Legge di Bilancio 2022: entrano in vigore importanti novità

Dopo le novità relative alla fattura elettronica 2022, entriamo nel dettaglio per andare a vedere meglio tutte le notizie relative alla Legge di Bilancio 2022. Questa prevede l’introduzione d’ importanti riforme: rifinanziata la nuova Sabatini, prorogata plastic tax, revisionati crediti industria 4.0 e nuove aliquote IRPEF. Cerchiamo di capire meglio cosa comportano e quale impatto avranno sul mondo commerciale e finanziario.

Legge di Bilancio 2022: una panoramica delle novità

La Legge di bilancio 2022, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2021, è stata approvata il 29 grazie a un voto di fiducia con 414 favorevoli e 47 contrari. La norma introduce importanti misure per un totale di oltre 36 miliardi di euro.

Sono previsti interventi mirati per rafforzare il tessuto sociale ed economico, sostenendo la crescita e la competitività. Per le imprese, le principali news riguardano:

  • Rifinanziamento della Nuova Sabatini
  • Blocco per altri 12 mesi della Plastic e della Sugar Tax
  • Prolungamento dei bonus legati a Transizione 4.0
  • Proroga delle detrazioni per Bonus e Superbonus edilizi
  • Nuove aliquote IRPEF per la tassazione dei redditi
  • Abolizione IRAP per imprese individuali e professionisti
  • Un fondo aggiuntivo per contrastare il caro-bollette

Analizziamo quindi alcuni punti dell’elenco precedente per capire meglio la portata di questa norma.

Legge di Bilancio 2022: rifinanziamento della nuova Sabatini

A sostegno delle imprese è rifinanziata anche la Nuova Sabatini. Stanziati 900 milioni di euro complessivi dal 2022 al 2026 e il Fondo di garanzia con ulteriori 3 miliardi fino al 2027. Un sostegno importante per le micro, piccole e medie imprese che prevede, nello specifico:

  • aumenta la spesa fino a 240 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023
  • 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026
  • 60 milioni di euro per l’anno 2027

Legge di Bilancio 2022: Prolungamento dei bonus legati a Transizione 4.0          

Modificato il comma 1051 della Legge di Bilancio 2021, che individua i beneficiari dell’agevolazione. La variazione è prevista per eliminare il riferimento alla data di scadenza del credito d’imposta. Prorogati quindi alcuni crediti d’imposta con tempistiche, misure e limiti differenziati. Il credito d’imposta per le attività d’innovazione tecnologica e di design e ideazione estetica è prorogato fino al periodo d’imposta 2025. I periodi 2022 e 2023 sono mantenuti nella misura del 10%.

Invece il credito d’imposta per le attività d’innovazione tecnologica finalizzate alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi o sostanzialmente migliorati per il raggiungimento di un obiettivo di transizione ecologica o d’innovazione digitale 4.0 è previsto:

  • Proroga fino al 2025, mentre per il periodo 2022 è previsto nella misura pari al 15%, nel limite dei 2 milioni di Euro.

Il credito d’imposta per le spese di consulenza relative alla quotazione delle piccole e medie imprese è prorogato per tutto il 2022 con importo massimo ridotto da 500.000 a 200.000 Euro.

Legge di Bilancio 2022

Proroga delle detrazioni per Bonus e Superbonus edilizi

L’articolo 1, comma 28 lettere a)- e), g)-l) introduce una proroga a una delle misure più attese e apprezzate del 2021, il Superbonus 110%. Sono previste scadenze differenziate in base al soggetto beneficiario:

  • condomini
  • persone fisiche (al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, arte o professione)
  • organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale

La detrazione spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2025:

  • nella misura del 110 per cento per quelle sostenute entro il 31 dicembre 2023;
  • del 70 per cento per quelle sostenute nell’anno 2024;
  • del 65 per cento per quelle sostenute nell’anno 2025.

Prorogata anche la possibilità di avvalersi della misura per le cooperative di abitazione a proprietà indivisa fino al 30 giugno 2023.

Anche per gli interventi effettuati su unità immobiliari da persone fisiche è prevista l’applicazione dell’agevolazione fiscale per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022. L’unica condizione è che, alla data del 30 giugno 2022, devono essere già stati effettuati lavori per almeno il 30 per cento dell’intervento complessivo (senza più riferimento al valore ISEE).

Infine, i prezzari individuati dal decreto sono applicati anche ad altri lavori e interventi di recupero edilizio e riqualificazione energetica.

 

Fattura elettronica 2022: tutte le novità più importanti

La fattura elettronica 2022 è cambiata? Quali sono le più importanti e significative novità introdotte per quest’anno? In realtà, nel breve termine, non è previsto alcun rilevante aggiornamento, se non l’estensione della platea dei soggetti obbligati. Qualche regola nuova è attesa anche per le operazioni “da e verso” l’estero, ma a partire da luglio. Vediamo quindi insieme cosa è cambiato e le conseguenze che riscontreremo.

Fattura elettronica 2022: un anno ricco di novità

Anche se nel breve termine non è prevista alcuna modifica sostanziale, l’anno 2022 porterà in casa alla fatturazione elettronica dei cambiamenti piuttosto importanti. Infatti, la Commissione Europea ha autorizzato la proroga della fatturazione elettronica tra privati. La deroga alle regole comunitarie in materia d’IVA è differita fino al 31 dicembre 2024.

Si tratta di una misura che va a sommarsi a quelle previste dal Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2022. Il Decreto Legislativo infatti ha introdotto la possibilità di ampliare la platea di soggetti obbligati alla fatturazione elettronica  e che attualmente risultano esclusi dall’onere. Si tratta dei soggetti appartenenti al regime forfettario.

Fattura elettronica 2022 e prestazioni sanitarie

Mentre per gli appartenenti al regime forfettario si avvia l’obbligo di emettere fatturazione elettronica, medici e soggetti che erogano prestazioni sanitarie, non devono ancora adeguarsi a questa regola.

All’inizio l’obbligo per questi soggetti doveva partire dal primo gennaio 2022. Invece con la legge di conversione del Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio, il DL n. 146/2021, è prevista una nuova deroga che fa slittare la decorrenza al 2023. Si rimane quindi in attesa di una maggiore specificità delle regole sulla tutela della privacy degli interessati.

Per i soggetti tenuti alla trasmissione dei dati al Sistema tessera sanitaria, rimane quindi ancora vietata l’emissione della e-fattura. Anche per i soggetti che emettono alle fatture i cui dati sono da inviare ai fini della predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata, non esiste pertanto obbligo di fatturazione elettronica.

Non si tratta di un esonero, ma piuttosto di uno specifico divieto, introdotto dall’articolo 10-bis del Decreto Fiscale n. 119/2018. Divieto che continuerà a dover essere applicato anche nel caso di fatture relative a prestazioni sanitarie verso persone fisiche, da parte di soggetti non obbligati a trasmettere i dati al Sistema Tessera sanitaria.

Fatturazione elettronica 2022 e addio all’esterometro

Ulteriore proroga anche per l’esterometro e conseguentemente anche per l’obbligo della fatturazione elettronica per gli scambi esteri. Abolita quindi la comunicazione per le operazioni transfrontaliere, mentre per le fatture con l’estero è sempre indicato, quale canale di trasmissione, il Sistema d’Interscambio di Agenzia delle Entrate.

L’obbligo slitta al primo luglio 2022, nuova data introdotta in sede di conversione del Decreto n°146/2021. Il nuovo calendario prevede:

  • per le operazioni effettuate dal 1° gennaio al 30 giugno 2022, deve essere inviato:
    • esterometro del primo trimestre entro il 30 aprile (lunedì 2 maggio)
    • esterometro del secondo trimestre entro il 31 luglio (22 agosto, a causa della proroga feriale)
  • per le operazioni effettuate dal 1° luglio 2022:
    • invio dei dati delle operazioni verso soggetti esteri è effettuato tramite il SdI entro dodici giorni dalla data di effettuazione dell’operazione
    • l’invio dei dati relativi alle operazioni ricevute è effettuato tramite il SdI entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di ricevimento del documento comprovante l’operazione o di effettuazione dell’operazione.

Fattura elettronica 2022

Fatturazione elettronica: estensione ai forfettari

Nei prossimi mesi ci saranno importanti novità per i forfettari. Infatti, l’obbligo di emissione di fattura elettronica si estende anche ai soggetti appartenenti al regime forfettario. L’Europa ha già dato il consenso, quindi manca davvero poco perché l’obbligo sia attuato definitivamente.

La commissione Europea e il Consiglio UE hanno già approvato la richiesta dell’Italia per estendere l’onere alle partite IVA che applicano la franchigia per le piccole imprese prevista dall’articolo 282 della direttiva in materia d’imposta sul valore aggiunto. Manca quindi solo l’ultimo passo che deve essere compiuto dall’Italia. Il Bel Paese è infatti chiamato a disciplinare tempi e criteri per l’imposizione dell’obbligo. È probabile che la normativa trovi spazio direttamente all’interno della legge delega sulla riforma fiscale, prevista nel corso del 2022.

È plausibile, quindi, che quest’anno si possa assistere all’uniformazione delle regole che disciplinano la fatturazione elettronica per tutti i titolari di partita IVA. Una prospettiva molto allettante in cui riporre le speranze per contrastare ancora più efficacemente l’evasione fiscale e, al tempo stesso, per semplificare le regole del Fisco digitale.

Cumulo giuridico: cos’è, a cosa serve e quando è applicato

Il cumulo giuridico  delle sanzioni tributarie è disciplinato dalla legge n° 472 del 18 dicembre 1997. Il cumulo giuridico altro non è che un meccanismo attraverso il quale è irrogata una sanzione in caso di più violazioni commesse dal contribuente. La sanzione è irrogata applicando quella di base prevista per la violazione più grave e aumentata secondo quanto stabilito dalla legge stessa. Vediamo come funziona e i casi in cui è previsto.

Cumulo giuridico: cos’è, definizione

L’articolo 12 del decreto legislativo numero 471/1997, è rubricato sotto il nome di  “Concorso di violazioni e continuazione”. Tratta e gestisce il cumulo giuridico. Si tratta di un meccanismo utilizzato solamente dagli uffici finanziari e applicato durante le fasi di accertamento ed irrogazione di sanzioni tributarie. Il cumulo è applicato quando un contribuente non paga, in modo continuo, dei tributi.

In altre parole si tratta di un meccanismo che prevede l’irrogazione di una sanzione nel caso di più violazioni, irrogata applicando la sanzione per la violazione più grave commessa e maggiorata in base a quanto stabilisce la legge.

Cumulo giuridico: ecco a cosa serve veramente

Anche se non sembra, il cumulo giuridico rappresenta uno sgravio per il contribuente. Infatti, con questo meccanismo, si evita un gravoso accumulo di sanzioni singole, previste per ciascuna violazione commessa dal contribuente. Rispetto al cumulo materiale, questo processo permette al contribuente di ottenere una sorta di “sconto” sulla somma totale che dovrebbe pagare se venissero invece applicate le singole sanzioni su ciascuna violazione commessa. Il cumulo giuridico si applica in molteplici situazioni, ognuna delle quali è disciplinata dall’articolo 12 del Decreto Legislativo n°472/1997.

Quando è applicato il cumulo giuridico

I casi in cui il cumulo giuridico si applica si dividono in:

  • ​concorso formale di violazioni omogeneo ed eterogeneo – si tratta di violazione omogenea quando con una sola azione o omissione si commettono diverse violazioni della stessa disposizione. Si tratta invece di violazione eterogenea quando, con una sola azione o omissione, sono violate disposizioni diverse anche relative a tributi differenti.
  • concorso materiale di violazioni – più azioni o omissioni commesse attraverso le quali si commettono diverse violazioni della stessa disposizione.

Cumulo giuridico

Cumulo giuridico: continuazione e progressione dell’illecito tributario

La continuazione, disciplinata sempre dal medesimo articolo, consiste nella condotta del contribuente che commette più violazioni (anche in tempi diversi) che tendono a pregiudicare o pregiudicare nella sua determina, l’imponibile o la liquidazione periodica del tributo.

Anche in questo caso la sanzione irrogata è pari a quella prevista per la violazione più grave commessa dal contribuente e maggiorata da un quarto del doppio di quanto disposto dalla legge stessa. La continuazione nel cumulo giuridico si verifica quando le violazioni commesse dal contribuente sono concatenate tra loro. Significa che tutte le violazioni commesse hanno come scopo ultimo, l’evasione fiscale dello stesso tributo.

È un esempio calzante di continuazione nel cumulo giuridico l’omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA. Detta in altre parole, si verifica in presenza di mancata emissione di scontrini, fatture, ricevute fiscali. Infatti, non emettere uno scontrino elettronico, piuttosto che una fattura elettronica, porta alla loro mancata registrazione. Di conseguenza, al termine dell’anno fiscale, sarà presentata una dichiarazione annuale iva falsata, proprio perché mancate delle operazioni omesse (operazioni non scontrinate o fatturate).

In tutti questi casi, quindi, le singole operazioni non sono sanzionate una per una, ma soggette alla continuazione del cumulo giuridico. Il cumulo prevede l’applicazione della sanzione più alta prevista per la violazione più grave commessa, che comprende un importo tra il 90% e il 180% della maggiore imposta dovuta , aumentata di un quarto del suo doppio.

Esempi di omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA

Il secondo comma dell’articolo 12 del D. Lgs. 472/1997 disciplina la cd continuazione o progressione dell’illecito tributario. In questa sede riportiamo alcuni esempi per capire meglio quando è applicata la continuazione nel cumulo giuridico per le seguenti violazioni:

  • formale per mancata emissione della fattura
  • del dpr 917/1986 in termini di determinazione del reddito di impresa o di lavoro autonomo o professionale
  • del dpr 633/1972 in materia di determinazione e liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto
  • degli obblighi comunicativi e dichiarativi in materia di imposte dirette e IVA.

Infine si riporta il comma 3 dell’articolo 12 del Decreto Legislativo n°472/1997 che dispone:

“Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera quale sanzione base cui riferire l’aumento, quella più grave aumentata di un quinto.”

Calcolo acconto iva: definizione, soggetti passivi iva e metodologie

Il calcolo acconto IVA è, ogni anno, un bel cruccio per tutti i soggetti passivi IVA. Il 27 dicembre 2021 scade il termine per il pagamento dell’acconto IVA. L’importo dovuto è quello calcolato in base alle risultanze dell’ultimo periodo di versamento, relativo all’anno precedente. Diversi i metodi per calcolarlo. Con questo breve articolo vogliamo quindi vedere di chiarire, una volta per tutte, cos’è l’acconto, quali sono i soggetti che sono tenuti a pagarlo e, soprattutto, i metodi usati per calcolarlo.

Acconto IVA: cos’è e a cosa serve

L’acconto IVA è un adempimento obbligatorio. Deve essere corrisposto da tutti i soggetti passivi IVA entro il 27 dicembre di ogni anno. L’amministrazione finanziaria chiede il pagamento di un acconto dell’imposta dovuta nell’ultimo trimestre dell’anno, oppure relativo all’IVA di dicembre (per chi effettua liquidazioni mensili).

Si tratta, quindi, di un anticipo del versamento del saldo IVA che invece viene corrisposto l’anno successivo al momento della dichiarazione IVA annuale. È un modo, attraverso il quale, l’Amministrazione finanziaria, incassa parte dell’IVA dell’anno successivo, in quello precedente. Non tutti gli operatori economici sono comunque tenuti a versare l’acconto.

Soggetti passivi IVA: chi è tenuto a pagare l’acconto

Il calcolo acconto IVA lo devono fare tutti i contribuenti passivi d’IVA, come imprenditori e liberi professionisti. I soggetti che invece risultano esonerati da questo pagamento, sono tutti quelli non obbligati a liquidare periodicamente l’imposta (mensile, trimestrale che sia).

Il DPR n°633/72 definisce, nel dettaglio, tutti i soggetti esonerati dal calcolo acconto IVA e relativo pagamento:

  • chi ha iniziato attività nell’anno in corso
  • chi ha attività che risulti cessata prima del 30 novembre (mensili) o del 30 settembre (trimestrali)
  • i soggetti per i quali, applicando il metodo analitico di calcolo acconto IVA, risulta un’eccedenza di credito dalla liquidazione dell’imposta, alla data del 20 dicembre
  • i contribuenti che si trovano nel regime agevolato dei minimi o nel regime forfettario
  • chi presume di chiudere l’anno a credito
  • tutti i soggetti che eseguono solo operazioni esenti o non imponibili

Calcolo acconto iva

Calcolo acconto IVA: i metodi utilizzati

Il calcolo acconto IVA può essere fatto seguendo tre diverse metodologie. Chi è interessato al pagamento dell’acconto, quindi ditte individuali, società di persone e capitali e lavoratori autonomi, hanno a disposizione tre alternative per calcolare quanto dovuto all’amministrazione finanziaria.

Ciascuna tipologia di calcolo presenta un metodo differente e caratteristiche diverse. I tre metodi possono poi essere applicati rispettivamente, solo in base a determinate circostanze e situazioni. In ogni caso, comunque, gli importi versati in qualità di acconto, saranno poi detratti dal saldo dovuto l’anno successivo.

I tre metodi previsti per il calcolo acconto IVA sono:

  1. storico
  2. analitico
  3. previsionale

Vediamoli meglio nel dettaglio.

Calcolo acconto IVA: metodo storico

In questo caso il calcolo è fatto matematicamente. Gli importi sono determinati in base al saldo dell’anno precedente (contribuenti trimestrali) o in base alla liquidazione IVA del mese di dicembre (contribuenti mensili). L’acconto IVA dovuto, infatti, è pari all’88% dell’Iva dovuta. Esiste poi la categoria particolare dei contribuenti speciali ((autotrasportatori, distributori di carburante, odontotecnici) per i quali, gli importi corrispondono all’88% del quarto trimestre dell’anno precedente. Il metodo storico è quello che di norma è più comunemente utilizzato.

Calcolo acconto IVA: metodo analitico

In questo caso è presa in considerazione la liquidazione IVA straordinaria. È un sistema che basa il calcolo sulla percentuale del 100% dell’IVA risultante da una liquidazione straordinaria effettua considerando:

  • tutte le operazioni attive effettuate fino al 20 dicembre
  • le operazioni passive registrate fino al 20 dicembre

è un metodo che conviene a chi ha registrato nell’anno in corso, una sostanziale diminuzione del volume d’affari.

Calcolo acconto IVA: metodo previsionale

Come dice il nome stesso, è un metodo di calcolo che si basa su una previsione dell’andamento dell’azienda nel periodo considerato. La previsione è fatta basandosi sull’andamento del mese di dicembre. L’acconto quindi sarà pari all’88% dell’IVA che si prevede di dover versare per il mese di dicembre dell’anno in corso (contribuenti mensili), o per l’ultimo trimestre (contribuenti trimestrali).

Con questo sistema, però, si corre il rischio di vedere applicate delle sanzioni se il versamento risultasse inferiore rispetto al dovuto.

In ogni caso, comunque, l’acconto va versato entro e non oltre il 27 dicembre di ogni anno utilizzando un modello F24 con modalità telematica.

Territorialità iva delle operazioni ai fini dell’Imposta sul valore aggiunto

L’articolo precedente: “Modello Intrastat: cos’è e a cosa serve” abbiamo visto a cosa serve un modello Intrastat e quando e perché deve essere compilato. Si tratta di un argomento strettamente correlato con quello che vogliamo affrontare in questo nuovo articolo: la territorialità IVA. Prima di tutto chiariamo cosa si intende con questo concetto. Si tratta di un requisito fondamentale con il quale è possibile verificare il luogo di applicazione ai fini IVA per tutte le operazioni, effettuate o ricevute, dai soggetti passivi d’imposta nel territorio dello Stato.

Il regime territoriale esiste ormai da moltissimi anni, ma ha subito notevoli modifiche a seguito della direttiva 2008/8/Ce. La principale modifica introdotta dalla direttiva è quella secondo la quale, affinché un’operazione si possa dire rilevante ai fini IVA, è necessario che questa avvenga sul territorio della Repubblica Italiana (a esclusione dei Comuni di Livigno e di Campione d’Italia e delle acque nazionali del lago di Lugano).

Territorialità IVA: cessioni di beni e prestazioni di servizi

Un’operazione rilevante ai fini IVA, per essere considerata tale, deve avvenire sul territorio dello stato italiano. Lo stabilisce l’articolo 1 del DPR n°633/1972, che cita:

“l’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate“

Questo significa che, un’operazione può essere rilevante ai fini Iva se esistono i seguenti requisiti:

  • soggettività – operazione svolta nell’esercizio di impresa arte o professione
  • oggettività – deve trattarsi di una cessione di beni o di una prestazione di servizi
  • territorialità – deve avvenire nel territorio dello Stato italiano

Territorialità IVA e operazioni intracomunitarie

Tutte le operazioni per le quali non è possibile riscontrare i tre requisiti precedenti, sono da considerarsi escluse dal campo di applicazione IVA. Quindi, anche laddove manca il terzo requisito, rappresentato dalla territorialità IVA, l’operazione deve essere esclusa da quelle a cui è possibile applicare l’IVA. Da chiarire che le operazioni non territoriali e le operazioni non imponibili, non sono la stessa cosa. Le operazioni non imponibili, sono attività di cessione di beni e servizi per le quali non è applicabile il regime IVA, a prescindere dalla soddisfazione di uno, due o di tutti e tre i requisiti precedentemente elencati.

Territorialità iva

Quindi, la prima cosa da fare con un’operazione, è quella di capire se questa rientra o meno nel campo di applicazione del tributo. La verifica è possibile controllando che i requisiti sopra elencati, siano o meno soddisfatti. Chiarito il punto sono poi da escludere tutte le operazioni per le quali sono previste speciali esenzioni e fattispecie di non imponibilità. Solo al termine dei controlli si potrà parlare di operazioni imponibili IVA.

Come verificare il requisito di territorialità Iva

Il terzo requisito, quello relativo alla territorialità Iva prevede che la cessione del bene o servizio sia da considerarsi effettuata in Italia se:

  • il bene si trova in Italia al momento dell’operazione
  • è un bene nazionale, nazionalizzato, comunitario o vincolato al regime della temporanea importazione
    • Bene nazionale – vale a dire prodotto in Italia
    • Bene comunitario – prodotto in uno o più degli stati membri della comunità Europea
    • Nazionalizzato – prodotto in paese extra UE e definitivamente importato in Italia
    • Bene vincolato al regime della temporanea importazione – prodotto extra europeo, ma importato temporaneamente in Italia per una successiva lavorazione. A seguito di questa lavorazione, per il bene è prevista una nuova esportazione ed è quindi destinato al traffico internazionale.

Territorialità IVA per prestazioni di servizi generiche

Le prestazioni di servizi “generici” si considerano effettuate in Italia “quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato”. Le prestazioni di servizi “specifici” si considerano effettuate in Italia “quando sono rese a committenti non soggetti passivi da soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato”. Il consumatore ha assunto, con le nuove disposizioni di legge, un ruolo predominante nell’identificazione della territorialità IVA. Infine i servizi resi da soggetti UE nei confronti di operatori nazionali dovranno essere regolarizzati con emissione di autofattura e relativi adempimenti.

Per l’identificazione e la corretta fatturazione delle operazioni IVA è necessario rivolgersi sempre a un esperto professionista del settore. Occorre un’attenta e precisa pianificazione fiscale internazionale, per non incorrere in eventuali errori che potrebbero portare all’applicazione di sanzioni e ammende.

Identificazione diretta ai fini iva: come funziona la procedura di richiesta

Nell’articolo precedente: “Identificazione diretta iva: cos’è e qual è la procedura da seguire” abbiamo visto cos’è e a cosa serve l’identificazione diretta. Riassumendo è quell’operazione necessaria ad un soggetto estero che opera in Italia, di adempiere correttamente agli obblighi tributari e fiscali ai fini IVA. Oggi vogliamo concludere l’argomento riportando la procedura esatta che le aziende straniere dovrebbero seguire per l’identificazione diretta ai fini IVA quando operano su territorio italiano.

Identificazione diretta ai fini IVA: procedura

I soggetti esteri non residenti in Italia, che operano su territorio nostrano, sono tenuti all’identificazione diretta ai fini IVA per assolvere agli obblighi di imposta. La materia è disciplinata dall’ articolo 35-ter del DPR n. 633/72, che riporta l’intera procedura che deve essere seguita.

La prima fase della procedura di identificazione diretta a i fini IVA prevede l’inoltro della richiesta. La società estera che intende operare in Italia, ma non è residente sul nostro territorio, prima di avviare qualunque attività deve presentare ad Agenzia delle Entrate il modello ANR/3. Le richieste possono essere inoltrate esclusivamente presso l’Agenzia delle Entrate – Centro operativo di Pescara – Via Rio Sparto 21 – 65100 Pescara. La documentazione può essere recapitata di persona all’ufficio, oppure inviata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno (obbligatorio, in questo secondo caso, allegare copia fotostatica di un documento di identificazione del dichiarante e la certificazione attestante la qualità di soggetto passivo agli effetti dell’IVA posseduta nello Stato di appartenenza).

Tutti i documenti da presentare

Al modello ANR/3 devono essere allegati una serie di documenti ben precisi:

  • Certificato originale rilasciato dalle Autorità Fiscali del Paese dove ha sede legale l’impresa che attesti l’iscrizione ai fini IVA
  • Certificato aggiornato e originale rilasciato della Camera di Commercio del Paese dove ha la sede legale l’impresa
  • Traduzione in lingua italiana dell’intera documentazione presentata
  • Copia fronte retro valida di un documento di identità del firmatario o del legale rappresentante
  • Dichiarazione dove sono specificate: le attività svolte nel paese estero, l’attività che verrà svolta in Italia, le motivazioni della richiesta, l’identificazione di tutti i soggetti verso i quali si rivolge l’attività in Italia e che il soggetto straniero non è in possesso di una stabile organizzazione su nostro territorio.

Verifica della richiesta e risposta dell’Agenzia delle Entrate

Una volta che Agenzia delle Entrate ha ricevuto l’intera documentazione sopra elencata, ne controlla il contenuto e la correttezza e risponde al soggetto estero con l’avvenuta identificazione diretta ai fini IVA e il rilascio della partita IVA. Da quel momento in poi, il soggetto straniero è tenuto ad assolvere tutti gli obblighi IVA previsti dalla legge italiana.

Identificazione diretta ai fini iva

Se il soggetto estero sfora annualmente la soglia di 10.000, deve auto certificare nel modello di attribuzione della partita IVA il volume delle vendite per il quale avrebbe dovuto essere applicata l’IVA italiana. È possibile effettuare il pagamento tramite l’istituto del ravvedimento operoso.

Adempimenti

Il soggetto estero identificato IVA in Italia deve:

  • eseguire fatturazione
  • provvedere alla registrazione delle fatture di tutte le operazioni attive e passive effettuate
  • eseguire la liquidazione IVA e provvedere ai versamenti periodici
  • può richiedere eventuali rimborsi IVA trimestrali
  • effettuare la dichiarazione IVA annuale
  • redigere e conservare registri e documenti relativi all’INTRASTAT

Per i soggetti esteri non vi è obbligo di fatturazione elettronica. Inoltre possono effettuare i pagamenti tramite:

Infine, il modello ANR è quello che deve essere utilizzato anche per comunicare eventuali variazioni di uno o più dati indicati al momento della procedura per l’identificazione diretta ai fini IVA. Lo stesso vale anche in caso di cessazione di attività che deve essere comunicata sempre con il medesimo modulo. Come sempre il modello deve essere consegnato a mano, oppure inviato con raccomandata con ricevuta di ritorno presso gli uffici di Pescara dell’Agenzia delle Entrate.

La procedura per ottenere la partita IVA è particolarmente lunga, perché, purtroppo, non è ancora stata informatizzata. Si tratta inoltre di una procedura piuttosto dispendiosa. A causa di questi motivi, la maggior parte delle aziende estere preferisce procedere all’identificazione tramite stabile organizzazione, oppure nominando un rappresentante fiscale nel Bel Paese. L’unico vantaggio a procedere con l’identificazione diretta ai fini IVA è il fatto che il soggetto estero non diventa soggetto di diritti e obblighi in Italia ai fini delle imposte dirette.

Identificazione diretta iva: cos’è e qual è la procedura da seguire

Sono ancora in molti a chiedersi come funziona la procedura per l’identificazione diretta iva in Italia e qual è la documentazione da presentare. Le aziende estere che si trovano a operare nel nostro paese tramite, ad esempio, e-commerce, potrebbero aver bisogno dell’identificazione diretta ai fini IVA. Per le operazioni eseguite su territorio straniero da una società non residente, l’IVA applicata e dovuta è quella del paese prestatore. Se l’attività all’interno del territorio dell’UE supera i 10.000 euro annuali, allora è obbligatoria l’identificazione diretta IVA per le vendite effettuate nel nostro paese. Il soggetto non residente deve, quindi, inquadrare correttamente la propria posizione da un punto di vista fiscale e tributario.

Identificazione diretta IVA: quando è veramente necessaria

Le aziende straniere che intendono operare in Italia, senza avere la residenza, lo possono fare scegliendo di intraprendere una delle seguenti tre possibilità:

  • Creare una società controllata sul nostro territorio (subsidiary). -soluzione più completa di tutte, attraverso la quale è possibile gestire qualunque attività.
  • Creare una branch, cioè una stabile organizzazione in Italia – il soggetto estero, in questo caso, deve avere almeno un ufficio o una sede fissa su territorio italiano, senza che vi sia un autonomo soggetto di diritto staccato dall’azienda estera.
  • Identificazione diretta iva – in questo caso la società estera non ha nessuna presenza fisica in Italia, ma vi svolge ugualmente un’attività commerciale (tramite e-commerce).

Scegliere l’una o l’altra opzione, dipende dal grado di presenza della società straniera sul nostro territorio. L’identificazione diretta IVA è disciplinata dall’art. 35-ter del DPR n. 633/72. Le aziende straniere che vendono in Italia tramite e-commerce e superano i 10.000 euro annui di fatturato, hanno l’obbligo di identificarsi ai fini IVA. Devono inoltre applicare il regime IVA OSS per adempiere agli obblighi IVA previsti.

Identificazione diretta IVA VS rappresentante fiscale

Identificazione diretta IVA e nomina di un rappresentante fiscale, sono procedure tra loro alternative. La nomina del rappresentante fiscale riguarda i soggetti passivi IVA residenti in un Paese extra-UE. Tali soggetti non possono ricorrere alla procedura di identificazione diretta IVA e, per aprire partita IVA devono quindi nominare un rappresentante fiscale.

Identificazione diretta iva

Identificazione diretta a fini IVA: norme di riferimento e funzionamento

L’identificazione diretta IVA è regolata dal

La procedura dell’identificazione è riservata a tutti quei soggetti che esercitano attività di impresa, di arte o professione all’interno di uno stato dell’Unione Europea. Questa è applicata in alternativa alla stabile organizzazione e alla nomina di rappresentante fiscale. La procedura si attiva quando la società estera cede beni o presta servizi territorialmente rilevanti in Italia. Le operazioni di cessione sono rivolte a soggetti come:

  1. Privati consumatori
  2. Enti non commerciali privi di partita IVA
  3. Soggetti non residenti anche se in possesso di partita Iva

Tutte le operazioni eseguite nei confronti di altre imprese sono soggette all’emissione di fattura elettronica. La fattura non riporterà, in questo caso, l’indicazione della partita IVA italiana. Il soggetto committente italiano, invece, deve registrare la ricevuta del soggetto estero attraverso la procedura del Reverse Charge con il meccanismo dell’autofattura, oppure dell’integrazione contabile.

Responsabilità tributaria

Al pari dell’identificazione, anche la responsabilità tributaria riveste un ruolo molto importante per i soggetti esteri che operano in Italia. La responsabilità tributaria è imputabile all’azienda estera. È necessario fare comunque una distinzione tra imposte dirette  e imposte indirette.

Il soggetto straniero che opera in Italia non assume il territorio nostrano come fiscalmente rilevante. Mantiene quindi quello di origine come riferimento per i tributi. Nonostante questo, la società estera non residente diventa comunque soggetto destinatario di diritti e obblighi previsti dalla normativa fiscale. La legge infatti stabilisce che per le operazioni rilevanti nel territorio dello Stato ai fini IVA, il soggetto rimane obbligato al pagamento.

Al contrario, per quanto riguarda invece le imposte sui redditi, il soggetto estero che opera in Italia, non assume residenza sul nostro territorio, non diventa soggetto di diritto a cui possono essere imputati diritti e obblighi tributari. Tale soggetto rimane assoggettato alle imposte dirette nel Paese in cui risulta essere fiscalmente residente.

Tuir: cos’è e a cosa serve il Testo Unico delle Imposte sui Redditi

Tuir è acronimo di Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come dice il nome stesso, disciplina  la tassazione dei redditi di qualunque tipologia di contribuente. Che si tratti di persona fisica, piuttosto che di società, il TUIR è sempre il punto di riferimento a cui rivolgere la propria attenzione. È presente in Italia dal 1986, quando venne introdotto nell’ordinamento dal D.P.R. 917. È in continuo divenire, sempre in aggiornamento per stare al passo con i tempi e disciplinare al meglio l’argomento (spinoso) legato alla tassazione dei redditi. Si tratta di un argomento piuttosto lungo e complesso, più che altro forse, spinoso perché tocca un soggettivamente chiunque. Non si tratta infatti, di una normativa che riguarda esclusivamente le società, i liberi professionisti, le PMI e i commercianti, ma chiunque produca un qualunque tipo di reddito nel nostro paese. Cerchiamo quindi di capire com’è fatto, cosa contiene e a cosa disciplina, nello specifico.

TUIR: com’è strutturato

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi è suddiviso in quattro diverse parti:

  • IRPEF
  • IRES
  • Operazioni di carattere straordinario e operazioni di carattere internazionale
  • Disposizioni varie, transitorie e finali

Ciascuna parte è a sua volta suddivisa in Capi svariati Articoli. Per capire meglio la struttura del testo ne riportiamo la suddivisione nei vari capitoli interni:

IRPEF

  • Titolo I – Imposta sul reddito delle persone fisiche

Seguono poi i Capi dal I al VII, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 1-24)
  • Redditi fondiari (artt. 25-43)
  • Redditi di capitale (artt. 44-48)
  • Redditi di lavoro dipendente (artt. 49-52)
  • Redditi di lavoro autonomo (artt. 53-54)
  • Redditi di impresa (artt. 55-66)
  • Redditi diversi (artt. 67-71)

IRES

  • Titolo II – Imposta sul reddito delle società

Seguono poi i Capi dal I al VI, dedicati a:

  • Soggetti passivi e disposizioni generali (artt. 72-80)
  • Base imponibile società/enti commerciali residenti (artt. 81-142)
  • Enti non commerciali residenti (artt. 143-150)
  • Società ed enti commerciali non residenti (artt. 151-152)
  • Enti non commerciali non residenti (artt. 153-154)
  • Base imponibile per alcune imprese marittime (artt. 155-161)

Tuir

Disposizioni comuni

  • Titolo III – Disposizioni comuni

Seguono poi i Capi dal I al V, dedicati a:

  • Disposizioni generali (artt. 162-164)
  • Redditi prodotti all’estero e rapporti internazionali (artt. 165-169)
  • Operazioni straordinarie (artt. 170-177)
  • Operazioni straordinarie fra soggetti di diversi stati membri UE (artt. 178-181)
  • Liquidazione volontaria e procedure concorsuali (artt. 182-184)

Titolo IV – Disposizioni varie, transitorie e finali (artt. 185-191)

TUIR: modifiche e aggiunte

Come detto in apertura articolo, il TUIR è un testo sempre in continuo aggiornamento, che cerca di stare così al passo con i tempi. Lo scopo dei vari aggiornamenti, è quello di riuscire a disciplinare al meglio una materia vasta e complessa che cambia di anno in anno in base alla nascita di nuove esigenze fiscali ed economiche, nonché di dinamiche socio-politiche. Le varie modifiche apportate al testo unico vanno, di conseguenza, a incidere su ogni singolo contribuente italiano. Dalla persona fisica, all’azienda più piccola, fino ad arrivare alle società strutturate in compagnie maggiori che emettono ogni anno diverse centinaia di migliaia di fatture elettroniche.

Una delle ultime e più importanti modifiche al TUIR è stata quella applicata con il DLGS 344 del 12 dicembre 2003. Questa norma ha infatti introdotto nel testo unico l’IRPEG= Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche e l’IRES=Imposta sul Reddito delle Società. 

Per quanto riguarda l’IRES, negli articoli: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” e “Irpef e Ires: cosa sono e come funzionano” abbiamo già visto cos’è e quando grava sulle spalle dei contribuenti. Per quanto riguarda invece l’IRPEG, spendiamo qualche parola.

L’IRPEG è stata il precursore dell’IRES. Era una imposta italiana di tipo proporzionale. Dal 1° gennaio 2004 è stata definitivamente sostituita dall’IRES. Lo scopo è stato quello di disciplinare il regime fiscale dei capitali e delle imprese seguendo il modello prevalente nei Paesi membri dell’Unione Europea. Ai tempi fu una modifica radicale e profonda per il Testo unico sulle imposte sui Redditi, che segnò un punto di svolta per tutti. Il Decreto Legislativo artefice di questa modifica fu il 12 dicembre 2003, n. 344 “Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80“.

Accertamento sintetico: cos’è e come funziona

L’accertamento sintetico, conosciuto più comunemente come redditometro, è uno strumento utilizzato dal Fisco. Serve a determinare il reddito presunto dei contribuenti. Basa i calcoli sulle spese sostenute ed effettuati dai vari soggetti. È presente in Italia dal lontano 1973, ma rivisitato e potenziato nel 2010 in seguito al decreto legge n° 78.

Questo strumento è utilizzato dall’Agenzia delle Entrate. Serve quindi a determinare il reddito complessivo netto dei contribuenti e prende in esame le spese generiche sostenute dai vari soggetti. In base alle spese, Ade, determina il reddito netto e spetta al contribuente la prova contraria. In altre parole è a carico dell’utente dimostrare all’Agenzia delle Entrate che le spese sostenute sono state pagate con redditi diversi da quelli posseduti durante il periodo d’imposta (vale a dire preso in esame), oppure con redditi che non partecipano alla formazione del reddito imponibile, o ancora con redditi soggetti, o esenti, dalla ritenuta alla fonte.

Accertamento sintetico: dalle origini ad oggi

Per conoscere meglio questo particolare strumento del Fisco, partiamo proprio dalle sue origini. È introdotto nel 1973, dall’articolo n°38, c. 4 a 8, DPR n°600/1973. Fino al 2008 l’accertamento sintetico previsto dalla legge, prevedeva:

“… Con riferimento esclusivo alle persone fisiche, che prevede che l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39 del DPR n. 600/1973, può in base ad elementi e circostanze di fatto certo, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.

Nel 2010 le disposizioni sono state rivisitate. Oggi, infatti, l’accertamento sintetico e quindi il relativo redditometro consiste nella:

“… Determinazione sintetica del reddito complessivo ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. L’ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fi ni dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione”.

Una forma leggermente diversa, con termini modificati che, in sostanza, comunque prevede sempre il redditometro quale strumento per l’accertamento del reddito netto di un contribuente. A lui poi l’onere della prova contraria.

Accertamento sintetico

Accertamento sintetico: a chi si applica

L0’accertamento sintetico è applicabile a tutte le persone fisiche ai fini di determinare l’imposta sul reddito. È inoltre applicabile a tutte le persone fisiche  che esercitano imprese, arti e professioni. In quest’ultimo caso il reddito complessivo dei soggetti deve risultare essere inferiore a quello a loro attribuibile, in base a tutte le spese sostenute nel periodo d’imposta esaminato e ai relativi indici di capacità contributiva. In altre parole si ricorre al redditometro, solo quando il reddito presunto supera di almeno il 20% di quello realmente dichiarato.

Il calcolo del reddito è eseguito in base a specifici indicatori di capacità contributiva. Il Fisco prende in esame specifiche spese sostenute dal soggetto durante il periodo d’imposta e ne moltiplica gli importi per determinati coefficienti di riferimento. I coefficienti sono legati alla classe di appartenenza del contribuente.

Accertamento sintetico: ecco come funziona

Cerchiamo adesso di capire nel dettaglio come funziona l’accertamento sintetico. Le caratteristiche prese in considerazione sono tre:

  • Composizione familiare – i calcoli sono effettuati valutando la situazione familiare del contribuente. Quindi si tiene conto se è single, oppure in coppia e se ha o no dei figli.
  • Età – tre i diversi scaglioni di appartenenza: fino a 35 anni, da 35 a 64 anni e oltre i 65 anni.
  • Area geografica di riferimento – in base alla residenza del contribuente sul territorio nazionale.

Ogni contribuente è identificato all’interno di specifiche classi. A ciascuna classe corrispondono dei coefficienti. Le spese effettuate dai contribuenti nell’arco del periodo d’imposta, sono moltiplicate per i relativi coefficienti. Il risultato corrisponde al presunto reddito netto. Agenzia delle Entrate, dopo aver calcolato l’importo, invia comunicazione al contribuente. In seguito alla ricezione dell’avviso, spetta al contribuente presentarsi presso gli uffici AdE competenti per territorio, e fornire le prove che giustificano le eventuali differenze tra spese e reddito dichiarato.

Successivamente all’accertamento sintetico, il contribuente può richiedere un accertamento di adesione. Agenzia delle Entrate mette inoltre a disposizione un sistema, chiamato Redditest che consente di calcolare preventivamente un’eventuale congruenza tra reddito dichiarato e spese sostenute.

Rimborso spese e regime forfettario: cosa sono e come funzionano

Per rimanere nel regime forfettario è necessario non superare la soglia di compensi e ricavi pari a 85.000€ annui, come visto nell’articolo: “Regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche”. Il rimborso spese contribuisce alla formazione del reddito e al raggiungimento del limite di fatturato di 85.000€ annui imposto per il regime forfettario. È inoltre impossibile, per questo regime, dedurre le spese sostenute per lo svolgimento della propria attività. Esiste però un’eccezione. Infatti il rimborso spese non concorre al calcolo del reddito imponibile, quando queste sono sostenute dal professionista come anticipazione a nome e per conto del cliente.

Vediamo di capire meglio come funziona.

Rimborso spese: le varie tipologie di rimborsi

La definizione: “anticipazione a nome e per conto del cliente”, assume, per il regime forfettario, una particolare accezione. Esistono diverse tipologie di spese che il forfettario può trovare a dover sostenere e, di conseguenza, per ciascuna di esse, un determinato rimborso.

Ad esempio, le spese prepagate dal committente, altro non sono che costi sostenuti in via anticipata dal cliente/committente, prima dell’inizio del lavoro stesso. Per capire meglio di cosa si tratta, si può pensare ai biglietti del treno, dell’aereo o del noleggio di un’autovettura, prima il viaggio del forfettario abbia inizio. Affinché il rimborso spesa possa rientrare in questa specifica categoria, la fattura elettronica deve, obbligatoriamente, essere intestata al cliente/committente. Può, ma non è obbligatorio, contenere il riferimento al forfettario, vale a dire a colui che ha beneficiato del bene/servizio.

Il Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), nell’articolo 54, comma 1, ha specificato dettagliatamente che, in questo caso, le spese sostenute non corrispondono a un compenso. Essendo poi un costo sostenuto direttamente dal committente/cliente, non c’è bisogno nemmeno del rimborso. A tal proposito, il professionista non deve inserire questa voce nella fattura elettronica che emette al cliente per le proprie prestazioni.

Rimborso spese effettuate a nome e per conto del cliente

Altro caso relativo al rimborso spese per il regime forfettario è quello nel quale le spese sono sostenute direttamente dal professionista, ma la fattura è intestata al cliente. In pratica, paga materialmente il forfettario, ma la fattura è fatta intestare al cliente. Questa è l definizione vera e propria di “anticipazioni a nome e per conto del cliente”.

In questo caso, il professionista, in seguito, può chiedere al cliente il rimborso della spesa sostenuta. Il rimborso è richiesto direttamente in fattura elettronica, con una voce specifica relativa la prestazione effettuata. La voce deve essere accompagnata dalla dicitura: “spese anticipate ex. Art. 15 DPR 633/72”. Sarebbe importante, inoltre, allegare alla fattura anche le spese intestate al cliente. Valgono come controprova per gli importi sostenuti.

Rimborso spese

È necessario stabilire a priori con il cliente queste precise spese. Alla fine del lavoro, il loro importo deve poi corrispondere a quello concordato con il committente.

La scelta del metodo di rimborso spese è molto importante. Infatti i rimborsi a forfait sono considerati sempre un ricavo. Significa che contribuiscono all reddito imponibile.

Rimborso spese a nome e per conto proprio

Altra categoria molto importante di rimborso spese per il regime forfettario. A differenza delle spese precedenti, queste sono sostenute e intestate, direttamente a nome del forfettario. Concorrono al raggiungimento del limite della fattura, previsto per il regime (85.000€). Sono inoltre oggetto di calcolo di imposte e contributi, fiscali e previdenziali.

In questo caso il professionista che ha sostenuto la spesa, nella fattura elettronica che emette al cliente per la sua prestazione, deve indicare il rimborso spese da ricevere. Essendo parte del compenso, le spese sostenute dal professionista sono soggette alla ritenuta d’acconto e alla rivalsa previdenziale e contribuiscono alla formazione del reddito imponibile. In altre parole sono considerate imponibile ai fini di IVA.

Esistono due diverse tipologie di rimborso: analitico e forfettario.

Il rimborso spese analitico si ha quando il professionista raccoglie semplicemente le note spese e i documenti attestanti i costi sostenuti e li mostra al cliente. Il rimborso forfettario invece consiste in una somma concordata con il cliente da destinare al professionista per far fronte alle diverse spese.