Vendita porta a porta: come funziona il regime fiscale delle vendite a domicilio

Così come aprire un blog e iniziare a fatturare correttamente richiede degli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, anche la vendita porta a porta ha le proprie regole da dover rispettare. Si tratta di una particolare vendita al dettaglio di beni e servizi  direttamente presso il domicilio del cliente finale. È un’attività svolta da un incaricato alle vendite che opera, solitamente, senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa mandante e al di fuori dell’inquadramento di agente di commercio.

Vendita porta a porta: il regime fiscale

La disciplina fiscale relativa alla vendita porta a porta, stabilisce le imposte sui redditi e sull’attività occasionale e professionale del venditore, con relative conseguenze sull’imposta sul valore aggiunto (IVA).

I venditori a domicilio sono agenti e rappresentanti di commercio. I guadagni derivanti dalle vendite di beni e servizi si chiamano provvigioni. Quest’ultime sono soggette all’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta del 23%. La ritenuta è applicata sul totale delle provvigioni ridotte del 22% a titolo di deduzione forfettaria delle spese legate alla produzione del reddito.

Il valore delle provvigioni nette è determinato dalla seguente formula:

provvigioni nette = provvigioni premi e incentivi lordi X 78%

Il valore delle provvigioni nette è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta del 23%. I venditori a domicilio non devono presentare dichiarazione dei redditi a meno che non percepiscano altri redditi al di fuori delle provvigioni derivanti dalla vendita porta a porta. Inoltre sono altresì esonerati dall’applicazione dell’IRAP.

Venditore a domicilio e sostituto d’imposta

La società mandante del venditore a domicilio è obbligata a versare, entro il 16 del mese successivo a quello del pagamento delle provvigioni, le ritenute. Il pagamento è eseguito tramite modello F24 con codice contributivo 1038 nella sezione erario.

Ciascuna ritenuta e i compensi annuali devono essere riepilogati nella venditore a domicilio Certificazione Unica. Infine la società committente è tenuta a segnalare con il modello 770, all’Amministrazione Finanziaria, il totale delle provvigioni per la base imponibile e il calcolo delle ritenute operate.

Vendita porta a porta

Venditore Porta A Porta: professionale od occasionale

La vendita porta a porta può essere effettuata in modo occasionale, oppure professionale. Si tratta di vendita occasionale quando il reddito annuo derivante da tale attività non supera i 5000€. I venditori porta a porta occasionali non sono tenuti ad avere scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi. Inoltre sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei redditi, a meno che non percepiscano altri redditi derivanti da attività diverse.

I venditori a domicilio occasionali non sono, pertanto, tenuti ad aprire una partita IVA  e non devono applicare l’IVA sui compensi percepiti. Devono solamente rilasciare una ricevuta alla società mandante per ricevere le provvigioni stabilite.

Si tratta invece di vendita porta a porta professionale quando le provvigioni annue superano i 6426,10€. In questo caso il venditore deve obbligatoriamente aprire una partita IVA entro 30 giorni. Il codice attività per aprire partita IVA è il 46.19.02, “Procacciatori di affari di vari prodotti senza prevalenza di alcuno”. È inoltre obbligato ad assoggettare a IVA tutti i compensi che eccedono il limite indicato. In questo caso i venditori non possono accedere al regime forfettario in quanto per loro esiste già un apposito regime agevolato.

Venditori Porta A Porta e INPS

Gli addetti alla vendita porta a porta sono obbligati a iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS quando il reddito annuo supera i 5000€. L’iscrizione può essere fatta online sul sito messo a disposizione da INPS, dove è anche possibile versare i contributi relativi.

I contributi da versare sono composti da:

  1. 1/3 a carico del contribuente/venditore
  2. 2/3 a carico dell’azienda mandante

I contributi devono essere versati entro il 16 del mese successivo al pagamento delle provvigioni. Il venditore a domicilio deve indicare in fattura elettronica la trattenuta INPS per la Gestione Separata. I venditori non sono comunque tenuti a iscriversi anche all’INAIL.

Merito creditizio: cos’è com’è calcolato e perché è utilizzato

Il merito creditizio è conosciuto anche con la denominazione di credit score. Si tratta di un parametro utilizzato dalle banche per valutare e decidere se un creditore è meritevole di ricevere un finanziamento. In altre parole, è un fattore che stabilisce il grado e la pericolosità di “insolvenza” di un soggetto. Un documento che riassume la storia finanziaria di una persona, registrata e custodita presso la Centrale dei Rischi e gestita dalla Banca d’Italia. Ogni informazione contenuta nel merito creditizio, concorre a generare un punteggio (rating) che gli istituti bancari utilizzano per conoscere e classificare un soggetto e la sua posizione finanziaria.

Conoscere il proprio merito creditizio

Per calcolare il merito creditizio, gli istituti di credito effettuano delle indagini patrimoniali e un’analisi della situazione personale del cliente. La valutazione del rischio di credito prende in esame diversi fattori:

  • livello d’indebitamento del cliente
  • rapporto con crediti già erogati in precedenza
  • flussi di reddito
  • possibilità di godere o meno di fonti di patrimonio alternative
  • disponibilità del proprio patrimonio personale
  • solvibilità
  • abitudini comportamentali
  • abitudini di spesa, risparmio e gestione del denaro

Ogni soggetto, nel corso della propria vita, accumula (spesso inconsapevolmente) tutta una serie d’informazioni creditizie e finanziarie personali. Quindi, quando una persona, o un’impresa, desiderano accedere a un credito, le banche analizzano tutti i dati immagazzinati fino a quel momento. In questo modo possono giudicare e classificare il cliente come un “buon pagatore” o un “soggetto a rischio” che presenta alte probabilità di bancarotta. Tutti i dati disponibili sono presenti nei database del Sistema di Informazioni Creditizia (SIC) DI CRIF, Experian, CTC e nella Centrale Rischi Banca d’Italia, ma anche in Camera di Commercio e in Conservatoria.

Qual è l’obiettivo della valutazione del merito creditizio del cliente

La normativa che regola il merito creditizio è contenuta nel decreto legge 4 del 13 agosto del 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 settembre del 2010. Tutto ciò che riguarda il merito o il rischio credito è racchiusa nella Riforma del Credito e inviata a ciascun istituto bancario. Ogni banca è invitata a controllare e monitorare il merito creditizio di ciascuna persona fisica o giuridica che richiede un mutuo, un prestito personale o un finanziamento.

Lo scopo è quello di evitare che i soggetti con un basso livello di merito creditizio, possano accedere a una delle predette formule. Un sistema ideato per evitare le situazioni relative ai crediti deteriorati e salvaguardare l’integrità dell’intero sistema creditizio italiano. Il merito del credito offre la possibilità di accedere in maniera rapida a prestiti importanti (se la valutazione è positiva). I parametri analizzati sono oggettivi, così da evitare qualunque pregiudizio o valutazione soggettiva. Grazie al rating un soggetto (inteso come persona fisica, oppure giuridica) ha la possibilità di accedere a un flusso di credito tanto più alto quanto lo è il proprio rating. Infine, ma non per importanza, i tassi d’interesse migliori (quindi più bassi!) sono riservati a chi possiede un merito creditizio alto.

Merito creditizio

Rating creditizio

Il rating creditizio è una vera e propria classifica. Questa comprende una lunga e complessa sequenza di classi, secondo le quali le banche decidono di concedere l’accesso a linee di credito, oppure no. Il rating più alto è indicato con le lettere: AAA. Si tratta dell’indicazione di massima sicurezza finanziaria. A seguire si trovano: AA, A, BBB, BB, ecc… La classe di merito più bassa corrisponde alla lettera C. Questa lettera identifica un alto rischio d’insolvenza finanziaria ed è un dato preso molto in considerazione da ciascun istituto di credito. In particolare troviamo:

  1. AAA: sicurezza elevata
  2. AA: sicurezza
  3. A: ampia solvibilità
  4. BBB: solvibilità
  5. BB: vulnerabilità
  6. B: elevata vulnerabilità
  7. CCC: rischio
  8. CC: rischio elevato
  9. C: rischio molto elevato 

Alla fine della raccolta e dell’analisi di tutti i dati relativi alla situazione creditizia e finanziaria di un soggetto, l’istituto di credito decide se concedere o meno un muto, un finanziamento o un prestito personale. In sede decisionale, il rapporto creditizio, svolge un ruolo essenziale per ottenere una linea di credito.

Differenza tra impresa e azienda

Sono in molti a credere che impresa, azienda e ditta siano la stessa cosa. In realtà c’è una sostanziale differenza tra impresa e azienda. I termini non sono sinonimi, almeno non per il diritto commerciale che li definisce in modo chiaro e diverso.

Definizione di impresa

La differenza tra impresa e azienda è presente addirittura nel codice civile che stabilisce chiaramente qual è la definizione dell’uno e dell’altro termine. Il Codice Civile stabilisce che un’impresa è un’attività professionale organizzata allo scopo di produrre e/o scambiare beni e/o servizi. Lo stesso codice definisce il termine “imprenditore” nell’articolo 2082:

“È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.

Da questa definizione è quindi possibile stabilire cos’è e quali caratteristiche possiede un’impresa. Per essere considerata tale, un’impresa deve essere:

  • organizzata
  • condotta professionalmente
  • detenere obiettivi di produzione e/o scambi beni e/o servizi.

Di conseguenza è l’imprenditore stesso a fare impresa, quale sua attività lavorativa principale.

Definizione di azienda

La differenza tra impresa e azienda si deduce anche nella definizione stessa di azienda, considerata, infatti, il mezzo concreto e materiale attraverso il quale è possibile esercitare l’impresa. In altre parole, l’azienda altro non è che la sede fisica di un’impresa, costituita da beni mobili e immobili, da personale e procedure, da risorse e attrezzature.

Un’impresa può esistere anche senza un’azienda. Esistono infatti alcune tipologie d’impresa, come ad esempio le ditte individuali, che esercitano senza azienda. Allo stesso modo il soggetto che decide di aprire una partita IVA non è detto che sia anche il proprietario dell’azienda presso cui opera. Infine esistono alcune aziende che non sono imprese.

Il termine “azienda” deriva dalla parola spagnola “hazia”, trasformato successivamente in “hacienda” dal latino “facienda” che significa “cosa da farsi, faccende”. Anche in questo caso, così come per l’impresa, è lo stesso Codice civile che, nell’articolo 2555, definisce l’azienda come:

“il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

Differenza tra impresa e azienda

L’azienda non è dunque un’attività svolta dall’imprenditore, ma semplicemente un insieme di beni, materiali e immateriali, utilizzati dall’imprenditore per fare impresa. Un’azienda solitamente è:

  1. proposta ad attività specifiche
  2. un’organizzazione di beni e capitale umano
  3. un luogo di produzione, distribuzione o consumo di beni economici e servizi per i clienti
  4. strutturata secondo una precisa organizzazione aziendale
  5. amministrata in base a regole aziendali stabilite dal management aziendale

Differenza tra impresa e azienda

Stabilita la definizione esatta dell’una e dell’altra entità, è più facile capire quale sia la differenza tra impresa e azienda. Volendo ricapitolare l’azienda è l’organizzazione dei beni materiali e immateriali utilizzati dall’imprenditore nell’esercizio dell’impresa che altro non è che lo svolgimento dell’attività economica lavorativa.

Tra loro esiste un rapporto strumentale. L’azienda, infatti, è il mezzo attraverso il quale l’imprenditore svolge il proprio lavoro d’impresa. Imprese e aziende, inoltre, sono classificate in modo diverso. Le imprese possono essere “individuali” (da non confondere con ditta individuale) quando il soggetto giuridico è una persona fisica che risponde personalmente dei beni dell’impresa e delle sue eventuali mancanze.

Le aziende invece sono classificate in base a diversi criteri, come ad esempio:

  • all’attività economica
  • al fine perseguibile
  • in relazione al soggetto economico
  • in base alla dimensione
  • ecc…

Infine chiariamo anche il concetto di ditta. La ditta altro non è che il nome commerciale dell’imprenditore ed è individuato come soggetto di diritto nell’esercizio di un’attività d’impresa.

Vendere online senza partita iva: è possibile? Conviene?

Vendere online senza partita IVA è possibile, ma solo in determinate circostanze. Quando l’attività è svolta occasionalmente, allora è possibile anche senza aprire una partita IVA nuova. In presenza di attività svolta in modo sporadico e occasionale, non è necessario avere partita IVA per vendere beni e servizi. La vendita di prodotti usati, ad esempio (vestiti, mobili, oggettistica, ecc…) non è tassata perché non è riconosciuta come attività lavorativa che crea reddito d’impresa. Solo quando la vendita si ripete costantemente nel tempo e con maggiore assiduità, lo Stato pretende l’apertura di una partita IVA e il pagamento delle tasse.

Vendere online occasionale o abituale: le differenze

La vendita online senza partita IVA è possibile quando è svolta una tantum e non crea quindi reddito d’impresa. In presenza di attività che si protrae nel tempo in modo costante e con frequenza, allora è necessario aprire partita IVA perché per lo Stato e il Fisco significa fare impresa. Attività che può essere occasionale (è il caso, ad esempio, di chi frequenta mercatini dell’usato o per hobbisti una volta l’anno) oppure abituale. Per la prima non occorre partita IVA, per la seconda si. L’occasionale può trasformarsi anche in abituale e commerciale se chi la svolge si organizza al meglio per realizzarla compiutamente

La differenza tra abituale e occasionale non è imposta dal reddito percepito, bensì dalle modalità di svolgimento dell’attività. La costanza, trasforma un’attività occasionale in abituale. Per non dover aprire partita IVA l’attività deve essere:

  • sporadica
  • non organizzata
  • non continua

Inoltre, nessuna vendita senza partita IVA occasionale, può avere uno shop online. La Partita IVA per e-commerce è obbligatoria perché uno shop online è un’attività organizzata!

Vendere online senza partita iva

Vendere online senza partita IVA: l’occasionalità

Vendere online senza partita IVA non comporta alcun obbligo o adempimento fiscale e contabile. Non si tratta di attività professionale e non crea reddito d’impresa (come ad esempio il pagamento dell’IRPEF e dell’IRAP. Non è nemmeno necessario emettere fatture elettroniche e i prezzi applicati, molto spesso, sono davvero irrisori.

Le transazioni sono occasionali e sporadiche e i proventi percepiti sono considerati rientranti nella categoria dei redditi diversi. Quindi, un’attività di vendita occasionale per non avere partita IVA non può nemmeno avere un e-commerce. Un sito di vendita online, infatti, è considerato un’attività organizzata supportata da promozioni e pubblicità.Vendere prodotti online senza partita IVA sfruttando i Marketplace.

I marketplace sono delle piattaforme organizzate sulle quali è possibile vendere e acquistare online oggetti di varia natura. Contengono centinaia di categorie e attraggono ogni giorno migliaia di utenti che conoscono, riconoscono e si fidano del marchio, percepito come una sorta di autenticità e garanzia dei prodotti venduti.

I marketplace sono mediatori di vendita che richiedono una determinata commissione per ciascuna transazione eseguita sulla loro piattaforma. La media della commissione si aggira attorno al 3,5 %. Sui Marketplace è possibile vendere online senza partita IVA. I marketplace (come ad esempio Ebay, oppure Facebook) consentono quindi la vendita online occasionale, non organizzata (dal soggetto privato), sporadica, a prezzi modici e non continuativa. Amazon non rientra in questa categoria. Per vendere su Amazon è necessario avere partita IVA.

Vendere prodotti online con un e-commerce

Vendere prodotti online con un e-commerce è quindi un’attività che produce reddito d’impresa e richiede l’apertura di partita IVA. Non solo. Per vendere con il proprio e-commerce è necessario: aprire partita IVA.

  1. Compilare una SICA
  2. Iscrivere l’attività al Registro delle Imprese
  3. Eseguire l’iscrizione all’INPS nella sezione gestione commercianti

È inoltre indispensabile scegliere il regime fiscale migliore per la propria attività. Una decisione molto importante che va a incidere sulla gestione aziendale. Nel caso non fosse possibile aderire al Regime Forfettario è necessario ricordare l’obbligo della registrazione contabile di ciascuna operazione legata all’attività stessa (attiva o passiva che sia).

Contributo Conai: cos’è e come cambia nel 2022

Il contributo CONAI corrisponde a una voce in fattura che fa riferimento ai costi di riciclo e gestione degli imballaggi. È un costo ripartito tra chi produce imballaggi e chi li utilizza. Ogni produttore e ogni utilizzatore d’imballi deve registrarsi con un preciso codice di riferimento al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI). L’ente è privato, nato nel 1998 e non ha scopo di lucro, semplicemente si è fatto carico della gestione degli imballaggi, argomento molto sentito soprattutto negli ultimi anni vista la crisi climatica a cui stiamo assistendo.

La voce, presente in fattura, rientra nell’imponibile IVA e può variare a seconda del materiale usato per realizzare l’imballo, dal quale è determinato un tipo di smaltimento diverso.

Contributo CONAI: chi deve pagare?

I produttori e gli utilizzatori d’imballaggi sono tenuti a versare il contributo CONAI. Tra i produttori obbligati al pagamento troviamo:

  • chi produce i propri imballi per vendere i propri articoli
  • coloro che importano i materiali necessari alla fabbricazione degli imballi
  • i produttori di semilavorati utilizzati per la realizzazione degli imballi
  • importatori di semilavorati
  • chi produce imballi vuoti
  • importatori e rivenditori d’imballi vuoti

Tra gli utilizzatori d’imballaggi soggetti all’obbligo di pagamento del CONAI, troviamo:

  • Chi compra e utilizza imballi vuoti
  • Coloro che importano merci imballate
  • Autoproduttori – vale a dire tutti i soggetti che realizzano da soli i prodotti e gli imballi per le spedizioni
  • commercianti

Il valore del contributo varia in base al materiale usato per l’imballo e, di conseguenza, ai metodi necessari per smaltirlo.

Contributo ambientale CONAI: il valore del materiale

Contributo ambientale CONAI è, quindi, una forma di finanziamento con la quale l’ente CONAI sostiene gli oneri da pagare per raccolta differenziata, per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti d’imballaggi. Il Decreto Legislativo n°152/06 stabilisce che il costo deve essere ripartito “in proporzione alla quantità totale, al peso e alla tipologia del materiale d’imballaggio immessi sul mercato nazionale”.

Contributo Conai

Il contributo cambia a seconda del materiale usato per l’imballaggio. La diversificazione contributiva per gli imballi in plastica è entrata in vigore dal 1° gennaio 2018, per quelli in carta, invece. È in vigore dal 1° gennaio 2019.

A oggi, 2022, i contributi richiesti sono:

Materiali/Fasce contributive                 Dal 1° gennaio 2022          Dal 1° luglio 2022

Acciaio                                                                 12,00 €/t                                           8,00 €/t

Alluminio                                                           10,00 €/t                                           7,00 €/t

Carta (suddivisa in 4 fasce)

1 (Base)                                                                 10,00 €/t                                           5,00 €/t

2 (CPL):                                                               30,00 €/t                                          25,00 €/t

3 (Compositi tipo C)                                         120,00 €/t                                         115,00 €/t

4 (Compositi tipo D)                                         250,00 €/t                                        245,00 €/t

Legno                                                                  9,00 € /t                                            9,00 €/t

Plastica (suddivisa in 4 fasce)

A1                                                                         104,00 €/t                                         60,00 €/t

A2                                                                         150,00 €/t                                        150,00 €/t

B1                                                                         149,00 €/t                                         20,00 €/t

B2                                                                         520,00 €/t                                        410,00 €/t

C                                                                           642,00 €/t                                        560,00 €/t

Plastica biodegradabile                           294,00 €/t                                       294,00 €/t

e compostabile

Vetro                                                                   33,00 €/t                                          29,00 €/t

 

Quindi peso e tipologia di materiale dell’imballo oggetto della prima cessione, sono i fattori che determinano il contributo da versare. In fattura, produttori e utilizzatori, devono, pertanto, indicare sempre la natura del materiale utilizzato e il peso complessivo degli imballi usati.

Addebito contributo CONAI in fattura

L’ente CONAI, quindi, fornisce sempre e solo il costo per tonnellata. Spetta a produttori e utilizzatori calcolarne la quantità e l’importo totale da dichiarare. In fattura devono essere presenti tutte le informazioni necessarie a stabilirne l’importo esatto. Non sempre e non tutte le unità possono però essere riconvertite facilmente in “tonnellate”. Quando accade è necessario indicare un secondo valore. Per farlo è possibile:

  • indicare le informazioni relativa al prodotto in questione in due righe separate
  • nella descrizione dei prodotti indicare il riferimento al contributo ambientale. Creare infine un’unica voce se il materiale è sempre lo stesso. Quando i materiali invece sono multipli, sulla medesima fattura è necessario creare voci separate per i singoli componenti.

Esiste poi il caso d’imballi compositi e imballaggi multimateriali. Per i primi il riferimento al contributo prende in considerazione il materiale presente in modo più preponderante rispetto agli altri. Per i secondi, invece, il contributo CONAI è calcolato in percentuale dei componenti stessi.

Come funziona il reddito di cittadinanza

Ancora oggi sono in molti a chiedersi come funziona il reddito di cittadinanza. Vediamo quindi di capire nel dettaglio cos’è, a chi spetta e come fare per ottenerlo. Si tratta di una novità molto importante in Italia, che ha destato, sin da subito, l’interesse di milioni di cittadini. Uno strumento a sostegno dell’economia che ha l’obiettivo di aiutare le famiglie a reddito più basso, sulla soglia di povertà. È una misura politica che vuole integrare il reddito familiare e aiutare nell’inserimento lavorativo e sociale.

A chi spetta il reddito di cittadinanza

Capire come funziona il reddito di cittadinanza significa anche chi ha diritto a riceverlo. In pratica posso farne richiesta tutti coloro che:

  1. hanno perso il posto di lavoro
  2. non posseggono alcun reddito
  3. posseggono un reddito troppo basso, al di sotto della soglia di povertà

Per poterne fare richiesta occorre che alcuni requisiti siano sempre rispettati. Quindi, i requisiti minimi per inoltrare domanda sono:

  • essere cittadino italiano
  • essere cittadino europeo
  • avere la residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due consecutivi
  • essere cittadino di Paesi terzi con regolare diritto di soggiorno
  • essere un familiare di cittadini italiani o europei con regolare diritto di soggiorno
  • L’ISEE deve avere un valore inferiore a 9360 euro
  • Il proprio patrimonio immobiliare deve avere un valore inferiore a 30.000 euro (esclusa la prima casa di abitazione)
  • Il reddito familiare totale deve essere sempre inferiore a 6000 euro annui

Come richiedere il reddito di cittadinanza

È possibile presentare domanda per richiedere il reddito di cittadinanza:

  • per via telematica dal sito ufficiale
  • presso i CAF
  • consegnandolo a mano presso gli uffici postali a partire dal quinto giorno di ogni mese.

La richiesta per il RDC non ha scadenza e può essere presentata in qualunque momento. Eccezione è fatta da Poste con le quali è possibile inoltrare domanda solo dopo il sesto giorno di ogni mese.

Per fare richiesta basta compilare un apposito modulo che INPS controlla entro cinque giorni lavorativi. A seguito della verifica e in caso di esito positivo, i richiedenti ricevono l’accredito direttamente su un’apposita Carta, denominata Carta del Reddito di Cittadinanza.

Come funziona il reddito di cittadinanza

Come funziona il reddito di cittadinanza e la Carta per ricevere gli accrediti

La Carta del reddito di Cittadinanza è un vero e proprio bancomat di colore giallo, senza alcun nominativo stampigliato sopra e con il logo di Poste italiane e i numeri in rilievo. La carta permette di effettuare un solo prelievo al mese pari a 100 euro per chi vive da solo e di 210 euro per chi ha famiglia. L’importo varia a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare. Inoltre permette anche di effettuare un bonifico mensile SEPA per pagare la rata dell’affitto o del muto. Movimenti e saldo sono monitorabili direttamente dal sito ufficiale del Reddito di Cittadinanza. L’Esecutivo ha messo anche a disposizione dei cittadini un numero verde specifico per ottenere informazione, anche sul saldo residuo.

Importo reddito di cittadinanza

Tra le molte cose da conoscere su come funziona il reddito di cittadinanza c’è anche quella dell’importo totale corrisposto per soggetto richiedente. L’importo totale è composto da due diverse parti:

  • integrazione al reddito
  • contributo per l’affitto – pari a 280 € per l’affitto e a 150 € per pagare il muto. Il totale non supera mai i 780 € e i 9360 € annui per i nuclei familiari composti da un unico individuo. Per le famiglie composte da più soggetti il totale mensile è pari a 1638 € e 19,656 € annui. Il calcolo corretto si basa sulla scala di equivalenza. Gli importi sono erogati a partire dal mese successivo a quello di richiesta.

Richiesta reddito di cittadinanza: Patto per il lavoro e quella del Patto per l’inclusione sociale

Per fare domanda di RDC è necessario sottoscrivere e accettare:

  • Patto per il lavoro – i beneficiari sono automaticamente inseriti in un piano per il collocamento a livello lavorativo. Il patto prevede che per richiedere e continuare ad accettare il RDC debbano accettare almeno uno dei lavori proposti in ambito di collocamento.
  • Patto per l’inclusione sociale – il Comune del richiedente si deve attivare per permettere al beneficiario, e alla sua famiglia, di uscire dalla povertà, ricorrendo a tutti i servizi per l’inclusione sociale e lavorativa.

Infine va ricordato che il RDC può essere percepito anche da chi effettivamente lavora. Se la soglia di guadagno mensile è inferiore a 780 €, il RDC serve a integrarne il compenso per raggiungere tale soglia. I soggetti che hanno presentato domanda e iniziano a lavorare hanno tempo 30 giorni per comunicarlo ad INPS. Coloro che si licenziano non hanno più diritto al reddito di cittadinanza, né loro, né i suoi familiari (eccezione fatta per ragioni di giusta causa).

Lotteria degli scontrini 2022: novità ed estrazioni

Per la Lotteria degli Scontrini 2022 sono previste delle importanti novità. Approvati alcuni cambiamenti per quanto riguarda le istruzioni di utilizzo dei codici e, soprattutto, oggi, diventa un concorso a premi “istantaneo”. È il PNRR 2 a stabilire le modifiche al sistema di partecipazione alle estrazioni e sull’entità dei premi erogati. L’emendamento al testo che ha reso possibile le modifiche è approvato dalla Commissione Affari Costituzionali e Istruzione. La conferma è data dalla conversione in legge del DL n° 36/2022.

Lotteria degli scontrini 2022: tutte le novità previste

Le novità previste con la conversione in legge del Decreto PNRR 2 di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono moltissime e variegate. Tra le principali relative alla Lotteria degli Scontrini, ricordiamo che non è più necessario comunicare il codice lotteria all’esercente.

Si tratta di un passaggio, a oggi fondamentale per partecipare alle estrazioni, ma che rende l’operazione non immediata. Quindi, l’acquisto dei biglietti virtuali, cambia modalità. Operatività resa possibile dalla Commissione Affari Costituzionali e Istruzione del Senato che, il 17 giugno 2022, ha approvato un emendamento al testo del Decreto PNRR 2 per modificare il sistema di accesso alle estrazioni.

Lotteria degli scontrini: cosa stabilisce il nuovo emendamento

L’articolo n°1 della Legge 11 dicembre 2016, n°232, stabiliva le modalità per concorrere alla Lotteria:

“Per partecipare all’estrazione è necessario che i contribuenti, al momento dell’acquisto, comunichino il proprio codice lotteria (…) all’esercente e che quest’ultimo trasmetta all’Agenzia delle entrate i dati della singola cessione o prestazione”.

Lotteria degli scontrini 2022

Le novità introducono invece una partecipazione legata all’associazione tra pagamenti elettronici effettuati ed emissione dei ticket validi:

“Per partecipare all’estrazione è necessario che le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio dello Stato associno all’acquisto effettuato con metodi di pagamento elettronico di cui sono titolari, che traggano fondi detenuti su propri rapporti di credito o debito bancari, che detti rapporti siano intestati a componenti del proprio nucleo familiare certificato dal proprio stato di famiglia e costituito antecedentemente alla data di estrazione del premio ovvero che operino in forza di una rappresentanza rilasciata antecedentemente alla partecipazione, il proprio codice lotteria (…) e che l’esercente trasmetta all’Agenzia delle entrate i dati della singola cessione o prestazione (…)”.

La Lotteria degli Scontrini diventa Istantanea!

Tra le altre novità introdotte dal nuovo emendamento, troviamo anche quelle relative al comma 544 dell’articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232. Con questo articolo è introdotta la dicitura “istantanea” riferita alla descrizione della Lotteria degli Scontrini, che passa dal singolare al plurale nella sua piena definizione: “tutte le lotterie degli scontrini, sia istantanee sia differite”.

I dettagli relativi alle operazioni di estrazione, entità e numero di premi messi a disposizione devono ancora essere stabiliti. Qualora le modifiche dovessero diventare ufficiali, anche il valore delle vincite dovrà essere ricalcolato.

Lotteria degli scontrini: come funziona

Ma cosa cambia in concreto? Visto le leggi e gli articoli che subiranno delle modifiche, cerchiamo di capire meglio cosa cambierà in concreto per tutti i partecipanti alle estrazioni. In buona sostanza, in seguito a uno o più acquisti effettuati tramite pagamenti elettronici, è emesso scontrino valido per partecipare al gioco a premi.

In futuro, se le modifiche saranno accettate e il decreto modificato, basterà associare il proprio codice-lotteria (che oggi deve ancora essere comunicato all’esercente) all’acquisto appena effettuato. Sullo scontrino si potrà, quindi, verificare immediatamente se si è vinto o meno uno dei premi in palio. Basterà semplicemente inquadrare con lo smartphone l’apposito QR che comparirà stampato sullo scontrino stesso.

Ogni altra caratteristica (ammontare dei premi, modalità di comunicazione della vincita, ecc…) le decisioni verranno prese in seguito, attraverso provvedimenti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Limite pagamento contanti 2022

Con il Decreto Milleproroghe il Governo voleva abbassare il limite pagamento contanti 2022. L’anno scorso la soglia entro la quale accettare pagamenti in contanti, era fissata a 2000 €. L’Esecutivo ha però cambiato idea e preferisce rimandare l’abbassamento della soglia a 1000€ direttamente al 2023. Un rinvio momentaneo che non blocca comunque la crescita all’uso dei pagamenti elettronici, nonostante i pagamenti in contanti siano ancora il metodo preferito da molti.

Limite pagamento contanti 2022

Quindi il limite della soglia in contanti fissato a 1000 € è posticipato a inizio anno prossimo. Per tutto il 2022 per i pagamenti superiori a 2000 € è necessario ricorrere a metodi di pagamento tracciabili. Di conseguenza tutte le trasmissioni devono essere eseguite via:

  1. carte di credito
  2. assegni circolari
  3. carte di debito
  4. carte prepagate
  5. bonifici bancari
  6. bonifici postali
  7. portafogli virtuali che possano garantire l’identificazione esatta del contribuente

Chi possiede un’attività e/o un’impresa può accettare solo ed esclusivamente questo genere di transazioni per rispettare il limite dei pagamenti in contanti previsto da legge.

Pagamento in contanti limite 2022 e obbligo POS

Il metodo di pagamento maggiormente utilizzato oggi è quello delle carte di credito o delle carte prepagate. I commercianti devono essere forniti di un dispositivo in grado di scansionare e leggere i chip delle carte di credito, debito e prepagate.

I pagamenti tramite POS sono ormai diventati comuni, perché facili, sicuri e velocissimi. Da oggi sono anche obbligatori. Nonostante l’obbligo, purtroppo, ancora molti esercenti non sono dotati dell’attrezzatura minima indispensabile ad accettare transazioni elettroniche. Dal 30 giugno 2022 è diventato ufficialmente obbligatorio accettare i pagamenti con il POS per qualunque transazioni, di qualsiasi importo.

Il Governo, infatti, ha finalmente stabilito l’entità delle sanzioni da applicare qualora un negoziante  e professionisti non vogliano accettare i pagamenti elettronici. La multa da pagare è pari a 30 € a cui si aggiunge il 4% del valore del pagamento non consentito. Quindi, al crescere dell’importo non accettato, sale anche il valore della multa da corrispondere.

Limite pagamento contanti: gli incentivi per gli esercenti

Il Governo, oltre a stabilire le sanzioni, ha però anche messo a disposizione diversi incentivi per tutti coloro che devono ancora munirsi di POS. Le principali misure predisposte dall’Esecutivo per aiutare i commercianti e i liberi professionisti a sostenere i costi di acquisto e gestione di un POS, sono:

Limite pagamento contanti 2022

1.   Cashback

Si tratta di un incentivo indiretto, che può essere sfruttato solo dai consumatori e non dagli esercenti. Il Cashback consiste nel rimborso del 10% su acquisti di beni e servizi, fatti utilizzando come metodo il pagamento elettronico. Alla fine si è rivelato essere un sistema che ha incentivato il commercio e ha aumentato le opportunità di guadagno, soprattutto delle piccole imprese e degli artigiani locali.

2.   Lotteria degli scontrini

Alla lotteria degli scontrini partecipano clienti ed esercenti. In seguito a un pagamento digitale è emesso uno scontrino valido come biglietto per partecipare alle varie estrazioni. Ogni euro speso genera un ticket valido. Sono previste estrazioni e vincite settimanali, mensili e annuali. I premi sono corrisposti in denaro e la soglia più alta prevede un premio pari a 1.000.000 € per l’esercente. Fortunato sorteggiato. Ogni commerciante e professionista, per potervi partecipare, deve quindi possedere un POS e consentire ai propri clienti di effettuare i pagamenti tramite metodo elettronico.

Pagamento contanti: limite e credito d’imposta

Costi di gestione e commissioni sulle trasmissioni POS sono i due ostacoli principali che frenano gli  esercenti a voler utilizzare i POS. Per ovviare a questi problemi, l’Esecutivo ha previsto, da luglio 2020, un credito d’imposta pari al 30% sulle spese sostenute dagli esercenti. Una disposizione valido solo per tutti coloro che fatturano meno di 400.000 € l’anno. Fino al 30 giugno 2022 il limite è stato spostato addirittura al 100% per tutti coloro che hanno adottato un POS.

Il credito d’imposta è applicato per:

  • ogni commissione pagata dal commerciante/professionista sulle transazioni
  • costi fissi di locazione e gestione del terminale POS
  • spese sostenute dagli esercenti per tutti i pagamenti elettronici fatti dai clienti (eseguiti sia con carte di credito, debito, prepagate che con metodi alternativi quali, ad esempio, app e e-wallet).
  • Oneri per acquisto o noleggio POS sostenute dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022 (valore massimo 160€)
  • Spese per acquisto o noleggio POS che consente anche la trasmissione telematica dei dati (valore massimo 320 €).

Il credito d’imposta è inserito nella dichiarazione dei redditi. È utilizzabile solo in compensazione alle tasse e imposte dovute. Vale solo dal mese successivo a quello della spesa sostenuta. La documentazione relativa deve essere conservata per i dieci anni successivi e deve rimanere a disposizione delle autorità in caso di richiesta di controlli fiscali.

Condominio e Fattura elettronica: le novità per amministratori e condomini

È davvero necessario emettere una fattura elettronica condominio o è sufficiente la fattura di cortesia? Nonostante siano passati diversi anni da quando la fattura elettronica è entrata in vigore, sono ancora necessarie alcune precisazioni, soprattutto per quanto riguarda la corretta gestione dell’amministrazione condominiale.

Condominio e Fattura elettronica: un soggetto giuridico privo di partita Iva

Dal 1° gennaio 2019 la fattura elettronica è diventata obbligatoria anche i soggetti privi di partita IVA. È quindi necessario emettere fattura elettronica per tutte le operazioni effettuate nei confronti di soggetti senza partita IVA, come, ad esempio: privati consumatori, enti non commerciali dotati di solo codice fiscale e condomini.

Il condominio è infatti considerato un soggetto giuridico senza partita IVA. È titolare solo del codice fiscale ed è quindi destinato a ricevere fattura elettronica. Questo significa che i fornitori titolari di partita IVA che emettono fattura nei confronti di un condominio, sono tenuti a seguire le regole generali relative alla fatturazione elettronica. In altre parole chi emette fattura nei confronti di un condominio, deve:

  1. compilare la e-fattura in formato XML
  2. inviare il documento al Sistema di Interscambio
  3. inserire il codice fiscale condominiale nel relativo campo
  4. inserire “0000000” (7 volte zero) nel campo “codice destinatario” (in alternativa usare il recapito specifico del condominio)
  5. è facoltativo inviare copia analogica della fattura al condominio
  6. avvisare l’Amministratore condominiale che la copia analogica è solamente un duplicato di cortesia, mentre l’originale si trova, sotto forma digitale, nell’area riservata del contribuente all’interno del portale dell’Agenzia delle Entrate.

Condominio e Fattura elettronica

Condominio e Fattura elettronica: la copia di cortesia

La stessa Agenzia delle Entrate ha specificato, nel provvedimento n. 89757 del 30/04/2018, che il fornitore deve rilasciare al cliente finale:

“copia informatica o analogica della fattura elettronica, comunicando contestualmente che il documento è messo a sua disposizione dal Sistema di Interscambio nell’area riservata del sito web dell’Agenzia delle entrate”. 

Il fornitore deve quindi inviare e/o consegnare tramite i canali tradizionali, copia analogica di cortesia al condominio. Nonostante questa specifica, l’unica fattura valida ai fini fiscali è la fattura elettronica redatta in formato XML. Proprio per questo motivo, la copia analogica deve, obbligatoriamente, riportare la dicitura: “copia analogica di fattura elettronica inviata allo SdI”.

Vista la normativa e l’attuale situazione, sono in tanti a chiedersi l’utilità della copia di cortesia. Il condominio è semplicemente un privato consumatore, visto che non possiede partita IVA. In quanto tale, quindi l’amministratore deve semplicemente limitarsi a ricevere copia di cortesia della fattura e verificare invece, per i fini fiscali, la fattura elettronica sul proprio cassetto.

Fattura elettronica e condominio: la validità della copia di cortesia

Ai fini fiscali l’unica fattura valida è quella elettronica. La copia analogica serve solo a effettuare un controllo documentale. Quando e se si dovessero verificare una discordanza di dati tra la copia analogica e quella digitale, sono ritenuti validi quelli riportati sulla copia elettronica. Alla luce di quanto affermato finora, sembra davvero superfluo per un condominio dover ricevere per forza copia cartacea di cortesia.

Anche l’accertamento dei dati della copia analogica senza insensato, visto che gli unici dati validi sono quelli riportati sulla fattura elettronica. Nonostante questo è necessario e doveroso che l’Amministratore condominiale verifichi la correttezza dei dati sulla copia cartacea e si accerti che la copia inviata all’SdI sia compilata correttamente.

Comunicazione lavoro occasionale: cos’è e chi deve farla

La comunicazione lavoro occasionale è diventata un obbligo grazie al Decreto fisco-lavoro n° 146 del 2021. È possibile effettuarla anche online dal 28 marzo 2022, direttamente sul sito dell’ispettorato del lavoro grazie alle credenziali SPID e CIE. Vogliamo ricordare modalità, tempi e regole generali di comunicazione.

Comunicazione lavoro occasionale: i soggetti obbligati

Oltre ai precedenti soggetti obbligati a comunicare la prestazione occasionale, le nuove disposizioni a norma di legge hanno incluso nell’elenco anche:

  1. i committenti che operano in qualità d’imprenditori (esclusi quindi i professionisti)
  2. lavoratori autonomi occasionali inquadrati nella definizione dell’articolo 222 c.c.

Una classificazione che porta, di conseguenza, all’esclusione di:

  1. collaborazioni coordinate e continuative, comprese quelle etero-organizzate  già oggetto di comunicazione preventiva
  2. rapporti instaurati in base all’54-bis del D.L. n. 50/2017
  3. professioni intellettuali, in base alla disciplina dell’articolo 2229 c.c. Tutte le attività autonome esercitate in maniera abituale e assoggettate al regime IVA
  4. rapporti di lavoro “intermediati da piattaforma digitale, comprese le attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l), TUIR, soggetti a specifici obblighi di comunicazione)

Una nota esplicativa dell’ispettorato del lavoro ha specificato che gli Enti del Terzo Settore che svolgono esclusivamente attività non commerciale, non sono soggetti all’obbligo di comunicazione.  Solo nel caso in cui svolgano attività d’impresa, anche in forma marginale, tornano immediatamente ad assoggettarsi all’obbligo della comunicazione.

Anche le aziende di vendita diretta a domicilio sono escluse dall’obbligo di comunicazione. Così come i lavoratori autonomi occasionali impiegati in prestazioni di natura intellettuale, i lavoratori dello spettacolo, le ASD, le SSD e gli studi professionali a patto che non siamo organizzati in forma d’impresa.

Comunicazione lavoro occasionale 2022: tempistiche

La comunicazione lavoro occasionale deve essere trasmessa entro il 18 gennaio nel caso di collaborazioni iniziate prima o dopo il 21.12 e ancora attive alla data dell’11 gennaio 2022. Stessa scadenza per le collaborazioni iniziate dopo il 21.12 e cessate prima dell’11.1.2022.

È necessaria invece una comunicazione preventiva nel caso di collaborazioni iniziate dopo l’11 gennaio. Sono invece escluse dall’obbligo della comunicazione tutte quelle collaborazioni iniziate e cessate  entro il 21 dicembre.

Lavoro autonomo occasionale 2022: le modalità di comunicazione

La normativa attualmente vigente prevede l’obbligo di comunicare la prestazione di lavoro occasionale all’Ispettorato competente. Tale comunicazione può essere inviata tramite sms oppure posta elettronica (all’indirizzo specifico del relativo Ispettorato del Lavoro). È inoltre disponibile una piattaforma chiamata “Comunicazioni obbligatorie” con la quale è possibile indicare la prestazione in via telematica.

L’indicazione per email deve contenere dei dati obbligatori:

  • dati del committente
  • dati del prestatore
  • luogo di lavoro
  • descrizione dell’attività svolta
  • data d’inizio prestazione
  • arco temporale entro il quale la prestazione lavorativa possa dirsi conclusa
  • importo del compenso pattuito

Se la data di termine prestazione non dovesse essere rispettata, è necessario inviare una nuova comunicazione. Le varie dichiarazioni possono essere modificate e/o annullate entro e non oltre l’inizio dell’attività del prestatore. I dati trasmessi incompleti e/o errati (data d’inizio e dati personali dei soggetti coinvolti), non sono considerati come un’omessa comunicazione.

Comunicazione lavoro occasionale

Per quanto riguarda le indicazione dei termini entro le quali la prestazione può ritenersi conclusa sono tre:

  • 7 giorni
  • 15 giorni
  • 30 giorni

Comunicazione lavoro occasionale: sanzioni per omessa trasmissione

È prevista una precisa sanzione amministrativa in caso di omissione di comunicazione lavoro occasionale. Si tratta di un importo compreso tra i 500 € e i 2500 €. La sanzione pecuniaria è applicata per ciascun lavoratore autonomo occasionale per il quale sia stata omessa la comunicazione obbligatoria.

Le sanzioni sono applicate anche nel caso in cui la prestazione lavorativa si protragga nel tempo oltre la data indicata inizialmente e manchi la successiva nuova comunicazione. I lavoratori occasionali che svolgono prestazioni non comunicate sono annoverati e conteggiati come lavoratori irregolari. Sono soggetti a ispezioni e, se il loro numero supera il 10% dei lavoratori impiegati nello svolgimento della prestazione, l’ispettorato può prendere la decisione di sospendere l’attività lavorativa.