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Acconto iva: versamento, codice tributi e sanzioni per mancato pagamento

L’articolo precedente: “Calcolo acconto IVA: definizione, soggetti passivi iva e metodologie” ha introdotto un argomento caro a moltissimi contribuenti: il calcolo e le tempistiche dell’acconto IVA di fine anno. Entro il 27 dicembre di ogni anno, infatti, i soggetti passivi IVA, sono tenuti a versare l’acconto sull’imposta all’amministrazione finanziaria. Abbiamo, quindi, visto quali sono i soggetti obbligati a tale impegno e come può essere calcolato l’acconto di fine anno (metodo storico, previsionale e analitico). Continuiamo adesso a esplorare l’argomento andando a vedere, nel dettaglio, com’è possibile materialmente effettuare il versamento dell’acconto, quali sono i codici tributo identificativi e le eventuali sanzioni per versamento insufficiente.

Acconto IVA: ecco come effettuare i pagamenti

Una volta calcolato l’importo da versare, l’acconto può essere saldato utilizzando un modello F24, in modalità, esclusivamente, telematica. È possibile, inoltre, effettuare compensazione dell’importo dovuto a titolo d’acconto. Una scelta che può essere presa liberamente. La compensazione può essere effettuata con eventuali crediti di imposte o contributi di cui si dispone. Logico che debba trattarsi di crediti derivanti da dichiarazioni valide e presentate regolarmente.

I contribuenti trimestrali non devono, in questo caso, applicare gli interessi dell’1%. L’acconto versato deve essere poi sottratto all’IVA da versare il mese di dicembre (contribuenti mensili), in sede di dichiarazione annuale IVA (contribuenti trimestrali), o dalla liquidazione del quarto trimestre per i contribuenti speciali.

Codice tributo acconto IVA: come compilare correttamente l’F24

Il modello F24 da utilizzare per il pagamento dell’acconto IVA deve riportare, come sempre, determinati codici tributo. In questo specifico caso quelli da indicare sono:

  • 6013 – contribuenti mensili
  • 6035 – per i contribuenti trimestrali

Acconto iva

Mentre per quanto riguarda l’anno di imposta da trascrivere è sempre quello durante il quale si sta effettuando il pagamento stesso.

Scadenza acconto IVA

Ricordiamo che la scadenza prevista per il pagamento dell’acconto IVA dell’anno corrente, è sempre il 27 dicembre. Nel caso in cui il versamento non è effettuato, oppure è eseguito in ritardo, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 30%.

Sanzioni amministrative: cosa succede se l’acconto non è versato o versato in ritardo?

Come abbiamo poco prima visto, nel caso in cui l’acconto IVA non venga pagato entro i termini previsti (27 dicembre), o pagato in un importo non sufficiente, l’amministrazione finanziaria ha previsto l’applicazione di eventuali sanzioni. Nello specifico si tratta del 30% che può comunque essere regolarizzata mediante il ravvedimento operoso.

Il ravvedimento operoso è uno strumento attraverso il quale il contribuente ha la possibilità  di regolarizzare la propria posizione fiscale. Relativamente all’acconto IVA, il contribuente può pagare con il ravvedimento operoso, tramite modello F24:

  • l’imposta dovuta
  • interessi pari all’1% calcolati a giorni
  • la relativa sanzione prevista ex articolo 13, comma 1, del D.Lgs. n. 472/97

La sanzione è applicata in misura diversa a seconda di quando è effettuato il pagamento:

  • dallo 0,2% al 2,8%, se il pagamento è effettuato entro 14 giorni dalla scadenza. Per ogni giorno di ritardo è applicato lo 0,2%. Questa formula prende il nome di ravvedimento sprint
  • 3% se il pagamento è eseguito tra 15 e 30 giorni dalla scadenza
  • 3,75% se il pagamento è eseguito oltre 30 giorni ed entro il termine di presentazione del modello Iva relativo all’anno in corso

Il ravvedimento operoso consente quindi al contribuente di regolarizzare la propria posizione fiscale in caso di mancato, omesso o insufficiente pagamento di imposte e tributi (in questo caso specifico relativamente parlando dell’acconto IVA).

Il ravvedimento si esegue effettuando il pagamento del tributo, della sanzione e degli eventuali interessi calcolati. La violazione inizia dal giorno di scadenza del termine previsto. Da lì in poi, quindi, sono calcolati gli interessi da pagare.

Acconto IVA: conclusioni

La fine dell’anno corrisponde sempre a un obbligo molto importante per tutte le partite iva. Il calcolo acconto iva e il relativo pagamento entro il 27 di dicembre, segna la chiusura dell’ultimo periodo dell’anno. Vista la particolarità dell’anno in corso, è sempre bene valutare attentamente il metodo da utilizzare per il calcolo e informarsi sempre se l’Esecutivo avesse in programma delle eventuali nuove proroghe.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa si rischia e come rimediare

La disciplina vuole che l’emissione della fattura elettronica avvenga entro 24 ore massime dal momento in cui si effettua un’operazione. Invece per le fatture differite il termine di emissione è stabilito al 15 del mese successivo a quello in cui l’operazione si è conclusa. Il legislatore ha quindi previsto una serie di sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. Inizialmente, al fine di agevolare la fase di avvio della fatturazione elettronica, erano stati previsti degli esoneri sull’applicazione di eventuali sanzioni. Ad oggi, invece, non esistono esoneri e sono quindi applicate sistematicamente le sanzioni previste dall’ dall’art. 6 del D.Lgs. n 471/97. Vediamo qualche dettaglio in più.

Emissione fattura elettronica: termini e scadenze

Le fatture elettroniche non sono tutte uguali. Ne esistono di vari tipi e, a seconda della tipologia di appartenenza, prevedono un termine di emissione diverso. Le fatture elettroniche possono essere:

  • immediate
  • differite

 

Una e-fattura è considerata emessa solo se inviata al Sistema di Interscambio e se non risulta scartata. Le fatture immediate devono essere emesse entro 12 giorni dal momento dell’effettuazione dell’operazione, come stabilisce l’art. 6 del DPR n. 633/72. Le fatture elettroniche differite, invece, deve essere emessa e registrata entro il 15 del mese successivo a quello in cui si è conclusa l’operazione di riferimento. Per quest’ultime è d’obbligo indicare il mese di riferimento, perché l’operazione rientra nella liquidazione periodica dello stesso mese e l’IVA è da versare entro il 16 del mese successivo.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa prevede la legge

Visti i termini entro i quali una e-fattura deve essere emessa, il legislatore ha previsto anche delle sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. A stabilire la misura della sanzione amministrativa applicata, ci pensa l’ art. 6 del D.Lgs. n. 471/97, che cita:

“La sanzione varia dal 90% al 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato, con un minimo di 500 euro. La sanzione è dovuta nella misura da 250 a 2.000 euro, se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Entrando nel dettaglio, la norma prevede una diversa sanzione a seconda della violazione commessa:

  • Fra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato (con un minimo di 500 euro)
  • Da 250 a 2.000 euro, qualora la violazione non abbia inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

Le sanzioni possono comunque essere ridotte grazie all’esercizio del ravvedimento operoso. L’esercizio del ravvedimento operoso è previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo n°472/1997. Sono previste diverse casistiche a seconda della data entro la quale avverrà il pagamento richiesto.

Anche le fatture scartate dal Sistema di Interscambio, potrebbero essere soggette a sanzioni amministrative. Per ovviare al problema è possibile rinviare la fattura elettronica in questione entro 5 giorni dalla data di notifica dello scarto (provvedimento 30 aprile 2018 dell’Agenzia delle Entrate).

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: le conseguenze per il cessionario o committente

Inviare una fattura elettronica in ritardo, comporta delle conseguenze e relative sanzioni, anche da parte del committente o cessionario. Nell’ art. 6 co. 8 del D.Lgs. n. 471/97 è stabilito che tali sanzioni debbano ammontare al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro per ogni violazione. Per evitare di dover pagare questi importi, il committente/cessionario deve adempiere a una serie precisa di obblighi documentali.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica

 

Nel caso in cui il committente/cessionario non riceva la fattura elettronica entro 4 mesi dalla data dell’operazione deve trasmettere, al SddI, un’autofattura di regolarizzazione. Inoltre deve pagare l’imposta entro il tredicesimo giorno successivo. Nella documentazione inviata deve indicare, alla sezione anagrafica del cedente/prestatore i dati del fornitore e in quella del cessionario/committente i propri. Infine, il campo “TipoDocumento” deve essere compilato con il codice “TD20”.

Nel caso in cui, invece, il cessionario/committente riceva una fattura elettronica irregolare deve trasmettere lo stesso documento previsto nell’altra casistica, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo alla registrazione. Inviare digitalmente l’autofattura di regolarizzazione al Sistema di Interscambio solleva il committente dall’obbligo di presentare la fattura in formato analogico, direttamente presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente.

Codice tributo F24

Le sanzioni tardiva emissione fattura elettronica possono essere pagate tramite un modello F24. È necessario compilare la sezione erario e utilizzare il codice tributo 8911. Il modello chiede inoltre l’indicazione dell’anno di riferimento. Quello da indicare è l’anno in cui è avvenuta la violazione stessa.

Accertamento sintetico: cos’è e come funziona

L’accertamento sintetico, conosciuto più comunemente come redditometro, è uno strumento utilizzato dal Fisco. Serve a determinare il reddito presunto dei contribuenti. Basa i calcoli sulle spese sostenute ed effettuati dai vari soggetti. È presente in Italia dal lontano 1973, ma rivisitato e potenziato nel 2010 in seguito al decreto legge n° 78.

Questo strumento è utilizzato dall’Agenzia delle Entrate. Serve quindi a determinare il reddito complessivo netto dei contribuenti e prende in esame le spese generiche sostenute dai vari soggetti. In base alle spese, Ade, determina il reddito netto e spetta al contribuente la prova contraria. In altre parole è a carico dell’utente dimostrare all’Agenzia delle Entrate che le spese sostenute sono state pagate con redditi diversi da quelli posseduti durante il periodo d’imposta (vale a dire preso in esame), oppure con redditi che non partecipano alla formazione del reddito imponibile, o ancora con redditi soggetti, o esenti, dalla ritenuta alla fonte.

Accertamento sintetico: dalle origini ad oggi

Per conoscere meglio questo particolare strumento del Fisco, partiamo proprio dalle sue origini. È introdotto nel 1973, dall’articolo n°38, c. 4 a 8, DPR n°600/1973. Fino al 2008 l’accertamento sintetico previsto dalla legge, prevedeva:

“… Con riferimento esclusivo alle persone fisiche, che prevede che l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39 del DPR n. 600/1973, può in base ad elementi e circostanze di fatto certo, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.

Nel 2010 le disposizioni sono state rivisitate. Oggi, infatti, l’accertamento sintetico e quindi il relativo redditometro consiste nella:

“… Determinazione sintetica del reddito complessivo ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. L’ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fi ni dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione”.

Una forma leggermente diversa, con termini modificati che, in sostanza, comunque prevede sempre il redditometro quale strumento per l’accertamento del reddito netto di un contribuente. A lui poi l’onere della prova contraria.

Accertamento sintetico

Accertamento sintetico: a chi si applica

L0’accertamento sintetico è applicabile a tutte le persone fisiche ai fini di determinare l’imposta sul reddito. È inoltre applicabile a tutte le persone fisiche  che esercitano imprese, arti e professioni. In quest’ultimo caso il reddito complessivo dei soggetti deve risultare essere inferiore a quello a loro attribuibile, in base a tutte le spese sostenute nel periodo d’imposta esaminato e ai relativi indici di capacità contributiva. In altre parole si ricorre al redditometro, solo quando il reddito presunto supera di almeno il 20% di quello realmente dichiarato.

Il calcolo del reddito è eseguito in base a specifici indicatori di capacità contributiva. Il Fisco prende in esame specifiche spese sostenute dal soggetto durante il periodo d’imposta e ne moltiplica gli importi per determinati coefficienti di riferimento. I coefficienti sono legati alla classe di appartenenza del contribuente.

Accertamento sintetico: ecco come funziona

Cerchiamo adesso di capire nel dettaglio come funziona l’accertamento sintetico. Le caratteristiche prese in considerazione sono tre:

  • Composizione familiare – i calcoli sono effettuati valutando la situazione familiare del contribuente. Quindi si tiene conto se è single, oppure in coppia e se ha o no dei figli.
  • Età – tre i diversi scaglioni di appartenenza: fino a 35 anni, da 35 a 64 anni e oltre i 65 anni.
  • Area geografica di riferimento – in base alla residenza del contribuente sul territorio nazionale.

Ogni contribuente è identificato all’interno di specifiche classi. A ciascuna classe corrispondono dei coefficienti. Le spese effettuate dai contribuenti nell’arco del periodo d’imposta, sono moltiplicate per i relativi coefficienti. Il risultato corrisponde al presunto reddito netto. Agenzia delle Entrate, dopo aver calcolato l’importo, invia comunicazione al contribuente. In seguito alla ricezione dell’avviso, spetta al contribuente presentarsi presso gli uffici AdE competenti per territorio, e fornire le prove che giustificano le eventuali differenze tra spese e reddito dichiarato.

Successivamente all’accertamento sintetico, il contribuente può richiedere un accertamento di adesione. Agenzia delle Entrate mette inoltre a disposizione un sistema, chiamato Redditest che consente di calcolare preventivamente un’eventuale congruenza tra reddito dichiarato e spese sostenute.

Fatturazioni false: tutto quello che c’è da sapere

Le fatturazioni false, per quanto incredibile possa sembrare, sono ancora una piaga in Italia. La falsificazione delle fatture è considerato, nel nostro paese, un reato tributario, o frode fiscale. A tal proposito è il decreto legislativo n°74 del 2000 che ha individuato, con precisione, le conseguenza ad un tale operato. Le fatturazioni false sono fatte per frode il Fisco, pagare meno tasse, oppure non pagarle proprio. In pratica un soggetto fa un dichiarazione fraudolenta, utilizzando fatture elettroniche per operazioni inesistenti, o per valori maggiori/minori rispetto a quanto effettivamente sostenuto. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta questo fenomeno.

Fatturazioni false: cosa sono

Per comprendere meglio questo fenomeno, è bene capire cosa si intende, con esattezza, per fatturazioni false. In pratica una fattura elettronica è considerata falsa quando:

  • è emessa per operazioni mai avvenute, in modo parziale o totale
  • riportano l’indicazione di corrispettivi o IVA più alti rispetto a quelli effettivamente sostenuti
  • riportano l’indicazione di corrispettivi o IVA che si riferiscono a soggetti diversi da quelli effettivi

Esistono comunque diversi reati di frode fiscale  legati proprio alle fatture. Tra questi, ad esempio, il legislatore distingue:

  • dichiarazione fraudolenta tramite fatture false
  • emissione di fatture false

Fatturazioni false: dichiarazione fraudolenta per operaizoni inesistenti

Questa particolare forma di dichiarazione fraudolenta è prevista dal decreto legislativo 74 del 2000 all’articolo 2. In pratica un soggetto, nella propria dichiarazione dei redditi, indica elementi passivi fittizi. Il fine è quello di evadere le imposte sui redditi e/o sull’IVA. 

Gli elementi passivi fittizi possono vere varia natura. Ad esempio, si possono riferire a costi mai sostenuti, oppure a costi sostenuti ma non deducibili. Nel secondo caso si tratta di spese realmente sostenute, ma non inerenti allo svolgimento della propria attività lavorativa. È il caso, ad esempio, di un viaggio personale, fatto passare come viaggio di lavoro. In questo modo il professionista può scaricare l’IVA sostenuta durante il viaggio, ma compie reato di dichiarazione fraudolenta con una o più fatture elettroniche emesse per operazioni inesistenti.

Fatturazioni false

Il reato di dichiarazione fraudolenta si perfeziona al momento in cui le fatture elettroniche sono registrate in contabilità obbligatoria. In altre parole quando sono utilizzate come prove nei confronti del Fisco e di eventuali accertamenti. Si tratta di un reato davvero molto grave, per il quale è prevista la reclusione da sei mesi, a un anno, fino al massimo della pena prevista di sei anni.

Fattura elettroniche emesse per operazioni inesistenti

Facendo sempre riferimento al decreto legislativo 74 del 2000, l’articolo 8 tratta dei casi in cui le fatture sono emesse per giustificare operazioni mai realmente compiute. Un reato, questo, commesso per permettere a un soggetto terzo di evadere le imposte sui redditi e/o sull’IVA. In pratica sono emesse o rilasciate fatture per operazioni inesistenti al 100%. La pena prevista per questo genere di reato è la reclusione da sei mesi a un anno, fino a massimo sei anni di galera.

Fatturazioni false e il Decreto Legislativo Fiscale del 2020

Delle importanti novità in materia di evasione fiscale, reati tributari e frodi fiscali, sono state introdotte dal Decreto Legislativo fiscale del 2020 (Decreto-legge n. 124/2019). In particolare, la norma, ha inasprito il reato di falsificazione per i grandi evasori. Inoltre il decreto distingue tra persone fisiche e persone giuridiche.

Per le persone fisiche la reclusione va da un minimo di quattro a un massimo di otto anni. Se la somma evasa (relativa agli importi fittizi) è inferiore a 100.000 euro, la pena resta quella prevista dal D.Lgs. 74/2000 (da un minimo di 18 mesi  a un massimo di sei anni).

Le persone giuridiche invece sono obbligate a pagare delle sanzioni amministrative. Le sanzioni sono previste in relazione alla responsabilità amministrativa di reato prevista, nel dettaglio, dal Decreto Legislativo 231 del 2001. In particolare per il reato di dichiarazione fraudolente delle tasse tramite fatture false (art. 2 d.lgs. 74/2000), il decreto fiscale ha previsto una sanzione pecuniaria fino 500 quote. Ogni quota va da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro. In base a questi dati, si stima che un’azienda può subire una sanzione massima di 774.500 euro (ossia 1.549 per 500).

Si tratta di un argomento molto delicato e complicato. È possibile approfondirlo leggendo i decreti legislativi pubblicati in Gazzetta ufficiale:

Dichiarazioni 730 – cosa sono, quando si fanno, scadenze e compilazione

Le dichiarazioni 730 sono quelle riservate ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Dal 10 maggio di quest’anno sul sito dell’Agenzia delle Entrate (AdE) è disponibile il modello del 730 precompilato. A distanza di 15 giorni AdE consente ai contribuenti di scaricarlo, compilarlo e inviarlo in forma telematica. Per poter accedere all’area personale sul sito di AdE è necessario possedere le credenziali PIN dell’Agenzia delle Entrate, il PIN dell’INPS, oppure SPID o CIE. La compilazione di queste dichiarazioni offrono diversi vantaggi ai lavoratori. Prima fra tutti quella secondo la quale non è necessario eseguire i calcoli per poi ottenere il rimborso in busta paga, piuttosto che sulla rata della pensione. Al contrario, se dai calcoli, risultasse necessario effettuare dei pagamenti, questi sono trattenuti direttamente dalla retribuzione, piuttosto che dalla pensione stessa.

Quindi si tratta di modelli di dichiarazione dei redditi che devono presentare le persone fisiche. I modelli cambiano a seconda della tipologia di reddito posseduta (pensione, retribuzione da lavoro dipendente, ecc…).

Dichiarazioni 730: alternativa al Modello Unico

Il modello 730 è usato in alternativa al Modello Unico da tutti i contribuenti che devono dichiarare i seguenti redditi:

  • di pensione o di lavoro dipendente (compresi i redditi da collaborazione coordinata e continuativa e le indennità sostitutive di reddito di lavoro dipendente); i redditi di pensione o di lavoro dipendente (assieme alle trattenute fiscali e i contributi previdenziali) sono certificati nel CUD emesso dal datore di lavoro o dall’INPS
  • di terreni e fabbricati
  • a tassazione separata
  • di capitale
  • di lavoro autonomo per i quali non è richiesta la partita IVA (ad esempio prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente)
  • redditi diversi (ad esempio redditi di terreni e fabbricati situati all’estero)

I titolari di partita IVA invece non devono usare il modello 730. Oltre a loro ci sono un’altra serie di soggetti esonerati dalla presentazione delle dichiarazioni 730:

  • contribuenti non residenti in Italia
  • eredi di contribuenti deceduti
  • tutti coloro i cui datori di lavoro non sono tenuti a versare le ritenute d’acconto (ad esempio, i lavoratori domestici come colf, giardinieri, ecc.)
  • i contribuenti con soli redditi da abitazione principale più eventuali altri fabbricati non locati
  • i contribuenti con soli redditi da lavoro dipendente o pensione a patto che il datore di lavoro/ente pensionistico abbia effettuato correttamente tutte le ritenute fiscali in busta paga
  • coloro che oltre ad aver percepito redditi da lavoro dipendente o pensione, posseggono anche la loro abitazione principale più altri eventuali fabbricati non locati

A differenza del modello Unico, le dichiarazioni 730 possono essere congiunte e contenere i redditi di entrambi i coniugi.

Dichiarazioni 730

Dichiarazioni 730: scadenze e modalità di presentazione

La scadenza fiscale entro la quale le dichiarazioni 730 devono essere presentate è il 30 settembre 2021. Il termine di trasmissione è sempre lo stesso. Mentre la data per l’erogazione del rimborso IRPEF spettante è differenziata in relazione al periodo di trasmissione della dichiarazione dei redditi.

Gli eventuali rimborso emersi dal calcolo del 730, sono erogati sulle retribuzioni di competenza del mese successivo a quello in cui il sostituto ha ricevuto la comunicazione di liquidazione, in altre parole il risultato del calcolo della dichiarazione dei redditi.

Da ricordare infine la data del 25 ottobre 2021, entro la quale è necessario per i lavoratori inviare l’eventuale dichiarazione dei redditi integrativa in caso di errori.

Rimborsi e conservazione

Abbiamo visto quindi che la data di rimborso, se previsto, arriva direttamente in busta paga a cadenza personalizzata. Nel caso in cui il 730 contenga i dati del sostituto d’imposta, allora il rimborso è accreditato a partire dalla busta paga del mese di luglio. Per i pensionati invece il rimborso va sulla rata della pensione a partire da quella del mese di agosto.

Se il modello 730 invece non contiene i dati del sostituto d’imposta, allora il rimborso è accreditato da parte dell’Agenzia delle Entrate entro fine anno, o all’inizio dell’anno successivo, direttamente sul conto corrente bancario del soggetto dichiarante.

Le dichiarazioni 730 devono essere obbligatoriamente conservate per almeno i 5 anni successivi dall’anno di presentazione (termine stabilito per l’accertamento). Per fare un esempio: la dichiarazione del 730 dell’anno 2018, va conservata fino al 31 dicembre del 2023.

Infine si ricorda che i contribuenti con partita IVA non possono fare dichiarazioni 730 nemmeno se avessero percepito anche un reddito da lavoro dipendente o da pensione. Devono per forza fare il modello REDDITI (ex Modello Unico).

ISA: Indici sintetici di Affidabilità e compliance del settore economico

ISA, acronimo di indici sintetici di affidabilità, sono strumenti atti a verificare che, i titolari di partita IVA, professionisti ed aziende, rispettino la compliance del proprio settore economico. In altre parole sono elementi che hanno sostituito i vecchi studi di settore. Anche se si tratta di uno strumento di auto verifica, sbagliando la loro redazione l’attività incorre in precise sanzioni. Gli indici sintetici di affidabilità servono quindi a capire la situazione reddituale del contribuente, attraverso un’ auto dichiarazione. Gli ISA sono state introdotte nel 2018 e sono definite come compliance fiscale. Lo scopo finale di questo strumento è quello di capire se la situazione reddituale e fiscale del soggetto che presenta l’auto dichiarazione, è in linea con gli standard ipotizzati. Sono quindi utili a capire se le direttive del fisco sono state violate oppure no. Gli sono strumenti utilizzabili da chiunque abbia una partita IVA, anche per chi presenta dichiarazione dei redditi online.

ISA: caratteristiche e premi previsti

Il sistema degli ISA nasce per due motivi:

La norma che ne stabilisce le caratteristiche è il Decreto Legislativo n°50/17. Nel DL è indicato il funzionamento degli ISA e i regimi premiali previsti. Gli Indici sintetici di affidabilità funzionano sulla base di calcoli statistici basati su periodi d’imposta. Ogni anno il contribuente è soggetto a valutazione della propria attività e il risultato è espresso con una votazione compresa tra 1 e 10. A seconda del punteggio ottenuto, il contribuente può ottenere varie agevolazioni.

I soggetti che ottengono un punteggio pari ad 8, ottengono:

  1. esonero dal visto di conformità per la compensazione dei crediti d’imposta
  2. riduzione per un anno dei termini di accertamento dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo e dell’IVA.

I contribuenti che invece totalizzano un punteggio pari a 8,5, ottengono, oltre ai precedenti vantaggi, anche l’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.

Infine chi ottiene un punteggio compreso tra 9 e 10, ottiene:

  1. esclusione dall’applicazione della disciplina delle società non operative
  2. esclusione dalla determinazione sintetica del reddito complessivo

Gli ISA prevedono specifiche direttive che devono essere scrupolosamente seguite alla lettera. Qualora queste non venissero rispettate, sono previste sanzioni alquanto salate. È facile non ottenere la sufficienza perché basta veramente poco per sbagliare qualcosa della compliance. Ad esempio, le sanzioni sono applicate nel caso in cui:

  • qualche modulo è compilato in modo scorretto
  • sono effettuati pagamenti sbagliati
  • sono omessi del tutto i pagamenti
  • i moduli non sono presentati nella tempistica corretta

Per avere la certezza matematica che ogni documenti sia compilato correttamente e che non vi siano ritardi e/o imprecisioni, meglio rivolgersi ad esperti dottori commercialisti professionisti in materia.

ISA

ISA: soggetti inclusi ed esclusi

Gli ISA sono usati da imprese e liberi professionisti classificati e suddivisi in macro categorie: agricoltura, manifattura, commercio, ecc. Ogni macro categoria è poi suddivisa in tante piccole sottocategorie alle quali è assegnato un numero chiamato “indicatore”.

I soggetti esclusi sono davvero tanti, tra questi si ricordano, ad esempio:

  • contribuenti che hanno avviato la propria attività durante il periodo di imposta
  • soggetti che hanno chiuso la propria attività durante il medesimo periodo
  • chi eccede ai limiti di guadagno della propria categoria previsti dagli indicatori stessi
  • chi non svolge attività in maniera stabile e continuativa
  • i soggetti che rientrano sotto il regime forfettario
  • lavoratori in mobilità
  • i giovani imprenditori che rientrano sotto un regime agevolato
  • gruppo di volontariato
  • enti di promozione sociale (sempre a regime forfettario)
  • cooperative e consorzi che svolgono attività solo verso aziende socie

Nonostante quindi l’elenco dei soggetti esclusi dagli ISA sia molto lungo, che vi rientra e non rispetta le regole previste dagli indicatori, incorre in sanzioni.

ISA: soglia minima

Il voto minimo accettabile è il 6. Sopra questo valore il risultato è considerato positivo. Un risultato pari o inferiore a 6 invece può portare ad un accertamento da parte delle Agenzia delle Entrate. In questo caso il contribuente può accettare il punteggio inferiore al 6 ed esporsi ad eventuali accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, oppure adeguarsi al maggior reddito indicato nell’ISA, ottenendo così un punteggio superiore. In questo secondo caso il soggetto deve tassare e versare maggiore IVA su un importo di reddito presunto determinato dall’ISA. Così facendo è possibile evitare eventuali accertamenti.

Sanzioni amministrative

L’articolo 8 comma 1 del DL 471/97 stabilisce le sanzioni applicate in caso di omissione della comunicazione dei dati relativi ai fini della costruzione o dell’applicazione degli indici. Queste risultano pari ad importi compresi tra 250 e 2000 euro.

Lo stesso decreto prevede anche la possibilità per il soggetto di sanare le violazioni di natura fiscale tramite il ravvedimento operoso. Modalità e termini sono indicati nella norma stessa.

CIG Smart: come ottenerlo e come esserne esonerati

Nel precedente articolo: “Codice CIG e codice CUP cosa sono, a cosa servono e come si inseriscono nella fattura elettronica” abbiamo introdotto il concetto di codice CIG e codice CUP. Codici alfanumerici relativi alle gare d’appalto e agli investimenti pubblici. Identificativi importanti per la Pubblica Amministrazione (PA) e codici obbligatori da inserire nelle fatture elettroniche.

Vediamo adesso di approfondire il concetto di CIG smart, come strumento a disposizione dell’ANAC per tracciare i flussi finanziari relativi ai contratti pubblici. Lo scopo del CIG è quello di garantire che tutto avvenga secondo le regole e che sia tracciato e consultabile in qualunque momento. Uno strumento utilizzato in ambito di anticorruzione, per un’amministrazione trasparente e sicura.

CIG smart in breve

Il codice CIG smart è una sequenza di dieci numeri e lettere, rilasciate dal sistema informatico Simog dell’ANAC. L’ANAC è acronimo di Autorità nazionale anticorruzione, un’autorità amministrativa indipendente italiana. L’ANAC ha la funzione di prevenire la corruzione all’interno delle Pubbliche Amministrazioni italiane. Per svolgere le proprie funzioni, l’ANAC usa il principio della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali e attua un’attenta attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici e dei vari incarichi delle PA.

Il CIG smart identifica i contratti sottoscritti con le PA in seguito ad appalto o affidamento. Il codice CIG smart deve essere riportato in tutti i documenti relativi a una gara d’appalto e nelle fatture elettroniche dello stesso ambito.

A cosa serve il CIG smart

Le varie funzioni del CIG smart sono indicate direttamente sul sito dell’ANAC:

  • comunica correttamente le informazioni utili agli organi che gestiscono la vigilanza nelle gare pubbliche
  • traccia i movimenti finanziari relativi all’affidamento dei lavori o delle forniture o di servizi
  • serve a rispettare gli obblighi contributivi dei privati e degli enti pubblici.

A conti fatti serve per garantire la massima trasparenza possibile nelle procedure di gare d’appalto.

CIG smart: tipologie

Esistono quattro diversi tipi di codice CIG:

  1. Cig smart (o semplificato)
  2. Master
  3. Cig padre e figlio

Ciascuno di essi svolge un ruolo diverso a seconda della differente tipologia di gara di appalto. Ognuno di essi è comunque sempre legato al compito di tracciabilità e alla corretta individuazione dei contratti pubblici.

Cig Master

Si ottiene tramite procedura semplificata. É un codice relativo alle gare d’appalto pubblico a importo contenuto:

  • Contratti di importo inferiore a 40,000 euro
  • Appalti aggiudicati a un’impresa collegata
  • Concorsi e contratti di progetti basati su regole internazionali
  • Contratti secretati – di qualunque valore economico

In altre parole è un codice ottenibile dalla stazione appaltante fornendo meno informazioni di quelle che servirebbero normalmente.

CIG Smart

Cig Master

É il codice Cig da indicare nei pagamenti “in nome” di tutti gli altri Cig assegnati a diversi lotti di una stessa gara. Una gara di appalto può comprendere vari lotti ed essere aggiudicata da un unico operatore. In questo caso, per semplificare la compilazione dei documenti di pagamento, come ad esempio le fatture elettroniche, è possibile indicare un unico Cig Master comprendente tutti gli altri. Nel contratto d’appalto di assegnazione invece devono essere riportati i singolo Cig per ciascun lotto di gara.

Cig padre e figlio

Il codice cig padre è richiesto in ambito di accordi e convenzioni quadro e individua tutti i passaggi per selezionare i contraenti.

Il codice cig figlio è utilizzato per individuare tutti i contratti sottoscritti in seguito ad accordi quadro con la Pubblica Amministrazione. É strettamente correlato al cig padre.

Cig smart ed esoneri

Il codice cig smart non è sempre obbligatorio. Non è l’importo della gara d’appalto ad determinare la possibilità di essere esonerati dall’inoltro della richiesta del Cig. Quando e se è possibile evitare di richiederlo, lo stabilisce esclusivamente l’ANAC. L’elenco completo è disponibile sul loro sito.

É possibile non richiederlo, ad esempio, per i contratti di lavoro a tempo, oppure per gli appalti che riguardano energia, acqua o carburante per fini energetici, o ancora in caso di amministrazione diretta o di affidamento diretto a società in house, ecc…

Cig Smart: come ottenerlo

É possibile richiederlo online. La richiesta deve essere presentata dal Responsabile del procedimento nei confronti dell’ANAC. La richiesta è da inoltrare prima che parta la gara d’appalto. Il Responsabile deve essere accreditato sul portale ANAC.

Una volta inoltrata la richiesta è necessario registrarsi sul portale Simog – Sistema informativo di monitoraggio delle gare. I codici saranno assegnati entro 90 giorni dall’acquisizione.

 

Credito di imposta: cos’è e come utilizzarlo

Il credito di imposta è un argomento molto attuale, vista la realtà che la diffusione del Coronavirus ha creato in Italia e nel mondo. Il Decreto Rilancio , approvato dall’Esecutivo lo scorso 13 maggio, ha rinforzato ulteriormente il concetto di credito di imposta. Per spiegarlo in modo semplice, basta dire che il credito di imposta altro non è che un credito di natura tributaria che un qualunque soggetto, vanta nei confronti dello Stato.

Nello specifico il contribuente è titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva nei confronti dell’ente impositore. In altre parole il contribuente ha un credito, di una certa somma, da riscuotere, da parte dell’Erario.

Credito di imposta: quando i contribuenti vantano una somma nei confronti dello stato

Esistono tre diversi casi nei quali è previsto che il contribuente possa esigere un credito di imposta dall’Erario.

Il primo caso si verifica quando sono stati prelevati e/o versati importi superiori al reale debito fiscale. Questo avviene ad esempio quando sono versati acconti IRPEF superiori al debito fiscale risultante dal 730. In questo caso la dichiarazione dei redditi chiuderà con un credito di imposta “rimborsabile” da parte dell’utente.

Il secondo caso invece si presenta in automatico all’operare di determinati meccanismi tributari indispensabili affinché specifiche imposte, possano funzionare. É il caso questo del meccanismo della rivalsa e detrazione dell’IVA (Imposta Valore Aggiunto).

Il terzo e ultimo caso si verifica quando sono previste determinate agevolazioni, erogabili appunto sotto forma di credito di imposta.

Credito di imposta

Come si concretizza il credito di imposta

Si concretizza in due modi diversi:

  1. rimborso
  2. compensazione

Nel rimborso il credito di imposta è scomputato direttamente in dichiarazione dei redditi, sottraendo al debito annuale il relativo credito.

Nella compensazione invece il credito si concretizza bilanciando la differenza. Questa avviene a favore di tutti i contribuenti che hanno la possibilità di compensare i tributi a debito con il suddetto credito d’imposta.

Credito d’imposta e modello F24

L’ultima casistica precedente, quella che prevede la compensazione, trova forma grazie all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997 n°24. I soggetti che possono avvalersi della compensazione sono:

  • persone fisiche titolari di partita IVA
  • persone fisiche non titolari di partita IVA
  • società di persone
  • società di capitali

In questi casi la compensazione avviene utilizzando il modello F24. Quest’ultimo è un documento utilizzato in Italia per pagare gran parte delle imposte, delle tasse e dei contributi previsti. Per ciascun tributo, esiste uno specifico modello F24 (IRAP, IMU, TASI, TARI, diritti camerali, Imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’Iva, Contributi e premi INPS, INAIL, ENPALS, INPDAI, INPDAP, ecc…)

Per quando riguarda nello specifico il credito di imposta, questo è indicato nella colonna degli “importi a credito”. É indicato quindi l’ammontare che lo Stato deve al contribuente, oltre al periodo e al codice tributo al quale si riferisce.

Il credito d’imposta si utilizza fino a quando non si esaurisce il dovuto. Il credito eccedente è utilizzato per i successivi versamenti (nulla va perduto o arrotondato). La compensazione tramite F24 presentata tramite intermediario abilitato, oppure tramite cassetto fiscale.

Tipologie e caratteristiche

Con il DL Cura Italia e il DL Rilancio, sono stati introdotte molte nuove tipologie di credito d’imposta e ne sono state modificate altrettante. Ad esempio sono stati introdotti i nuovi crediti d’imposta per:

  • spese di sanificazione (pari al 60% delle spese di sanificazione per un massimale di 60,000€)
  • per botteghe e negozi (60% del canone di locazione per i mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 2020)
  • adeguamento degli ambienti di lavoro (60% sugli interventi necessari all’adeguamento degli ambienti di lavoro)
  • per bonus vacanze (massimo 500€ a nucleo familiare con reddito ISEE non superiore a 40,000€)
  • per investimenti pubblicitari (50% degli investimenti per stampa quotidiana e periodica, online emittenti televisive e radiofoniche)
  • servizi digitali
  • attività di ricerca e sviluppo nelle aree del Mezzogiorno
  • aumenti di capitale (pari al 20% per chi sottoscrive aumento di capitale sociale a seguito di perdite derivanti dall’emergenza epidemiologica COVID-19)
  • sugli investimenti (introdotti dalla legge Bilancio)
  • Ace (introdotti dalla Legge di Bilancio)

Data protection: il regolamento per disciplinare il trattamento dei dati personali

L’argomento privacy, negli ultimi anni, ha assunto una grandissima importanza a livello mondiale. La possibilità di acquisire e condividere informazioni e dati personali, attraverso piattaforme digitali, ha aumentato la possibilità di facili violazioni della privacy. Alla luce di tutto questo, dal 2016, è entrata in vigore, in tutti i paesi dell’Unione Europea, un regolamento specifico della materia. La disciplina che regolamenta il trattamento dei dati personali si chiama: “Data Protection”. Si tratta quindi di un insieme di discipline, norme e regolamenti che hanno lo scopo di proteggere nel migliore dei modi possibili il trattamento dei dati personali. Argomento molto importante a livello individuale, ma anche e soprattutto per le aziende, le imprese in genere e le start up.

Data protection: equilibrio tra privacy e scopi commerciali

Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati in sigla RGPD (o GDPR in inglese General Data Protection Regulation), è quindi l’insieme delle norme e procedure rivolte alla protezione dei dati personali. Ufficialmente l’argomento è stato regolamentato con la norma dell’UE n°2016/679. Le regole sono entrate in vigore a partire dal 27 aprile 2016 e la pubblicazione ufficiale sulla Gazzetta dell’Unione Europea è avvenuta il 4 maggio 2016.

Lo scopo della Commissione Europea è stato quello di rafforzare la protezione dei dati personali dei cittadini dell’UE (all’interno e all’esterno dei confini dell’unione). La data protection ha, in generale, lo scopo di tutelare la raccolta e la diffusione dei dati personali, trovando il giusto compromesso tra tutela della privacy e utilizzo dei dati a scopi commerciali.

In altre parole questo significa che chi acquisisce i dati di un utente (ad esempio quando un utente si registra su un sito e-commerce per eseguire un acquisto per il quale richiede regolare emissione di fattura elettronica), deve garantire che le informazioni acquisite saranno utilizzate esclusivamente per scopi consentiti dalla legge. Inoltre il soggetto che acquisisce i dati personali degli utenti, deve essere stato esplicitamente autorizzato (mediante richiesta di consenso) dal soggetto interessato.

GDPR: Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati

Il GDPR è il principale riferimento normativo al quale attenersi in materia di tutela dei dati personali. Il regolamento stabilisce:

“norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché norme relative alla libera circolazione di tali dati” e si propone di proteggere “i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali”.

Il GDPR fa riferimento a tutti quei dati attraverso i quali è possibile l’identificazione univoca di una persona:

  1. personali
  2. personali particolari
  3. genetici
  4. biometrici
  5. sulla salute
  6. dati personali relativi a condanne penali o reati

Dati personali

Si tratta dei dati che consentono di identificare in modo univoco un soggetto. L’identificazione del soggetto può essere fatta in modo diretto o indiretto. Rientrano in questa categoria dati come: come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.

Data protection

Dati personali particolari

In italiano sono chiamati “Dati Sensibili”. In questa categoria troviamo: origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

Sono considerati dati sensibili anche quelli genetici, biometrici e quelli sulla salute.

Dati genetici

Con questi si identificano i dati ereditati o acquisiti, ottenuti tramite analisi di DNA ed RNA da un campione biologico della persona fisica in questione.

Dati biometrici

Categoria particolare nella quale rientrano: immagine facciale, grazie ai quali è possibile identificare una e una sola persona fisica.

Dati sulla salute

Sia fisica che mentale, passata, presente o futura. Inoltre anche informazioni su servizi di assistenza sanitaria, laddove presenti, indipendentemente dalla fonte, quale, ad esempio, un medico.

Dati personali relativi a condanne penali o reati

Il trattamento dei dati personali relativi a reati o condanne deve avvenire sotto il controllo dell’autorità pubblica o se è autorizzato dal diritto dell’Unione.

Data protection a regola d’arte

Il trattamento dei dati personali è ritenuto valido quando il titolare ha dato il proprio consenso all’acquisizione degli stessi. Questo implica l’obbligo da parte del soggetto che acquisisce i dati, di poter dimostrare l’ottenimento del consenso da parte del soggetto interessato. Chi ha rilasciato i propri dati deve sempre avere la possibilità di revocarli in qualsiasi momento.

Inoltre il trattamento dei dati personali è ritenuto valido quando:

  • deve avvenire per l’esecuzione di un contratto
  • per l’adempimento di un obbligo legale
  • per la salvaguardia dell’interessato
  • in casi di esecuzione di un compito di pubblico interesse
  • per il perseguimento di un legittimo interesse del titolare del trattamento o di un soggetto terzo

Data protection e i dati che non possono essere trattati

La Data protection definisce anche tutti i dati che non possono essere trattati:

“dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”.
Tutti questi dati possono essere trattati solo in presenza dell’esplicito consenso dell’interessato (e negli altri casi di liceità sopra elencati).

Il Rendiconto Finanziario: cos’è e a cosa serve

Nell’articolo precedente: “Bilancio di Esercizio soggetti obbligati, documenti e funzioni” abbiamo visto cos’è il Bilancio d’esercizio, quali funzioni svolge e da quali documenti è composto. Cinque i documenti fondamentali contenuti in un bilancio: Stato Patrimoniale, Conto Economico, rendiconto finanziario, Nota Integrativa e relazione sulla gestione. Oggi in particolare andiamo a vedere i dettagli del rendiconto finanziario.

Il rendiconto finanziario: decreto legislativo 139/2015

Il rendiconto finanziario è un dei cinque documenti obbligatori previsti nel bilancio d’esercizio che una società deve obbligatoriamente redigere secondo norma di legge. É stato introdotto come obbligatorio dal decreto legislativo 139/2015. Prima si trattava di un documento facoltativo.

Il rendiconto finanziario riassume tutti i flussi di cassa di un’impresa, avvenuti in un determinato periodo di tempo. In altre parole il rendiconto finanziario contiene l’indicazione di tutte le fonti che hanno portato a incrementare i fondi liquidi disponibili della società e il tracciamento di tutti gli impieghi di capitale sostenuto dall’impresa. Se volessimo spiegarlo in modo ancora più semplice, è possibile affermare che il rendiconto finanziario indica quanto “denaroè entrato e uscito dal conto aziendale e quali sono i fattori che ne hanno determinato tutte le variazioni.

La rendicontazione di questo documento non tiene conto della distinzione tra attività, passività, ricavi o costi. Di tutte queste voci è presa in considerazione solo quelle sottovoci per le quale c’è stato nel concreto, un’entrata o un’uscita di cassa.

Un importante strumento di controllo nella gestione di un’azienda

Il rendiconto finanziario è uno strumento potente e importante per un’impresa. Serve infatti a determinare la disponibilità di denaro dell’azienda. Inoltre permette di controllare le variazioni della disponibilità di denaro nel tempo. Serve quindi ad anticipare le dinamiche di entrate ed uscite dalle casse d’impresa.

Il rendiconto finanziario inoltre aumenta la credibilità dell’azienda, quando questa, ad esempio, cerca di accedere al credito tramite gli istituti bancari. La capacità di misurare e controllare le dinamiche finanziarie di un’attività è sinonimo di affidabilità (rating).

Infatti da un rendiconto finanziario è possibile calcolare:

  1. se l’azienda è in grado di pagare gli interessi passivi sui prestiti
  2. la capacità di rimborsa i finanziamenti richiesti
  3. se è in grado di pagare le imposte (IRPEF, IRES, IRAP)
  4. la necessità di richiedere un nuovo finanziamento
  5. la programmazione per futuri investimenti

Principi e finalità

In base al principio OIC n°10 il rendiconto finanziario deve riassumere:

  • l’attività di finanziamento (sia autofinanziamento sia esterno);
  • le variazioni delle risorse finanziarie causate dall’attività produttiva di reddito;
  • l’attività di investimento dell’impresa;
  • le variazioni della situazione patrimoniale-finanziaria.

Il Rendiconto Finanziario

Le finalità da raggiungere invece sono:

  • Conoscere per effetto di quali cause è variata la situazione patrimoniale dell’impresa rispetto alla chiusura dell’esercizio precedente;
  • Esplicitare le modalità di reperimento delle risorse finanziarie,
  • Esplicitare le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie;
  • Evidenziare le correlazioni esistenti tra le singole categorie di fonte e le singole categorie di impieghi;
  • Determinare le incidenze percentuali delle fonti e degli impieghi di risorse sul totale delle medesime.

Il Rendiconto Finanziario: compilazione e contenuto

Non si tratta di un documento facile da compilare. In generale il rendiconto è impostato secondo due diverse modalità:

  1. Metodo Diretto
  2. Metodo Indiretto

Metodo Diretto

Tiene conto della traccia di tutti i movimenti in entrata e in uscita. Questi sono classificati in base alla loro entità e natura.

Metodo Indiretto

In questo caso la rendicontazione parte dall’Utile Netto. L’utile netto non tiene conto degli elementi che non hanno natura monetaria. In questo modo è possibile arrivare a individuare esattamente incassi ed esborsi. Questo secondo metodo è il più diffuso, perché legato strettamente alla redazione dello Stato patrimoniale e del conto economico.