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Donazione di azienda: vantaggi e benefici nei passaggi generazionali

La donazione d’azienda è una procedura con la quale un soggetto trasferisce a un altro un’azienda. Il soggetto cedente prende il nome di donante, mentre chi riceve si chiama beneficiario. Il trasferimento di proprietà avviene attraverso un atto di liberalità. Molto spesso capita, per motivi legati al cambio generazionale, che il proprietario di un’attività, voglia passarne la proprietà a un altro soggetto. In questo caso, ci sono alcune regole da seguire che possono far risparmiare notevolmente sulle tasse di successione. Vediamo di capire meglio come fare.

Donazione di azienda: cos’è e perché viene fatta

La donazione di azienda è un atto attraverso il quale, il proprietario di un’impresa ancora in vita, può trasferirne la proprietà ad altro soggetto. Non si tratta quindi di una successione testamentaria, che prevede invece il decesso del proprietario. La donazione consente al donate di avere controllo sulla continuità nel proseguimento dell’attività d’impresa. Inoltre, fino al momento in cui il donante rimane in vita, giuridicamente non rileva il consenso dei legittimari alla donazione e nemmeno l’eventuale loro rinuncia alla quota di legittima.

 

Da un punto di vista giuridico, la donazione di azienda può essere pianificata in anticipo. Questo perché è possibile analizzare le eventuali quote di legittima in caso di successione e prevedere degli specifici meccanismi di compensazione.

Donazione di azienda

Donazione d’azienda: ecco come avviene

La donazione di un’azienda avviene attraverso un contratto o una scrittura privata. L’uno o l’altro devono essere documentati presso il Registro delle Imprese. Se non è correttamente registrato rischia l’annullamento. Non solo. Al momento del rogito è richiesta anche la presenza di testimoni.

Quando si parla di donazione azienda, si può fare riferimento al trasferimento di proprietà di beni mobili/immobili, ma anche di conoscenze specifiche volte a proseguire l’attività stessa. In alcuni casi prevede persino il passaggio dei dipendenti. Se il proprietario decide di trasferire l’azienda in modo gratuito, in futuro non potrà chiedere nulla in pagamento per il trasferimento eseguito.

Ogni singolo contratto presente in azienda, deve essere “burocraticamente” trasferito al nuovo proprietario. Questo comprende anche tutti i contratti stipulati con fornitori, collaboratori e dipendenti. Nel trasferimento di proprietà, il donatore può richiedere condizioni specifiche per il trasferimento, quali, ad esempio, la continuità dell’attività e la garanzia di continuità dei contratti attivi.

 Imposte dirette e donazione d’azienda

Entriamo adesso nello specifico della relazione tra imposte dirette e donazione d’azienda. La normativa di riferimento è l’art. 58 del TUIR. L’articolo cita:

“il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa“

Tutto questo è possibile solo se:

  1. la donazione è effettuata dall’imprenditore individuale
  2. deve avere per oggetto un’azienda
  3. deve prevedere continuità di valori fiscali in capo al beneficiario

Se queste tre caratteristiche si realizzano, allora la plusvalenza rimane latente e non più in carico al donante. Questa concorrerà alla formazione del reddito del beneficiario (donatario) solo al momento di una successiva cessione di azienda o dei singoli beni che la compongono. Tutto ciò vale comunque solo per le persone fisiche imprenditori. Ai fini delle imposte dirette, il beneficiario, riceve l’azienda a valori storici e non a valori correnti. In questo modo i valori aziendali sono assunti dal donatario al valore fiscalmente riconosciuto in capo al donante. L’obiettivo è quello di realizzare una continuità dei valori fiscali.

Imposte indirette e donazione d’azienda

Imposte dirette e imposte indirette, funzionano più o meno allo stesso modo, per quanto riguarda le donazioni di azienda. Però ci sono alcune differenze sostanziali. Ai fini dell’imposizione indiretta in caso di donazione (o successione) di azienda (o ramo di azienda), tali trasferimenti sono soggetti a imposta sulle successioni e donazioni. Queste disposizioni valgono quando si tratta di donazioni di aziende, rami d’aziende, quote, partecipazioni sociali e azioni.

Non si applicano invece imposte di donazione quando il trasferimento è a favore di:

  • discendenti del de cuius
  • coniuge del de cuius

L’esenzione dall’imposta di donazione quando i beneficiari del trasferimento proseguono l’esercizio dell’attività d’impresa per un periodo di almeno cinque anni dalla data di trasferimento. I discendenti devono fornire però una dichiarazione che attesti la volontà di proseguire l’attività per almeno cinque anni. Inoltre la prosecuzione dell’attività deve essere diretta.

Acconto iva: versamento, codice tributi e sanzioni per mancato pagamento

L’articolo precedente: “Calcolo acconto IVA: definizione, soggetti passivi iva e metodologie” ha introdotto un argomento caro a moltissimi contribuenti: il calcolo e le tempistiche dell’acconto IVA di fine anno. Entro il 27 dicembre di ogni anno, infatti, i soggetti passivi IVA, sono tenuti a versare l’acconto sull’imposta all’amministrazione finanziaria. Abbiamo, quindi, visto quali sono i soggetti obbligati a tale impegno e come può essere calcolato l’acconto di fine anno (metodo storico, previsionale e analitico). Continuiamo adesso a esplorare l’argomento andando a vedere, nel dettaglio, com’è possibile materialmente effettuare il versamento dell’acconto, quali sono i codici tributo identificativi e le eventuali sanzioni per versamento insufficiente.

Acconto IVA: ecco come effettuare i pagamenti

Una volta calcolato l’importo da versare, l’acconto può essere saldato utilizzando un modello F24, in modalità, esclusivamente, telematica. È possibile, inoltre, effettuare compensazione dell’importo dovuto a titolo d’acconto. Una scelta che può essere presa liberamente. La compensazione può essere effettuata con eventuali crediti di imposte o contributi di cui si dispone. Logico che debba trattarsi di crediti derivanti da dichiarazioni valide e presentate regolarmente.

I contribuenti trimestrali non devono, in questo caso, applicare gli interessi dell’1%. L’acconto versato deve essere poi sottratto all’IVA da versare il mese di dicembre (contribuenti mensili), in sede di dichiarazione annuale IVA (contribuenti trimestrali), o dalla liquidazione del quarto trimestre per i contribuenti speciali.

Codice tributo acconto IVA: come compilare correttamente l’F24

Il modello F24 da utilizzare per il pagamento dell’acconto IVA deve riportare, come sempre, determinati codici tributo. In questo specifico caso quelli da indicare sono:

  • 6013 – contribuenti mensili
  • 6035 – per i contribuenti trimestrali

Acconto iva

Mentre per quanto riguarda l’anno di imposta da trascrivere è sempre quello durante il quale si sta effettuando il pagamento stesso.

Scadenza acconto IVA

Ricordiamo che la scadenza prevista per il pagamento dell’acconto IVA dell’anno corrente, è sempre il 27 dicembre. Nel caso in cui il versamento non è effettuato, oppure è eseguito in ritardo, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 30%.

Sanzioni amministrative: cosa succede se l’acconto non è versato o versato in ritardo?

Come abbiamo poco prima visto, nel caso in cui l’acconto IVA non venga pagato entro i termini previsti (27 dicembre), o pagato in un importo non sufficiente, l’amministrazione finanziaria ha previsto l’applicazione di eventuali sanzioni. Nello specifico si tratta del 30% che può comunque essere regolarizzata mediante il ravvedimento operoso.

Il ravvedimento operoso è uno strumento attraverso il quale il contribuente ha la possibilità  di regolarizzare la propria posizione fiscale. Relativamente all’acconto IVA, il contribuente può pagare con il ravvedimento operoso, tramite modello F24:

  • l’imposta dovuta
  • interessi pari all’1% calcolati a giorni
  • la relativa sanzione prevista ex articolo 13, comma 1, del D.Lgs. n. 472/97

La sanzione è applicata in misura diversa a seconda di quando è effettuato il pagamento:

  • dallo 0,2% al 2,8%, se il pagamento è effettuato entro 14 giorni dalla scadenza. Per ogni giorno di ritardo è applicato lo 0,2%. Questa formula prende il nome di ravvedimento sprint
  • 3% se il pagamento è eseguito tra 15 e 30 giorni dalla scadenza
  • 3,75% se il pagamento è eseguito oltre 30 giorni ed entro il termine di presentazione del modello Iva relativo all’anno in corso

Il ravvedimento operoso consente quindi al contribuente di regolarizzare la propria posizione fiscale in caso di mancato, omesso o insufficiente pagamento di imposte e tributi (in questo caso specifico relativamente parlando dell’acconto IVA).

Il ravvedimento si esegue effettuando il pagamento del tributo, della sanzione e degli eventuali interessi calcolati. La violazione inizia dal giorno di scadenza del termine previsto. Da lì in poi, quindi, sono calcolati gli interessi da pagare.

Acconto IVA: conclusioni

La fine dell’anno corrisponde sempre a un obbligo molto importante per tutte le partite iva. Il calcolo acconto iva e il relativo pagamento entro il 27 di dicembre, segna la chiusura dell’ultimo periodo dell’anno. Vista la particolarità dell’anno in corso, è sempre bene valutare attentamente il metodo da utilizzare per il calcolo e informarsi sempre se l’Esecutivo avesse in programma delle eventuali nuove proroghe.

Calcolo acconto iva: definizione, soggetti passivi iva e metodologie

Il calcolo acconto IVA è, ogni anno, un bel cruccio per tutti i soggetti passivi IVA. Il 27 dicembre 2021 scade il termine per il pagamento dell’acconto IVA. L’importo dovuto è quello calcolato in base alle risultanze dell’ultimo periodo di versamento, relativo all’anno precedente. Diversi i metodi per calcolarlo. Con questo breve articolo vogliamo quindi vedere di chiarire, una volta per tutte, cos’è l’acconto, quali sono i soggetti che sono tenuti a pagarlo e, soprattutto, i metodi usati per calcolarlo.

Acconto IVA: cos’è e a cosa serve

L’acconto IVA è un adempimento obbligatorio. Deve essere corrisposto da tutti i soggetti passivi IVA entro il 27 dicembre di ogni anno. L’amministrazione finanziaria chiede il pagamento di un acconto dell’imposta dovuta nell’ultimo trimestre dell’anno, oppure relativo all’IVA di dicembre (per chi effettua liquidazioni mensili).

Si tratta, quindi, di un anticipo del versamento del saldo IVA che invece viene corrisposto l’anno successivo al momento della dichiarazione IVA annuale. È un modo, attraverso il quale, l’Amministrazione finanziaria, incassa parte dell’IVA dell’anno successivo, in quello precedente. Non tutti gli operatori economici sono comunque tenuti a versare l’acconto.

Soggetti passivi IVA: chi è tenuto a pagare l’acconto

Il calcolo acconto IVA lo devono fare tutti i contribuenti passivi d’IVA, come imprenditori e liberi professionisti. I soggetti che invece risultano esonerati da questo pagamento, sono tutti quelli non obbligati a liquidare periodicamente l’imposta (mensile, trimestrale che sia).

Il DPR n°633/72 definisce, nel dettaglio, tutti i soggetti esonerati dal calcolo acconto IVA e relativo pagamento:

  • chi ha iniziato attività nell’anno in corso
  • chi ha attività che risulti cessata prima del 30 novembre (mensili) o del 30 settembre (trimestrali)
  • i soggetti per i quali, applicando il metodo analitico di calcolo acconto IVA, risulta un’eccedenza di credito dalla liquidazione dell’imposta, alla data del 20 dicembre
  • i contribuenti che si trovano nel regime agevolato dei minimi o nel regime forfettario
  • chi presume di chiudere l’anno a credito
  • tutti i soggetti che eseguono solo operazioni esenti o non imponibili

Calcolo acconto iva

Calcolo acconto IVA: i metodi utilizzati

Il calcolo acconto IVA può essere fatto seguendo tre diverse metodologie. Chi è interessato al pagamento dell’acconto, quindi ditte individuali, società di persone e capitali e lavoratori autonomi, hanno a disposizione tre alternative per calcolare quanto dovuto all’amministrazione finanziaria.

Ciascuna tipologia di calcolo presenta un metodo differente e caratteristiche diverse. I tre metodi possono poi essere applicati rispettivamente, solo in base a determinate circostanze e situazioni. In ogni caso, comunque, gli importi versati in qualità di acconto, saranno poi detratti dal saldo dovuto l’anno successivo.

I tre metodi previsti per il calcolo acconto IVA sono:

  1. storico
  2. analitico
  3. previsionale

Vediamoli meglio nel dettaglio.

Calcolo acconto IVA: metodo storico

In questo caso il calcolo è fatto matematicamente. Gli importi sono determinati in base al saldo dell’anno precedente (contribuenti trimestrali) o in base alla liquidazione IVA del mese di dicembre (contribuenti mensili). L’acconto IVA dovuto, infatti, è pari all’88% dell’Iva dovuta. Esiste poi la categoria particolare dei contribuenti speciali ((autotrasportatori, distributori di carburante, odontotecnici) per i quali, gli importi corrispondono all’88% del quarto trimestre dell’anno precedente. Il metodo storico è quello che di norma è più comunemente utilizzato.

Calcolo acconto IVA: metodo analitico

In questo caso è presa in considerazione la liquidazione IVA straordinaria. È un sistema che basa il calcolo sulla percentuale del 100% dell’IVA risultante da una liquidazione straordinaria effettua considerando:

  • tutte le operazioni attive effettuate fino al 20 dicembre
  • le operazioni passive registrate fino al 20 dicembre

è un metodo che conviene a chi ha registrato nell’anno in corso, una sostanziale diminuzione del volume d’affari.

Calcolo acconto IVA: metodo previsionale

Come dice il nome stesso, è un metodo di calcolo che si basa su una previsione dell’andamento dell’azienda nel periodo considerato. La previsione è fatta basandosi sull’andamento del mese di dicembre. L’acconto quindi sarà pari all’88% dell’IVA che si prevede di dover versare per il mese di dicembre dell’anno in corso (contribuenti mensili), o per l’ultimo trimestre (contribuenti trimestrali).

Con questo sistema, però, si corre il rischio di vedere applicate delle sanzioni se il versamento risultasse inferiore rispetto al dovuto.

In ogni caso, comunque, l’acconto va versato entro e non oltre il 27 dicembre di ogni anno utilizzando un modello F24 con modalità telematica.

Tuir: cos’è e a cosa serve il Testo Unico delle Imposte sui Redditi

Tuir è acronimo di Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come dice il nome stesso, disciplina  la tassazione dei redditi di qualunque tipologia di contribuente. Che si tratti di persona fisica, piuttosto che di società, il TUIR è sempre il punto di riferimento a cui rivolgere la propria attenzione. È presente in Italia dal 1986, quando venne introdotto nell’ordinamento dal D.P.R. 917. È in continuo divenire, sempre in aggiornamento per stare al passo con i tempi e disciplinare al meglio l’argomento (spinoso) legato alla tassazione dei redditi. Si tratta di un argomento piuttosto lungo e complesso, più che altro forse, spinoso perché tocca un soggettivamente chiunque. Non si tratta infatti, di una normativa che riguarda esclusivamente le società, i liberi professionisti, le PMI e i commercianti, ma chiunque produca un qualunque tipo di reddito nel nostro paese. Cerchiamo quindi di capire com’è fatto, cosa contiene e a cosa disciplina, nello specifico.

TUIR: com’è strutturato

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi è suddiviso in quattro diverse parti:

  • IRPEF
  • IRES
  • Operazioni di carattere straordinario e operazioni di carattere internazionale
  • Disposizioni varie, transitorie e finali

Ciascuna parte è a sua volta suddivisa in Capi svariati Articoli. Per capire meglio la struttura del testo ne riportiamo la suddivisione nei vari capitoli interni:

IRPEF

  • Titolo I – Imposta sul reddito delle persone fisiche

Seguono poi i Capi dal I al VII, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 1-24)
  • Redditi fondiari (artt. 25-43)
  • Redditi di capitale (artt. 44-48)
  • Redditi di lavoro dipendente (artt. 49-52)
  • Redditi di lavoro autonomo (artt. 53-54)
  • Redditi di impresa (artt. 55-66)
  • Redditi diversi (artt. 67-71)

IRES

  • Titolo II – Imposta sul reddito delle società

Seguono poi i Capi dal I al VI, dedicati a:

  • Soggetti passivi e disposizioni generali (artt. 72-80)
  • Base imponibile società/enti commerciali residenti (artt. 81-142)
  • Enti non commerciali residenti (artt. 143-150)
  • Società ed enti commerciali non residenti (artt. 151-152)
  • Enti non commerciali non residenti (artt. 153-154)
  • Base imponibile per alcune imprese marittime (artt. 155-161)

Tuir

Disposizioni comuni

  • Titolo III – Disposizioni comuni

Seguono poi i Capi dal I al V, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 162-164)
  • Redditi prodotti all’estero e rapporti internazionali (artt. 165-169)
  • Operazioni straordinarie (artt. 170-177)
  • Operazioni straordinarie fra soggetti di diversi stati membri UE (artt. 178-181)
  • Liquidazione volontaria e procedure concorsuali (artt. 182-184)

Titolo IV – Disposizioni varie, transitorie e finali (artt. 185-191)

TUIR: modifiche e aggiunte

Come detto in apertura articolo, il TUIR è un testo sempre in continuo aggiornamento, che cerca di stare così al passo con i tempi. Lo scopo dei vari aggiornamenti, è quello di riuscire a disciplinare al meglio una materia vasta e complessa che cambia di anno in anno in base alla nascita di nuove esigenze fiscali ed economiche, nonché di dinamiche socio-politiche. Le varie modifiche apportate al testo unico vanno, di conseguenza, a incidere su ogni singolo contribuente italiano. Dalla persona fisica, all’azienda più piccola, fino ad arrivare alle società strutturate in compagnie maggiori che emettono ogni anno diverse centinaia di migliaia di fatture elettroniche.

Una delle ultime e più importanti modifiche al TUIR è stata quella applicata con il DLGS 344 del 12 dicembre 2003. Questa norma ha infatti introdotto nel testo unico l’IRPEG= Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche e l’IRES=Imposta sul Reddito delle Società. 

Per quanto riguarda l’IRES, negli articoli: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” e “Irpef e Ires: cosa sono e come funzionano” abbiamo già visto cos’è e quando grava sulle spalle dei contribuenti. Per quanto riguarda invece l’IRPEG, spendiamo qualche parola.

L’IRPEG è stata il precursore dell’IRES. Era una imposta italiana di tipo proporzionale. Dal 1° gennaio 2004 è stata definitivamente sostituita dall’IRES. Lo scopo è stato quello di disciplinare il regime fiscale dei capitali e delle imprese seguendo il modello prevalente nei Paesi membri dell’Unione Europea. Ai tempi fu una modifica radicale e profonda per il Testo unico sulle imposte sui Redditi, che segnò un punto di svolta per tutti. Il Decreto Legislativo artefice di questa modifica fu il 12 dicembre 2003, n. 344 “Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80“.

Piano di welfare aziendale: come funziona, benefit e agevolazioni

Nel precedente articolo: “Welfare aziendale: cos’è e a cosa serve” abbiamo iniziato a vedere cos’è un piano di welfare aziendale e a cosa serve. Nello specifico, adesso, vogliamo spiegare come funziona, come viene erogato e chi sono i destinatari delle agevolazioni. Prima di iniziare riassumiamone il concetto. Il welfare aziendale è un insieme di agevolazioni che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti a tempo indeterminato. I welfare sono quindi dei benefit di cui i dipendenti possono godere a proprio piacimento. Sono stabiliti dal datore di lavoro senza consultare le associazioni sindacali, né i dipendenti (con qualche eccezione). Concedere dei welfare aziendali e usufruire di tali benefit, comporta delle notevoli agevolazioni fiscali sia per i datori di lavoro che per i dipendenti stessi. Vediamo adesso nello specifico come funzionano e chi ne può usufruire al meglio.

Piano di welfare aziendale: ecco come funziona

I welfare aziendali si sono andati via via sempre più diffondendo negli ultimi anni. Incentivati dalle varie leggi di rilancio, dal 2016, i piani di welfare aziendale sono aumentati rispetti alla previsione dei comuni premi di produzione. La loro diffusione è andata di pari passo all’implementazione di tantissime piattaforme che servono a erogare i vari benefit ai dipendenti. Questi portali sono gestiti da società che si occupano esclusivamente, oppure no, di seguire i piani di welfare delle aziende. È attraverso queste piattaforme che il datore di lavoro mette a disposizione dei dipendenti i benefit che ha previsto per loro. I dipendenti registrandosi e accedendo alle varie piattaforme, possono scegliere come utilizzare i vari benefit fino a esaurimento del proprio portafoglio.

Piano di welfare aziendale: i soggetti destinatari dei benefit

Per essere definito tale, un welfare aziendale deve essere rivolto a tutti i dipendenti di un’azienda. In alternativa può anche essere previsto per specifiche categorie di lavoratori. Per categoria non si intende una specifica qualifica contrattuale (impiegati, quadri, operai e dirigenti), ma, in generale, possono essere inclusi vari gruppi di lavoratori accomunati da criteri specifici e comuni (livelli, posizioni, fasce gerarchiche, ecc…).

Uno dei vantaggi del piano welfare aziendale è che i benefit previsti possono anche essere estesi ai familiari dei dipendenti (secondo quanto previsto dall’articolo 12 del TUIR):

  • coniuge non legalmente ed effettivamente separato (o partner nelle unioni civili ex L.76/2016)
  • figli, compresi i naturali riconosciuti, i figli adottivi o affidati
  • coniuge
  • genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi
  • fratelli e sorelle
  • genitori adottanti
  • generi e nuore
  • suocero e suocera

Piano di welfare aziendale

Tipologie di benefit

Abbiamo già visto che il welfare aziendale può prevedere diverse tipologie di benefit. La loro natura è stabilita direttamente dal datore di lavoro. Tra questi ricordiamo:

  • Spese familiari – si tratta di una serie di rimborsi che il lavoratore può richiedere al datore di lavoro per usufruire del proprio portafoglio welfare. I rimborsi sono erogati in busta paga. Le spese sono esenti da imposizione fiscale o previdenziale.
  • Fringe benefit (Beneficts) – i fringe benefit sono beni ceduti o dati in concessione al dipendente da parte del datore di lavoro. Spesso sono dati in concessione beni come l’auto aziendale, un appartamento aziendale, buoni carburante, buoni spesa, card spendibili per viaggi in aereo o in treno. Questi benefit non sono tassati quando il loro valore annuale è inferiore a 258,23€.
  • Buoni Pasto – completamente esenti da tassazione fino ad un importo giornaliero pari a 5,29€ per i buoni pasto cartacei e aumentato a 7€ nel caso di ticket pasto elettronici.
  • Assistenza sanitaria e previdenza – i dipendenti possono destinare tutto o parte dei propri benefit a incrementare e integrare le prestazioni statali fornite dall’INPS, in materia di previdenza e sistema sanitario nazionale. In altre parole possono decidere di destinare il welfare aziendale in casse, fondi e gestioni previsti da contratti collettivi, accordi, regolamenti aziendali che erogano prestazioni integrative previdenziali o assistenziali.
  • Spese per il servizio di trasporto pubblico – rientrano in questa categoria gli abbonamenti di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale. Ci sono due alternative: il datore di lavoro acquista per il dipendente l’abbonamento, oppure ne rimborsa il costo sostenuto dal lavoratore, direttamente in busta paga.

Rimborso degli interessi pagati per un mutuo

Infine i dipendenti possono decidere di usare il portafoglio di welfare aziendali per richiedere il rimborso degli interessi pagati per un mutuo stipulato con la propria banca. In questo caso, il lavoratore non potrà, successivamente, portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi, gli interessi già rimborsati tramite il piano di welfare aziendale.

Welfare aziendale: cos’è e a cosa serve

Il welfare aziendale è un insieme di iniziative, beni e servizi, messi a disposizione delle aziende come sostegno al reddito. Serve per accrescere il potere di spesa, la salute e il benessere dei lavoratori che hanno un contratto a tempo indeterminato. Il termine deriva dall’inglese e significa “benessere”, ma anche sussidi e assistenza sociale. Il welfare aziendale può avere carattere pubblico, privato, oppure aziendale. In Italia, negli ultimi anni, si è riscontrato un sostanziale aumento di piani welfare, sempre più ricchi di beni e servizi.

Welfare aziendale: definizione e agevolazioni

Quindi il welfare aziendale è un piano che l’azienda prevede per l’assegnazione di benefit ai propri dipendenti. Si tratta di un programma che comprende benefici quali beni, prestazioni, opere e servizi di natura, oppure elargiti sotto forma di rimborso spese. I welfare aziendali possono essere costituiti in diverse modalità:

  • per volontà del datore di lavoro attraverso un regolamento aziendale
  • tramite contratto/accordo aziendale
  • attraverso una previsione espressa nel contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL)

Mettere a disposizione dei benefit per i propri dipendenti, consente ai datori di lavoro di accedere a specifici privilegi fiscali. Ad esempio, i welfare aziendali consentono ai datori di godere dell’esenzione contributiva e della deducibilità totale o parziale dal reddito d’impresa, sempre secondo gli attuali criteri di legge. Da parte loro invece, i dipendenti che beneficiano dei benefit messi a loro disposizione, sono esentati, in maniera totale o parziale, da imposte e contributi.

Welfare aziendale: cos’è

Entrando nello specifico i welfare aziendali sono un insieme di prestazioni non monetarie che il datore di lavoro mette a disposizione dei dipendenti. In altre parole, si tratta di agevolazioni aggiuntive alla retribuzione percepita dai dipendenti. I benefit concessi possono avere varia natura:

Ciascuna di queste forme gode di un particolare regime fiscale agevolato, sia per il dipendente che per il datore di lavoro. La diffusione dei welfare aziendali, negli ultimi anni, è stata particolarmente marcata. Una situazione che ha portato, addirittura, alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro, a prevedere degli importi annuali che il datore di lavoro è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori (come ad esempio è successo nel settore dell’industria metalmeccanica).

 

Welfare aziendale

Tutti i benefit previsti

Come abbiamo visto i welfare aziendali prevedono una serie precisa di agevolazioni non monetarie a disposizione dei dipendenti. Il pacchetto di agevolazioni è definito dal datore di lavoro. Questi può scegliere tra molteplici alternative. Infatti, la normativa fiscale prevede che i welfare possano essere:

  • buoni d’acquisto per il carburante
  • contributi per shopping o spesa al supermercato
  • sport e benessere, tempo libero, cultura e formazione
  • previdenza complementare;
  • assistenza sanitaria integrativa
  • rimborsi scolastici

Le tipologie di welfare aziendale che possono essere messe a disposizione dei dipendenti, sono individuate dalla normativa fiscale (art. 51 del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi).

Il piano welfare aziendale è comunque stabilito in piena autonomia direttamente dal datore di lavoro. Nel processo decisionale non sono interpellati i dipendenti, né le associazioni sindacali (a eccezione della costituzione del welfare aziendale relativo al premio di produzione). Esiste un’unica caratteristiche che deve sempre essere rispettata. L’erogazione ai welfare è subordinata al raggiungimento di risultati. È il datore di lavoro che determina liberamente gli obiettivi da raggiungere.

Esiste anche un’alternativa che consente al datore di lavoro di permettere ai dipendenti di convertire tutto, o parte, dei premi produzione, in welfare. In questo caso ci sono però alcune regole da seguire:

  • è necessaria una contrattazione di secondo livello
  • il contratto d’accordo deve essere depositato sul portale ministeriale
  • è indispensabile prevedere l’indicazione di precisi parametri misurabili di incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. In questi casi, inoltre, la decisione di convertire il proprio premio di risultato deve essere presa liberamente dal singolo lavoratore.

Flexible benefit VS premi di risultato

Le varie leggi di stabilità che si sono susseguite dal 2016 ad oggi, hanno agevolato la diffusione dei welfare aziendali. Lentamente questi stanno andando a sostituire i vecchi premi di produzione. La grande differenza che intercorre tra premi di produzione e welfare aziendali, sta nella flessibilità dei benefit. Sono infatti definiti anche come flexible benefit, vale a dire “flessibili”. Proprio la loro versatilità consente al lavoratore di scegliere come “spendere” il proprio portafoglio di benefit messi a disposizione dal datore di lavoro.

Registro delle imprese: cos’è, a cosa serve e come funziona

In Italia quando si decide di aprire una partita IVA ci sono una serie di obblighi a cui dover adempiere. Uno di questi prevede l’iscrizione al registro delle imprese. Si tratta di un registro che permette di consultare dati e documenti su qualunque azienda italiana. È un registro gestito direttamente dalle varie Camere di Commercio che si trovano disseminate su tutto il territorio nazionale. In altre parole è una sorta di anagrafe delle imprese consultabile pubblicamente. Quindi, chi intende vivere emettendo fatture elettroniche e non, come titolare di un’attività in Italia, deve per forza iscriversi in questo registro.

Registro delle Imprese: un po’ di storia

La storia del registro delle imprese inizia nel lontano 1942, quando venne previsto per la prima volta nel Codice Civile. Per l’attuazione però bisogna attendere il 1993 grazie alla legge n°580 e reso operativo un paio di anni dopo nel 1995. Il registro delle imprese ha unificato il precedente registro delle società e il registro delle ditte. Nel nuovo registro sono stati compresi tutti i dati e i documenti relativi a ogni singola azienda italiana, impresa estera con sede o unità locale in Italia e tutti gli altri enti che esercitano un’attività economica.

Anche il registro delle imprese ha subito una trasformazione digitale. Progressivamente, dal 1996 al 2012, si è trasformato diventando infine telematico. L’iscrizione telematica è diventata definitivamente obbligatoria a partire dal 1997. Successivamente il registro imprese  ha assunto anche i ruoli che fino ad allora erano ricoperti dagli ex Ruoli degli Agenti di commercio, degli Agenti d’affari in mediazione e degli spedizionieri autorizzati.

Il Registro è oggi fruibile anche online e ha rappresentato, in certo senso, il precursore della dematerializzazione che ha visto coinvolte le PA negli ultimi anni.

Registro delle Imprese: a cosa serve

Il registro serve a raccogliere in modo semplice e preciso, tutte le informazioni che riguardano un’impresa. Dal nome della società, fino alle sedi legali e operative, dal nome dei soci, fino a quelle dei capitali versati. Insomma, tutto quello che riguarda un’attività e che può essere d’interesse pubblico. Il registro è infatti consultabile pubblicamente. È suddiviso in una sezione ordinaria e una sezione speciale. Nella sezione ordinaria si trovano:

  • imprese individuali
  • società
  • cooperative
  • consorzi
  • Enti Pubblici che svolgono come attività principale il commercio
  • gruppi europei di interesse economico (GEIE)
  • società estere con sede in Italia
  • aziende speciali
  • consorzi degli enti locali

Registro delle imprese

Nella sezione speciale invece ci sono:

  • aziende agricole
  • piccole aziende commerciali
  • coltivatori diretti
  • società semplici
  • artigiani
  • startup
  • PMI innovative
  • società tra professionisti e avvocati

La differenza è importante quando si tratta, ad esempio, di bandi pubblici. Alcuni di questi, infatti, sono aperti o all’una, o all’altra sezione. Iscriversi al registro delle imprese, inoltre, può dare modo di accedere anche a eventuali esenzioni fiscali.

Come consultare il registro imprese

Il registro delle imprese dispone di un proprio sito: www.registroimprese.it. I registri sono gestiti dalle relative camere di commercio di competenza territoriale. Sul sito è possibile cercare un’azienda in base alla provincia di appartenenza, oppure in modo libero e generale.

Appena iscritto, un imprenditore può subito accedere a molti documenti per partecipare a un bando pubblico. L’accesso ai bandi è consentito con firma digitale CNS o con SPID.

Molti documenti sono gratuiti, mentre per altri è richiesto il pagamento di un corrispettivo di diritti di segreteria stabiliti direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico. Quando si consulta il registro delle imprese è possibile ottenere certificate e visure di ogni azienda interessata alla ricerca. Non solo. Oggi è possibile anche ottenere una mappa per visualizzare ogni sede di una stessa attività.

La maggior parte delle volte, il registro è consultato per capire se un’azienda è ancora attiva oppure no. Utile da studiare per capire quanti e quali competitor si possono trovare in una certa zona. È anche utile quando si è alla ricerca di eventuali partner con i quali iniziare una collaborazione imprenditoriale. Questo fa capire quanto sia importante il registro delle imprese. Non si tratta infatti semplicemente di un obbligo al quale assolvere quando si decide di aprire partita IVA. È un database completo e consultabile pubblicamente da chiunque per ottenere tutta una serie di preziose informazioni per il proprio business. Senza contare che, iscrivendosi nel registro, si hanno diverse opportunità di business, collaborazione e partecipazione ai bandi pubblici.

Azienda in liquidazione: cosa significa e quale procedura è prevista

Mettere un’azienda in liquidazione, non è mai una scelta facile da prendere. Decidere infine di liquidare un’impresa nella quale si sono profusi tempo, denaro, energie e speranze, è davvero difficile. Sembra però essere l’unico metodo utile per salvare il salvabile e rimettersi in gioco con una nuova attività. Anche se si tratta di una situazione dura da affrontare, è comunque una possibilità, per chi emette fatture elettroniche e non, e vive con la propria impresa, che deve prendere sempre in considerazione. Vediamo quindi di capire per bene di cosa si tratta.

Azienda in liquidazione: che cosa significa

Mettere un’azienda in liquidazione significa che i beni dell’attività sono messi in vendita (liquidati) e l’azienda viene chiusa. Si tratta di una decisione che spetta al CEO, oppure ai socie dell’azienda, o ancora al consiglio d’amministrazione se si tratta di un’azienda di grandi dimensioni. Un’azienda in liquidazione può anche essere messa in modo coatto (liquidazione coatta). A seguito di atti illeciti, o reati, la legge stabilisce di chiudere l’impresa e liquidarne i beni.

I beni sono quindi messi in vendita. Il ricavato è utilizzato per pagare i debiti e gli insoluti. Al termine della procedura, se rimane un patrimonio attivo, è allora diviso tra i vari soci. Appena dichiarata la liquidazione, vi è un periodo nel quale l’attività deve concludere tutti i lavori in pending e cercare di saldare tutti i debito. La liquidazione termina quando tutti i beni dell’impresa sono stati liquidati e la società cessa, di conseguenza, di esistere.

Nei casi in cui l’azienda non ha debiti, passivi, o attivi, può comunque decidere di chiudere definitivamente l’azienda, senza dover per forza passare attraverso la procedura della liquidazione.

Azienda in liquidazione: le diverse tipologie

Esistono diverse tipologie di liquidazione delle attività:

  • volontario o ordinaria – si tratta del caso più comune, quello nel quale i soci stessi decidono di porre fine alla vita dell’azienda e mettono i beni in liquidazione. I divide in tre fasi: causa di scioglimento, liquidazione, estinzione.
  • forzata o giudiziale – è il tribunale a stabilire la chiusura e la messa in liquidazione dell’azienda.
  • coatta o amministrativa – come specificato prima, è l’autorità amministrativa, a stabilire che l’azienda venga messa in liquidazione (per esempio a seguito di reati o illeciti).

Azienda in liquidazione

Le fasi della liquidazione

Che si tratti di volontaria, forzata o coatta, un’azienda in liquidazione deve passare tre diverse fasi:

  • decisione di mettere l’azienda in liquidazione (causa di scioglimento)
  • assemblea dei soci per decidere il numero dei liquidatori, la loro nomina e i criteri per il processo di liquidazione
  • nomina del liquidatore – la figura che deve gestire la liquidazione materiale dei beni dell’impresa. Si può trattare di un socio o di un commercialista, nel caso di liquidazione volontaria, oppure del tribunale stesso se si tratta di liquidazione coatta.
  • Fase di bilancio di chiusura – in questa fase il liquidatore si preoccupa di estinguere i debiti aziendali e riscuotere eventuali crediti. È così possibile chiudere il bilancio.
  • Estinzione – ultima fase nella quale l’azienda in liquidazione cessa definitivamente di esistere. La società è infine cancellata dal registro delle imprese.

Anche se spiegata così può sembrare relativamente semplice, si tratta invece di una procedura molto lunga e complicata. In alcuni casi, infatti, può durare anche diversi anni. Per questo motivo è stata creata una procedura di liquidazione semplificata.

Liquidazione semplificata: la procedura in poche parole

Quando un’azienda in liquidazione avvia la pratica che la porterà alla sua chiusura definitiva, è sempre necessaria la figura di un notaio. Sempre, a meno che non si tratti di una società a responsabilità limitata (SRL). In questo processo non è previsto nemmeno un termine perentorio ai fini della contestazione. In pratica una volta stabilito che la società deve essere messa in liquidazione, l’organo amministrativo accerta la causa di scioglimento, deposita la contestazione al Registro delle Imprese e convoca l’assemblea dei soci. Questi ultimi devono deliberare su:

  • numero dei liquidatori
  • nomina dei liquidatori
  • criteri per far svolgere la liquidazione

L’assemblea delibera con maggioranze qualificate e il verbale non è imposto. Quindi non è necessario che il verbale sia redatto e depositato da un notaio. Si tratta quindi di una procedura molto più semplice e snella, sicuramente molto meno onerosa. Si attiva solo ed esclusivamente difronte a specifiche casistiche previste dal n°1 al n° 5 dell’articolo 2484 del codice civile.

Factoring: cos’è e come funziona

Il factoring è una particolare tipologia di contratto che, soprattutto negli ultimi anni, si è sempre più diffusa a macchia d’olio. Si tratta di un istituto giuridico utilizzato nel diritto commerciale. Serve per tenere sotto controllo i flussi di cassa e ottenere credito immediato dagli istituti bancari. L’esigenza è nata soprattutto perché risulta sempre più difficile riuscire a riscuotere dai propri creditori. Chi ha intenzione di aprire una partita IVA, ma anche chi è già titolare di una microimpresa, o di una grande azienda strutturata, dovrebbe conoscere bene questo istituto. Può essere una vera e propria “ancora di salvezza” in moltissime occasioni. Cerchiamo quindi di conoscerlo meglio e di capirne il corretto funzionamento.

Factoring: un indispensabile strumento per le PMI

L’istituto giuridico del factoring è un contratto con il quale un’impresa cede a una società specializzata (che può anche essere un istituto bancario) i propri crediti. I crediti possono essere presenti o futuri. Lo scopo è quello di ottenere liquidità immediata e una serie di servizi correlati alla gestione del credito ceduto. Con questo sistema è possibile, infatti, ottenere la gestione e l’amministrazione, l’incasso e l’anticipazione dei crediti, prima ancora della loro effettiva scadenza.

Questa particolare risorsa è sfruttata soprattutto dalle imprese che si avvalgono di pagamenti dilazionati con i propri clienti. Un’altra categoria che sfrutta appieno questo sistema è rappresentata dalle PMI che lavorano con la pubblica amministrazione, che ha, notoriamente, tempi molto lunghi per eseguire i pagamenti.

I soggetti coinvolti

Nel factoring i soggetti coinvolti sono:

  • Factor – è l’operatore specializzato che prende in carico i crediti dell’impresa cedente. Il factor gestisce e finanzia anticipatamente una parte (o tutta) dei crediti dell’impresa.
  • Impresa cedente – si tratta dell’impresa che decide di cedere al factor il proprio credito e che ottiene in cambio, immediata liquidità.
  • Debitore ceduto – è rappresentato dall’azienda con la quale l’impresa cedente ha un contratto di fornitura.

Factoring: come funziona

L’impresa cedente cede al factor i crediti che deve avere dall’azienda con cui ha un contratto di fornitura. In cambio, il factor mette a disposizione dell’impresa cedente immediata liquidità. Spetta poi al factor riscuotere i crediti dell’azienda fornitrice. È chiaro quindi che il factoring è un vero e proprio finanziamento d’impresa. Un sistema che consente all’impresa cedente di continuare a pagare puntualmente i propri fornitori e portare avanti la propria attività, senza doversi preoccupare dei pagamenti in ritardo da parte dei propri clienti.

Il factor si assume quindi l’onere di riscuotere i crediti dell’impresa cedente. Per eseguire una tale operazione, il factor richiede il pagamento all’impresa di una relativa commissione. Una tipologia di contratto molto particolare che consente al factor di erogare liquidità all’impresa sotto forma di anticipo sui crediti non ancora scaduti.

Factoring: soluzioni personalizzate

Il contratto di factoring offre numerose soluzioni personalizzate che si differenziano a seconda del business dell’impresa cedente. Il factoring si occupa di:

  • Valutare il portafoglio commerciale dell’impresa cedente
  • Amministrare, gestire e incassare i crediti ceduti (attuali e futuri)
  • Anticipare i crediti all’impresa cedente prima che questi scadano
  • Fornire assistenza legale in fase di recupero crediti
  • Fornire una garanzia del buon fine delle operazioni al termine delle stesse

Factoring

Tipologie di contratto factoring

I contratti factoring non sono tutti uguali. Ne esistono di diverse tipologie:

  • Pro Solvendo – anche se l’impresa cedente passa i propri crediti al factor, rimane comunque titolare dei rischi di insolvenza.
  • Pro Soluto – in questo caso è il factor che, oltre ad occuparsi del servizio di gestione, incasso e finanziamento, si assume anche il rischio di insolvenza.
  • Garantito dal Fondo Di Garanzia – al Factoring Pro Solvendo è possibile aggiungere il factor garantito dal Fondo Centrale di Garanzia. Il fondo copre ben il 60% del finanziamento. Un contratto molto utile per le piccole e nuove imprese, nonché per quelle artigiane.
  • Acquisto a Titolo Definitivo – il rischio d’impresa è a carico del factor ed è possibile fare la derecognition dal bilancio delle attività finanziarie cedute. Con questa formula è esclusa totalmente la possibilità di regresso dei crediti ceduti anche nel caso di insolvenza o mancato pagamento del debitore ceduto.
  • Anticipo Crediti Futuri – il factor anticipa all’impresa cedente un 10-20% del totale imponibile stesso. Il recupero dell’anticipazione dei crediti futuri, avviene con trattenuta di una parte delle anticipazioni dei corrispettivi. Avviene quindi di volta in volta, da parte dell’impresa sui crediti sorti e decaduti pro solvendo o pro soluto.
  • Opzione Maturity – Un’opzione che fa si che il factor garantisca l’erogazione del 100% del corrispettivo e un’eventuale dilazione di pagamento del credito. L’opzione è frutto di un accordo preventivo tra factor e impresa debitrice. L’accordo contrattuale è stipulato tra impresa, banca e debitore ceduto. L’opzione regolamenta il pagamento a scadenza ed i termini dell’eventuale dilazione accordata al debitore.

Software gestionale: ecco perché conviene averlo per la fatturazione elettronica

Chi ha partita IVA e si avvale della fatturazione elettronica sa già quanto possa essere essenziale avere un software gestionale. Pratico, comodo, veloce e funzionale, fa risparmiare tempo, soldi e risorse, risolvendo innumerevoli “grattacapi”. All’interno di una società com’è quella attuale, competitiva e soggetta a repentini cambiamenti, una gestione omogenea della propria azienda, può davvero fare la differenza. Quindi un software gestionale per le fatture elettroniche diventa uno strumento indispensabile e un valore aggiunto per tutte le imprese e i professionisti. Chi sceglie di mettersi in proprio e di aprire partita IVA la prima cosa che dovrebbe fare, è quella di pensare di munirsi di un software per la gestione delle fatture elettroniche. Vediamo quindi tutti i motivi per cui è vantaggioso abbonarsi a FatturaPRO.click, sia per chi è alle prime armi, come per chi sta pensando di cambiare gestionale.

Software gestionale fattura elettronica:

Le imprese che decidono di dotarsi di un software gestionale fatture elettroniche hanno una durata di vita superiore ai propri competitor. La maggior parte delle imprese italiane, infatti, “muore” entro soli 5 anni dall’apertura della partita IVA. E non si tratta solo di una questione di “peso fiscale”, ma anche e soprattutto di gestione e amministrazione interna. Una scorretta, manchevole, o addirittura mancante gestione delle fatture elettroniche e della propria azienda, porta a una catastrofica fine imprenditoriale.

Risparmiare tempo e soldi

L’amministrazione e la contabilità di un’azienda richiedono tempo, risorse e soldi. Tre elementi assolutamente importantissimi per la sopravvivenza di un’azienda. Tre elementi che possono essere “risparmiati” e reimpiegati in modo migliore, semplicemente decidendo di dotarsi di un software gestionale per le fatture elettroniche.

Grazie a un software gestionale tutto quello che riguarda le fatture elettroniche è amministrato e svolto regolarmente e in maniera rapida e sicura (dalla creazione, all’invio, passando per la conservazione sostitutiva). È possibile “scrollarsi” di dosso l’onere di ricordare a memoria scadenze, pagamenti, incassi e cicli di fatturazione (attivi e passivi). Pensa a tutto il software e lo fa in maniera molto metodica, sistematica e più precisa di una persona. Lo scadenzario del programma lavora per e al posto degli imprenditori. Promemoria automatici, automatizzazioni di solleciti e pagamenti e invii dedicati e automatici. Tutto questo e molto di più a portata di click, sempre e ovunque e con un unico programma.

Software gestionale

Fatturato, conti e finanze sempre sotto controllo

Un software gestionale delle fatture elettroniche permette di tenere sempre sotto controllo le proprie finanze. È infatti la piattaforma a ricordarsi chi deve ancora pagare ed entro quando. Ed è sempre il sistema che ricorda ai propri clienti le varie scadenze e i saldi da dover rispettare. Tutto chiaro e alla luce del sole. Ogni dato è riportato, calcolato ed esposto in una bacheca chiara e precisa, che può essere controllata in qualunque momento anche dal cellulare. Un maggior controllo delle proprie finanze, significa avere tutto sotto controllo, conoscere meglio la propria attività e, di conseguenza, saperne sfruttare appieno i punti di forza (che tradotto poi significa fare semplicemente più fatturato).

Il software non sbaglia!

È vero, sbagliando si impara, ma è anche vero che sbagliando si perde un “sacco di tempo”. Emettere una fattura elettronica che non doveva essere emessa, inviare una nota di credito al cliente sbagliato, o dimenticarsi di registrare una fatturazione importante, fa perdere minuti, se non addirittura ore, di preziosissimo tempo/business. Quindi, perché rischiare di sbagliare facendo tutto da soli, quando invece è possibile affidarsi a un sistema funzionante al 100% e pressoché autonomo? Un software gestionale è la soluzione ideale per chi è alle prime armi e non sa ancora bene dove mettere le mani, ma è perfetto anche per chi non tempo da perdere e vuole pensare a fatturare piuttosto che perdersi dietro alla contabilità.

Miglior software gestionale: FatturaPro

Ed eccoci al punto! Quale software gestionale per la fatturazione elettronica scegliere? Qual è il migliore del 2021? Sulla piazza ce ne sono davvero tantissimi. Alcuni sono molto costosi, altri sono particolarmente difficili da usare e altri ancora non sono completi in tutte le loro funzioni. Per fortuna una soluzione c’è e si chiama FatturaPRO.

Un’unica piattaforma per la fatturazione elettronica, per i corrispettivi telematici (anche senza registratore di cassa) e con la Conservazione Digitale a norma AgID inclusa. Facile, veloce e tutto incluso. Prezzi vantaggiosi, abbonamenti pensati su misura e un’assistenza rapida e garantita che molte altre piattaforme del settore non hanno.