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Come diventare copywriter e seguire la giusta disciplina fiscale

Oggi sono in molti a essere interessati a sapere come diventare copywriter. Si tratta di una professione che si è largamente diffusa anche grazie allo smart working. I soggetti che decidono d’intraprendere questa carriera, non sono obbligati ad aprire una partita IVA. Infatti, è una professione che può, qualche volta, essere svolta anche come prestazione occasionale.

Copywriter: cosa fa

La figura del copywriter è cambiata e si è evoluta negli ultimi anni. Oggi, un copy, non si occupa solo di scrivere testi pubblicitari, slogan o contenuti persuasivi. Le sue mansioni si sono fuse e mescolate con quelle dell’articolista. In entrambi i casi, comunque, le professioni possono essere svolte sia alle dipendenze di qualcuno, che come liberi professionisti.

Come diventare copywriter

In alcuni articoli precedenti, abbiamo già visto che per lavorare come sviluppatore app o come accompagnatore turistico serve aprire una partita IVA. Per la professione del copywriter non è detto che sia necessario dotarsi di partita IVA con un preciso codice ATECO.

Per capire quando e se è necessaria la partita IVA, prima bisogna capire se il lavoro è svolto in maniera saltuaria e non continuativa, oppure in modo abituale. Per fare un esempio, quando la domanda di lavoro ammonta a quattro articoli da scrivere in una volta sola, durante tutto l’anno, allora la prestazione è occasionale. Quando invece i soliti quattro articoli dell’esempio devono essere scritti tutti i mesi per tutto l’anno, allora il lavoro è continuativo e abituale. In questo secondo caso serve pertanto l’apertura di una partita IVA.

Come sempre per l’apertura è necessario compilare uno specifico modulo da presentare ad Agenzia delle Entrate in via telematica o cartacea. Sul modulo deve essere indicato il codice ATECO corretto. Per questa professione non ne esiste solamente uno, ma ce ne sono diversi:

  • 90.99: altre attività professionali NCA;
  • 21.00: relazioni pubbliche e comunicazione;
  • 99.00: altre attività dei servizi d’informazione NCA;
  • 11.01: ideazione di campagne pubblicitarie.

Il codice cambia a second del lavoro svolto, degli obiettivi perseguiti e della tipologia di cliente per il quale è svolta l’attività.

Come diventare copywriter

Freelance copywriter e Iscrizione Alla Gestione Separata Dell’Inps

Tra le cose da sapere su come diventare copywriter c’è anche quella dell’iscrizione alla gestione separata dell’INPS. La gestione separata è un regime previdenziale utilizzato da tutti i professionisti non coperti dalla cassa previdenziale obbligatoria. La gestione separata prevede il versamento di contributi due volte nel corso dell’anno, in concomitanza con altri obblighi fiscali.

Il copywriter non è obbligato a iscriversi al Registro delle Imprese a meno che non svolga molte attività, una delle quali ne richiede l’iscrizione. Per un inquadramento più preciso è sempre meglio rivolgersi a un dottore commercialista che può consigliare la soluzione migliore. L’iscrizione alla gestione separata deve avvenire entro e non oltre trenta giorni dal momento in cui è aperta partita IVA. La quota annua da versare a INPS ammonta al 25,98% dul reddito imponibile.

Copywriters e regime fiscale

Il copy è un’attività che può essere svolta in regime ordinario, oppure in regime forfettario. Il forfettario è un regime fiscale agevolato che consente di avere una tassazione al 5% nei primi cinque anni di attività, per poi passare al 15% successivamente.

IVA e IRPEF sono sostituite da questa tipologia di tassazione.

Aderendo al regime forfettario, come sempre, non è possibile superar i 65.000€ annui di fatturato. Se la soglia dovesse essere superata, avviene il passaggio diretto al regime ordinario. Inoltre, da luglio 2022 anche i forfettari, quindi anche i copy in questo regime, sono obbligati per legge a mettere fatturazione elettronica. Invece, i soggetti che non superano i 25.000€ di fatturato annui, possono mettere ancora la semplice fattura cartacea.

Accompagnatore Turistico: requisiti, regole e regime

Un accompagnatore turistico non è esattamente una guida turistica. La sua attività consiste nell’accompagnare i turisti, singoli o in gruppo, nei vari viaggi svolti sul territorio italiano. Si occupa dell’organizzazione del viaggio (tappe, tour e spostamenti) e fornisce informazioni generiche sui luoghi visitati. Per svolgere questa attività in modo autonomo è necessario aprire partita IVA, scegliere il regime fiscale più consono e versare i contributi previdenziali che permettono di accedere alla pensione.

Accompagnatore Turistico: chi è e cosa fa

L’accompagnatore turistico guida gruppi di persone straniere in Italia, oppure italiani all’estero. Organizza il viaggio e segue persone e comitive per accertarsi che tutto vada per il meglio e che il programma stabilito si svolga regolarmente. Non illustra le bellezze locali descrivendone la storia e la produzione, a differenza della guida turistica.

Per svolgere questa attività sono necessarie conoscenze e requisiti specifici stabiliti dalla normativa regionale vigente. Per diventare accompagnatore turistico è necessario:

  • aver compiuto almeno 18 anni di età
  • aver conseguito il diploma di scuola media superiore
  • possedere una fedina penale pulita
  • conoscere l’inglese a livello avanzato (C1)

Ci sono poi dei requisiti ulteriori che differiscono da regione a regione. Per operare come accompagnatore, oltre al diploma di scuola superiore è necessario aver sostenuto e superato un esame specifico di abilitazione per il conseguimento del patentino.

L’accompagnatore turistico e la partita IVA

La professione è tutelata da un sindacato specifico e per svolgerla è necessaria l’iscrizione al relativo albo. Il lavoro può essere svolto sia come dipendente, che come libero professionista, aprendo partita IVA. I soggetti che invece svolgono l’attività in modo saltuario possono ricorrere alla prestazione occasionale.

Accompagnatore Turistico

Come per lo sviluppatore app, anche l’accompagnatore turistico deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/11 e presentarlo ad Agenzia delle Entrate. Il codice ATECO per accompagnatori turistici è il 79.90.2. È possibile, inoltre, aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Ogni volta che un accompagnatore presta un servizio, è tenuto per legge, a emettere fattura elettronica.

Come diventare accompagnatore turistico: la scelta del regime fiscale

L’accompagnatore può decidere se aderire al regime ordinario, piuttosto che a quello forfettario. Sicuramente il più vantaggioso è il secondo. Per aderirvi è necessario rispettare alcuni requisiti, come ad esempio quello che relativo al fatturato annuo che non deve essere superiore ai 65.000€.

Il forfettario prevede un’aliquota unica pari al 15% che si abbassa al 5% nei primi 5 anni di attività. Da luglio del 2022 è diventato obbligatorio anche per i forfettari emettere fatturazione elettronica.

Scelto il regime serve poi l’iscrizione alla Gestione separata INPS. La gestione separata non prevede il versamento di una quota fissa annuale, ma solamente di una percentuale pari al 25,98% dei redditi percepiti. Infine, il regime forfettario esonera dall’obbligo delle scritture contabili e non prevede l’applicazione d’IVA e ritenute d’acconto.

Abilitazione accompagnatore turistico

L’ultimo passo da compiere per iniziare questa attività, è quello di presentare al proprio Comune di residenza una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Il documento è necessario per dimostrare al proprio comune di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per svolgere attività di accompagnatore turistico.

Il documento deve essere presentato almeno un giorno prima dell’inizio dell’attività e può essere inviato sia per PEC, oppure telematicamente online. Il modulo deve riportare anche la firma digitale del soggetto che inoltra certificazione. È possibile trovare ulteriori informazioni consultando un dottore commercialista, oppure rivolgendosi all’ufficio SUAP del Comune dove deve essere avviata l’attività.

Sviluppatore app: partita IVA, regime fiscale e fatture elettroniche

Esperto di programmazione e informatica, lo sviluppatore app è simile al programmatore informatico, ma con qualche differenza. Per svolgere questo lavoro è necessario aprire una partita IVA, adempiere a precisi obblighi fiscali e scegliere un determinato regime fiscale in base alla natura dell’attività svolta.

Sviluppatore app: chi è e cosa fa

Esperto d’informatica, lo sviluppatore app, progetta e realizza applicazioni destinate a vari utilizzi. Dalla stampa di fotografie, a quelle utili a parcheggiare o a fare la spesa, le applicazioni oggi sono sempre più diffuse e utilizzate e si possono trovare in molti store online, gratis o a pagamento. Lo sviluppatore app può svolgere le proprie mansioni come dipendente, oppure come libero professionista.

La categoria di sviluppatori informatici non hanno una precisa disciplina fiscale. Se ne distinguono però due differenti casistiche:

  1. Sviluppatori che realizzano app per uno o più committenti – svolge attività professionale. Se continuativa deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/12 e consegnarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio della propria attività.
  2. Sviluppatori informatici che creano app per rivenderle direttamente negli store di app.

Ci sono poi sviluppatori che fanno entrambe le cose. Chi non pratica questa attività in modo continuativo, può avvalersi della prestazione occasionale. Gli sviluppatori autonomi, quando aprono partita iva devono anche scegliere il relativo e corretto codice ATECO. Per farlo possono rivolgersi direttamente ad AdE (Agenzia delle Entrate), oppure attraverso un intermediario.

Sviluppatori app e codici ATECO

Il codice ATECO cambia a seconda della professione svolta. Gli sviluppatori di app possono scegliere tra:

  • 01.00 – produzione di software non connesso all’edizione;
  • 02.00 – consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica;

La scelta deve ricadere sul codice maggiormente inerente alla propria attività. Nel dubbio è possibile chiedere consiglio ad AdE, oppure a un dottore commercialista. I soggetti che decidono di creare app e venderle direttamente negli store online, devono scegliere il codice 49.91.10, relativo al commercio elettronico diretto.

Sviluppatore app

Sviluppatori di app e regimi fiscali

Il regime fiscale determina il modo con il quale lo sviluppatore app deve pagare le tasse allo Stato. Le imposte sono applicate in base alla diversa tipologia di ricavi prodotti. In questo caso, gli sviluppatori di applicazioni sono artefici di una vera e propria attività commerciale. Quindi, lo sviluppatore che crea app  e lavoro autonomamente deve:

  • aprire partita IVA
  • scegliere il regime fiscale migliore (ad esempio quello forfettario)
  • iscriversi all’INPS.

Invece, lo sviluppatore di app che crea e rivende applicazioni deve:

Gli sviluppatori di applicazioni possono aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Per quanto riguarda il secondo, presenta dei notevoli vantaggi, ma tutto dipende dal fatturato annuo che non può superare i 65.000€ annui. Inoltre, non è possibile aderire a questo regime nemmeno quando il soggetto interessato partecipa ad associazioni o imprese familiari, oppure a società di persone o Srl.

I vantaggi del regime forfettario permettono allo sviluppatore app di non applicare l’IVA sulle fatture elettroniche e l’IRPEF. Inoltre, l’imposta sostitutiva è al 15% e si abbassa al 5% per i primi 5 anni. Le tasse sono applicate sulla base del coefficiente di redditività, che per lo sviluppatore di app è del 67%.

Programmatore app e previdenza sociale

Aperta la partita IVA è necessario comunica all’INPS l’inizio dell’attività. La comunicazione è necessaria per iniziare a versare i contributi che permettono di accedere alla pensione. In regime fiscale ordinario e forfettario è possibile l’iscrizione alla Gestione Separata INPS rivolta a tutti i professionisti.

I contributi da versare per questa categoria, ammontano a 25,98% del reddito imponibile sulla base del fatturato annuo. Se il fatturato annuo è inferiore o pari a 15.953€ esiste una quota minima di contributi da versare all’INPS pari a 3.850€.

Sospensione Partita IVA: quando e come è possibile

Lo svolgimento di un’attività autonoma presuppone di aprire una partita IVA. Indipendentemente dal regime fiscale scelto, l’apertura della partita IVA e l’adempimento di obblighi fiscali e previdenziali, è assodato per tutti. Può capitare, però, che il lavoratore autonomo abbia necessità di sospendere partita IVA per un determinato periodo di tempo. La sospensione della partita IVA non è possibile per legge. Sospendere e riprendere dopo un certo lasso di tempo non è quindi fattibile.

Sospensione Partita IVA: regime ordinario e forfettario

Che si tratti di regime ordinario, piuttosto che del forfettario, la legge italiana non prevede in alcun caso la possibilità di sospendere temporaneamente la propria partita IVA. Questo significa che, se necessario, il lavoratore autonomo deve chiudere partita IVA, per poi riaprirla in futuro se c’è volontà di farlo.

I motivi che possono portare alla necessità di sospendere partita IVA sono molteplici, ma nessuno valido affinché ciò possa essere attuato da normativa vigente. Mantenere aperta una partita IVA ha un costo. Per lasciarla aperta, anche se non è utilizzata, il commercialista deve comunque essere pagato e, allo stesso modo, devono essere saldati i costi fissi come la contribuzione INPS.

Anche se non è possibile sospendere la partita IVA è comunque possibile sospendere la propria attività per un certo periodo di tempo. Le possibilità, in questo caso, sono:

  • chiudere definitivamente la partita IVA e riaprirne una nuova in un secondo momento
  • chiudere definitivamente la partita IVA
  • cambiare il regime fiscale
  • diventare ditta individuale che affitta ad azienda

Chiudere definitivamente la partita IVA

È necessario compilare il modello AA 9/12 e presentarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dal momento in cui termina del tutto l’attività svolta. Il documento può essere inviato telematicamente o consegnato di persona allo sportello. Infine, è necessario comunicare a INPS e al Registro delle Imprese, o ad altra cassa previdenziale, la chiusura dell’attività.

Aprire e chiudere partita IVA stesso anno

Chiusura e riapertura è possibile sia in regime ordinario che forfettario. La nuova partita IVA non potrà essere uguale a quella vecchia. Varia il numero, probabilmente anche il codice ATECO e le varie informazioni fiscali. In caso di chiusura partita per fallimento, prima di aprire quella nuova, è obbligo aspettare il termine della procedura amministrativa.

Sospensione Partita IVA

Cambio regime fiscale in corso d’anno

È sempre possibile, in qualunque momento cambiare regime fiscale. È possibile passare a quello ordinario, a quello forfettario, oppure a quello semplificato. Da ordinario a forfettario è sufficiente rimanere sotto i 65.000€ annui di fatturato. Mentre da forfettario a ordinario non c’è bisogno di fare praticamente niente, se non avvalersi dell’aiuto di un buon commercialista e aggiungere l’IVA alle fatture. In tutti casi, quindi, non è necessario chiudere e riaprire partita IVA. Si tratta, forse, dell’esempio che più di tutti assomiglia alla sospensione partita IVA.

Affitto unica azienda ditta individuale

Una ditta individuale che affitta a un’azienda, è forse l’unico caso di vera e propria sospensione partita IVA. Si tratta infatti di una soluzione che permette a un’azienda di pagare un canone per utilizzare un’azienda di un’altra impresa. Questo esempio è l’unico nel quale la partita IVA è sospesa, congelata. L’imprenditore considerato ditta individuale che affitta l’unica attività di cui è titolare, può conservare la propria partita IVA. Da considerare che nell’affitto unica azienda ditta individuale sono comunque da pagare alcune imposte, come ad esempio l’imposta sul registro per effettuare il passaggio stesso.

Prop trader: chi sono e quale regime fiscale scegliere

Un prop trader è un professionista che si occupa di prop trading. Si tratta di una professione nata recentemente grazie al web. Una figura molto particolare che lavora per conto delle Prop House. Non si tratta di comuni promotori finanziari o di gestori diretti del rischio. Trattandosi di una nuova forma di lavoro cerchiamo di capire meglio quale sia il regime fiscale migliore da adottare per svolgere questa attività.

Prop Trader: chi è e cosa fa

Il Prop Trader gestisce un portafogli d’investimento per conto delle Prop House che altro non è che una società finanziaria che gestisce vari portafogli finanziari d’investitori. La gestione di questi portafogli è affidata proprio ai Prop Trader. Il professionista ha a disposizione una data somma di denaro da gestire, ma non risponde di eventuali perdite subite dall’attività d’investimento.

Beneficia esclusivamente di parte dei proventi ottenuti dalle attività d’investimento. Infatti, la gestione dell’investimento riguarda solo il rapporto tra l’investitore e la Prop House. Il Prop Trader lavora per la Prop House. Questo significa che, in caso di eventuale perdita subita dal committente, il trader può decidere di recedere dal contratto e dalla collaborazione professionale con il singolo professionista.

Prop Trader: lavoro, partita iva e regime fiscale

Per svolgere l’attività di prop trader, se continuativa e abituale, è necessario aprire una partita IVA. La partita IVA è quindi sempre richiesta e non esiste una soglia minima sotto la quale è possibile operare in assenza di partita IVA. È obbligo inoltre dichiarare i proventi relativi all’attività svolta. Il professionista che vuole esercitare tale attività deve anche stabilire la gestione previdenziale e scegliere il codice ATECO corretto.

Agenzia delle Entrate, per il momento, non avendo discusso di questa professione, non ha stabilito un codice ATECO preciso. Quindi, è necessario scegliere un codice già esistente tra i tanti presenti nelle attività residuali. Durante la scelta è d’uopo tenere in considerazione anche la diversa tipologia di contratto che il professionista va a sottoscrivere con la società d’investimento committente.

Allo stesso modo, non esistono specifiche, almeno per adesso, sugli aspetti previdenziali di questa attività professionale. In linea generale, quindi, è possibile farla rientrare nei casi di gestione separata INPS che prevede un’aliquota variabile di anno in anno, da applicare sul valore del reddito prodotto su ogni annualità. Come per il codice, anche in questo caso, la situazione deve essere valutata caso per caso con un dottore commercialista tenendo conto anche del contratto sottoscritto con la Prop House.

Prop trader

Organismo OCF: iscrizione e aspetti amministrativi

L’organismo OCF è un ente che tutela e vigila l’Albo Unico dei Consulenti Finanziari. Per potersi iscrivere all’OCF occorre superare un esame specifico. Per quanto riguarda i prop trader, non essendoci chiarimenti ufficiali, non è chiaro se debbano o no iscriversi a questo organismo. Analizzando il loro operato sembra non essere necessaria l’iscrizione, essendo professionisti che operano al di fuori delle normative che regolano l’attività dei consulenti finanziari.

Prop trader lavoro e regime fiscale

I prop trader possono ricorrere al regime forfettario, fuori campo IVA. Così facendo hanno un’aliquota molto bassa del 5% (nei primi 5 anni) o del 15% e non si pagano IRPEF, IRAP o altre imposte addizionali. Per accedere al forfettario devono sempre essere rispettati determinati criteri:

  1. ricavi annui non superiori ai 65.000€
  2. redditi da lavoro dipendente o pensioni non superiori a 30.000€
  3. non superare i 20.000€ annui di spese per i dipendenti
  4. non possedere quote di partecipazione a società di persone o associazioni
  5. non possedere partecipazioni di controllo in SRL che svolgono attività analoghe

In alternativa al regime forfettario, è possibile, per il Prop Trader, aprire partita IVA individuale in contabilità semplificata, oppure aprire una SRL. Meglio, comunque, valutare ogni situazione caso per caso avvalendosi dell’ausilio di un commercialista esperto in materia.

Vendita porta a porta: come funziona il regime fiscale delle vendite a domicilio

Così come aprire un blog e iniziare a fatturare correttamente richiede degli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, anche la vendita porta a porta ha le proprie regole da dover rispettare. Si tratta di una particolare vendita al dettaglio di beni e servizi  direttamente presso il domicilio del cliente finale. È un’attività svolta da un incaricato alle vendite che opera, solitamente, senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa mandante e al di fuori dell’inquadramento di agente di commercio.

Vendita porta a porta: il regime fiscale

La disciplina fiscale relativa alla vendita porta a porta, stabilisce le imposte sui redditi e sull’attività occasionale e professionale del venditore, con relative conseguenze sull’imposta sul valore aggiunto (IVA).

I venditori a domicilio sono agenti e rappresentanti di commercio. I guadagni derivanti dalle vendite di beni e servizi si chiamano provvigioni. Quest’ultime sono soggette all’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta del 23%. La ritenuta è applicata sul totale delle provvigioni ridotte del 22% a titolo di deduzione forfettaria delle spese legate alla produzione del reddito.

Il valore delle provvigioni nette è determinato dalla seguente formula:

provvigioni nette = provvigioni premi e incentivi lordi X 78%

Il valore delle provvigioni nette è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta del 23%. I venditori a domicilio non devono presentare dichiarazione dei redditi a meno che non percepiscano altri redditi al di fuori delle provvigioni derivanti dalla vendita porta a porta. Inoltre sono altresì esonerati dall’applicazione dell’IRAP.

Venditore a domicilio e sostituto d’imposta

La società mandante del venditore a domicilio è obbligata a versare, entro il 16 del mese successivo a quello del pagamento delle provvigioni, le ritenute. Il pagamento è eseguito tramite modello F24 con codice contributivo 1038 nella sezione erario.

Ciascuna ritenuta e i compensi annuali devono essere riepilogati nella venditore a domicilio Certificazione Unica. Infine la società committente è tenuta a segnalare con il modello 770, all’Amministrazione Finanziaria, il totale delle provvigioni per la base imponibile e il calcolo delle ritenute operate.

Vendita porta a porta

Venditore Porta A Porta: professionale od occasionale

La vendita porta a porta può essere effettuata in modo occasionale, oppure professionale. Si tratta di vendita occasionale quando il reddito annuo derivante da tale attività non supera i 5000€. I venditori porta a porta occasionali non sono tenuti ad avere scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi. Inoltre sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei redditi, a meno che non percepiscano altri redditi derivanti da attività diverse.

I venditori a domicilio occasionali non sono, pertanto, tenuti ad aprire una partita IVA  e non devono applicare l’IVA sui compensi percepiti. Devono solamente rilasciare una ricevuta alla società mandante per ricevere le provvigioni stabilite.

Si tratta invece di vendita porta a porta professionale quando le provvigioni annue superano i 6426,10€. In questo caso il venditore deve obbligatoriamente aprire una partita IVA entro 30 giorni. Il codice attività per aprire partita IVA è il 46.19.02, “Procacciatori di affari di vari prodotti senza prevalenza di alcuno”. È inoltre obbligato ad assoggettare a IVA tutti i compensi che eccedono il limite indicato. In questo caso i venditori non possono accedere al regime forfettario in quanto per loro esiste già un apposito regime agevolato.

Venditori Porta A Porta e INPS

Gli addetti alla vendita porta a porta sono obbligati a iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS quando il reddito annuo supera i 5000€. L’iscrizione può essere fatta online sul sito messo a disposizione da INPS, dove è anche possibile versare i contributi relativi.

I contributi da versare sono composti da:

  1. 1/3 a carico del contribuente/venditore
  2. 2/3 a carico dell’azienda mandante

I contributi devono essere versati entro il 16 del mese successivo al pagamento delle provvigioni. Il venditore a domicilio deve indicare in fattura elettronica la trattenuta INPS per la Gestione Separata. I venditori non sono comunque tenuti a iscriversi anche all’INAIL.

Vendere online senza partita iva: è possibile? Conviene?

Vendere online senza partita IVA è possibile, ma solo in determinate circostanze. Quando l’attività è svolta occasionalmente, allora è possibile anche senza aprire una partita IVA nuova. In presenza di attività svolta in modo sporadico e occasionale, non è necessario avere partita IVA per vendere beni e servizi. La vendita di prodotti usati, ad esempio (vestiti, mobili, oggettistica, ecc…) non è tassata perché non è riconosciuta come attività lavorativa che crea reddito d’impresa. Solo quando la vendita si ripete costantemente nel tempo e con maggiore assiduità, lo Stato pretende l’apertura di una partita IVA e il pagamento delle tasse.

Vendere online occasionale o abituale: le differenze

La vendita online senza partita IVA è possibile quando è svolta una tantum e non crea quindi reddito d’impresa. In presenza di attività che si protrae nel tempo in modo costante e con frequenza, allora è necessario aprire partita IVA perché per lo Stato e il Fisco significa fare impresa. Attività che può essere occasionale (è il caso, ad esempio, di chi frequenta mercatini dell’usato o per hobbisti una volta l’anno) oppure abituale. Per la prima non occorre partita IVA, per la seconda si. L’occasionale può trasformarsi anche in abituale e commerciale se chi la svolge si organizza al meglio per realizzarla compiutamente

La differenza tra abituale e occasionale non è imposta dal reddito percepito, bensì dalle modalità di svolgimento dell’attività. La costanza, trasforma un’attività occasionale in abituale. Per non dover aprire partita IVA l’attività deve essere:

  • sporadica
  • non organizzata
  • non continua

Inoltre, nessuna vendita senza partita IVA occasionale, può avere uno shop online. La Partita IVA per e-commerce è obbligatoria perché uno shop online è un’attività organizzata!

Vendere online senza partita iva

Vendere online senza partita IVA: l’occasionalità

Vendere online senza partita IVA non comporta alcun obbligo o adempimento fiscale e contabile. Non si tratta di attività professionale e non crea reddito d’impresa (come ad esempio il pagamento dell’IRPEF e dell’IRAP. Non è nemmeno necessario emettere fatture elettroniche e i prezzi applicati, molto spesso, sono davvero irrisori.

Le transazioni sono occasionali e sporadiche e i proventi percepiti sono considerati rientranti nella categoria dei redditi diversi. Quindi, un’attività di vendita occasionale per non avere partita IVA non può nemmeno avere un e-commerce. Un sito di vendita online, infatti, è considerato un’attività organizzata supportata da promozioni e pubblicità.Vendere prodotti online senza partita IVA sfruttando i Marketplace.

I marketplace sono delle piattaforme organizzate sulle quali è possibile vendere e acquistare online oggetti di varia natura. Contengono centinaia di categorie e attraggono ogni giorno migliaia di utenti che conoscono, riconoscono e si fidano del marchio, percepito come una sorta di autenticità e garanzia dei prodotti venduti.

I marketplace sono mediatori di vendita che richiedono una determinata commissione per ciascuna transazione eseguita sulla loro piattaforma. La media della commissione si aggira attorno al 3,5 %. Sui Marketplace è possibile vendere online senza partita IVA. I marketplace (come ad esempio Ebay, oppure Facebook) consentono quindi la vendita online occasionale, non organizzata (dal soggetto privato), sporadica, a prezzi modici e non continuativa. Amazon non rientra in questa categoria. Per vendere su Amazon è necessario avere partita IVA.

Vendere prodotti online con un e-commerce

Vendere prodotti online con un e-commerce è quindi un’attività che produce reddito d’impresa e richiede l’apertura di partita IVA. Non solo. Per vendere con il proprio e-commerce è necessario: aprire partita IVA.

  1. Compilare una SICA
  2. Iscrivere l’attività al Registro delle Imprese
  3. Eseguire l’iscrizione all’INPS nella sezione gestione commercianti

È inoltre indispensabile scegliere il regime fiscale migliore per la propria attività. Una decisione molto importante che va a incidere sulla gestione aziendale. Nel caso non fosse possibile aderire al Regime Forfettario è necessario ricordare l’obbligo della registrazione contabile di ciascuna operazione legata all’attività stessa (attiva o passiva che sia).

Come funziona il reddito di cittadinanza

Ancora oggi sono in molti a chiedersi come funziona il reddito di cittadinanza. Vediamo quindi di capire nel dettaglio cos’è, a chi spetta e come fare per ottenerlo. Si tratta di una novità molto importante in Italia, che ha destato, sin da subito, l’interesse di milioni di cittadini. Uno strumento a sostegno dell’economia che ha l’obiettivo di aiutare le famiglie a reddito più basso, sulla soglia di povertà. È una misura politica che vuole integrare il reddito familiare e aiutare nell’inserimento lavorativo e sociale.

A chi spetta il reddito di cittadinanza

Capire come funziona il reddito di cittadinanza significa anche chi ha diritto a riceverlo. In pratica posso farne richiesta tutti coloro che:

  1. hanno perso il posto di lavoro
  2. non posseggono alcun reddito
  3. posseggono un reddito troppo basso, al di sotto della soglia di povertà

Per poterne fare richiesta occorre che alcuni requisiti siano sempre rispettati. Quindi, i requisiti minimi per inoltrare domanda sono:

  • essere cittadino italiano
  • essere cittadino europeo
  • avere la residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due consecutivi
  • essere cittadino di Paesi terzi con regolare diritto di soggiorno
  • essere un familiare di cittadini italiani o europei con regolare diritto di soggiorno
  • L’ISEE deve avere un valore inferiore a 9360 euro
  • Il proprio patrimonio immobiliare deve avere un valore inferiore a 30.000 euro (esclusa la prima casa di abitazione)
  • Il reddito familiare totale deve essere sempre inferiore a 6000 euro annui

Come richiedere il reddito di cittadinanza

È possibile presentare domanda per richiedere il reddito di cittadinanza:

  • per via telematica dal sito ufficiale
  • presso i CAF
  • consegnandolo a mano presso gli uffici postali a partire dal quinto giorno di ogni mese.

La richiesta per il RDC non ha scadenza e può essere presentata in qualunque momento. Eccezione è fatta da Poste con le quali è possibile inoltrare domanda solo dopo il sesto giorno di ogni mese.

Per fare richiesta basta compilare un apposito modulo che INPS controlla entro cinque giorni lavorativi. A seguito della verifica e in caso di esito positivo, i richiedenti ricevono l’accredito direttamente su un’apposita Carta, denominata Carta del Reddito di Cittadinanza.

Come funziona il reddito di cittadinanza

Come funziona il reddito di cittadinanza e la Carta per ricevere gli accrediti

La Carta del reddito di Cittadinanza è un vero e proprio bancomat di colore giallo, senza alcun nominativo stampigliato sopra e con il logo di Poste italiane e i numeri in rilievo. La carta permette di effettuare un solo prelievo al mese pari a 100 euro per chi vive da solo e di 210 euro per chi ha famiglia. L’importo varia a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare. Inoltre permette anche di effettuare un bonifico mensile SEPA per pagare la rata dell’affitto o del muto. Movimenti e saldo sono monitorabili direttamente dal sito ufficiale del Reddito di Cittadinanza. L’Esecutivo ha messo anche a disposizione dei cittadini un numero verde specifico per ottenere informazione, anche sul saldo residuo.

Importo reddito di cittadinanza

Tra le molte cose da conoscere su come funziona il reddito di cittadinanza c’è anche quella dell’importo totale corrisposto per soggetto richiedente. L’importo totale è composto da due diverse parti:

  • integrazione al reddito
  • contributo per l’affitto – pari a 280 € per l’affitto e a 150 € per pagare il muto. Il totale non supera mai i 780 € e i 9360 € annui per i nuclei familiari composti da un unico individuo. Per le famiglie composte da più soggetti il totale mensile è pari a 1638 € e 19,656 € annui. Il calcolo corretto si basa sulla scala di equivalenza. Gli importi sono erogati a partire dal mese successivo a quello di richiesta.

Richiesta reddito di cittadinanza: Patto per il lavoro e quella del Patto per l’inclusione sociale

Per fare domanda di RDC è necessario sottoscrivere e accettare:

  • Patto per il lavoro – i beneficiari sono automaticamente inseriti in un piano per il collocamento a livello lavorativo. Il patto prevede che per richiedere e continuare ad accettare il RDC debbano accettare almeno uno dei lavori proposti in ambito di collocamento.
  • Patto per l’inclusione sociale – il Comune del richiedente si deve attivare per permettere al beneficiario, e alla sua famiglia, di uscire dalla povertà, ricorrendo a tutti i servizi per l’inclusione sociale e lavorativa.

Infine va ricordato che il RDC può essere percepito anche da chi effettivamente lavora. Se la soglia di guadagno mensile è inferiore a 780 €, il RDC serve a integrarne il compenso per raggiungere tale soglia. I soggetti che hanno presentato domanda e iniziano a lavorare hanno tempo 30 giorni per comunicarlo ad INPS. Coloro che si licenziano non hanno più diritto al reddito di cittadinanza, né loro, né i suoi familiari (eccezione fatta per ragioni di giusta causa).

Parcella commercialista: quanto costa un professionista e come calcolarne l’onorario

Il commercialista è una figura molto importante nell’ambito della gestione di un’impresa, ma anche per un privato cittadino. I suoi servigi sono indispensabili a tenere in ordine la contabilità per effettuare i pagamenti dovuti entro i termini previsti e avere sempre tutto sotto controllo. La parcella commercialista è una voce che ogni imprenditore deve tenere ben presente nell’amministrazione della propria attività, perché è sempre presente, ogni anno, in ogni dichiarazione dei redditi.

Quanto costa un commercialista?

Il commercialista è un professionista indispensabili a chiunque abbia un’attività propria, ma non solo. Calcolare tasse e costi da detrarre non è semplice e non tutti ne sono in grado. Difronte a una dichiarazione dei redditi i dubbi possono essere davvero tanti e la paura di omettere o sbagliare qualcosa, paralizzante. Quindi, prima d’incorrere in sanzioni e ammende, è sempre meglio rivolgersi a un esperto professionista del settore.

Un professionista che richiede il pagamento di un preciso compenso per le proprie prestazioni offerte. La parcella commercialista però, varia in base ai servizi offerti e da soggetto a soggetto. È una buona idea chiedere prima un preventivo per capire bene i costi derivanti dall’attività svolta dal contabile.

Risulta quindi molto difficile riuscire a dare una risposta univoca alla domanda: “Quanto costa un commercialista?”. Un professionista della contabilità per calcolare la propria parcella tiene conto di una serie di variabili:

  • servizi offerti
  • frequenza d’interventi richiesti
  • tipologia di assistenza (in presenza, telefonica, per email, ecc…)
  • regime contabile dell’assistito

Parcella commercialista

Parcella commercialista secondo la legge

Esiste un orientamento di massima che i professionisti possono seguire per il calcolo parcella commercialista. Il DM 140/2012 stabilisce delle direttive di massima per dottori commercialisti ed esperti contabili, avvocati, notai, assistenti sociali, ecc… Anche le consulenze prevedono un onorario.

La scelta di affidarsi o meno a un commercialista è molto soggettiva. Ai titolari di aziende  e società è consigliato comunque rivolgersi a un professionista per essere seguiti attentamente nel difficile mondo della contabilità. I liberi professionisti potrebbero optare per compilare le dichiarazioni 730 autonomamente e poi chiederne la revisiona a un contabile, oppure al CAF.

Calcolo parcella commercialista: le prestazioni offerte

Le prestazioni offerte da un commercialista sono moltissime, tra queste ricordiamo, ad esempio:

  1. Consulenza
  2. Bilancio d’esercizio
  3. Bilancio infrannuale
  4. Dichiarazione IRAP
  5. Dichiarazione IVA
  6. Pratiche fiscali quali:
    1. operazioni d’inizio attività di una ditta (Registro Imprese, A.E., INPS ed eventualmente SUAP)
    2. pratiche di chiusura attività (Comunica, CCIAA, INAIL, INPS, AE, ecc.)
    3. operazioni di variazione ditta, predisposizione e invio comunicazione VIES, richiesta visura camerale
  7. Tenuta dei registri ammortizzabili
  8. Aggiornamento libri inventari

Il commercialista può decidere di farsi pagare annualmente, oppure mensilmente. A far variare l’ammontare della parcella commercialista è anche il numero delle fatture elettroniche emesse e il fatturato del proprio cliente.

Parcella commercialista esempio

Come detto, la parcella di un professionista contabile varia molto e in base a molti fattori differenti. Ad esempio, una dichiarazione IVA può avere un costo da 152 euro a 297 euro per un fatturato annuo fino a 75.000 euro; da 190 a 369 euro per un fatturato annuo compreso tra 75.001 e 150.000 euro.

La dichiarazione dei redditi invece può venire a costare da 236 euro a 475 euro per un fatturato annuo fino a 75.000 euro; da 426 a 640 euro per un fatturato annuo compreso tra 75.001 e 150.000 euro. Si tratta di costi applicati, in genere, alle persone fisiche titolari di partita IVA. Per le società di capitali si applicano altri prezzi, solitamente più alti.

I bilanci possono arrivare a costare da 284 euro a un massimo di 449 – 563 euro. Il prezzo calcolato tiene conto delle perdite e dei componenti positivi di reddito. Per la compilazione e l’invio del modello Intrastat il costo parte a oggi da circa 80€ ed è calcolato a ore.

La convenienza nel potersi rivolgere o meno a un commercialista, è molto soggettiva. Ogni soggetto deve valutare attentamente la propria posizione e se la situazione finanziaria dovesse risultare particolarmente complessa, è consigliato avvalersi di un professionista per evitare, nel futuro, di avere brutte sorprese con il Fisco.

Come richiedere la NASPI

La NASPI è il sussidio di disoccupazione. La Legge di Bilancio 2022 ha modificato alcune regole molto importanti su come richiedere la NASPI, anche se le regole generali sono rimaste sempre le stesse. Oggi, infatti, i soggetti che possono farne richiesto sono molti di più (come, ad esempio, gli operai agricoli a tempo indeterminato dipendenti dalle cooperative agricole e loro consorzi, precedentemente esclusi). Inoltre, i vincoli relativi ai 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti e, in parallelo, sul calcolo dell’importo cambia il décalage del 3 per cento mensile, che si applicherà dal sesto o dall’ottavo mese di fruizione, in base all’età del beneficiario, sono decaduti. Cerchiamo, quindi, di capire meglio come richiedere la NASPI, quali documenti occorrono e dove e quando devono essere consegnati.

Come richiedere la NASPI: il modulo INPS

INPS ha predisposto uno specifico modulo NASPI da scaricare, stampare, compilare e rispedire. Il documento può essere inviato.

  • Tramite sito inps.it (è necessario possedere SPID, CIE O CNS)
  • Utilizzando l’app d’INPS (è necessario possedere SPID, CIE O CNS)
  • Attraverso il patronato
  • Grazie al supporto del call center Multicanale INPS INAIL

L’Istituto Nazionale Previdenza Sociale ha messo a disposizione sul proprio sito, una guida completa e dettagliata per compilare correttamente il pdf scaricabile.

NASPI: a chi spetta

Su questo punto la Legge di Bilancio 2022 ha introdotto delle novità. Oltre a tutti i soggetti precedentemente autorizzati a fare domanda NASPI, oggi possono inoltrare richiesta anche:

  1. apprendisti
  2. soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative
  3. personale artistico con rapporto di lavoro subordinato
  4. dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni

Requisiti NASPI

Anche i requisiti per l’inoltro della domanda NASPI sono cambiati grazie alla Legge di Bilancio 2022. I nuovi requisiti introdotti quest’anno sono:

  • stato di disoccupazione involontario
  • il requisito contributivo ovvero il lavoratore deve poter far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione.

Inoltre, i lavoratori disoccupati dal 1° gennaio 2022 non devono più rispettare il requisito che prevedeva 30 giornate di lavoro effettivo, effettuate meglio ultimi 12 mesi, per poter inoltrare domanda di sussidio.

Come richiedere la NASPI

Nuova NASPI: i soggetti esclusi

Tra le novità su come richiedere la NASPI troviamo anche l’elenco dei soggetti esclusi. Non ne possono beneficiare:

  • dipendenti a tempo indeterminato delle PA
  • operai agricoli a tempo determinato
  • operai agricoli a tempo indeterminato che non siano dipendenti di cooperative e loro consorzi che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici
  • lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per i quali resta confermata la specifica normativa

Come richiedere la NASPI: lo stato di disoccupazione

I soggetti che desiderano sapere come richiedere la NASPI deve, prima di tutto, conoscere il modo in cui inoltrare domanda di disoccupazione. Per chiedere lo stato di disoccupazione è necessario rilasciare la DD, Dichiarazione d’Immediata Disponibilità e soddisfare i seguenti requisiti:

Lavorare, quindi, non significa dover per forza rinunciare allo stato di disoccupazione e, di conseguenza, non aver diritto alla NASPI. A fare la differenza è il reddito percepito. Il reddito varia in base alla soglia ed è previsto:

  • lavoro dipendente – soglia imposta a 8145 euro all’anno
  • lavoro autonomo – soglia imposta a 4800 euro annui

Lo stato di disoccupazione può essere richiesto direttamente presso i Centri per l’impiego presentando:

  • carta d’identità (o altro documento di riconoscimento valido)
  • copia contratto di lavoro
  • Permesso di soggiorno e indirizzo di residenza (per i disoccupati stranieri)

Lo stato di disoccupazione si mantiene presentandosi ogni anno per i Centri per l’impiego e aggiornare lo status attualmente in vigore.

Calcolo NASPI

La NASPI si calcola dividendo il totale delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni, per il numero di settimane contributive. Il risultato deve poi essere moltiplicato per il valore 4,33. Quando e se la retribuzione mensile fosse pari o inferiore a 1250,87 euro, la NASPI è calcolata nella percentuale del 75% della retribuzione stessa.

Quando e se superiore a tale soglia, invece, al 75% è aggiunto un importo pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il precedente importo. INPS aiuta i disoccupati a calcolare correttamente l’importo spettante, grazie a un nuovo sistema di calcolo avanzato messo a disposizione sul proprio sito.