Stabile organizzazione in Italia: cos’è e come crearne una

La Stabile organizzazione in Italia è definita dall’articolo 162 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi:

“…una sede di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato…”.

La presenza di una società straniera in Italia, può essere esercitata in diversi modi:

  • con consistenza fisica – presenza fisica dell’impresa straniera in Italia, con ufficio, magazzini, depositi, negozi, ecc…
  • senza consistenza fisica – attività svolte online con uno o più siti web che hanno server e utenti italiani
  • stabile organizzazione Personale – soggetto presente fisicamente in Italia che opera sul nostro territorio concludendo contratti per un’azienda estera.

Dal 2017 è stato anche specificato che è considerata stabile organizzazione in Italia: “… Una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”.

Stabile organizzazione in Italia con consistenza fisica

In questo caso la stabile organizzazione in Italia di un’azienda estera, possiede una sede d’affari fisica su territorio nostrano. La sede deve essere fissa, vale a dire deve essere fisica e tangibile, oltre che durevole nel tempo. Per Sede d’affari invece si intende una sede nella quale sono esercitate attività commerciali in Italia.

Stabile organizzazione in Italia senza consistenza fisica

L’articolo 162 del DPR n 917/86 la definisce come:

“… Una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”

Questa nuova definizione è stata creata in previsione di imporre imposte sulle transazioni digitali relative a prestazioni di servizi effettuate mediante mezzi elettronici. In altre parole: le aziende straniere che operano online su territorio italiano e che hanno come cliente utenti italiani, devono pagare le tasse anche in Italia. Il sito con il quale operano deve avere il server dislocato su territorio italiano.

Stabile organizzazione in Italia

Stabile organizzazione personale in Italia

La stabile organizzazione personale in Italia prende in considerazione tutte quelle aziende straniere che mandano a operare, nel nostro paese, un commissario. In pratica si tratta di un dipendente dell’azienda straniera che opera per conto loro in Italia. Si tratta quindi di un soggetto che svolge un ruolo determinante nella conclusione di un contratto. Il contratto in questione può essere chiuso sia a nome della società straniera, che a nome del commissario stesso.

Fatturazione elettronica e tassazione delle stabili organizzazioni in Italia

Una stabile organizzazione in Italia è tenuta a rispettare i doveri formali di fatturazione elettronica delle operazioni attive e la registrazione delle fatture passive. Inoltre è tenuta a presentare dichiarazione dei redditi annuale. A tutti gli effetti una stabile organizzazione è una vera e propria entità disgiunta e separata dalla casa madre. La sua identificazione serve solo a determinare il reddito d’impresa prodotto dallo Stato italiano.

Questo significa che questa tipologie di organizzazione deve presentare il modello redditi SC, che serve a determinare l’imposta da versare in Italia.

Cosa serve per aprire una stabile organizzazione in Italia

Basta qualche semplice step per poter procedere all’apertura di una stabile organizzazione.

  1. Verbale di istituzione della sede italiana
  2. Nomina del rappresentante in Italia
  3. Attivazione di una PEC
  4. Deposito del verbale e dello statuto presso un notaio (entro 45 giorni)
  5. Deposito presso il Registro delle Imprese
  6. Domanda di rilascio del codice fiscale e della partita IVA ad Agenzia delle Entrate
  7. Iscrizione INAIL in caso di dipendenti
  8. Iscrizione all’INPS

Il verbale costitutivo contiene sia la decisione dell’azienda estera di aprire una sede secondaria in Italia, sia la nomina del proprio rappresentante. L’atto deve essere registrato presso il Tribunale entro 45 giorni ad opera di un notaio con allegata relativa traduzione in lingua italiana. Inoltre entro 30 giorni, il notaio deve anche registrare l’atto presso il Registro delle Imprese. Infine, come specificato nell’elenco precedente, l’impresa deve anche attivare una casella PEC e dichiarare, agli enti competenti, l’acquisizione di relativo codice fiscale e partita IVA.

Baratto finanziario: compensazione multilaterale di crediti e debiti

Il baratto finanziario è uno strumento introdotto quest’anno dalla Legge di Bilancio. In pratica consiste nella compensazione multilaterale di crediti e debiti commerciali che provengono da fatture elettroniche. Il baratto è una delle forme commerciali più antiche che esistano al mondo. Ci sono due diverse tipologie di baratto: semplice e multiplo. Il primo, chiamato anche baratto diretto, consiste nello scambio di un singolo bene/servizio con un altro bene/servizio, preventivamente concordato tra le parti. Nel secondo, che prende anche il nome di baratto indiretto, il soggetto che cede il bene/servizio, non riceve in cambio quanto vuole a causa di una differenza di valore e/o reperibilità. Nel corso del tempo, sia in Italia, che nel resto del mondo, sono nate anche altre forme di baratto: amministrativo, finanziario e online. Quello introdotto dalla nuova legge di Bilancio è appunto il baratto finanziario, definito 4.0 che dovrebbe permettere alle imprese di compensare le proprie posizioni creditizie e debitorie, senza nemmeno dover passare dalla moneta.

Baratto finanziario: un sistema complementare a quello bancario

Si tratta di una vera e propria rivoluzione, al pari di quella protratta dall’introduzione della fatturazione elettronica e dei corrispettivi telematici. Il baratto finanziario è un vero e proprio sistema complementare a quello bancario.

La proposta di questa nuova formula compensatoria, nasce dall’ Associazione italiana dei Commercialisti e di Confimi industria (Confederazione dell’industria manifatturiera italiana). L’idea è nata dalla volontà di andare incontro e in aiuto alle imprese che presentano difficoltà finanziarie. In pratica, se venisse concretizzata, le fatture elettroniche verrebbero utilizzate come moneta di scambio (al posto della vera e propria moneta). Un’impresa non da poco, che presenta però moltissimi vantaggi, tra i quali, sicuramente, quello di dare respiro alle aziende in crisi di liquidità.

Si tratta quindi di un sistema sicuro e controllato che vuole incentivare la circolazione di beni e servizi tra le imprese. Un meccanismo che sfrutta appieno il sistema e i vantaggi della fatturazione elettronica.

Baratto Finanziario: i soggetti che possono sfruttare la compensazione

La compensazioni promossa dalle associazioni sopra citate avverrebbe su base volontaria attraverso una piattaforma telematica di Agenzia delle Entrate. Le imprese che aderirebbero potrebbero così chiedere la compensazione di crediti e debiti con altre aziende aderenti. Se entrambe le parti accettano la compensazioni, il sistema aggiorna la situazione e gli importi di crediti e debiti relativi. Le operazioni portate in compensazione comportano l’estinzione dell’obbligazione ex art. 1241 del codice civile.

Al baratto finanziario possono accedere tutte le imprese residenti o stabilite in Italia. Non possono invece sfruttare questo meccanismo le imprese:

  • soggette a procedure concorsuali
  • che hanno aderito a operazioni di ristrutturazione del debito
  • che hanno accettato e hanno in corso piani di risanamento iscritti al Registro delle Imprese.

Baratto Finanziario: tutti i vantaggi

I vantaggi per chi aderisce al baratto finanziario sono davvero molteplici. Le aziende infatti potrebbero, in questo modo, riuscire a ridurre:

  • il ricorso ai finanziamenti bancari
  • i rischi di crisi di liquidità
  • le perdite su crediti
  • il ricorso allo sconto su fatture elettroniche

Baratto Finanziario

Ma non solo. Il sistema del baratto finanziario funzionerebbe infatti su una piattaforma telematica controllata da Agenzia delle Entrate e farebbe affidamento su operazioni testimoniate e garantite dalla presenza delle fatture elettroniche. Questo significa che ci sarebbero molte meno possibilità di pressione sulle imprese da parte di organizzazioni mafiose, con una sensibile riduzione del rischio di usura.

Alla fine, riuscire a trasformare le fatture elettroniche in una vera e propria moneta digitale equivarrebbe a un grandissimo vantaggio competitivo per il paese. L’Italia oggi è l’unico paese in occidentale ad aver introdotto la fatturazione elettronica obbligatoria. Vale a dire un sistema controllato direttamente da Agenzia delle Entrate che sfrutta il Sistema di Interscambio (SdI) per emettere, controllare e recapitare le fatture elettroniche. Riuscire a sfruttare il SdI anche per compensare debiti e crediti delle imprese darebbe un ulteriore nuovo impulso al rinnovamento finanziario italiano. I rischi delle imprese verrebbero ridotti e molti dei fallimenti sistematici che incombono su diversi settori, verrebbero scongiurati per sempre.

Baratto Finanziario: a quali casi è applicato

Spiegato cos’è il baratto finanziario cerchiamo adesso di capire a quali casi potrebbe essere applicato questo sistema.

A questo scopo riportiamo due esempio:

Caso 1

L’impresa A emette fattura all’impresa B per un valore di 100€. Al tempo stesso l’impresa B emette fattura all’impresa A del valore di 70€. Saldato il debito, l’impresa A rimane creditrice nei confronti dell’impresa B di soli 30€

Caso 2

A fattura a B 100€. B fattura a C 200€ e C deve 100€ ad A. Compensando le varie fatture rimane solo un debito pari a 100€ dell’impresa B verso C

Questi sono due semplici esempio ai quali il sistema del baratto finanziario 4.0 potrebbe essere applicato con efficacia.

Spese detraibili: cosa sono e quali sono quelle detraibili nel Modello 730

Quest’anno le dichiarazioni 730 vedono introdotta una significativa novità: le spese detraibili certificate. Si tratta di una iniziativa introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 che individua delle spese per cui è prevista una detrazione d’imposta del 19% in fase di dichiarazione dei redditi. A questa, di conseguenza, di applica l’obbligo della tracciabilità dei pagamenti in parola.

Spese detraibili: cosa sono

La Legge di bilancio 2020, articolo 1 comma 689 ha reso obbligatorio la tracciabilità delle spese detraibili al 19%. Questo significa che, affinché possano essere considerate spese detraibili certificate e comparire nel Modello 730, devono essere tracciate. In altre parole si tratta di spese pagate tramite un metodo di pagamento tracciato, verificabile dalle autorità giudiziarie (bonifico bancario, bonifico postale, carte di credito, carte di debito, assegni bancari o postali).

I pagamenti in contanti invece, anche se consentiti, non godono dell’agevolazione fiscale di detrazione del 19%.

Spese detraibili certificate: quali sono

Come specificato al paragrafo precedente, si tratta di spese sostenute attraverso un pagamento tracciato, controllabile dalle autorità giudiziarie. Tra queste, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, ricordiamo le spese:

  • assicurative
  • veterinarie
  • funebri
  • le spese sostenute dagli studenti fuori sede per affitti
  • spese sostenute per istruzione secondaria e universitaria

Ci sono poi alcune spese per le quali non si applica l’obbligo della tracciabilità, come ad esempio le spese sanitarie effettuate in farmacia (spese per farmaci da banco e dispositivi medici). Stesso discorso vale per le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o da strutture private accreditate al Servizio Sanitario Nazionale. Queste sono spese per cui è possibile beneficiare della detrazione fiscale al 19%, ma possono essere effettuate in contanti. L’obbligo non si estende nemmeno alle spese per cui è prevista una detrazione diversa da quella del 19% e agli oneri deducibili.

Documentazione da presentare

Se il pagamento della spesa sostenuta è stato effettuato in contanti, questa allora non potrà essere detratta, anche se si conserva la ricevuta, lo scontrino o la fattura.

Al contrario, come abbiamo visto, se la spesa è stata pagata tramite mezzo tracciabile, allora è detraibile, ma è necessario aver conservato la prova del pagamento.

Nel caso in cui il documento attestante la prova del pagamento venga a mancare, occorre un’apposita annotazione in fattura (ricevuta fiscale o documento commerciale) da parte del precettore delle somme che cede il bene o servizio. Questo difatti certifica di aver ricevuto denaro con pagamento tracciato. L’annotazione è obbligatoria sul documento di acquisto, mentre non può essere ammessa se integrata manualmente da parte dell’acquirente.

Quindi la documentazione da presentare è costituita da:

Su ciascuna di esse deve essere riportato codice fiscale, numero di partita IVA e codice fiscale del contribuente.

Spese detraibili

L’Amministrazione Finanziaria può richiedere, quando e se lo desidera, di esibire la documentazione che dimostri il diritto alle deduzioni e detrazioni richieste in dichiarazione. Per questo motivo è necessario conservare la documentazione originale per tutto il periodo di accertamento (vale a dire entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione).

Esempi di documentazione da presentare per aver diritto alla deduzione

Per l’acquisto di farmaci (anche omeopatici), comprati presso farmacie, supermercati e altri esercizi commerciali, o attraverso farmacie on-line, la documentazione da conservare e presentare è:

  • Fattura o scontrino fiscale (detto anche parlante) in cui devono essere specificati natura (farmaco o medicinale, OTC, ecc…), qualità (codice alfanumerico) e quantità del prodotto acquistato nonché il codice fiscale del destinatario
  • Per eventuali farmaci acquistati all’estero idonea documentazione (v. CM n. 34 del 2008)

Per le spese di prestazioni medico-generiche, specialistiche e spese veterinarie è necessario avere:

  • Ricevuta fiscale o fattura rilasciata dal medico o dallo specialista
  • Ricevuta relativa al ticket se la prestazione è resa nell’ambito del SSN

Per spese per prestazioni chirurgiche:

  • Ricevuta fiscale o fattura rilasciata dall’ospedale o dalla struttura inerente alle spese sanitarie le spese sanitarie sostenute per l’intervento chirurgico.

Nel caso di spese sostenute per degenze sanitarie:

  • Ricevuta fiscale o fattura rilasciata dall’ospedale o dalla casa di cura – devono essere escluse le spese inerenti ogni maggiorazione extra (come ad esempio: uso del telefono, o spese relative al letto aggiuntivo utilizzato da chi presta l’assistenza)

Cambiando tipologia di spesa, per interessi passivi (mutui per la costruzione/ristrutturazione dell’abitazione principale a partire dal 1998) occorre conservare e presentare:

  • Ricevute quietanzate dalla banca relative alle rate di mutuo pagate nell’anno d’imposta
  • Contratto di mutuo dal quale dovrà risultare che il finanziamento è stato concesso per la costruzione dell’abitazione principale o per l’effettuazione degli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 3, co. 1, lettera d) DPR n. 380 del 2001 dell’abitazione principale; in mancanza la motivazione può essere autocertificata
  • Autocertificazione che attesti che sussistono le condizioni richieste per la detraibilità in riferimento all’abitazione

Dazi doganali: cosa sono, come sono calcolati e quando non si applicano

Nel precedente articolo: “Bolletta doganale: cos’è e come funziona abbiamo visto cos’è e a cosa serve una bolletta doganale. In pratica si tratta di un documento che serve a confermare e certificare alle autorità competenti, il pagamento dei dazi doganali. Il dazio è la richiesta di pagamento per lo scambio merci tra paesi, più o meno vicini, più antico che si conosca. Già oltre 2000 anni fa i popoli ne esigevano il pagamento. Oggi invece, la definizione più comune è quella secondo la quale i dazi doganali sono delle imposte indirette applicate sul valore di tutti i prodotti importati ed esportati dal Paese che l’impone. In Europa i dazi sono richiesti per il pagamento di tutti i prodotti che provengono o sono diretti, in paesi che non fanno parte della CEE (Comunità Economica Europea). Quindi, in altre parole, i dazi doganali sono applicati a qualunque (o quasi) merce acquistata e proveniente dall’estero.

Dazi doganali: un po’ di storia

Come abbiamo detto, hanno un’origine molto antica. Durante il Medioevo, ad esempio, rappresentavano una delle entrate fiscali più alte ed importanti. In quel periodo i dazi erano applicati alla merce che transitava addirittura da un Comune all’altro. Con il passare del tempo, durante alcune particolari epoche, i dazi furono sospesi. Questo accorgimento venne adottato grazie ad una diversa organizzazione amministrativa del territorio e, visto che gli scambi commerciali andavano aumentando, la sospensione si rese necessaria, per evitare di gravare troppo sul transito della merce.

Dal 1600 i dazi interni sono ridotti drasticamente. Grazie a questa manovra, le dottrine economiche liberali, riescono a garantire una maggiore libertà di circolazione delle merci. A quel punto l’applicazione delle tasse doganali si applica esclusivamente quando la merce passa da una dogana all’altra sui confini dei vari Stati.

A cosa servono veramente

Non c’è un’unica vera ragione. Ne esistono molteplici, che spingono i vari Stati ad applicare ciascuno i propri dazi doganali. In alcuni casi, ad esempio, quando i dazi sono applicati in misura particolarmente alta su merce costosa e di pregio, il pagamento è richiesto in via cautelare per proteggere il consumatore. Infatti gli addetti della dogana devono eseguire degli attenti e accurati controlli  sull’origine dei prodotti.

In altri casi invece le autorità doganali devono controllare eventuali regole che disciplinano la circolazione della merce, la presenza o meno di autorizzazioni o divieti all’importazione e certificazioni. In questo caso il dazio compensa il controllo che mira ad individuare merce pericolosa di cui è vietata l’importazione (armi, stupefacenti, specie animali o vegetali protette, ecc…).

Ma non è sempre e solo una questione di controllo e tutela. Anzi, il più delle volte i dazi doganali sono introdotti dai vari Stati pe ragioni politiche. Ragioni che si traducono nel voler provare a proteggere settori produttivi interni che NON sono in grado di concorrere con i mercati stranieri. Quando però questo sistema è applicato sistematicamente, per cercare quindi di proteggere la produzione interna, allora è il caso di parlare di protezionismo.

I dazi doganali infine possono essere applicati anche alle esportazioni (merce in uscita dal paese). Questo avviene soprattutto quando un paese è particolarmente ricco di un determinato prodotto e deve incrementare le entrate fiscali.

Dazi doganali: il calcolo

Esistono tre diversi metodi per calcolare i dazi doganali:

  • sul valore della merce trasportata che risulta dalla fattura elettronica, al netto o al lordo delle spese di trasporto (valore della merce + nolo Extra UE – nolo=spesa di trasporto)
  • sulla quantità di merce trasportata espressa in una precisa unità di misura
  • sommando al primo metodo il secondo

Esiste una classificazione ben precisa della merce trasportata, che rientra tutta nelle tabelle online disponibili sul TARIC. Quest’ultimo è lo strumento utilizzato per calcolare i dazi doganali sulla merce importata. La merce è classificata per codici che ne identificano la natura e le caratteristiche, dalle quali, a loro volta, dipende il calcolo delle tasse alla dogana. Quindi ad ogni codice corrispondono precisi obblighi, disposizioni e tariffe doganali.

Sbagliare un codice significa trovare un’errata associazione tra categoria merceologica e merce trasportata. Questo può portare a inconvenienti che vanno dalla semplice sanzione amministrativa, al blocco della merce. 

Dazi doganali

Classificazione doganale delle merci

Ad ogni merce è assegnato un preciso codice numerico. Si tratta di una raccolta in 21 sezioni e 99 capitoli. Ogni codice è composto da 10 cifre e ogni parte del codice ha una specifica funzione:

  • le prime sei cifre del codice indicano le voci e le sottovoci del sistema armonizzato (SA – 1 e 2 identificano il capitolo, 3 e 4 la voce di tariffa del SA, 5 e 6 si riferiscono alla sottovoce).
  • le successive due si riferiscono invece alle sotto-voci relative alla suddivisione comunitaria della nomenclatura combinata (NC)
  • le ultime due invece identificano le sotto-voci del codice Taric

A questo schema si possono aggiungere ulteriori 4 cifre che servono a identificare il codice addizionale Taric, relativo a determinate categorie merceologiche oppure categorie soggette a dazi compensatori.

Unione Europea e Dazi doganali

La nascita del Mercato Unico Europeo ha cambiato la terminologia in fatto di dazi doganali. Difatti non si parla più di “dazi”, ma di “merce proveniente da paesi che non fanno parte dell’Unione Europea”. Quindi il dazio doganale, infatti, come anticipato, è un’imposta di consumo che grava sui prodotti che vengono importati da paesi terzi.

Cuneo Fiscale: cos’è e perché è necessario ridurlo

In un nostro precedente articolo: “Evasione fiscale: un fenomeno dilagante” abbiamo visto cos’è l’evasione fiscale, l’elusione fiscale e come il Governo italiano ha deciso di affrontare una volta per tutte questa piaga dilagante nel nostro paese. I primi veri passi sono stati mossi con l’adozione della fattura elettronica e dei corrispettivi telematici. Strumenti innovativi suggeriti dall’Unione Europea e prontamente adottati anche nel nostro Paese. Uno Stato che, come purtroppo ben sappiamo, vanta uno dei primati più tristi che ci siano. È infatti in vetta alla classifica europea degli Stati Membro con la percentuale di evasione fiscale più alta che ci sia. Altro grande fenomeno italiano, identificato con il nome di cuneo fiscale, è un ulteriore fenomeno che piaga l’Italia ormai da diversi decenni. Legato all’evasione perché sempre di tasse si tratta e del costante scoraggiamento che queste provocano nell’impiego privato e pubblico. In poche parole il cuneo fiscale è un indicatore. Vuole infatti segnalare gli effetti che la tassazione ha sul reddito dei lavoratori, sull’occupazione e il mercato di lavoro (di conseguenza anche sull’elusione e l’evasione fiscale).

Cuneo Fiscale: il costo del lavoro

Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette e contributi previdenziali) che gravano sul costo del lavoro. Un peso che schiaccia sia i lavoratori dipendenti, i liberi professionisti, ma anche i datori di lavoro stessi.

In altre parole il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta incassata dai dipendenti. A verifica del gravame su imprese e dipendenti, l’ISTAT ha condotto delle ricerche dalle quali è emerso che nel 2016, questo era pari al 46% del costo del lavoro. Un dato sconcertante. Per essere precisi il costo del lavoro è dato dalla somma delle retribuzioni lorde dei lavoratori e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Dallo studio ISTAT è quindi emerso che quello che rimane a disposizione dello stipendio al lavoratore, è poco più della metà del costo del lavoro stesso.

Tutto quello che rimane è il cuneo fiscale e contributivo, vale a dire la somma dell’imposta personale sul reddito da lavoro dipendente e dei contributi sociali del lavoratore e del datore di lavoro. La maggior parte è composto soprattutto dai contributi sociali dei datori di lavoro.

Inoltre è stata rilevata una sostanziale differenza di incidenza tra nord e sud Italia. Infatti nel nord Italia il costo del lavoro è nettamente superiore.

Lavoratore dipendente e cuneo fiscale

Per il lavoratore dipendente il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali

Cuneo Fiscale

Lavoratore autonomo e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Libero professionista e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito dalle seguenti imposte:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Taglio del cuneo fiscale

Quest’anno è stato finalmente approvato il taglio del cuneo fiscale (l’ok da parte del Senato con a favore 254 voti). Con il decreto legge è attuata la norma della Legge di Bilancio con la quale sono stanziati oltre 3 miliardi per il 2020 e 5 miliardi per il 2021, atti a ridurre il carico fiscale.

Nonostante tutte le buone intenzioni dei vari Governi che si sono succeduti dal 2014 ad oggi, l’Italia è ancora uno dei paesi al mondo con il gravame fiscale più alto di tutti. Secondo il Taxing wages OCSE il peso delle tasse sul lavoro in Italia è infatti salito sopra il 49%, in confronto alla media che lo stesso ente ha registrato negli anni precedenti (pari a 35,9%).

Quindi il cuneo in Italia è da sempre uno dei più alti in Europa. In quasi tutti i paesi membri il maggior carico del cuneo è rappresentato dalla quota spettante all’impresa per i contributi fiscali e contributivi. Unica eccezione è la Germania dove tale quota grava maggiormente sul dipendente e non sul datore di lavoro.

CIE: carta identità elettronica per i servizi online di AdE e riscossione

La CIE andrà, piano piano, a sostituire il vecchio documento di identità e la precedente carta di identità elettronica. Da ottobre 2020 sono già state emesse oltre 17 milioni di CIE e le procedure per rilasciare il documento sono già state snellite e semplificate moltissimo. Ad oggi, ad esempio, è possibile caricare la foto direttamente online, anche scattata da smartphone, usando la nuova Agenda CIE.

Dal 13 gennaio 2021 è stato predisposta la possibilità di accedere ai servizi telematici di Agenzia delle Entrate, da parte degli utenti persone fisiche, tramite identità digitale autenticata con CIE (Carta di identità elettronica). Quindi, anche chi non possiede le credenziali dei servizi telematici delle Agenzie, Fisconline ed Entratel e non dispone nemmeno di SPID, potrà comunque accedere all’area riservata tramite CIE.

Da metà del mese scorso infatti è disponibile il nuovo sistema di identificazione: “Entra con CIE”. Agenzia delle Entrate e agenzia delle entrate e delle Riscossioni hanno aderito all’iniziativa, per estendere sempre di più la possibilità di accedere ai propri servizi, senza costringere gli utenti a recarsi di persona presso gli sportelli fisici.

CIE e servizi disponibili

I soggetti che si registrano sul sito con le credenziali CIE ottengono password e pin code associate al proprio profilo. Con la CIE è possibile fruire di diversi servizi online:

Per i professionisti

Il soggetto che accede tramite autenticazione CIE può essere persona fisica, oppure delegato da altro professionista, impresa, oppure ente. Al momento dell’autenticazione deve selezionare il ruolo corrispondente alla reale natura dell’accesso.

La CIE può essere sfruttata anche per accedere tramite smartphone, utilizzando l’applicazione denominata “IO”, che gestisce una serie piuttosto ampia di servizi pubblici.

È inoltre previsto l’accesso con CIE anche per l’esecuzione di pagamenti e servizi di riscossione, tramite sito e app Equiclick. In questo caso lo scenario che si prospetta è quello molto ampio di svariate funzioni e operazioni che possono essere svolte in completa autonomia, senza doversi rivolgere a funzionari e uffici preposti.

carta identità elettronica

Chi può richiedere la carta di identità elettronica

La nuova carta di identità, CIE, per accedere ai servizi sopra citati, può essere richiesta da:

  1. chi non ne ha mai avuta una
  2. i soggetti che hanno smarrito il proprio documenti di identità
  3. chi ha danneggiato la sua carta
  4. i soggetti che hanno apportato modifiche ai propri dati anagrafici
  5. i contribuenti che hanno raggiunto la data di scadenza del proprio documenti di riconoscimento

è inoltre possibile richiedere la CIE in caso di rinnovo di documento, prima ancora che scada. Il Decreto Legislativo 76/2020 ha infatti reso possibile inoltrare richiesta di CIE prima del centottantesimo giorno precedente la scadenza (e non solamente dopo come invece era possibile fino a poco tempo fa).

Obiettivo è sempre quello di favorire al massimo l’accesso dei cittadini ai servizi in rete di Agenzia delle Entrate e di ogni altra Pubblica Amministrazione.

La durata di validità della CIE varia in base all’età del titolare:

  • 3 anni per i minori di età inferiore a 3 anni
  • 5 anni per i minori di età compresa tra i 3 e i 18 anni
  • 10 anni per i maggiorenni.

Le carte di identità adesso scadono nel giorno del compleanno del titolare, successivo allo scadere del decimo (oppure quinto o terzo, come sopra) anno dal giorno dell’emissione del documento. Durano quindi di più rispetto al passato. Anche i cittadini residenti all’estero possono richiedere la CIE. Dovranno, in questo caso presentare domanda presso il Consolato.

CIE: quanto costa

L’importo varia leggermente da comune a comune. In linea di massima comunque ammonta a 22,21€. La carta di identità elettronica è stampata dal Poligrafico dello Stato al costo basi di 16,79€. A questo importo sono poi aggiunti i diritti di segreteria e i diritti fissi spettanti al comune. Questi ammontano al massimo a 5,16€ per diritto fisso e 0,26€ per diritto di segreteria. La somma alla fine è di 22,21€. Sul totale delle CIE emesse, il Ministero riconosce ai Comuni la cifra forfettaria di 0,70 euro per ciascun documento.

Cashback: spese incluse ed escluse dal rimborso

Nell’articolo: “Cashback: cos’è e come funziona”abbiamo visto l’introduzione di questo nuovo sistema ideato dall’Esecutivo per incentivare l’utilizzo di carte e bancomat per i pagamenti dei contribuenti. Il Cashback è un’ulteriore manovra che il Governo ha intrapreso per continuare a combattere contro il dilagante fenomeno dell’ evasione fiscale. Insieme allo scontrino elettronico  e alla fatturazione elettronica, questo sistema si prefigge di disincentivare l’uso dei contatti e contrastare evasione ed elusione fiscale.

A dicembre 2020 abbiamo assistito a una prima fase sperimentale del Cashback e adesso, chi ha raggiunto la soglia prevista delle dieci transazioni minime, attende il rimborso. Questo deve avvenire entro il primo marzo 2021, ma non tutti i pagamenti elettronici effettuati, danno diritto al rimborso. Ad esempio, chi voleva usufruire dell’iniziativa, ma è stato costretto a effettuare gli acquisti online, perché in “zona rossa” con negozi chiusi, è stato penalizzato. Ma ci sono molte altre spese che purtroppo non possono essere incluse e considerate per il calcolo del rimborso.

Cashback: le spese escluse

La diffusione della pandemia di Covid-19 e le relative misure di contenimento che hanno portato molte regioni italiane a passare diverse settimane in zona rossa, ha penalizzato l’iniziativa del Cashback. Questo perché in zona rossa negozi, centri commerciali e molte altre attività, sono dovute rimanere chiuse. Di conseguenza le persone che necessitavano di fare acquisti e al tempo stesso volevano partecipare all’iniziativa del Cashback, hanno dovuto ricorrere agli acquisti online.

Cashback

Purtroppo gli acquisti effettuati online e pagati con carte di credito, di debito, PayPal, o altri sistemi, non rientrano nella lista delle spese che permettono di accedere al Cashback di Stato. Nella lista delle spese escluse, tra le altre, ci sono anche quelle sostenute per l’esercizio della propria attività imprenditoriale, professionale, o artigianale. Ai fini del Cashback valgono, infatti, esclusivamente le spese personali.

Cashback: le spese incluse

Escluse quindi le spese online e quelle effettuate ai fini dell’esercizio della propria attività, vediamo quali sono quelle incluse nella lista. L’elenco è molto più ricco di quello che si possa pensare. Per ottenere il 10% di rimborso sulle spese effettuate nei periodi di riferimento è possibile sfruttare i pagamenti digitali. Questo significa che gli acquisti effettuati all’interno delle sedi fisiche delle attività, possono essere pagati tramite carte di credito, carte di debito, bancomat e/o app. Sistemi tracciati e rintracciabili che possono facilmente essere controllati dal Fisco.

Quindi è possibile fare acquisti in qualunque negozio, per quanto piccolo possa essere, purché abbia a disposizione un sistema di pagamento digitale. Addirittura anche un caffè al bar, o un panino in fast food possono essere pagati con carta o bancomat e concorrere così all’accumulo del Cashback.

Alla soglia prevista concorrono inoltre il pagamento di bollo auto e moto, assicurazioni, bollette utenze, carburanti e addirittura multe. Ma non solo. Anche gli importi dovuti ai professionisti e ai vari lavoratori a domicilio, come ad esempio idraulici, elettricisti, antennisti, ecc… Rientrano tra le spese incluse nel rimborso per il Cashback. Infine, da ultimo, ma non per importanza, nelle spese per il cashback, a differenza per esempio della lotteria degli scontrini, sono incluse anche tutte le spese detraibili e deducibili.

Conclusioni

In conclusione quindi, il cashback nonostante forse sia partito con il piede sbagliato, visto il periodo non esattamente molto propizio, ha una buona potenzialità di riuscita. Le persone sono predisposte a provare, anche se devono essere messe in condizione di poter sfruttare l’intero processo. Con l’ipotetica riapertura delle zone è probabile che il sistema prenderà uno slancio maggiore in futuro. Sicuramente una volta concretizzati i primi rimborsi, i contribuenti si renderanno conto meglio di come funziona il sistema e nei periodi successivi si comporterà di conseguenza.

Campioni gratuiti: fatturazione elettronica e adempimenti fiscali

Nell’articolo precedente: “Fattura elettronica omaggi: cos’è e come funziona” abbiamo visto come comportarsi in materia di omaggi ai propri clienti. Tra questi abbiamo distinto una categoria identificata come: “campioni gratuiti di modico valore”. Si tratta di una particolare tipologia di cessione di beni, che rientrano a far parte del più ampio argomento relativo alla cessione dei beni gratuiti e che prevedono specifici adempimenti fiscali.

Campioni omaggio: cosa sono e quando vengono usati

I campioni gratuiti sono solitamente beni e prodotti che rientrano a far parte dell’attività stessa dell’impresa. Questo significa che sono beni prodotti e/o venduti dall’azienda. Solitamente sono impiegati per fini propagandistici. Servono cioè a promuovere e pubblicizzare l’attività, oppure sono impiegati per controllare la qualità del prodotto stesso, o ancora per testarne la resa e l’apprezzamento sul mercato (indagini di mercato).

Di solito presentano le stesse caratteristiche qualitative dei beni prodotti e venduti normalmente dall’attività. Stessa qualità, ma non stessa dimensione e/o quantità. Le ridotte dimensioni, o la minore quantità distribuita, rende questi beni NON VENDIBILI SEPARATAMENTE-SINGOLARMENTE.

In base a quanto stabilito dalla legge i campioni gratuiti sono esclusi dal campo di applicazione IVA. Art. 2, comma 3, lett. D) del D.P.R. 633/1972: “cessioni di campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati”.

Campioni gratuiti: requisiti

Affinché questi beni siano considerati a tutti gli effetti campioni gratuiti di modico valore, devono rispondere ad alcune caratteristiche specificate dalla norma.

Distribuzione gratuita

La cessione deve avvenire a titolo completamente gratuito. Non deve quindi essere versato alcun corrispettivo a seguito dell’omaggio. E per qualunque corrispettivo si intende di qualunque natura, soldi, o altri beni in cambio. Devono essere beni prodotti dall’attività con lo scopo di promuovere l’azienda produttrice stessa. Questa propaganda deve essere protratta a fini pubblicitari, per far conoscere al pubblico il prodotto e favorirne la vendita.

Campioni gratuiti

Marchiatura chiara ed indelebile

È il secondo requisito fondamentale. Ogni campione omaggio deve essere contrassegnato in modo indelebile sulla propria superficie con la dicitura: “campione gratuito”. La dicitura può essere stampata, lacerata, punzonata, perforata, marcata, ecc… Qualunque sia la tecnica utilizzata per marchiare il campione, l’importante è che sia ben evidente, leggibile e comprensibile a tutti. La tecnica inoltre non deve inficiare sul funzionamento e la qualità del prodotto ceduto.

È stata Agenzia delle Entrate stessa a precisare quanto sopra, riportando i criteri di marchiatura dei campioni nella Risoluzione 83/E/2003. La marchiatura serve per evitare che il prodotto venga commercializzato, ma anche a evitare che l’eventuale concorrenza possa intervenire modificandone il contenuto.

Nella Risoluzione n. 381445/1980 è specificato che la marchiatura dei campioni gratuiti può avvenire anche mediante apposizione, in un angolo della busta, del disco a mezzo di un timbro a perforazione, ovvero sull’involucro in plastica a mezzo di un timbro di inchiostro indelebile.

Modico Valore

Terza ed ultima caratteristica. Per capire cosa si intende per “modico valore” è necessario leggere quanto riportato nella Risoluzione n°430288/1991 di AdE:

“nella pratica applicazione, si deve farsi riferimento agli usi commerciali, restando in ogni caso esclusi dall’agevolazione i beni di valore significativo”.

Non è necessario che i beni siano di valore o dimensioni inferiori a quelli prodotti e commercializzati dall’azienda, possono anche essere singoli esemplari di suddetti beni. La Risoluzione n° 360021/1980 considera campioni gratuiti anche i libri sulla cui copertina è riportata la seguente dicitura: “il presente volume è destinato signori insegnati in esame per eventuale adozione, quale campione gratuito”.

Se tutti questi requisiti sono rispettati, allora il bene può essere considerato come campione gratuito ed ogni operazione relativa è considerata fuori campo IVA. Ne consegue che l’attività non è obbligata a emettere fattura elettronica, o altro documento che ne attesti la cessione.

È anche vero che, per superare la presunzione di cessione, al momento della consegna del bene sarebbe opportuno emettere un documento che ne attesti la natura di omaggio. Tutto questo solo per confermare la natura dei beni ed evitare eventuali contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria. Non volendo però ricorrere all’emissione di tale documento, è possibile, in alternativa, redigere uno specifico registro degli omaggi.

Risoluzione consensuale: dimissioni e termine del rapporto di lavoro

In un rapporto di lavoro figurano due parti: un committente e un prestatore d’opera e servizi. Il termine del rapporto di lavoro può avvenire in due modi. Il primo per volere del committente, tramite l’esercizio del licenziamento. Il secondo invece per volere del prestatore, usando la formula del licenziamento. Esiste però una terza via, anche se meno comune, che è quella che prevede la risoluzione consensuale. Quest’ultima si verifica quando entrambe le parti decidono, di comune accordo, di porre fine al rapporto di lavoro. La normativa di riferimento è racchiusa nell’articolo 1372 del Codice Civile.

Fino a qualche anno fa e più esattamente al 12 marzo del 2016, datore di lavoro e dipendente che volevano ricorrere alla risoluzione consensuale, non dovevano adempiere a particolari obblighi. Da quella data in poi però si è reso necessario compilare degli appositi moduli messi a disposizione dal Ministero del Lavoro, da inviare esclusivamente per via telematica. Una volta compilata, tale documentazione deve essere trasmessa al datore di lavoro e all’Ispettorato Territoriale del lavoro. Sono comunque previsti casi particolari per:

  • lavoratrici in stato di gravidanza
  • lavoratrici collaboratore nei primi 3 anni di vita del bambino o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o concesso in affidamento

In questi due casi, la risoluzione consensuale è valida solo a seguito della conferma ricevuta dal servizio ispettivo svolto dall’ufficio del Ministero del Lavoro, competente sul territorio.

Risoluzione consensuale

Risoluzione consensuale: cosa prevede

L’accordo di risoluzione consensuale può riportare qualunque aspetto stabiliscano datore e lavoratore. Uno di questi è sicuramente la data di decorrenza del termine di lavoro. In caso di termine immediato, la cessazione parte al momento della sottoscrizione stessa. Se l’attività invece dovesse perdurare, le due parti devono concordare che l’attività lavorativa debba continuare fino alla data indicata.

A discrezione del datore di lavoro, può essere aggiunto alla risoluzione consensuale, una somma di denaro aggiuntiva, a favore del dipendente. Si tratta di una somma supplementare a quando il committente deve al lavoratore. Questa somma prende il nome di “incentivo all’esodo”. Quello che caratterizza questa cifra è che, sia il datore che il dipendente, su tale somma non dovranno pagare i contributi INPS. È invece applicata la tassazione separata, con la stessa aliquota prevista per il trattamento di fine rapporto.

Il lavoratore ha a disposizione sette giorni di tempo, che partono dalla data di trasmissione, per evocare la propria dichiarazione di risoluzione consensuale del contratto.

Risoluzione consensuale VS Licenziamento

La risoluzione consensuale è quindi stabilita di comune accordo tra le parti. Il licenziamento invece è stabilito unilateralmente da parte del datore di lavoro, o da parte del dipendente di lavoro, in caso di dimissioni. Licenziamento e dimissioni valgono sempre, anche se una delle due parti non è d’accordo. Invece la risoluzione consensuale vale solo se c’è accordo da entrambi le parti.

La risoluzione consensuale, rispetto al licenziamento o alle dimissioni, offre maggiori vantaggi a entrambi le parti. Vantaggi che si concretizzano in maggiore libertà di azione per i soggetti coinvolti. Da una parte il datore di lavoro può evitare di sottostare alle restrizioni e alle limitazioni previste nel contratto di lavoro, o nell’atto del licenziamento stesso. Dall’altra parte il lavoratore può ottenere una riduzione del giorno effettivo di licenziamento, oppure può concordare una liquidazione maggiore.

Con la risoluzione consensuale il datore di lavoro ha il vantaggio di:

  • non pagare nessun ticket licenziamento – nessun contributo aziendale di recesso (esclusi i casi NASPI)
  • evitare i processi formali di licenziamento
  • anticipare la data di cessazione rapporto.

Il lavoratore invece ha il vantaggio di:

  • beneficiare di tempistiche anticipate
  • ottenere una libera uscita – in alcuni casi supplementare la TFR
  • avere diretto a una maggiore personalizzazione andando a inserire nell’accordo, particolari condizioni vantaggiose, che normalmente non sarebbero presenti per legge.

Risoluzione Consensuale online

Un fenomeno particolarmente diffuso fino al 2016, era quello che prendeva il nome di “dimissioni in bianco”. Al fine di scongiurare dimissioni-ricatto, dal 2016 sono state stabilite alcune regole per presentare e richiedere la risoluzione consensuale. Una di queste prevede che la documentazione obbligatoria sia inviata esclusivamente in maniera telematica. Il dipendente deve infatti inviare via PEC i moduli al datore di lavoro e all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

La risoluzione consensuale è irrevocabile. Il dipendente ha tempo di revocarla entro 7 giorni dalla data di presentazione, poi diventa irrevocabile.

Auto aziendale e deducibilità: leasing, noleggio o acquisto cosa conviene e perchè

Nell’articolo precedente “Deducibilità e detraibilità: cosa sono e quali sono le principali differenze” abbiamo visto le differenze tra deducibilità e detraibilità. In merito a quest’argomento, è spesso oggetto di discussione la deducibilità dell’auto aziendale.

La domanda, che più di ogni altra, cerca risposta, è quale sia la forma maggiormente conveniente, dal punto di vista fiscale, quando si tratta di auto aziendale: acquisto, leasing o noleggio.

Auto aziendale: che cos’è

L’auto aziendale è quella destinata ai dipendenti di una società, oppure utilizzate per fini aziendali. Per essere definite tali devono rispondere a una serie di caratteristiche. Devono, ad esempio, avere meno di 24 mesi di vita e meno di 30,000 km. L’auto aziendale può essere assegnata al dipendente per uso strumentale, oppure promiscuo.

Nel primo caso, l’unico soggetto che può guidarla sarà il dipendente a cui è stata assegnata. Nel secondo caso invece può essere guidata anche dai familiari del lavoratore assegnatario. Se l’auto aziendale è inquadrata come “autocarro” per il trasporto di merci, a bordo vi possono salire esclusivamente gli appartenenti alla società addetti al trasporto e al carico/scarico della merce.

Se la disponibilità dell’auto aziendale data al dipendente è superiore a 30 giorni, il nominativo deve essere comunicato alla Motorizzazione (questo perché non è intestatario del veicolo). É prevista anche una sanzione amministrativa per chi non comunica il nominativo, pari a 705€, più il ritiro della carta di circolazione.

Se l’auto aziendale non è assegnata per uso privato, allora non è tassata, o è tassata solo parzialmente.

Auto aziendale: acquisto e deducibilità

La deducibilità dell’auto aziendale è stabilita nell’articolo 164 comma 1 lett. b) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). L’articolo prevede una doppia limitazione:

  • La deducibilità è ridotta nella misura del 20%
  • È riconosciuto un limite al valore fiscale del mezzo.

Nel caso di acquisto diretto dell’auto aziendale la legge prevede un limite al valore fiscalmente riconosciuto, diverso a seconda della tipologia di auto aziendale:

  • 18.075,99 € per le autovetture e gli autocaravan
  • 4.131,66 € per i motocicli
  • 2.065,82 € per i ciclomotori

Nel primo caso quindi la deducibilità massima per l’auto aziendale è di € 3.615,20.

Auto Aziendale in Leasing: cos’è e come funziona la deducibilità

Il leasing è una forma contrattuale di locazione, nella quale una società concedente, mette a disposizione di un cliente utilizzatore, un bene mobile e/o immobile. Il bene deve essere strumentale all’attività dell’utilizzatore, che dovrà corrispondere un canone periodico per usufruire del bene.

Nel caso di un’auto aziendale, il leasing non può durare meno di 48 mesi, alla fine dei quali l’utilizzatore può esercitare il diritto di riscatto del bene.

In alcuni casi il leasing finanziario comprende anche assicurazione e manutenzione dell’auto. I servizi accessori sono validi per tutta la durata del contratto. L’articolo 102 comma 7 del Tuir prevede le condizioni di deducibilità nel caso di acquisto di un veicolo in leasing.

I contratti in leasing stipulati prima dal 29 aprile 2012 prevedono un canone di competenza annua calcolato in base al coefficiente di ammortamento stabilito per quel determinato bene.

Il canone deducibile è calcolato in base al rapporto tra il costo massimo fiscalmente riconosciuto e il costo di acquisto sostenuto dall’utilizzatore. A questo è poi applicata la percentuale di deducibilità del 20% prevista dalla legge.

Auto aziendale

Auto aziendale e noleggio a lungo termine: caratteristiche e deducibilità

I professionisti e i possessori di partita IVA conoscono molto bene il noleggio a lungo termine. Le aziende e i regolari possessori di partita IVA possono stipulare contratti di noleggio a lungo termine. Oggi però questa possibilità è data anche ai privati, titolari di semplice codice fiscale.

Il noleggio a lungo termine prevede il pagamento di un canone mensile fisso, per un determinato lasso di tempo e per una percorrenza complessiva da effettuarsi con il veicolo. Il canone è una somma stabilita contrattualmente dalle due parti che comprende tutti gli oneri connessi all’uso del veicolo: imposta di circolazione, bollo, assicurazione, Kasko, manutenzione ordinaria compresi cambio pneumatici, ecc… In caso di danneggiamento o guasto dell’autovettura all’utilizzatore deve essere sempre messa a disposizione da parte della società di noleggio, un’autovettura sostitutiva.

Il periodo di noleggio può variare dai 24 ai 48 mesi e le percorrenze possono arrivare anche a 80,000 km. Terminato il periodo prestabilito dal contratto, l’auto aziendale può essere riscattata dall’utilizzatore. Il prezzo è quello prefissato da entrambi le parti.

Da un punto di vista fiscale la legge prevede che i canoni di noleggio siano deducibili entro certi limiti. Il costo del canone del noleggio per le autovetture, sono deducibili fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno. Per i contratti “full service” il limite di costo previsto per i canoni di noleggio deve essere considerato al netto dei costi riferibili alle prestazioni accessorie.