugli acquisti comunitari, e su acquisti di beni da soggetti stranieri.

Tornando all’IVA invece i nuovi codici introdotti danno la possibilità di gestire in modo più ampio le casistiche IVA. In questo modo è possibile precompilare la famosa dichiarazione IVA di cui parlavamo, in modo molto più completo e dettagliato. La nuova struttura del formato XML permette ad AdE di produrre automaticamente i registri IVA, le comunicazioni e la dichiarazione annuale IVA.

Integrazione e convalida registri IVA

Nel corso del mese successivo a quello di riferimento, dal quinto al quindicesimo giorno, il contribuente può:

  • Integrare il registro IVA – aggiungere tutti i dati eventualmente non presenti come, ad esempio, bollette doganali, operazioni con l’estero, fatture per prestazioni sanitarie, e le fatture cartacee, ecc.
  • Convalidare il registro IVA – il contribuente ha tempo per controllare e approvare i documenti prodotti da AdE rispettando le scadenze previste per la liquidazione periodica dell’IVA.

Contrassegno telematico: cos’è, a cosa serve e come acquistarlo

Il contrassegno telematico è un certificato di pagamento dell’imposta di bollo. Il suo valore varia a seconda delle disposizioni di legge e da documento a documento. In passato esisteva solamente la marca da bollo cartacea, liberamente acquistabile anche in tabaccheria. Oggi, invece, è possibile comprare anche le marche da bollo telematiche, direttamente online. Il contrassegno telematico non ha una validità, una data di scadenza se vogliamo. Acquistandolo online non si compra un vero e proprio contrassegno, ma, piuttosto, si effettua un “versamento”.

La marca da bollo telematica consente quindi a privati e imprese di assolvere all’obbligo del versamento dell’imposta, richiesto per atti e documenti della Pubblica Amministrazione (PA).

Contrassegno telematico: come funziona

Volendo acquistare un contrassegno telematico è necessario utilizzare il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate che si chiama @e.bollo. L’acquisto è addebitato direttamente sul proprio conto corrente, oppure su carta di debito o su carta prepagata tramite il sistema PagoPa. Per farlo basta scegliere un prestatore di servizi di pagamento abilitato al servizio, che abbia aderito alla convenzione tra AgID e Agenzia delle entrate.

Al momento comunque, l’unico prestatore che abbia aderito al servizio è quello rappresentato dall’Istituto di Pagamento del sistema camerale.

Dove acquistare il contrassegno telematico

Attualmente non è possibile acquistare ovunque la marca da bollo online. Infatti, per ora, il servizio è attivo e utilizzabile esclusivamente tramite i portali internet delle PA che offrono servizi interattivi di dialogo tra utenti che rilasciano documenti elettronici e che hanno aderito al Sistema dei pagamenti elettronici o pagoPA dell’AgID.

Per il momento è questa la situazione, piuttosto limitata quindi, ma in futuro sono previsti dei cambiamenti e notevoli miglioramenti. Gli utenti infatti potranno acquistare le marche da bollo online via PEC con le relative amministrazioni, oppure direttamente presso i PSP convenzionati, attraverso appositi servizi predisposti utilizzando il proprio smartphone, tablet o PC.

L’acquisto online del contrassegno telematico vuole portare alla completa digitalizzazione la richiesta di atti pubblici e documenti della Pubblica Amministrazione, per i quali è ancora obbligatorio il versamento dell’imposta di bollo. In questo modo di andrà a dematerializzare e a semplificare il rapporto tra PA, cittadini e imprese.

Contrassegno telematico

Marca da bollo digitale: quando e come usarla

La marca da bollo è regolamentata dall’art.3 del DPR 642/1972. La norma stabilisce che la marca da bollo è obbligatoria ogni volta che si vuole ottenere l’emanazione di un provvedimento amministrativo o di un relativo atto pubblico. La legge stessa prevede comunque casi specifici di esonero dal pagamento. È questo il caso, ad esempio, della richiesta di documenti e/o istanze da ONLUS, federazioni sportive, enti di promozione sportiva riconosciuti CONI e le organizzazioni di volontariato.

Contrassegno telematico e fatture

Le fatture esenti IVA, come ad esempio quelle emesse in regime forfettario, di importo maggiore a 77,47€ richiedo il pagamento di una marca da bollo da 2,00€. Per assolvere telematicamente alla richiesta è necessario compilare un modulo di dichiarazione consutiva. Questo deve essere presentato entro il 31 gennaio successivo all’anno di imposta. La dichiarazione deve riportare l’elenco dei documenti fiscali emessi nell’anno solare precedente, sui quali è necessario apporre la marca da bollo virtuale. La trasmissione di questa dichiarazione è possibile esclusivamente online.

Il pagamento della marca da bollo elettronica avviene utilizzando apposito modello f24 con relativi codici tributo:

  • 2505: in caso di rateizzazione dei versamenti
  • 2506: pagamento dell’acconto
  • 2507: pagamento di eventuali sanzioni
  • 2508: pagamento di eventuali interessi

Contrassegno telematico e fatture elettroniche

Chi emette fatture elettroniche ha la possibilità di acquistare la marca da bollo virtuale con le stesse modalità delle vecchie fatture. Il consuntivo con l’elenco dei documenti che richiedono l’apposizione della marca da bollo deve quindi essere presentato entro il 31 gennaio dell’anno d’imposta successivo. Il pagamento avviene sempre tramite nodello F24.

Istanze trasmesse alle Pubbliche Amministrazioni

Le istanze trasmesse alle PA richiedo apposizione e pagamento di marca da bollo. Anche in questo caso il contrassegno può essere comprato online attraverso il portale @e.bollo sul quale è possibile acquistare la marca da bollo forfettaria del valore di 16€ indipendentemente dalle dimensioni del documento.

Sanzioni scontrino elettronico: come cambiano le disposizioni

L’entrata in vigore dello scontrino elettronico è stata una vera e propria rivoluzione nel campo fiscale italiano. Molto si è detto e molto si è scritto sull’argomento, che non accenna a esaurirsi. Dal primo gennaio di quest’anno, ad esempio, sono entrate in vigore le nuove disposizioni sulle sanzioni scontrino elettronico, che rimescolano completamente le carte in tavola. Per capire meglio cosa rischia chi non memorizza gli scontrini, o chi ne sbaglia la trasmissione, si possono utilizzare le circolari operative della Guardia di Finanza.

Il Comando Generale della GdF ha emesso la circolare n° 2017/2021 in data 5 gennaio 2021, nella quale sono riportate le istruzioni per i reparti operativi. La circolare aiuta a capire meglio la situazione e a valutare i rischi correlati a omissione ed eventuali errori di trasmissione dei corrispettivi telematici.

Sanzioni scontrino elettronico entrate in vigore dal primo gennaio

Il primo gennaio di quest’anno ha segnato la data ufficiale di entrata in vigore dello scontrino elettronico. Adesso tutti gli esercenti e i commercianti al dettaglio sono obbligatoriamente tenuti a emettere e inviare i corrispettivi giornalieri telematicamente. Questo vale per tutti, indipendentemente dal volume di affari dichiarato nel 2018.

Il 31 dicembre 2020 è stato l’ultimo giorno valido per la moratoria sanzionatoria. Questo significa che fino a quella data gli esercenti avevano ancora la possibilità di emettere scontrino, ricevute fiscali, o fatture, senza essere obbligati all’emissione, registrazione e invio telematico dei corrispettivi giornalieri. Chi ancora non si era dotato di Registratori di cassa telematici, oppure di piattaforme server come quella di FatturaPRO.click, poteva ancora certificare i corrispettivi rilasciando i classici documenti.

Con la nuova Legge di bilancio 2021, il Legislatore ha ridotto al 90 per cento dell’imposta la sanzione applicabile e ne ha fissata una in quota fissa pari a 100€ in caso di omessa o tardiva trasmissione, o invio con dati incompleti o non veritieri. Queste nuove sanzioni sono state create con l’intento di trovare un giusto equilibrio rispetto a quanto previsto in precedenza. Le sanzioni, in questo caso, tengono conto che l’obbligo dei corrispettivi telematici si concretizza in due distinte fasi:

  • memorizzazione al momento dell’esecuzione dell’operazione
  • trasmissione telematica dei dati entro il dodicesimo giorno successivo

A quanto ammontano le sanzioni

Le nuove sanzioni scontrino elettronico sono quindi applicate nel caso di:

  • mancata o non tempestiva memorizzazione o trasmissione
  • memorizzazione o trasmissione con dati incompleti o non veritieri

Sanzioni scontrino elettronico

In tutti i casi in cui è prevista l’applicazione della sanzione, questa ammonta al novanta per cento dell’imposta corrispondente all’importo non memorizzato o trasmesso, con un minimo di 500€.

Che si tratti di sanzione per memorizzazione o trasmissione mancate o errate, la sanzione applicata sarà unica.

Non si potrà accampare la scusa del registratore di cassa telematico che non funziona, o che funziona in modo irregolare. Lo stesso varrà per i server RT. In ogni caso, quindi, il corrispettivo deve comunque essere annotato del “registro di emergenza”, sempre che non siano state attuate le procedure web alternative per il recupero e l’invio dei dati.

Quando non vi è alcuna conseguenza sulla corretta liquidazione del tributo, la sanzione è pari a 100€ in misura fissa, per trasmissione.

Sanzioni scontrino elettronico: come non sbagliare

È facile incappare in un errore, ma è anche altrettanto facile non farlo. Basta fare attenzione e seguire qualche piccolo accorgimento. Ad esempio, la memorizzazione del corrispettivo e la consegna della ricevuta al cliente, deve essere eseguita al momento stesso dell’esecuzione dell’operazione. Questo significa che lo scontrino elettronico deve essere emesso al momento della consegna del bene, o all’ultimazione dell’operazione.

Quindi se un commerciante fornisce un bene o un servizio e in quello stesso momento non riceve il pagamento di quanto dovuto, è tenuto a emettere un documento che attesti il mancato pagamento. Al ricevimento poi del pagamento non è tenuto a emettere un nuovo documento commerciale.

Nel caso invece di servizi erogati, ma non saldati subito, il commerciante deve comunque memorizzare l’operazione ed emettere un documento commerciale, su cui sarà evidenziato il mancato pagamento. In seguito, al momento del saldo, dovrà poi emettere nuovo documento che richiamerà gli elementi identificativi di quello precedente. L’imposta quindi concorrerà, in questo caso, con la liquidazione dell’ IVA relativa al mese successivo a quello del servizio offerto.