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Small business: definizione del modello e guida pratica

Gli small business rappresentano sempre più una componente importante nel panorama economico globale. Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’OCSE, il numero di imprese che possono essere classificate come small business, vale a dire con un numero di dipendenti inferiori a 50 unità, è in costante crescita negli ultimi dieci anni in tutti i paesi membri. In particolare, in Italia si stima che le imprese cosiddette small business corrispondano a circa il 95% del tessuto imprenditoriale nazionale e diano lavoro a oltre il 65% degli addetti del settore privato.

Questa tendenza è confermata anche dagli Stati Uniti, paese dove tradizionalmente il modello dello small business ha da sempre rivestito un ruolo primario nella dinamica economica. Secondo gli ultimi dati pubblicati dallo U.S. Small Business Administration Office of Advocacy, nel 2021 le piccole e medie imprese con meno di 500 dipendenti rappresentavano circa il 99,9% di tutte le imprese statunitensi, e nello stesso anno impiegavano 47,1% della forza lavoro privata.

Il modello dello small business risulta inoltre determinante anche a livello di contributo al prodotto interno lordo: in Germania, ad esempio, le piccole e medie imprese contribuiscono per circa il 50% al PIL nazionale secondo quanto riportato dal KfW Bankengruppe.

In sintesi, l’analisi comparata di dati certi e ufficiali raccolti da istituzioni come l’OCSE e l’Eurostat dimostra come gli small business rappresentino ormai un fattore imprescindibile per le economie dei principali paesi sviluppati in termini di occupazione, tessuto sociale e contributo alla ricchezza nazionale.

Small business: Cos’è uno small e quali caratteristiche lo contraddistinguono

Con la locuzione small business, in italiano tradotta come “piccola impresa”, ci si riferisce a un particolare modello imprenditoriale caratterizzato da dimensioni organizzative contenute e da specifiche modalità di gestione.

La categoria degli small business include tutte quelle realtà aziendali che impiegano un numero esiguo di dipendenti, solitamente non superiore a 10 unità, e che presentano un fatturato medio-basso se parametrato a quello delle grandi imprese. Caratteristica distintiva è proprio la dimensione snella della compagine societaria, composta tipicamente dai soci fondatori o da un pool ristretto di collaboratori. Ciò consente flessibilità decisionale e rapidità di esecuzione nelle scelte manageriali.

Gli small business sono diffusi in molti settori, dal commercio ai servizi, e giocano un ruolo determinante nell’economia locale grazie alla capacità di creare nuovi posti di lavoro. Rispetto alle grandi aziende presentano alcuni svantaggi, come minori economie di scala, tuttavia sfruttano al meglio la fatturazione elettronica e le potenzialità del digitale per massimizzare efficienza ed essere competitivi anche a livello sovralocale.

Small business

Come avviare uno small business: Tutorial per avviare con successo uno small business

Avviare con successo uno small business richiede l’adozione di una metodologia strutturata. Ecco i principali step da seguire per impostare correttamente il modello di business:

  1. Analisi di mercato: ricercare le opportunità analizzando i trend di domanda e i possibili canali di vendita/erogazione del servizio. Ciò consente di validare l’idea imprenditoriale.
  2. Piano strategico e operativo: definire obiettivi, strategie commerciali e relative azioni. Necessario prevedere una scalabilità del modello per consentire la crescita progressiva del fatturato.
  3. Studio economico-finanziario: preventivare con accuratezza i costi e i ricavi, programmando le fonti di finanziamento iniziali. Importante dimostrare la sostenibilità del business plan.
  4. Scelta della forma giuridica: valutare se operare come ditta individuale o società (SRL, SRLS) considerando la normativa fiscale e contabile di riferimento.
  5. Gestione fatturazione elettronica: affrontare gli aspetti amministrativi e la corretta emissione/ricezione delle fatture digitali al fine di assolvere agli obblighi di legge.
  6. Marketing e promozione: definire le strategie di promozione e le tecniche pubblicitarie più idonee in base al target, anche attraverso l’uso dei social media.

Applicando con metodo queste linee guida è possibile intraprendere l’attività di small business in modo strutturato e avere maggiori chance di successo nel medio-lungo periodo. Un business pianificato e gestito in maniera oculata riuscirà ad affrontare meglio le inevitabili difficoltà imprenditoriali, adattandosi con flessibilità ai cambiamenti di mercato. Inoltre, grazie a una visione di lungo termine e a obiettivi chiari e misurabili sarà più facile raggiungere la sostenibilità economica ed espandere progressivamente il proprio business.

Negozi in franchising: caratteristiche del modello e procedura per l’avvio di un punto vendita

Il modello del negozio in franchising si è sviluppato notevolmente negli ultimi anni, diventando una delle soluzioni imprenditoriali più utilizzate per l’apertura di nuovi punti vendita.

I vantaggi che possono derivare dall’affiliazione a na catena già affermata, come l’utilizzo di un marchio noto e collaudate metodologie operative fornite dal franchisor, rendono questa tipologia di business relativamente semplice da avviare, soprattutto per soggetti a corto di esperienza.

Tuttavia, anche i negozi in franchising espongono l’affiliato a rischi intrinseci di natura imprenditoriale, come la necessità di effettuare investimenti iniziali, il rischio di eccessiva concorrenza interna al circuito, eventuali imprevisti di gestione come il mancato raggiungimento dei target di fatturato annuale prefissati. Diventa pertanto essenziale che il futuro franchise valuti tutti gli aspetti connessi all’attività con attenzione, preventivamente all’apertura, attraverso un’attenta analisi economico-finanziaria dell’opportunità.

Negozi in franchising: cosa è il e quali tipologie esistono

Con il termine franchising commerciale ci si riferisce a un particolare modello imprenditoriale che prevede la duplicazione di un format distributivo di successo attraverso l’affiliazione di terzi imprenditori.

Nei negozi in franchising, il franchisor (titolare del format) concede in licenza d’uso il know how aziendale e i segni distintivi ad un franchisee, il quale accetta di gestire un punto vendita secondo le linee guida e gli standard qualitativi imposti.

Inoltre, concede al master franchisee (titolare di un territory) il diritto di affiliarsi ulteriori punti vendita secondo gli stessi standard, assumendo però una responsabilità aggregata. Si tratta quindi della versione più articolata, che consente al franchisee una maggiore autonomia operativa pur nel rispetto delle linee guida del franchisor.

Indipendentemente dalla formula, il franchising rappresenta un sistema efficace che coniuga imprenditorialità individuale e forza di un brand affermato, potendo contare sull’esperienza maturata dal franchisor grazie alla fatturazione elettronica.

Negozi in franchising 

Aprire un negozio in franchising: vantaggi, obblighi e procedura

L’opzione di aprire un negozio in franchising presenta numerosi vantaggi per chi intende avviare un’attività commerciale sfruttando un brand affermato. Partendo da una solida base formativa fornita dal franchisor, il franchisee usufruisce di un bacino d’utenza preesistente e di materiali promozionali già rodati, potendo dedicarsi principalmente alla gestione del punto vendita.

Non mancano tuttavia degli obblighi, quali il rispetto delle linee guida operative e dell’immagine coordinata del network, nonché il pagamento di canoni d’ingresso e di utilizzo del marchio. Inoltre, deve assolvere agli obblighi contabili e di reporting periodico nei confronti del franchisor, rapportando i dati gestionali e il fatturato dell’attività. Deve altresì rispettare le politiche commerciali dettate dal franchisante, come i prezzi di vendita imposti o le modalità promozionali concordate a livello di rete.

L’iter di ingresso nel circuito prevede la consultazione della documentazione informativa resa obbligatoria dalle norme sul commercio elettronico, la sottoscrizione del contratto di affiliazione e il superamento di un corso di formazione sul format. Valutati i reciproci impegni, solo all’esito positivo di queste tappe si potrà procedere all’apertura vera e propria del punto vendita convenzionato.

Rischio d’Impresa: tipologie e fattori determinanti

I soggetti che intendono aprire una partita IVA per esercitare in forma autonoma un’attività economica devono aver piena consapevolezza della componente di Rischio d’Impresa implicita in tale decisione. Quando si decide di fare impresa, infatti, ci si espone a rischi di natura gestionale, finanziaria e industriale connessi all’incertezza dell’iniziativa.

Principalmente i rischi riguardano la sostenibilità economica dell’attività nel tempo, l’evoluzione del contesto competitivo e normativo di riferimento, gli squilibri eventuali nella gestione amministrativa e contabile. Potrebbero altresì emergere problematiche legate al reperimento della clientela, alla volatilità dei prezzi delle materie prime e all’insorgere di concorrenti aggressivi sul mercato.

Per ridurre il grado di aleatorietà connesso all’apertura della partita IVA e alla gestione dell’impresa, risulta fondamentale un’attenta valutazione preventiva di fattibilità, conoscenza approfondita del settore e predisposizione di un business plan realistico, oltreché il ricorso a forme di tutela assicurativa. Solo così sarà possibile intraprendere con successo il percorso imprenditoriale riducendo al minimo i potenziali rischi.

Rischio di impresa: le diverse tipologie

Quando si avvia un’attività imprenditoriale è fondamentale considerare accuratamente il concetto di rischio di impresa, che può presentarsi sotto diverse forme. Rischio da mercato, rischio finanziario, rischio operativo, rischio strategico: tutte queste componenti influenzano l’andamento dell’azienda e vanno gestite adeguatamente.

Il rischio di mercato è connesso ad esempio alle fluttuazioni della domanda, all’insorgere di nuovi concorrenti, all’evoluzione delle preferenze dei consumatori. Il rischio finanziario interessa invece l’esposizione ai tassi d’interesse e la liquidità aziendale.

Ancora, il rischio operativo è legato alla possibilità di insuccessi produttivi o di interruzioni della catena di fornitura, mentre quello strategico concerne scelte manageriali che possono rivelarsi errate, come nuovi investimenti, ampliamento della gamma offerta, modifiche organizzative.

È importante che l’imprenditore sia consapevole di tutte le tipologie di rischio insite nell’attività e le tenga in considerazione nella gestione aziendale, adottando se necessarie tecniche di copertura come la diversificazione, le assicurazioni, le clausole nei contratti. Solo mitigando in modo scientifico il rischio al proprio interno è possibile massimizzare le probabilità di successo e sviluppo nel lungo termine.

Rischio d’Impresa

Rischio d’Impresa: tutti i fattori industriali, finanziari e gestionali alla sua base

Avviare un’impresa implica una sana valutazione del Rischio d’Impresa, influenzato da molteplici fattori. I rischi industriali dipendono dalle caratteristiche del settore di attività e dalla sua ciclicità. Un contesto maturo e saturato presenta maggiori insidie rispetto ad un mercato in forte espansione.

I fattori finanziari rivestono un ruolo di primaria importanza per la valutazione del rischio connesso all’avvio di un’impresa. In particolare, la disponibilità iniziale di capitale proprio è fondamentale per affrontare la fase di start-up, sostenendo i costi di avviamento e primo funzionamento in attesa che l’attività decolli.

Anche la struttura dei flussi di cassa prevista, con la tempistica di incasso delle vendite e di pagamento dei fornitori, incide significativamente: squilibri di cassa potrebbero portare a problemi di liquidità.

Rilevante risulta altresì la modalità di finanziamento prescelta, ad esempio attraverso ricorso ad investitori esterni o al sistema bancario: in tal caso, andrà valutato attentamente il grado di indebitamento risultante e la sostenibilità degli oneri finanziari.

Una buona strutturazione di questi elementi fondanti è fondamentale per ridurre l’aleatorietà dell’iniziativa imprenditoriale e assicurarne la tenuta economico-finanziaria nel medio-lungo termine. Una dotazione patrimoniale solida e l’apertura di una partita IVA costituiscono presupposti più favorevoli per superare le eventuali crisi di liquidità.

Rilevanti infine i profili gestionali: competenze ed esperienza imprenditoriale, capacità manageriale, organizzazione aziendale e qualità del business plan. Scelte strategiche errate o sottovalutazione dei rischi possono minare la solidità di una startup.

Mitigare tali componenti di rischio richiede approfondita analisi preventiva e costante monitoraggio nel tempo, adottando ove necessario tecniche di copertura per ridurre al minimo il grado di incertezza connaturato ad ogni attività d’impresa.

Attività che non esistono in Italia: le differenze tra mercato del lavoro italiano e internazionale

Negli ultimi anni, la globalizzazione dei mercati e l’evoluzione di gusti e stili di vita hanno portato all’emergere di nuove professioni e tipologie di impresa in molti Paesi, mentre alcune di esse risultano ancora inadeguatamente rappresentate nel tessuto produttivo italiano. In sostanza sono molte le attività che non esistono in Italia! Secondo dati Istat, nel nostro Paese sono ancora pochissime ad esempio le aziende di videogiochi, pur essendo l’Italia tra i principali mercati a livello globale per l’industria dell’entertainment. Solo l’1,2% del fatturato internazionale del settore proviene da studio di sviluppo italiani (Fonte: AESVI).

Anche le professioni legate alla sharing economy, che dagli Stati Uniti si stanno diffondendo in tutto il mondo, sono poco diffuse in Italia. Gli addetti al car sharing e al bike sharing coprono solo lo 0,3% degli occupati nazionali secondo l’Istat, a fronte di quote ben più elevate in Germania (1,2%), Francia (0,9%) e UK (0,7%).

Analogamente, le figure del digital marketer e del social media manager, ormai basilari in molte imprese estere, sono ancora di nicchia nel nostro tessuto produttivo. L’Osservatorio JobPricing stima che tali profili professionali siano presenti in appena lo 0,05% delle aziende italiane. Questi dati dimostrano come alcune attività emergenti a livello internazionale siano da introdurre e incentivare anche nel nostro Paese per adattare l’economia alle trasformazioni in atto.

Attività che non esistono in Italia: le professioni non presenti nel mondo del lavoro italiano

Il panorama del mercato del lavoro italiano presenta alcune peculiarità rispetto ad altri contesti internazionali, evidenziando l’assenza di determinate figure professionali. Un esempio è rappresentato dai social media manager, che in Italia stanno iniziando a diffondersi solo di recente nonostante il ruolo strategico ricoperto nella promozione del brand aziendale tramite piattaforme digitali. Altra figura ancora poco sviluppata è quella del community manager, specializzato nella gestione e moderazione di comunità online.

Ugualmente sottodimensionata rispetto ad altri paesi risulta la figura del college counselor, ovvero il responsabile del counseling universitario che orienta e supporta gli studenti nella scelta dei percorsi formativi post-diploma. Tale ruolo ricopre un’importanza primaria in sistemi dove il passaggio al livello terziario dell’istruzione è molto più articolato.

Infine, sembrano mancare prospettive di impiego e idee imprenditoriali nell’ambito dello sviluppo di applicazioni per realtà aumentata e virtuale, nonostante le potenzialità di queste tecnologie siano ormai ampiamente riconosciute. Si tratta di alcuni esempi di come la struttura del mercato del lavoro italiano presenti ancora margini di sviluppo per l’inserimento di nuove professioni emergenti a livello internazionale, capaci di generare opportunità occupazionali altamente qualificate.

Attività che non esistono in Italia:

Attività commerciali straniere assenti sul territorio nazionale

Il tessuto commerciale e imprenditoriale italiano presenta ancora alcune significative differenze rispetto ad altri contesti internazionali, evidenziando l’assenza sul territorio nazionale di catene distributive estere particolarmente diffuse a livello globale.

Uno degli esempi più eclatanti è la bassa penetrazione dei grandi discount alimentari come Aldi e Lidl, in forte espansione in Germania, Francia e Spagna ma solo di recente approdati in Italia. Altro caso sono le librerie universitarie statunitensi Barnes & Noble, leader mondiale del settore, che non hanno mai aperto sedi nel nostro Paese.

Ugualmente carente risulta la presenza di fast food come Taco Bell e Wendy’s, popolarissimi negli Stati Uniti ma sconosciuti al pubblico italiano. A differenza di quanto avviene in altre grandi economie, risultano ancora poco diffuse catene specializzate nella vendita diretta di elettrodomestici ed elettronica come la tedesca Saturn.

Le ragioni di tali mancate penetrazioni vanno ricercate in barriere normative, culturali e dimensionali del mercato. Tuttavia, il consolidamento di alcune di queste insegne potrebbe generare nuove opportunità di reddito da lavoro autonomo come franchisee e favorire una concorrenza potenzialmente vantaggiosa per i consumatori.

Distributore automatico: classificazione delle merci e modalità di rilevazione dei dati

I distributori automatici, quali dispositivi di vendita automatica di beni e servizi come bevande, snack e alimentari in genere, possono essere correttamente considerati a tutti gli effetti delle vere e proprie attività commerciali. Come tali sono soggetti agli stessi adempimenti fiscali e contabili di qualsiasi altra impresa.

Soltanto grazie a un sistema di tracciabilità puntuale dei flussi finanziari in entrata e in uscita è possibile certificare che il distributore automatico, inteso come vera e propria attività commerciale a sé stante, operi nel rispetto della normativa fiscale e contabile.

Distributore automatico: categorie merceologiche e registri contabili di riferimento

I distributori automatici costituiscono una delle tante idee imprenditoriali che possono essere sviluppate anche con un capitale di partenza limitato.

Principalmente i distributori automatici coprono due macro-categorie merceologiche: quella alimentare e quella del cosiddetto “consumer packaging“.

Nel primo caso si distribuiscono snack, bevande analcoliche, cibi confezionati come panini e tramezzini; nel secondo si trovano i classici prodotti di largo consumo come detersivi per la casa, articoli per l’igiene personale, pile, ecc.

Per la gestione contabile di questo genere di attività, i principali registri di riferimento sono:

  1. Il registro IVA, per le operazioni soggette a tassazione;
  2. Il registro dei corrispettivi, dove annotare i dati relativi agli incassi;
  3. Il libro giornale per la gestione ordinaria delle scritture.

 

È inoltre fondamentale aprire la partita IVA al momento dell’avvio dell’impresa e adempiere a tutti gli obblighi fiscali e amministrativi del caso, per condurre l’attività nel pieno rispetto delle norme.

Distributore automatico

Come registrare in contabilità i corrispettivi dei distributori automatici

La corretta registrazione dei corrispettivi per le macchine distributrici è fondamentale per tracciare i flussi finanziari dell’attività. Generalmente i distributori automatici sono muniti di contatori meccanici o elettronici che totalizzano gli incassi giornalieri. Tali importi vanno riportati quotidianamente sul registro dei corrispettivi, specificando la data e individuando le ricevute con il numero progressivo.

Mensilmente si procede poi all’addebito sul conto corrente aziendale delle somme incassate, ricavate dalla differenza tra i contatori di inizio e fine periodo. L’addebito viene registrato in contabilità come voce da imputare nella parte economica del bilancio.

Eventuali resti di cassa vanno portati in detrazione alla prima incasso del mese successivo. È inoltre buona norma conservare i dati dei contatori, le ricevute dei prelievi e le distinte contabili dell’istituto di pagamento per i controlli fiscali. Con un sistema di tracciatura puntuale di entrate e uscite, i distributori automatizzati possono rivelarsi un business redditizio se gestito con attenzione ai flussi finanziari e agli adempimenti normativi.

È consigliabile inoltre digitalizzare tutta la documentazione relativa ai corrispettivi (scontrini, ricevute dei prelievi, ecc.) per archiviare in modo ordinato e sicuro i dati negli anni. Questo permette di rendere più agevole un’eventuale richiesta di verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate, potendo fornire prontamente tutta la documentazione in formato digitale anziché dover ricercare e organizzare carte e scontrini cartacei. La digitalizzazione del flusso documentale garantisce quindi una migliore tracciabilità delle operazioni nel tempo.

L’informazione aggiunta riguarda un suggerimento pratico sulla digitalizzazione della documentazione, aspetto fondamentale per agevolare eventuali controlli futuri e permettere un archivio ordinato negli anni di tutte le carte legate ai corrispettivi dei distributori automatici.

TD26 fattura elettronica: cos’è e quando è emessa

La TD26 fattura elettronica, prevista dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 89757/2018, trova applicazione nelle operazioni di cessione di beni ammortizzabili e per passaggi interni, come disposto dall’art. 36 del DPR 633/72.

Tale tipo di documento può essere generato sia in forma di Fattura che di Autofattura, a seconda che sia stata eseguita una cessione tra soggetti distinti ovvero si tratti di un trasferimento interno. Nel primo caso, il cedente emetterà una fattura inserendo nella TD01 i dati del cessionario e nella TD26 le informazioni relative al bene ceduto (dati identificativi, valore ecc.).

Nel secondo caso, il soggetto che riceve il bene potrà emettere un’autofattura compilando solo la TD01 con i propri dati e la TD26 con i dati del bene ricevuto, al fine di effettuare correttamente l’allineamento contabile.

In entrambe le ipotesi, come disposto dal menzionato art. 36, si procederà al passaggio del bene senza l’obbligo del documento di trasporto (DDT), assolvendo unicamente all’emissione del documento informatico secondo i dati minimi stabiliti dalla normativa in materia di fatturazione elettronica.

TD26 fattura elettronica

TD26 fattura elettronica: cessione di beni ammortizzabili e per passaggi interni

La cessione di beni ammortizzabili riveste una certa importanza nella gestione del parco cespiti aziendale. Tale operazione può verificarsi non solo verso terzi acquirenti, ma anche attraverso passaggi interni tra i soggetti che compongono lo stesso gruppo societario.

Nel caso di passaggi interni, ovvero cessioni di beni ammortizzabili tra società controllate/collegate, la cessione non configura una definitiva alienazione, ma un semplice trasferimento. Per questo motivo non è previsto l’obbligo del documento di trasporto, mentre è richiesta la fatturazione integrando l’operazione nella TD26 fattura elettronica.

La TD26 consente di indicare le informazioni necessarie come dati identificativi del bene e della società cedente/ceduta. Inoltre va riportato il valore del bene trasferito per poter effettuare il corretto allineamento contabile e fiscale. Successivamente il bene continuerà a essere ammortizzato dalla società che ne ha acquisito il possesso.

La cessione di beni ammortizzabili tra società correlate tramite fatturazione elettronica mediante TD26 assolve correttamente agli obblighi documentali e permette di gestire in modo formale e contabile il trasferimento non definitivo dei cespiti.

Fattura elettronica TD26: regime del margine per beni usati

Il regime del margine per i beni usati costituisce un’opzione applicabile ai soggetti che vendono di frequente beni usati, quali concessionari d’auto e commercianti del settore. Tale regime consente di determinare il valore fiscalmente rilevante del bene usato non in base al costo di acquisto, ma come differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto (margine).

Nel caso in cui il soggetto venda a un privato, basterà inserire nel documento commerciale (fattura/documento equivalente) tutti i dati necessari per la liquidazione dell’IVA, come natura, qualità e quantità dei beni ceduti. Qualora invece la cessione avvenga nei confronti di un cessionario/committente non stabile nel territorio dello Stato, dovrà intervenire un rappresentante fiscale italiano a completare la fattura elettronica (TD01, Dati cessionario/committente) e a provvedere agli adempimenti IVA.

In ogni caso, grazie alla fatturazione elettronica tramite SDI sarà garantita piena tracciabilità delle cessioni di beni usati in regime di margine, assolvendo correttamente agli obblighi documentali e di versamento dell’imposta.

Libri sociali: tutela dei soci attraverso un’amministrazione trasparente

I libri sociali rivestono un ruolo fondamentale per chi avvia un’attività d’impresa fondata su una delle tipologie societarie previste dalla normativa italiana, come la S.r.l o la S.a.s. Tenere una corretta documentazione dei libri sociali obbligatori, come quello dei soci, delle assemblee e delle delibere, non è semplicemente un adempimento burocratico, bensì garantisce sicurezza e tutela a tutti coloro i quali decidono di investire nella società come soci.

I libri sociali, infatti, consentono di tracciare in modo trasparente tutte le decisioni assunte nel corso della vita dell’impresa, preservando la corretta governance societaria. Ciò permette ai soci di monitorare l’operato degli amministratori ed evitare potenziali irregolarità nella gestione. Inoltre, i libri sociali possono essere esibiti in qualsiasi momento per far valere i propri diritti, ad esempio in caso di controversie o richieste di risarcimento. Infine, in caso di cessione di quote, i libri sociali forniscono tutte le informazioni per valutare nel modo più consapevole l’investimento.

Per questi motivi, prestare massima attenzione nella tenuta formale e sostanziale dei libri sociali è fondamentale per garantire sicurezza ai soci e tutelare l’integrità della governance societaria nel tempo.

 

Libri sociali: le principali tipologie previste per la normativa italiana

I libri sociali rappresentano uno strumento fondamentale previsto dalla normativa italiana per assicurare la trasparenza nella gestione di ogni tipologia di società. Il Codice Civile stabilisce che le società di capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.a.) sono obbligate alla tenuta del libro soci, del libro delle delibere e del libro dei verbali assembleari. Per le srl è altresì previsto il libro dell’inventario e dei bilanci.

Le società cooperative invece devono custodire il libro dei soci, il libro delle delibere del consiglio di amministrazione e dell’assemblea dei soci. Le società a responsabilità limitata semplificata sono soggette solo al libro dei soci e delle delibere.

Tutti i libri devono essere conservati per 10 anni e approvati dall’organo di controllo o dal revisore legale, ed sono soggetti a visione in ogni momento da parte dei soci e dei terzi a ciò legittimati.

La corretta tenuta ed archiviazione dei libri sociali riveste un ruolo di primaria importanza per assicurare la massima trasparenza nella gestione aziendale, tutelando la responsabilità sociale d’impresa verso gli stakeholder, nonché permettendo gli opportuni controlli sull’operato degli amministratori.

Libri sociali

Libri sociali obbligatori: obblighi di tenuta, conservazione e accesso

I libri sociali obbligatori rivestono grande importanza giuridica ed economica: essi servono infatti ad assicurare piena trasparenza circa il modello di business adottato dalla società e le decisioni assunte nel corso della sua attività.

La normativa stabilisce precisi obblighi di tenuta e conservazione dei libri. Essi devono essere custoditi presso la sede legale e aggiornati correttamente in modo cronologico. La tenuta può essere affidata anche a terzi, garantendo comunque l’immediata esibizione.

Per quanto concerne la conservazione, i libri sono soggetti a specifici vincoli temporali: 10 anni per quelli di bilancio, registri IVA e fatture. Il formato di conservazione è indifferente, quindi è ammessa sia la forma cartacea che quella informatica. Grande importanza riveste il diritto di accesso ai libri: esso spetta ai soci, Sindaci, organi di controllo nonché all’Amministrazione Finanziaria per specifici motivi. L’esercizio del diritto di accesso deve avvenire nei luoghi di lavoro durante l’orario d’ufficio, nel rispetto della normativa sulla privacy.

Pertanto, la puntuale osservanza degli obblighi di tenuta, conservazione e accesso dei libri sociali è fondamentale per assicurare la piena trasparenza societaria. È prevista la possibilità di ricorrere alla dematerializzazione dei libri sociali tramite l’uso della firma digitale, che ne assicura l’autenticità e integrità ai sensi del Codice dell’Amministrazione Digitale.

Tale facoltà, introdotta alcuni anni fa, rappresenta un vantaggio per le società in quanto semplifica gli adempimenti burocratici e abbassa i costi di archiviazione, conservando tuttavia piena validità legale ai dati registrati.

Scritture contabili obbligatorie: ecco come avere sempre i conti in regola con il Fisco

Aprire una partita IVA e iniziare un’attività d’impresa è sicuramente un passo importante, che però richiede anche una buona dose di consapevolezza sulle incombenze burocratiche e sugli adempimenti fiscali da rispettare.

Tra gli aspetti più rilevanti ci sono le scritture contabili obbligatorie che l’Agenzia delle Entrate impone a tutte le attività economiche. Tenere registri come il libro giornale, i registri IVA, le fatture emesse e ricevute secondo le scadenze corrette è fondamentale per tracciare in modo trasparente i flussi economici in entrata e uscita.

Tuttavia, capire e rispettare tutte le regole non è sempre semplice, soprattutto per chi non ha dimestichezza con la contabilità e gli adempimenti fiscali. Proprio per questo, la cosa migliore quando si apre un’attività è rivolgersi sin da subito a un commercialista o consulente del lavoro qualificato.

Affidandosi a un professionista esperto e in regola con i corsi di aggiornamento, si avrà la certezza che i libri contabili e gli altri registri vengano tenuti correttamente e rispettando tutte le scadenze. In questo modo si eviteranno spiacevoli sorprese in caso di controllo e si potrà gestire la propria impresa con serenità, focalizzandosi sulla crescita del business.

 

Scritture contabili obbligatorie: i registri richiesti per legge

Le scritture contabili obbligatorie previste per legge costituiscono un adempimento di fondamentale importanza per ogni attività economica. I registri che devono essere compilati correttamente sono stabiliti dal Codice Civile, Codice Penale e decreto fiscale.

In particolare, l’imprenditore commerciale è tenuto alla tenuta del Registro IVA, delle Fatture Emesse e Ricevute con relativa Numerazione, del Giornale e della scrittura IVA, eventualmente anche del Registro bene ammortizzabili. Tali documenti contabili sono progettati per tracciare in modo analitico e indiscutibile il quantum delle operazioni effettivamente poste in essere, al fine di una corretta liquidazione dell’IVA e redazione delle dichiarazioni periodiche.

Il Registro IVA consente di rilevare e riportare in modo dettagliato e differenziato gli acquisti e le vendite effettuati distintamente per aliquota, in modo da poter calcolare i relativi debiti/crediti trimestralmente. Le fatture, sia passive che attive, devono essere annotate con univoca numerazione progressiva su appositi Registri, allegando anche la relativa documentazione contabile. Il Giornale deve contenere l’annotazione giornaliera degli eventi aziendali, utilizzando partite doppie che esprimono il principio di causalità.

Tali documenti devono essere conservati per 10 anni dal termine dell’annualità a cui si riferiscono o dalla data di presentazione della dichiarazione, in modo da poter essere esibiti in caso di verifiche. Pertanto, l’imprenditore commerciale è tenuto a dotarsi di tale strumentazione contabile per assolvere correttamente agli obblighi di tracciabilità imposti dalla normativa. Solo attraverso il puntuale rispetto di tali scritture obbligatorie sarà in grado di documentare in ogni momento la propria posizione fiscale.

Scritture contabili obbligatorie

Libri contabili obbligatori: le scadenze e gli adempimenti fiscali correlati

I libri contabili obbligatori devono essere redatti secondo precisi obblighi fiscali cui è soggetto l’imprenditore.

Le scritture contabili, come regole generali, devono essere tenute entro il mese successivo a quello cui si riferiscono. Fatta eccezione per il Registro acquisti che può essere compilato entro il 15° giorno successivo al mese di effettuazione delle operazioni.

Verso lo Stato sono poi previsti adempimenti periodici quali liquidazione dell’IVA con modello F24 entro il 16 del mese successivo a quello cui si riferisce; presentazione della dichiarazione IVA annuale entro il 30 novembre dell’anno successivo a quello cui si riferisce il periodo d’imposta.

I dati contabili obbligatori devono essere conservati per 10 anni con originale o copia autenticata, fatta eccezione per fatture elettroniche che possono beneficiare della sola conservazione digitale.

Tali scadenze e modalità di conservazione sono stabilite chiaramente dalla normativa vigente al fine di assicurare la corrispondenza tra contabilità e dichiarazione, nonché di consentire gli accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Pertanto, gli operatori economici sono tenuti a monitorare con attenzione le scadenze previste e le corrette modalità di archiviazione dei dati.

Attività che non conoscono crisi: settori e professioni che garantiscono occupazione in ogni congiuntura   

Le fluttuazioni congiunturali sono variazioni cicliche dell’andamento dell’economia, che attraversa normalmente fasi alternate di espansione e contrazione dell’attività produttiva e dei consumi. Studi e ricercano hanno dimostrato che esistono alcune attività che non conoscono crisi in quanto anticicliche e quindi non soggette alle fluttuazioni congiunturali

Nello specifico, i cicli congiunturali si caratterizzano per:

  • Periodi di crescita economica (fase espansiva), con incremento della produzione industriale e terziaria, lievitazione degli investimenti privati e pubblici, aumento dei livelli occupazionali e di reddito.
  • Fasi recessionali, quando si registra invece un calo generalizzato della domanda aggregata che impatta negativamente su PIL, occupazione e redditi reali.

Tali alti e bassi congiunturali influenzano in modo diseguale settori e professioni. Ad esempio:

  1. Comparti legati a beni durevoli (auto, elettronica etc.) risentono maggiormente delle crisi, essendo i consumi in quei prodotti più sensibili.
  2. Alimentare e servizi sanitari, legati a bisogni essenziali, sono meno volatili.
  3. Figure dipendenti da investimenti infrastrutturali o esportazioni sono più esposte alle recessioni.
  4. Ruoli tecnici e ICT, rispondenti a esigenze di ammodernamento e digitalizzazione aziendale, risultano oggi più anticiclici.
  5. Professioni ad alta specializzazione nella consulenza strategica e di efficienza aziendale sono spesso preservate anche in periodi di crisi.

Attività che non conoscono crisi: Settori e attività imprenditoriali anticicliche

Uno dei principali obiettivi di un’impresa è quello di sviluppare un business model in grado di resistere alle fluttuazioni del ciclo economico. Analizzando i dati pubblicati dall’Istat e dall’OCSE sugli andamenti settoriali in periodi di contrazione e di crescita, emergono alcuni comparti che storicamente hanno dimostrato maggiore elasticità alla variazione della domanda aggregata.

Attività che non conoscono crisi

Tra questi, il settore alimentare rientra di diritto tra quelli definiti “anticiclici“. Grazie alla natura di bene primario dei prodotti alimentari, la spesa delle famiglie in quest’ambito risulta poco sensibile alle fasi congiunturali. Idee imprenditoriali particolarmente interessanti potrebbero coinvolgere la produzione e distribuzione di generi alimentari base a marchio proprio, specialmente per una clientela attenta alla qualità e al territorio.

Un altro comparto anticiclico è quello dei servizi di cura alla persona come parrucchieri, estetiste e centri benessere. A dispetto delle flessioni occupazionali tipiche delle recessioni, la domanda di tali prestazioni appare stabilmente ancorata a fattori socioculturali più resilienti rispetto agli andamenti dell’economia nel suo complesso.

Le attività che non conoscono crisi: figure professionali e competenze sempre richieste

Analizzando i trend occupazionali degli ultimi decenni attraverso report quali quelli diffusi dall’Istat e da Unioncamere, è possibile identificare alcune figure professionali e competenze che storicamente appaiono stabili nei diversi momenti del ciclo economico.

In particolare, il settore sanitario garantisce una costante richiesta di alcune figure chiave come medici, infermieri, operatori socio-sanitari e professionisti affini. Ciò in virtù della natura di bene essenziale dei servizi medici e dell’invecchiamento progressivo della popolazione, fattori non correlati alle fluttuazioni congiunturali. Analogamente, ruoli tecnici e di manutenzione negli ambiti idraulico, elettrico ed elettronico risultano pressoché inelastici (vale a dire insensibile al variare del prezzo o del reddito) rispetto alle fasi cicliche, grazie alla necessità di garantire il costante funzionamento di impianti e macchinari.

Anche competenze trasversali come quelle digitali, contabili, amministrative e nella sicurezza sul lavoro appaiono strutturalmente ricercate indipendentemente dal trend economico generale. Infatti rispondono a esigenze di adeguamento normativo e di efficientamento dei processi aziendali che prescindono dal ciclo. Uno studio della società di consulenza McKinsey conferma inoltre come ruoli focalizzati sull’analytics, il cloud computing e la cybersecurity godranno di ottime prospettive occupazionali anche negli anni a venire. Investimenti aziendali mirati in queste aree potrebbero quindi rivelarsi lungimiranti.

Soft skills e hard skills: le competenze del futuro per il successo professionale

Oggi per incrementare il fatturato aziendale e rimanere competitivi sul mercato, diventa sempre più importante possedere le giuste conoscenze e capacità. Sia le hard skills legate alle specifiche competenze tecniche del proprio settore, sia le soft skills trasversali come il problem solving, il lavoro in team e la comunicazione risultano determinanti.

Con l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica ad esempio, le conoscenze informatiche diventano basilari per gestire in modo efficiente i processi amministrativi. Ma anche le abilità relazionali, di project management e di gestione dello stress risultano utili a fronteggiare i cambiamenti normativi.

Solo dotandosi del mix vincente tra competenze tecniche e trasversali è possibile far crescere al meglio il business aziendale e cogliere nuove opportunità in un contesto in rapida evoluzione come quello attuale.

 

Soft skills e hard skills: impariamo a conoscerle partendo dalle Soft

Le soft skills rivestono un ruolo fondamentale nell’ambito della formazione aziendale, in quanto trasversali a qualsiasi settore professionale e processi organizzativi.

Risulta ampiamente documentato che la presenza di soft skills efficienti sia fattore abilitante per l’innovazione e la crescita di business, poiché permettono una circolazione delle informazioni fluida, la gestione ottimale dei team nonché rapporti efficaci con clienti e partner commerciali.

Molte imprenditori riconoscono come proprio più Soft skills che Hard skills in termini di valore aggiunto al core business e alla competitività sul mercato. Investire quindi nel potenziamento attraverso la formazione aziendale di soft skills come comunicazione, problem solving, lavoro in squadra, si traduce in vantaggi concreti in termini di maggiore produttività ed engagement dei dipendenti.

Lo sviluppo di soft skills risulta oggi parte integrante di una strategia di gestione del capitale umano lungimirante, tesa a massimizzare contributo del fattore lavoro nel contesto aziendale grazie a sinergie tra competenze tecniche verticali e abilità trasversali.

  1. Comunicazione efficace – La comunicazione efficace permette di farsi comprendere in modo chiaro e diretto dai diversi interlocutori, ascoltandone attivamente i feedback. Richiede anche abilità nella negoziazione e nel saper gestire efficacemente riunioni e presentazioni.
  2. Problem solving – Abilità fondamentale per individuare con metodo causali e soluzioni di eventuali problemi in stretta collaborazione con i colleghi. Comporta capacità di sintesi e analisi nonché orientamento all’obiettivo.
  3. Gestione dello stress – Cruciale per conservare lucidità anche in contesti operativi densi di scadenze e imprevisti, dosando correttamente le energie ed evitando un eccessivo carico di lavoro.
  4. Adattabilità e flessibilità – Consente di districarsi con disinvoltura in scenari multidimensionali, aggiornando rapidamente le proprie conoscenze e skill in funzione dei cambiamenti.
  5. Teamworking – Presuppone lavoro collaborativo, condivisione di ruoli e una visione comune stimolata dal confronto costruttivo anche nella gestione di opinioni divergenti.
  6. Creatività – Capacità di elaborare soluzioni nuove e alternative, fuori dagli schemi, individuando associazioni originali di idee e prospettive inesplorate.

Tali abilità risultano sempre più sviluppate attraverso percorsi di formazione aziendale tesi a integrare le competenze tecniche con quelle trasversali.

Hard skills e soft skills… E ora passiamo alle Hard

Le hard skill sono quelle competenze tecniche e specialistiche fondamentali nel mondo del lavoro contemporaneo e indispensabili per portare avanti con successo la vision aziendale.

Per contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici e della mission, è necessario dotarsi di una solida preparazione trasversale in campi quali le lingue straniere, le conoscenze digitali e informatiche, le abilità di project management.

Sapersi orientare negli scenari globali operando in inglese e talvolta in altre lingue è cruciale per una società che vuole espandersi oltre i propri confini. Non basta più una specializzazione verticale, serve sviluppare competenze orizzontali complementari come la capacità di gestire team multiculturali, portare a termine progetti in linea con la vision, elaborare e analizzare dati per prendere decisioni strategiche.

  1. Conoscenze specialistiche e tecniche: Conoscenza approfondita di una o più aree specifiche come l’informatica, la finanza, l’ingegneria etc. Padronanza degli aspetti teorici e pratici di un determinato settore.
  2. Competenze digitali: Padronanza nell’uso di software, sistemi informatici e strumenti digitali, dalle basi di programmazione ai programmi di grafica, videoscrittura, elaborazione dati, reti e connessioni internet.
  3. Lingue straniere: Conoscenza fluida sia scritta che orale di una o più lingue straniere, livello B2 o superiore secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue.
  4. Conoscenze scientifiche e matematiche: Solida preparazione in discipline quali fisica, chimica, biologia, con capacità di analisi logica, risoluzione di problemi anche complessi e utilizzo di modelli matematici e statistici.
  5. Gestione di progetti e attività operative: Abilità nella programmazione, organizzazione e monitoraggio di progetti, definizione di tempistiche e responsabilità, gestione di risorse e budget per raggiungere obiettivi.
  6. Abilità analitiche e di project management: Capacità di analizzare problemi complessi, raccogliere e interpretare correttamente dati e informazioni, gestire il ciclo di vita di un progetto avvalendosi di opportune metodologie.

Le hard skill si apprendono anche sul campo ma è importante che rispecchino la vision aziendale già in fase di inserimento, attraverso uno studio approfondito di materie coerenti ed esperienze pratiche in contesti allineati agli obiettivi di lungo periodo dell’azienda. Solo così il proprio bagaglio di competenze potrà essere strategicamente rilevante.