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Fattura di cortesia: cos’è, a cosa serve e quando è obbligatoria

Una fattura di cortesia è un documento che attesta l’avvenuta transazione commerciale tra fornitore e cliente. È emessa al momento della fornitura di beni o servizi ed è obbligatoria per tutti i fornitori che svolgono attività commerciali o professionali, che effettuano transazioni con clienti non esenti da IVA o che forniscono beni o servizi soggetti a IVA. La corretta emissione e la precisione delle informazioni presenti sulla fattura di cortesia sono d’importanza fondamentale per conferire validità giuridica alla transazione commerciale.

Fattura di cortesia: cos’è e come funziona

La fattura di cortesia è un documento fiscale emesso dal fornitore al cliente, che attesta il corretto adempimento dell’obbligo fiscale e delle disposizioni previste dalla legge. Il suo scopo principale è quello di confermare la transazione commerciale tra le parti, che può essere rilevante ai fini fiscali o per altri scopi.

La fattura di cortesia può essere sia cartacea oppure emessa come fattura elettronica. In ogni caso e deve contenere le informazioni obbligatorie previste dalla legge, come ad esempio:

  1. nome del fornitore
  2. codice fiscale del fornitore
  3. codice fiscale del cliente
  4. descrizione del prodotto o del servizio fornito
  5. prezzo
  6. data della transazione
  7. numero d’identificazione fiscale del fornitore
  8. numero d’identificazione fiscale del fornitore del cliente
  9. data di emissione della fattura
  10. aliquota IVA applicata
  11. importo totale della transazione, comprensivo dell’IVA.

Chiunque eserciti un’attività commerciale o professionale che preveda la fornitura di beni o servizi è obbligato a emettere la fattura di cortesia ai propri clienti. Esistono comunque delle eccezioni, ad esempio per i clienti esenti da IVA, non è necessario emetterla. La fattura di cortesia deve essere conservata dal fornitore per un periodo di tempo determinato dalla legge e può essere richiesta dall’Agenzia delle Entrate in qualsiasi momento.

La correttezza e la completezza della fattura sono elementi essenziali per la validità giuridica della transazione commerciale e per evitare sanzioni fiscali. È importante che la fattura di cortesia sia emessa tempestivamente e che rispetti tutte le norme previste dalla legge.

Fattura di cortesia

Fatture di cortesia: a cosa servono e quali sono i loro vantaggi

La fattura di cortesia è un documento importante anche per il fornitore. Questo infatti gli consente di dimostrare l’avvenuto pagamento da parte del cliente e di registrare l’operazione nel proprio conto corrente. Inoltre, la fattura aiuta il fornitore a tenere traccia delle vendite e delle transazioni commerciali, e a preparare la dichiarazione dei redditi.

Si tratta anche di un importante strumento per la prevenzione dell’evasione fiscale. Consente agli organi di controllo di verificare la corretta applicazione dell’IVA e di verificare che i fornitori siano in regola con i loro obblighi fiscali.

Fattura elettronica e fattura di cortesia: obblighi e disposizioni fiscali in merito

L’emissione di una fattura di cortesia è obbligatoria per tutti i fornitori che esercitano attività commerciali o professionali, e che effettuano transazioni con clienti che non siano soggetti esenti da IVA. È obbligatoria anche in caso di fornitura di beni o servizi che rientrano nella definizione di “operazioni imponibili”, ovvero quelle soggette a IVA.

Le disposizioni fiscali stabiliscono che la fattura di cortesia deve essere emessa entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la transazione. È inoltre stabilito che deve contenere tutte le informazioni necessarie per la regolare registrazione della transazione ai fini fiscali.

Inoltre, è importante tenere presente che questo tipo di fattura può essere emessa sia in formato cartaceo che elettronico. La dicitura “copia di cortesia” può essere inserita solo per indicare che si tratta di una copia destinata al cliente e non al fisco.

In ogni caso, è sempre consigliabile verificare le disposizioni fiscali vigenti e consultare un professionista del settore. Solo in questo modo è possibile avere la sicurezza di ricevere tutte le corrette informazioni sulla giusta emissione di una fattura di cortesia e sui suoi eventuali vantaggi fiscali.

Come calcolare l’iva in fattura

Il calcolo dell’IVA in fattura è una procedura importante per qualsiasi azienda che desideri emettere correttamente fatture elettroniche ai propri clienti. Vediamo quindi di capre meglio come calcolare l’IVA in fattura su un importo totale, parziale e scontato.

Come calcolare l’IVA in fattura su un importo totale

Per calcolare l’IVA in fattura su un importo totale, è necessario conoscere la percentuale di IVA applicabile per il tipo di prodotto o servizio in questione. In Italia, ad esempio, l’IVA è attualmente al 22%. Quindi, per calcolare l’IVA su un importo totale di 100 euro, si utilizzerebbe la seguente formula:

Importo IVA = Importo totale x Percentuale IVA

Nel nostro esempio, l’importo dell’IVA sarebbe di 22 euro (100 x 0,22).

La percentuale di IVA varia in base al paese e al tipo di prodotto o servizio. In Europa, alcune delle percentuali di IVA più comuni sono:

  1. Francia: l’IVA standard è del 20%, ma ci sono anche alcuni prodotti e servizi soggetti a un’IVA ridotta del 5,5% e un’IVA super ridotta del 2,1%.
  2. Germania: l’IVA standard è del 19%, ma ci sono anche alcuni prodotti e servizi soggetti a un’IVA ridotta del 7%.
  3. Regno Unito: l’IVA standard è del 20%, ma ci sono anche alcuni prodotti e servizi soggetti a un’IVA ridotta del 5% e un’IVA zero del 0%.

Tenendo conto dell’esempio che abbiamo fatto anche per l’Italia, per calcolare l’IVA su un importo totale di 100 euro in Francia, ad esempio, si utilizzerebbe la seguente formula:

  • Importo IVA = Importo totale x Percentuale IVA
  • L’importo dell’IVA sarebbe di 20 euro (100 x 0,20).

Per calcolare l’IVA su un importo totale di 100 euro in Germania, si utilizzerebbe la seguente formula:

  • Importo IVA = Importo totale x Percentuale IVA
  • L’importo dell’IVA sarebbe di 19 euro (100 x 0,19).

Per calcolare l’IVA su un importo totale di 100 euro nel Regno Unito, si utilizzerebbe la seguente formula:

  • Importo IVA = Importo totale x Percentuale IVA
  • L’importo dell’IVA sarebbe di 20 euro (100 x 0,20).

Si consiglia di verificare sempre le percentuali di IVA in vigore nel proprio paese prima di calcolare l’IVA in fattura, in quanto possono essere soggette a variazioni e cambiamenti.

Come calcolare l'iva in fattura

 

Come calcolare IVA in fattura su un importo parziale

Per sapere come calcolare l’IVA in fattura su un importo parziale, è necessario prima calcolare l’importo totale comprensivo di IVA. Quindi, si può utilizzare la seguente formula per calcolare l’importo parziale esente da IVA:

Importo parziale = Importo totale / (1 + Percentuale IVA)

Ad esempio, se l’importo totale di un prodotto con IVA al 22% è di 122 euro, l’importo parziale esente da IVA sarebbe di 100 euro (122 / 1,22).

Calcolo IVA fattura su un importo scontato

Per calcolare l’IVA in fattura su un importo scontato, è necessario prima calcolare l’importo totale scontato. Quindi, si può utilizzare la stessa formula utilizzata per calcolare l’IVA su un importo totale per calcolare l’IVA sull’importo scontato.

Ad esempio, se l’importo totale di un prodotto con IVA al 22% è di 100 euro ed è applicato uno sconto del 10%, l’importo scontato sarebbe di 90 euro (100 – 10). L’importo dell’IVA sull’importo scontato sarebbe di 19,8 euro (90 x 0,22).

Calcolo IVA in fattura:  gli aspetti da considerare

Aprire una partita IVA comporta delle conoscenze di base che riguardano anche l’amministrazione e il lato fiscale di un’impresa. Per questo è importante sapere come calcolare l’IVA in fattura e quali sono tutti i fattori da considerare durante il calcolo:

  1. La percentuale di IVA applicabile: varia in base al paese e al tipo di prodotto o servizio. È importante verificare la percentuale di IVA applicabile per il proprio prodotto o servizio prima di calcolare l’IVA in fattura.
  2. Se l’IVA è inclusa o esclusa dall’importo totale: In alcuni paesi l’IVA è inclusa nell’importo totale mentre in altri è esclusa, quindi è importante conoscere la normativa del proprio paese per calcolare correttamente l’IVA.
  3. La possibilità di sconti o agevolazioni fiscali: In alcuni casi, potrebbero essere applicati sconti o agevolazioni fiscali su determinati prodotti o servizi. Verificare quindi se si è idonei per queste agevolazioni e calcolare l’IVA di conseguenza.
  4. La necessità di registrare l’IVA in fattura in un registro IVA: In molti Stati è richiesto di registrare l’IVA in fattura in un registro IVA È importante conoscere queste regole e seguirle per evitare sanzioni fiscali.
  5. La necessità di comunicare l’IVA in fattura all’Agenzia delle Entrate: Qualche volta è richiesto di comunicare l’IVA in fattura all’Agenzia delle Entrate entro un determinato periodo di tempo. Conoscere queste regole e seguirle evita l’applicazione di sanzioni fiscali.
  6. La possibilità di dedurre l’IVA in fattura come costo aziendale: talvolta è possibile dedurre l’IVA in fattura come costo aziendale.

In generale, è importante essere sempre informati sulle norme fiscali locali e consultare un professionista del settore fiscale per avere maggiori informazioni e per effettuare il calcolo dell’IVA in modo corretto e preciso.

Come annullare una fattura elettronica

La fatturazione elettronica è un sistema di emissione e trasmissione di fatture attraverso il web, introdotto in Italia dal 2019. In questo articolo, spiegheremo come annullare una fattura elettronica.

Si Può Annullare una Fattura Elettronica?

Sì, è possibile annullare una fattura elettronica. In alcuni casi, potrebbe essere necessario annullare una fattura elettronica perché è stata emessa in modo errato o perché la transazione commerciale a cui si riferisce non è andata a buon fine.

Come Annullare una Fattura Elettronica Emessa Ma non ancora inviata

Per annullare una fattura elettronica non ancora inviata, basta semplicemente eliminarla dal proprio sistema di fatturazione. Una volta emessa e salvata, una fattura elettronica non può essere modificata o cancellata. Pertanto, è importante verificare attentamente i dati inseriti prima di procedere all’emissione. Se la fattura contiene un errore ma non si è ancora proceduto all’invio, è sufficiente eliminarlo definitivamente dalla propria piattaforma e crearne una nuova corretta. È importante assicurarsi di seguire le linee guida stabilite dall’Agenzia delle Entrate per l’emissione delle fatture elettroniche.

Annullare una fattura elettronica scartata dal Sistema di Interscambio

Quando una fattura elettronica inviata al Sistema di Interscambio (SdI) è scartata perché contenente errori, non può più essere annullata. Una volta emessa e inviata, una fattura elettronica non può essere modificata o cancellata. Pertanto, il primo passo da fare in questo caso è correggere gli errori della fattura scartata e inviarla nuovamente al SdI entro 5 giorni dalla data della notifica di scarto. In questo specifico caso è fondamentale assicurarsi di utilizzare lo stesso numero e la stessa data della fattura originale. In alternativa è anche possibile emettere una nuova fattura corretta con nuovo numero e data, seguendo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate. In ogni caso, è sempre consigliato consultare e seguire le linee guida stabilite dall’Agenzia delle Entrate per l’emissione delle fatture elettroniche.

Fattura elettronica rifiutata dalla pubblica amministrazione

La Pubblica Amministrazione può rifiutare una fattura elettronica anche se è stata già approvata dal Sistema di Interscambio (SdI). Ci sono due modi in cui questo può avvenire:

  1. la Pubblica Amministrazione può inviare una “Notifica di esito negativo“, in cui notifica gli errori presenti nella fattura
  2. può rifiutare la fattura dopo averla già accettata o più di 15 giorni dopo averla ricevuta senza prima segnalare eventuali problemi.

In questi casi, la Pubblica Amministrazione potrebbe contattare direttamente il mittente della fattura per richiedere una nota di credito e una nuova fattura elettronica. È importante correggere gli errori il prima possibile per evitare sanzioni in caso di controlli delle autorità.

Come annullare una fattura elettronica

Nota di credito fattura elettronica

La nota di credito è un documento utilizzato per annullare o modificare una fattura già emessa. Con l’entrata in vigore della fattura elettronica, l’emissione di una nota di credito diventa simile all’emissione di una fattura elettronica stessa. Anche la nota di credito deve essere trasmessa attraverso il Sistema di Interscambio (SdI) utilizzando il codice operativo TD04. In alcuni casi, non è necessario emettere una nota di credito. Ad esempio:

  • l’IBAN è diverso
  • i campi della fattura elettronica (FE) sono compilati in modo improprio
  • l’indirizzo PEC è errato ma la fattura è stata comunque ricevuta dallo SdI
  • l’importo totale è sbagliato ma l’imponibile e l’IVA sono corretti.

Come fare nota di credito fattura elettronica

La necessità di sapere come annullare una fattura elettronica è nata sin da quando è entrato in vigore l’obbligo della fatturazione elettronica. A questa necessità si è affiancata anche quella di sapere come emettere una nota di credito. Vogliamo quindi ricordare brevemente le caratteristiche principali delle note di credito. La nota di credito ha caratteristiche simili a una fattura ordinaria, ma deve essere indicata come “nota di credito” e deve contenere alcune informazioni specifiche. In particolare, devono essere specificati:

  1. data di emissione
  2. numero progressivo
  3. dati dell’emittente
  4. dati del destinatario
  5. tipo di pagamento.

Inoltre, dev’essere fornita una descrizione della prestazione, che può essere l’importo totale nel caso di annullamento della fattura o l’importo da rettificare in caso di modifica della fattura. Altre informazioni da includere sono le modifiche all’IVA, alla rivalsa INPS e alla ritenuta d’acconto. Nel caso in cui sia apportata una modifica alla rivalsa INPS o all’IVA, questi importi devono essere indicati in negativo. Se è apportata una modifica alla ritenuta d’acconto, deve essere indicata in positivo. È importante compilare correttamente la nota di credito per evitare sanzioni in caso di controlli delle autorità. È anche importante tenere traccia delle note di credito emesse, in modo da poterle utilizzare come riferimento in futuro, se necessario.

Accompagnatore Turistico: requisiti, regole e regime

Un accompagnatore turistico non è esattamente una guida turistica. La sua attività consiste nell’accompagnare i turisti, singoli o in gruppo, nei vari viaggi svolti sul territorio italiano. Si occupa dell’organizzazione del viaggio (tappe, tour e spostamenti) e fornisce informazioni generiche sui luoghi visitati. Per svolgere questa attività in modo autonomo è necessario aprire partita IVA, scegliere il regime fiscale più consono e versare i contributi previdenziali che permettono di accedere alla pensione.

Accompagnatore Turistico: chi è e cosa fa

L’accompagnatore turistico guida gruppi di persone straniere in Italia, oppure italiani all’estero. Organizza il viaggio e segue persone e comitive per accertarsi che tutto vada per il meglio e che il programma stabilito si svolga regolarmente. Non illustra le bellezze locali descrivendone la storia e la produzione, a differenza della guida turistica.

Per svolgere questa attività sono necessarie conoscenze e requisiti specifici stabiliti dalla normativa regionale vigente. Per diventare accompagnatore turistico è necessario:

  • aver compiuto almeno 18 anni di età
  • aver conseguito il diploma di scuola media superiore
  • possedere una fedina penale pulita
  • conoscere l’inglese a livello avanzato (C1)

Ci sono poi dei requisiti ulteriori che differiscono da regione a regione. Per operare come accompagnatore, oltre al diploma di scuola superiore è necessario aver sostenuto e superato un esame specifico di abilitazione per il conseguimento del patentino.

L’accompagnatore turistico e la partita IVA

La professione è tutelata da un sindacato specifico e per svolgerla è necessaria l’iscrizione al relativo albo. Il lavoro può essere svolto sia come dipendente, che come libero professionista, aprendo partita IVA. I soggetti che invece svolgono l’attività in modo saltuario possono ricorrere alla prestazione occasionale.

Accompagnatore Turistico

Come per lo sviluppatore app, anche l’accompagnatore turistico deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/11 e presentarlo ad Agenzia delle Entrate. Il codice ATECO per accompagnatori turistici è il 79.90.2. È possibile, inoltre, aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Ogni volta che un accompagnatore presta un servizio, è tenuto per legge, a emettere fattura elettronica.

Come diventare accompagnatore turistico: la scelta del regime fiscale

L’accompagnatore può decidere se aderire al regime ordinario, piuttosto che a quello forfettario. Sicuramente il più vantaggioso è il secondo. Per aderirvi è necessario rispettare alcuni requisiti, come ad esempio quello che relativo al fatturato annuo che non deve essere superiore ai 65.000€.

Il forfettario prevede un’aliquota unica pari al 15% che si abbassa al 5% nei primi 5 anni di attività. Da luglio del 2022 è diventato obbligatorio anche per i forfettari emettere fatturazione elettronica.

Scelto il regime serve poi l’iscrizione alla Gestione separata INPS. La gestione separata non prevede il versamento di una quota fissa annuale, ma solamente di una percentuale pari al 25,98% dei redditi percepiti. Infine, il regime forfettario esonera dall’obbligo delle scritture contabili e non prevede l’applicazione d’IVA e ritenute d’acconto.

Abilitazione accompagnatore turistico

L’ultimo passo da compiere per iniziare questa attività, è quello di presentare al proprio Comune di residenza una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Il documento è necessario per dimostrare al proprio comune di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per svolgere attività di accompagnatore turistico.

Il documento deve essere presentato almeno un giorno prima dell’inizio dell’attività e può essere inviato sia per PEC, oppure telematicamente online. Il modulo deve riportare anche la firma digitale del soggetto che inoltra certificazione. È possibile trovare ulteriori informazioni consultando un dottore commercialista, oppure rivolgendosi all’ufficio SUAP del Comune dove deve essere avviata l’attività.

Sviluppatore app: partita IVA, regime fiscale e fatture elettroniche

Esperto di programmazione e informatica, lo sviluppatore app è simile al programmatore informatico, ma con qualche differenza. Per svolgere questo lavoro è necessario aprire una partita IVA, adempiere a precisi obblighi fiscali e scegliere un determinato regime fiscale in base alla natura dell’attività svolta.

Sviluppatore app: chi è e cosa fa

Esperto d’informatica, lo sviluppatore app, progetta e realizza applicazioni destinate a vari utilizzi. Dalla stampa di fotografie, a quelle utili a parcheggiare o a fare la spesa, le applicazioni oggi sono sempre più diffuse e utilizzate e si possono trovare in molti store online, gratis o a pagamento. Lo sviluppatore app può svolgere le proprie mansioni come dipendente, oppure come libero professionista.

La categoria di sviluppatori informatici non hanno una precisa disciplina fiscale. Se ne distinguono però due differenti casistiche:

  1. Sviluppatori che realizzano app per uno o più committenti – svolge attività professionale. Se continuativa deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/12 e consegnarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio della propria attività.
  2. Sviluppatori informatici che creano app per rivenderle direttamente negli store di app.

Ci sono poi sviluppatori che fanno entrambe le cose. Chi non pratica questa attività in modo continuativo, può avvalersi della prestazione occasionale. Gli sviluppatori autonomi, quando aprono partita iva devono anche scegliere il relativo e corretto codice ATECO. Per farlo possono rivolgersi direttamente ad AdE (Agenzia delle Entrate), oppure attraverso un intermediario.

Sviluppatori app e codici ATECO

Il codice ATECO cambia a seconda della professione svolta. Gli sviluppatori di app possono scegliere tra:

  • 01.00 – produzione di software non connesso all’edizione;
  • 02.00 – consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica;

La scelta deve ricadere sul codice maggiormente inerente alla propria attività. Nel dubbio è possibile chiedere consiglio ad AdE, oppure a un dottore commercialista. I soggetti che decidono di creare app e venderle direttamente negli store online, devono scegliere il codice 49.91.10, relativo al commercio elettronico diretto.

Sviluppatore app

Sviluppatori di app e regimi fiscali

Il regime fiscale determina il modo con il quale lo sviluppatore app deve pagare le tasse allo Stato. Le imposte sono applicate in base alla diversa tipologia di ricavi prodotti. In questo caso, gli sviluppatori di applicazioni sono artefici di una vera e propria attività commerciale. Quindi, lo sviluppatore che crea app  e lavoro autonomamente deve:

  • aprire partita IVA
  • scegliere il regime fiscale migliore (ad esempio quello forfettario)
  • iscriversi all’INPS.

Invece, lo sviluppatore di app che crea e rivende applicazioni deve:

Gli sviluppatori di applicazioni possono aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Per quanto riguarda il secondo, presenta dei notevoli vantaggi, ma tutto dipende dal fatturato annuo che non può superare i 65.000€ annui. Inoltre, non è possibile aderire a questo regime nemmeno quando il soggetto interessato partecipa ad associazioni o imprese familiari, oppure a società di persone o Srl.

I vantaggi del regime forfettario permettono allo sviluppatore app di non applicare l’IVA sulle fatture elettroniche e l’IRPEF. Inoltre, l’imposta sostitutiva è al 15% e si abbassa al 5% per i primi 5 anni. Le tasse sono applicate sulla base del coefficiente di redditività, che per lo sviluppatore di app è del 67%.

Programmatore app e previdenza sociale

Aperta la partita IVA è necessario comunica all’INPS l’inizio dell’attività. La comunicazione è necessaria per iniziare a versare i contributi che permettono di accedere alla pensione. In regime fiscale ordinario e forfettario è possibile l’iscrizione alla Gestione Separata INPS rivolta a tutti i professionisti.

I contributi da versare per questa categoria, ammontano a 25,98% del reddito imponibile sulla base del fatturato annuo. Se il fatturato annuo è inferiore o pari a 15.953€ esiste una quota minima di contributi da versare all’INPS pari a 3.850€.

Sospensione Partita IVA: quando e come è possibile

Lo svolgimento di un’attività autonoma presuppone di aprire una partita IVA. Indipendentemente dal regime fiscale scelto, l’apertura della partita IVA e l’adempimento di obblighi fiscali e previdenziali, è assodato per tutti. Può capitare, però, che il lavoratore autonomo abbia necessità di sospendere partita IVA per un determinato periodo di tempo. La sospensione della partita IVA non è possibile per legge. Sospendere e riprendere dopo un certo lasso di tempo non è quindi fattibile.

Sospensione Partita IVA: regime ordinario e forfettario

Che si tratti di regime ordinario, piuttosto che del forfettario, la legge italiana non prevede in alcun caso la possibilità di sospendere temporaneamente la propria partita IVA. Questo significa che, se necessario, il lavoratore autonomo deve chiudere partita IVA, per poi riaprirla in futuro se c’è volontà di farlo.

I motivi che possono portare alla necessità di sospendere partita IVA sono molteplici, ma nessuno valido affinché ciò possa essere attuato da normativa vigente. Mantenere aperta una partita IVA ha un costo. Per lasciarla aperta, anche se non è utilizzata, il commercialista deve comunque essere pagato e, allo stesso modo, devono essere saldati i costi fissi come la contribuzione INPS.

Anche se non è possibile sospendere la partita IVA è comunque possibile sospendere la propria attività per un certo periodo di tempo. Le possibilità, in questo caso, sono:

  • chiudere definitivamente la partita IVA e riaprirne una nuova in un secondo momento
  • chiudere definitivamente la partita IVA
  • cambiare il regime fiscale
  • diventare ditta individuale che affitta ad azienda

Chiudere definitivamente la partita IVA

È necessario compilare il modello AA 9/12 e presentarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dal momento in cui termina del tutto l’attività svolta. Il documento può essere inviato telematicamente o consegnato di persona allo sportello. Infine, è necessario comunicare a INPS e al Registro delle Imprese, o ad altra cassa previdenziale, la chiusura dell’attività.

Aprire e chiudere partita IVA stesso anno

Chiusura e riapertura è possibile sia in regime ordinario che forfettario. La nuova partita IVA non potrà essere uguale a quella vecchia. Varia il numero, probabilmente anche il codice ATECO e le varie informazioni fiscali. In caso di chiusura partita per fallimento, prima di aprire quella nuova, è obbligo aspettare il termine della procedura amministrativa.

Sospensione Partita IVA

Cambio regime fiscale in corso d’anno

È sempre possibile, in qualunque momento cambiare regime fiscale. È possibile passare a quello ordinario, a quello forfettario, oppure a quello semplificato. Da ordinario a forfettario è sufficiente rimanere sotto i 65.000€ annui di fatturato. Mentre da forfettario a ordinario non c’è bisogno di fare praticamente niente, se non avvalersi dell’aiuto di un buon commercialista e aggiungere l’IVA alle fatture. In tutti casi, quindi, non è necessario chiudere e riaprire partita IVA. Si tratta, forse, dell’esempio che più di tutti assomiglia alla sospensione partita IVA.

Affitto unica azienda ditta individuale

Una ditta individuale che affitta a un’azienda, è forse l’unico caso di vera e propria sospensione partita IVA. Si tratta infatti di una soluzione che permette a un’azienda di pagare un canone per utilizzare un’azienda di un’altra impresa. Questo esempio è l’unico nel quale la partita IVA è sospesa, congelata. L’imprenditore considerato ditta individuale che affitta l’unica attività di cui è titolare, può conservare la propria partita IVA. Da considerare che nell’affitto unica azienda ditta individuale sono comunque da pagare alcune imposte, come ad esempio l’imposta sul registro per effettuare il passaggio stesso.

Prop trader: chi sono e quale regime fiscale scegliere

Un prop trader è un professionista che si occupa di prop trading. Si tratta di una professione nata recentemente grazie al web. Una figura molto particolare che lavora per conto delle Prop House. Non si tratta di comuni promotori finanziari o di gestori diretti del rischio. Trattandosi di una nuova forma di lavoro cerchiamo di capire meglio quale sia il regime fiscale migliore da adottare per svolgere questa attività.

Prop Trader: chi è e cosa fa

Il Prop Trader gestisce un portafogli d’investimento per conto delle Prop House che altro non è che una società finanziaria che gestisce vari portafogli finanziari d’investitori. La gestione di questi portafogli è affidata proprio ai Prop Trader. Il professionista ha a disposizione una data somma di denaro da gestire, ma non risponde di eventuali perdite subite dall’attività d’investimento.

Beneficia esclusivamente di parte dei proventi ottenuti dalle attività d’investimento. Infatti, la gestione dell’investimento riguarda solo il rapporto tra l’investitore e la Prop House. Il Prop Trader lavora per la Prop House. Questo significa che, in caso di eventuale perdita subita dal committente, il trader può decidere di recedere dal contratto e dalla collaborazione professionale con il singolo professionista.

Prop Trader: lavoro, partita iva e regime fiscale

Per svolgere l’attività di prop trader, se continuativa e abituale, è necessario aprire una partita IVA. La partita IVA è quindi sempre richiesta e non esiste una soglia minima sotto la quale è possibile operare in assenza di partita IVA. È obbligo inoltre dichiarare i proventi relativi all’attività svolta. Il professionista che vuole esercitare tale attività deve anche stabilire la gestione previdenziale e scegliere il codice ATECO corretto.

Agenzia delle Entrate, per il momento, non avendo discusso di questa professione, non ha stabilito un codice ATECO preciso. Quindi, è necessario scegliere un codice già esistente tra i tanti presenti nelle attività residuali. Durante la scelta è d’uopo tenere in considerazione anche la diversa tipologia di contratto che il professionista va a sottoscrivere con la società d’investimento committente.

Allo stesso modo, non esistono specifiche, almeno per adesso, sugli aspetti previdenziali di questa attività professionale. In linea generale, quindi, è possibile farla rientrare nei casi di gestione separata INPS che prevede un’aliquota variabile di anno in anno, da applicare sul valore del reddito prodotto su ogni annualità. Come per il codice, anche in questo caso, la situazione deve essere valutata caso per caso con un dottore commercialista tenendo conto anche del contratto sottoscritto con la Prop House.

Prop trader

Organismo OCF: iscrizione e aspetti amministrativi

L’organismo OCF è un ente che tutela e vigila l’Albo Unico dei Consulenti Finanziari. Per potersi iscrivere all’OCF occorre superare un esame specifico. Per quanto riguarda i prop trader, non essendoci chiarimenti ufficiali, non è chiaro se debbano o no iscriversi a questo organismo. Analizzando il loro operato sembra non essere necessaria l’iscrizione, essendo professionisti che operano al di fuori delle normative che regolano l’attività dei consulenti finanziari.

Prop trader lavoro e regime fiscale

I prop trader possono ricorrere al regime forfettario, fuori campo IVA. Così facendo hanno un’aliquota molto bassa del 5% (nei primi 5 anni) o del 15% e non si pagano IRPEF, IRAP o altre imposte addizionali. Per accedere al forfettario devono sempre essere rispettati determinati criteri:

  1. ricavi annui non superiori ai 65.000€
  2. redditi da lavoro dipendente o pensioni non superiori a 30.000€
  3. non superare i 20.000€ annui di spese per i dipendenti
  4. non possedere quote di partecipazione a società di persone o associazioni
  5. non possedere partecipazioni di controllo in SRL che svolgono attività analoghe

In alternativa al regime forfettario, è possibile, per il Prop Trader, aprire partita IVA individuale in contabilità semplificata, oppure aprire una SRL. Meglio, comunque, valutare ogni situazione caso per caso avvalendosi dell’ausilio di un commercialista esperto in materia.

Vendita porta a porta: come funziona il regime fiscale delle vendite a domicilio

Così come aprire un blog e iniziare a fatturare correttamente richiede degli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, anche la vendita porta a porta ha le proprie regole da dover rispettare. Si tratta di una particolare vendita al dettaglio di beni e servizi  direttamente presso il domicilio del cliente finale. È un’attività svolta da un incaricato alle vendite che opera, solitamente, senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa mandante e al di fuori dell’inquadramento di agente di commercio.

Vendita porta a porta: il regime fiscale

La disciplina fiscale relativa alla vendita porta a porta, stabilisce le imposte sui redditi e sull’attività occasionale e professionale del venditore, con relative conseguenze sull’imposta sul valore aggiunto (IVA).

I venditori a domicilio sono agenti e rappresentanti di commercio. I guadagni derivanti dalle vendite di beni e servizi si chiamano provvigioni. Quest’ultime sono soggette all’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta del 23%. La ritenuta è applicata sul totale delle provvigioni ridotte del 22% a titolo di deduzione forfettaria delle spese legate alla produzione del reddito.

Il valore delle provvigioni nette è determinato dalla seguente formula:

provvigioni nette = provvigioni premi e incentivi lordi X 78%

Il valore delle provvigioni nette è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta del 23%. I venditori a domicilio non devono presentare dichiarazione dei redditi a meno che non percepiscano altri redditi al di fuori delle provvigioni derivanti dalla vendita porta a porta. Inoltre sono altresì esonerati dall’applicazione dell’IRAP.

Venditore a domicilio e sostituto d’imposta

La società mandante del venditore a domicilio è obbligata a versare, entro il 16 del mese successivo a quello del pagamento delle provvigioni, le ritenute. Il pagamento è eseguito tramite modello F24 con codice contributivo 1038 nella sezione erario.

Ciascuna ritenuta e i compensi annuali devono essere riepilogati nella venditore a domicilio Certificazione Unica. Infine la società committente è tenuta a segnalare con il modello 770, all’Amministrazione Finanziaria, il totale delle provvigioni per la base imponibile e il calcolo delle ritenute operate.

Vendita porta a porta

Venditore Porta A Porta: professionale od occasionale

La vendita porta a porta può essere effettuata in modo occasionale, oppure professionale. Si tratta di vendita occasionale quando il reddito annuo derivante da tale attività non supera i 5000€. I venditori porta a porta occasionali non sono tenuti ad avere scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi. Inoltre sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei redditi, a meno che non percepiscano altri redditi derivanti da attività diverse.

I venditori a domicilio occasionali non sono, pertanto, tenuti ad aprire una partita IVA  e non devono applicare l’IVA sui compensi percepiti. Devono solamente rilasciare una ricevuta alla società mandante per ricevere le provvigioni stabilite.

Si tratta invece di vendita porta a porta professionale quando le provvigioni annue superano i 6426,10€. In questo caso il venditore deve obbligatoriamente aprire una partita IVA entro 30 giorni. Il codice attività per aprire partita IVA è il 46.19.02, “Procacciatori di affari di vari prodotti senza prevalenza di alcuno”. È inoltre obbligato ad assoggettare a IVA tutti i compensi che eccedono il limite indicato. In questo caso i venditori non possono accedere al regime forfettario in quanto per loro esiste già un apposito regime agevolato.

Venditori Porta A Porta e INPS

Gli addetti alla vendita porta a porta sono obbligati a iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS quando il reddito annuo supera i 5000€. L’iscrizione può essere fatta online sul sito messo a disposizione da INPS, dove è anche possibile versare i contributi relativi.

I contributi da versare sono composti da:

  1. 1/3 a carico del contribuente/venditore
  2. 2/3 a carico dell’azienda mandante

I contributi devono essere versati entro il 16 del mese successivo al pagamento delle provvigioni. Il venditore a domicilio deve indicare in fattura elettronica la trattenuta INPS per la Gestione Separata. I venditori non sono comunque tenuti a iscriversi anche all’INAIL.

Rappresentante fiscale: chi è, cosa fa e fatturazione

Il rappresentante fiscale è nominato per gestire la fatturazione e la contabilità di un’azienda estera che opera in Italia. Quindi, per aprire una partita IVA e iniziare subito a fare impresa serve anche nominare un rappresentate fiscale che possa rappresentare la società di fronte alle autorità, per l’ assolvimento degli obblighi fiscali.

Rappresentante fiscale in Italia

Un’azienda estera per poter operare in Italia deve obbligatoriamente avere un proprio rappresentante fiscale. Il procuratore deve aprire partita IVA come persona giuridica oppure come persona fisica. Solo così facendo, può gestire le operazioni rilevanti ai fini IVA. La partita IVA è obbligatoria a meno che l’azienda non venda bene e servizi a privati (non soggetti passivi IVA perché non titolari di partita IVA), a non residenti oppure tratti scambi intracomunitari per i quali non è esplicitamente richiesta la nomina di un rappresentate fiscale.

Le aziende estere per svolgere la propria attività nel Bel Paese, hanno due alternative:

  • creare un’azienda italiana su territorio italiano
  • nominare un rappresentante fiscale e registrarlo direttamente come titolare di partita Iva.

Sono entrambe valide alternative e la differenza risiede solo nella figura che è ritenuta responsabile verso le autorità degli obblighi IVA. Nel primo caso il rappresentante è co-responsabile degli obblighi connessi al pagamento dell’IVA. Nel secondo, invece, è solo l’azienda a rispondere come unica e responsabile perché nessun altro ente agisce in nome e per conto dell’azienda stessa.

Rappresentante fiscale: la nomina

Il rappresentante deve essere nominato prima che l’operazione soggetta IVA si verifichi. La nomina avviene solitamente con atto pubblico. È inoltre possibile consegnare la lettera di nomina direttamente all’ufficio di Agenzia delle Entrate operante nella zona alla quale il rappresentante è nominato.

Rappresentante fiscale

Azienda estera con rappresentante fiscale in Italia: i compiti e le funzioni

Tutti gli obblighi legati all’IVA sono di pertinenza del rappresentante fiscale (RF). In altre parole è a questa figura che spetta il compito di gestire fatturazione elettronica e contabilità dell’azienda. Tra i suoi doveri troviamo:

  1. contabilizzazione di fatture attive e passive
  2. contribuzione dell’IVA all’Erario entro i termini stabiliti
  3. liquidazione dell’IVA
  4. relative dichiarazioni.

Rappresentante fiscale fattura elettronica

Per quanto riguarda la contabilizzazione di fatture attive e passive il RF può agire in due diversi modi:

  • applica un’aliquota nazionale al cliente e riceve poi una relativa fattura per l’operazione dell’azienda estera;
  • l’azienda estera emette fattura al cliente senza applicare IVA, sfruttando il meccanismo del reverse charge. In quest’ultimo caso il cliente italiano deve integrare la fattura ricevuta con l’aliquota adeguata, registrando un’autofattura

Qualunque sia la strada preferita dal rappresentante e dall’azienda estera, i dati della società straniera e quelli del rappresentante, devono sempre essere presenti sulla fattura.

Va infine ricordato che esistono anche società straniere che svolgono solo operazioni non rilevanti ai fini IVA. In questo caso l’azienda può scegliere di nominare un rappresentante fiscale leggero a cui demanderà l’onere di provvedere alla compilazione esclusiva del modello Intrastat.

IVA MOSS

Le aziende straniere che vendono esclusivamente prodotti digitali operando con piattaforme e-commerce, possono registrarsi al regime IVA MOSS. Si tratta di un particolare sistema che consente di evitare alle società estere di adempiere agli obblighi IVA in ciascun Paese straniero.

Il regime IVA MOSS permette, quindi, alle società, di risultare responsabile degli obblighi fiscali, solo nel Paese dov’è concentrata l’attività svolta. La comunità europea ha voluto aiutare e agevolare questo sistema creando uno specifico portale intracomunitario dal quale è possibile richiedere facilmente un eventuale rimborso IVA e presentare le dichiarazioni IVA  a disposizione di ciascuno Stato.

Contributo Conai: cos’è e come cambia nel 2022

Il contributo CONAI corrisponde a una voce in fattura che fa riferimento ai costi di riciclo e gestione degli imballaggi. È un costo ripartito tra chi produce imballaggi e chi li utilizza. Ogni produttore e ogni utilizzatore d’imballi deve registrarsi con un preciso codice di riferimento al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI). L’ente è privato, nato nel 1998 e non ha scopo di lucro, semplicemente si è fatto carico della gestione degli imballaggi, argomento molto sentito soprattutto negli ultimi anni vista la crisi climatica a cui stiamo assistendo.

La voce, presente in fattura, rientra nell’imponibile IVA e può variare a seconda del materiale usato per realizzare l’imballo, dal quale è determinato un tipo di smaltimento diverso.

Contributo CONAI: chi deve pagare?

I produttori e gli utilizzatori d’imballaggi sono tenuti a versare il contributo CONAI. Tra i produttori obbligati al pagamento troviamo:

  • chi produce i propri imballi per vendere i propri articoli
  • coloro che importano i materiali necessari alla fabbricazione degli imballi
  • i produttori di semilavorati utilizzati per la realizzazione degli imballi
  • importatori di semilavorati
  • chi produce imballi vuoti
  • importatori e rivenditori d’imballi vuoti

Tra gli utilizzatori d’imballaggi soggetti all’obbligo di pagamento del CONAI, troviamo:

  • Chi compra e utilizza imballi vuoti
  • Coloro che importano merci imballate
  • Autoproduttori – vale a dire tutti i soggetti che realizzano da soli i prodotti e gli imballi per le spedizioni
  • commercianti

Il valore del contributo varia in base al materiale usato per l’imballo e, di conseguenza, ai metodi necessari per smaltirlo.

Contributo ambientale CONAI: il valore del materiale

Contributo ambientale CONAI è, quindi, una forma di finanziamento con la quale l’ente CONAI sostiene gli oneri da pagare per raccolta differenziata, per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti d’imballaggi. Il Decreto Legislativo n°152/06 stabilisce che il costo deve essere ripartito “in proporzione alla quantità totale, al peso e alla tipologia del materiale d’imballaggio immessi sul mercato nazionale”.

Contributo Conai

Il contributo cambia a seconda del materiale usato per l’imballaggio. La diversificazione contributiva per gli imballi in plastica è entrata in vigore dal 1° gennaio 2018, per quelli in carta, invece. È in vigore dal 1° gennaio 2019.

A oggi, 2022, i contributi richiesti sono:

Materiali/Fasce contributive                 Dal 1° gennaio 2022          Dal 1° luglio 2022

Acciaio                                                                 12,00 €/t                                           8,00 €/t

Alluminio                                                           10,00 €/t                                           7,00 €/t

Carta (suddivisa in 4 fasce)

1 (Base)                                                                 10,00 €/t                                           5,00 €/t

2 (CPL):                                                               30,00 €/t                                          25,00 €/t

3 (Compositi tipo C)                                         120,00 €/t                                         115,00 €/t

4 (Compositi tipo D)                                         250,00 €/t                                        245,00 €/t

Legno                                                                  9,00 € /t                                            9,00 €/t

Plastica (suddivisa in 4 fasce)

A1                                                                         104,00 €/t                                         60,00 €/t

A2                                                                         150,00 €/t                                        150,00 €/t

B1                                                                         149,00 €/t                                         20,00 €/t

B2                                                                         520,00 €/t                                        410,00 €/t

C                                                                           642,00 €/t                                        560,00 €/t

Plastica biodegradabile                           294,00 €/t                                       294,00 €/t

e compostabile

Vetro                                                                   33,00 €/t                                          29,00 €/t

 

Quindi peso e tipologia di materiale dell’imballo oggetto della prima cessione, sono i fattori che determinano il contributo da versare. In fattura, produttori e utilizzatori, devono, pertanto, indicare sempre la natura del materiale utilizzato e il peso complessivo degli imballi usati.

Addebito contributo CONAI in fattura

L’ente CONAI, quindi, fornisce sempre e solo il costo per tonnellata. Spetta a produttori e utilizzatori calcolarne la quantità e l’importo totale da dichiarare. In fattura devono essere presenti tutte le informazioni necessarie a stabilirne l’importo esatto. Non sempre e non tutte le unità possono però essere riconvertite facilmente in “tonnellate”. Quando accade è necessario indicare un secondo valore. Per farlo è possibile:

  • indicare le informazioni relativa al prodotto in questione in due righe separate
  • nella descrizione dei prodotti indicare il riferimento al contributo ambientale. Creare infine un’unica voce se il materiale è sempre lo stesso. Quando i materiali invece sono multipli, sulla medesima fattura è necessario creare voci separate per i singoli componenti.

Esiste poi il caso d’imballi compositi e imballaggi multimateriali. Per i primi il riferimento al contributo prende in considerazione il materiale presente in modo più preponderante rispetto agli altri. Per i secondi, invece, il contributo CONAI è calcolato in percentuale dei componenti stessi.