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Sviluppatore app: partita IVA, regime fiscale e fatture elettroniche

Esperto di programmazione e informatica, lo sviluppatore app è simile al programmatore informatico, ma con qualche differenza. Per svolgere questo lavoro è necessario aprire una partita IVA, adempiere a precisi obblighi fiscali e scegliere un determinato regime fiscale in base alla natura dell’attività svolta.

Sviluppatore app: chi è e cosa fa

Esperto d’informatica, lo sviluppatore app, progetta e realizza applicazioni destinate a vari utilizzi. Dalla stampa di fotografie, a quelle utili a parcheggiare o a fare la spesa, le applicazioni oggi sono sempre più diffuse e utilizzate e si possono trovare in molti store online, gratis o a pagamento. Lo sviluppatore app può svolgere le proprie mansioni come dipendente, oppure come libero professionista.

La categoria di sviluppatori informatici non hanno una precisa disciplina fiscale. Se ne distinguono però due differenti casistiche:

  1. Sviluppatori che realizzano app per uno o più committenti – svolge attività professionale. Se continuativa deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/12 e consegnarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio della propria attività.
  2. Sviluppatori informatici che creano app per rivenderle direttamente negli store di app.

Ci sono poi sviluppatori che fanno entrambe le cose. Chi non pratica questa attività in modo continuativo, può avvalersi della prestazione occasionale. Gli sviluppatori autonomi, quando aprono partita iva devono anche scegliere il relativo e corretto codice ATECO. Per farlo possono rivolgersi direttamente ad AdE (Agenzia delle Entrate), oppure attraverso un intermediario.

Sviluppatori app e codici ATECO

Il codice ATECO cambia a seconda della professione svolta. Gli sviluppatori di app possono scegliere tra:

  • 01.00 – produzione di software non connesso all’edizione;
  • 02.00 – consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica;

La scelta deve ricadere sul codice maggiormente inerente alla propria attività. Nel dubbio è possibile chiedere consiglio ad AdE, oppure a un dottore commercialista. I soggetti che decidono di creare app e venderle direttamente negli store online, devono scegliere il codice 49.91.10, relativo al commercio elettronico diretto.

Sviluppatore app

Sviluppatori di app e regimi fiscali

Il regime fiscale determina il modo con il quale lo sviluppatore app deve pagare le tasse allo Stato. Le imposte sono applicate in base alla diversa tipologia di ricavi prodotti. In questo caso, gli sviluppatori di applicazioni sono artefici di una vera e propria attività commerciale. Quindi, lo sviluppatore che crea app  e lavoro autonomamente deve:

  • aprire partita IVA
  • scegliere il regime fiscale migliore (ad esempio quello forfettario)
  • iscriversi all’INPS.

Invece, lo sviluppatore di app che crea e rivende applicazioni deve:

Gli sviluppatori di applicazioni possono aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Per quanto riguarda il secondo, presenta dei notevoli vantaggi, ma tutto dipende dal fatturato annuo che non può superare i 65.000€ annui. Inoltre, non è possibile aderire a questo regime nemmeno quando il soggetto interessato partecipa ad associazioni o imprese familiari, oppure a società di persone o Srl.

I vantaggi del regime forfettario permettono allo sviluppatore app di non applicare l’IVA sulle fatture elettroniche e l’IRPEF. Inoltre, l’imposta sostitutiva è al 15% e si abbassa al 5% per i primi 5 anni. Le tasse sono applicate sulla base del coefficiente di redditività, che per lo sviluppatore di app è del 67%.

Programmatore app e previdenza sociale

Aperta la partita IVA è necessario comunica all’INPS l’inizio dell’attività. La comunicazione è necessaria per iniziare a versare i contributi che permettono di accedere alla pensione. In regime fiscale ordinario e forfettario è possibile l’iscrizione alla Gestione Separata INPS rivolta a tutti i professionisti.

I contributi da versare per questa categoria, ammontano a 25,98% del reddito imponibile sulla base del fatturato annuo. Se il fatturato annuo è inferiore o pari a 15.953€ esiste una quota minima di contributi da versare all’INPS pari a 3.850€.

Esercizio abusivo della professione: cos’è, sanzioni e risarcimenti

L’esercizio abusivo della professione corrisponde all’esercizio di un’attività professionale senza avere il titolo abilitativo previsto da legge. Esistono infatti alcune professioni che non è possibile svolgere senza la giusta autorizzazione. Solitamente l’abilitazione professionale è ottenibile in seguito al perseguimento di un determinato titolo di studio e successivamente al superamento di un esame di Stato. L’accesso all’esame richiede altresì dei precisi requisiti, come, ad esempio, lo svolgimento di un tirocinio professionale. Solo dopo aver partecipato e superato l’esame di Stato, il soggetto può procedere all’iscrizione all’albo del proprio ordine professionale. I soggetti che decidono di svolgere un’attività in assenza del titolo abilitativo richiesto da legge, sono perseguibili per reato di esercizio abusivo della professione. La pena prevista per tale reato è la reclusione.

Esercizio abusivo della professione: cosa dice la legge

Per esercitare la propria professione, avvocati, medici, architetti, agronomi, ecc. Non devono limitarsi ad aprire una partita IVA e iniziare a fare impresa. Prima di arrivare a gestire gli aspetti amministrativi, fiscali e contributivi, l’utente deve prima essere in possesso di un titolo abilitativo che gli consenta di svolgere tale attività.

Il reato di esercizio abusivo della professione è normato dall’articolo 348 del Codice Penale. La legge stabilisce che l’abuso della professione non corrisponde all’esercizio abusivo di un mestiere, ma solo quello relativo a professionisti ai quali occorre un particolare titolo abilitativo per esercitare.  Si tratta di un reato procedibili d’ufficio. Basta una segnalazione all’autorità giudiziaria affinché parta un provvedimento nei confronti del soggetto che esercita senza abilitazione. Non è necessaria, invece, una querela da parte della persona offesa.

Il reato possiede natura immediata. Significa che si realizza nel momento stesso in cui è compiuta un’azione tipica della professione. Non è necessario che si tratti di un atto retribuito.

Esercizio abusivo della professione

348 C.P.: quali sanzioni sono previste

Il reato di esercizio abusivo della professione può essere punito con la reclusione per un minimo di sei mesi, fino a un massimo di tre anni. È inoltre richiesta una sanzione pecuniaria che può arrivare fino a cinquantamila euro. A tutto questo si aggiungono delle pene accessorie:

  1. pubblicazione della sentenza
  2. confisca di beni e strumenti usati per commettere il reato
  3. interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività esercitata. La sanzione disciplinare in questione, affinché possa essere attuata, deve essere comunicata all’Ordine o all’Albo competente.

Ogni sanzione è prevista come deterrente e svolge una funzione preventiva, per evitare la reiterazione del reato stesso. È possibile che un soggetto istighi addirittura un altro all’abuso di reato. In questo caso il legislatore ha previsto delle sanzioni ancora più gravi:

  • reclusione fino a 5 anni
  • multa da 15mila a 75mila euro nei confronti del professionista che:
    • istigato altri all’abuso della professione
    • ha diretto l’attività delle persone che hanno concorso al reato stesso

348 codice penale e risarcimento del danno

I soggetti che operano l’esercizio abusivo della professione sono tenuti a risarcire il danno causato alla vittima. In particolare, la categoria di danno all’immagine, può essere richiesta esclusivamente dall’Ordine professionale, che potrebbe, quindi, anche costituire parte civile nel procedimento penale. Un privato, invece, ha la possibilità di richiedere, un risarcimento del danno commisurato alle conseguenze patite.

Un’ultima nota riguarda l’esercizio di una professione richiedente un titolo abilitativo in un paese diverso da quello dove il titolo è stato ottenuto. Chi ha ottenuto un’abilitazione alla professione in uno Stato membro dell’Unione Europea, ha la possibilità di esercitare anche in Italia. È comunque richiesto un accertamento della regolarità dell’istanza e della relativa documentazione. Inoltre, il soggetto deve aver trasmesso tale documentazione anche all’ordine professionale competente per poter procedere all’iscrizione.

Quale attività aprire in un piccolo paese

I piccoli comuni possono nascondere grandi opportunità di business. Basta saper guardare, indagare e scegliere quale attività aprire in un piccolo paese scartando idee malsane e fantasiose che non porterebbero da nessuna parte. Le possibilità ci sono, l’importante è fare un’ottima ricerca di mercato (locale) e optare per nicchie e target ancora disponibili. Vediamo quindi qualche idea prima di aprire una partita IVA specifica e iniziare a fare soldi.

Quale attività aprire in un piccolo paese: i segnali da cercare

Prima di lanciarsi in un nuovo business è meglio “tastare il terreno”. In un piccolo paese gli affari della propria impresa dipendono da un ristretto numero di persone. Quindi è giusto scegliere in base alle richieste del mercato locale e optare per posizioni strategiche che possano facilitare il lavoro.

Conoscere la dimensione esatta del mercato di riferimento, aiuta a stilare un corretto business plan. Una volta capito bene come gira il mercato in paese, è possibile scegliere un’attività, piuttosto che un’altra e concentrare le proprie forse e risorse su quella che funziona meglio.

Aprire un’attività: i settori d’interesse

Anche se piccolo, un comune può offrire grandi opportunità di lavoro. Ristoranti, negozi di informatica, alimentari, lavanderie a secco, librerie, bed and breakfast, ecc… L’importante alla fine è optare per l’idea di business che il maggior potenziale possibile. È importante anche scegliere con cuore e passione, ma sono prerogative che devono sottostare alla domanda di mercato.

Aprire un ristorante

Quando si decide di aprire un ristorante è importante optare per un’attività originale che la gente del posto non può già trovare in zona, ma che desidera al punto tale di essere disposta anche a spostarsi pur di averla.

Servizi di Consegna a Domicilio

I servizi di consegna a domicilio possono essere attività da aprire senza soldi (o quasi) molto convenienti nelle piccole città/paesi. Infatti, i grandi player del settore food e home delivery, sono spesso assenti nei comuni più piccoli. Senza contare che nei paesi c’è una grande concentrazione di persone anziane che necessitano realmente di servizi di consegna a domicilio semplici ed efficienti.

Quale attività aprire in un piccolo paese

Aprire un asilo nido

La natalità più alta, spesso, è registrata proprio nelle piccole località. Aprire un asilo nido, quindi, può davvero fare la differenza. I genitori lavoratori sono infatti spesso costretti a portare i figli nelle grandi città per garantirgli assistenza e istruzione. Un deficit da sfruttare senza dubbio.

Aprire una lavanderia

Nei piccoli paesi c’è bisogni di servizi, per lo più. Quindi aprire una lavanderia è un’occasione per fare business. È un servizio utile per chiunque, soprattutto se in paese sono presenti un gran numero di pendolari che non hanno voglia o tempo di stare dietro al bucato.

Servizi Postali privati

Chi non ha proprio idea di quale attività aprire in un piccolo paese può sempre scegliere quella dei servizi postali privati. Un mercato in forte espansione, molto dinamico e performante. Infatti la rete postale privata copre meglio il territorio nazionale e offre servizi e prezzi concorrenziali. L’ufficio postale non è sempre presente in tutti i comuni e questo può significare solo la presenza di una grande lacuna in paese. Aprire una posta privata in franchising, ad esempio, può rispondere a esigenze concrete della popolazione di tutte le età.

Attività da aprire fisicamente e non solo

Le attività da aprire in un paese piccolo sono davvero moltissime. C’è chi, però, preferisce non affittare locali e pagare ingenti somme e opta quindi su attività da aprire a casa. Non dimentichiamo poi che c’è sempre la possibilità di vendere online senza partita IVA. Qualunque sia la scelta definitiva, l’importante è capire bene come funziona e come si muove la comunità locale. Individuare le attività essenziali, ma anche quelle non essenziali, ma richieste e mancanti. Dopodiché basta concentrarsi al massimo sugli obiettivi, scegliere un ottimo software fattura elettronica e iniziare il proprio business con il massimo entusiasmo.

Moneta elettronica: vantaggi per imprese, professionisti e cittadini

La moneta elettronica non corrisponde alle criptovalute. Si tratta infatti di una valuta che può essere archiviata elettronicamente su vari dispositivi, ma che, a differenza delle cripto, è supportata da una valuta Fiat. Inoltre è regolamentata dall’autorità centrale. Oggi, la moneta elettronica è una parte importante di ciascuna attività commerciale, che si tratti di un negozio fisico, piuttosto che di un e-commerce per la vendita di prodotti online.

Moneta elettronica: come funziona e cos’è

La moneta elettronica è una valuta archiviabile su:

  • smart card – carte di credito oppure carte di debito
  • sistemi informatici
  • smartphone

è una moneta largamente diffusa e utilizzata in tutto il mondo grazie agli accordi che banche, società finanziarie e processori di rete di monete elettroniche, hanno siglato nel corso del tempo. Oggi è praticamente quasi impossibile trovare un e-commerce che non accetti, come metodo di pagamento, la moneta elettronica per l’acquisto di beni e servizi.

La valuta ha un corso legale e il suo valore è stabilito dal governo che la emette ed è sempre supportata da una moneta fiat. Il denaro Fiat è una valuta a cui corrisponde un asset sottostante, come, ad esempio, l’oro, oppure l’argento. Vista l’ampia diffusione della moneta elettronica, piccole, medie e grandi imprese, la tengono seriamente in considerazione quando si tratta di scambi commerciali.

Tipi di moneta elettronica

Esistono due grandi categorie di monete elettroniche:

  1. Hard – è la valuta usata per transazioni irreversibili, cartolarizzate e di natura procedurale.
  2. Soft – è usata per transazioni reversibili e/o flessibili. Gli utenti possono gestire le proprie transazioni anche dopo aver effettuato il pagamento, richiedendone, ad esempio, l’annullamento o la modifica del prezzo pagato. Il periodo per effettuare eventuali modifiche è comunque limitato nel tempo. A questa categoria corrispondono le transazioni effettuate con i metodi più diffusi e conosciuti al mondo: PayPal, PayTM, Interac, carte di credito, ecc…

Moneta elettronica definizione e caratteristiche

Per essere definita tale, la moneta elettronica deve rispondere a determinate caratteristiche:

  • Riserva di valore – anche se elettronica è pur sempre una riserva di valore, archiviato elettronicamente fino al ritiro fisico vero e proprio.
  • Mezzo di scambio – serve per acquistare un bene o un servizio, vale a dire che è una forma di pagamento e quindi di scambio commerciale.
  • Misura il valore dei beni – come qualunque altra moneta anche quella elettronica serve a valutare il reale valore di un bene/servizio.
  • Pagamento differito – è usata per effettuare pagamenti differiti, cioè è usata come strumento di concessione di credito per rimborsare una fattura.

Moneta elettronica

La moneta elettronica e i suoi molteplici vantaggi

Da quando esiste, la moneta elettronica ha apportato una vasta gamma di benefici a livello globale. Che si tratti di aprire una nuova partita IVA e vendere prodotti online, piuttosto che fare impresa vecchio stile con un negozio fisico, il denaro elettronico ha regalato innumerevoli vantaggi a tutti:

  • Versatilità e praticità – è possibile effettuare pagamenti in qualunque parte del mondo e verso qualunque luogo nel mondo. Basta un click, è facile e veloce, un metodo pratico che non richiede alcuna abilità o conoscenza particolare per essere usato.
  • Tracciabilità e storicità – le transazioni effettuate con moneta elettronica lasciano il “segno”. Vale a dire che sono registrate digitalmente e possono essere seguite e ricontrollate anche a distanza di tempo.
  • Evita attività fraudolente – proprio grazie al fatto che risulta essere tracciabile e quindi per ogni operazione è possibile risalire a dati e informazioni relative, le transazioni sono più sicure e scongiurano i rischi di frodi e attività sospette.
  • Immediatezza – Le transazioni elettroniche sono rapide e immediate. Il denaro è trasferito istantaneamente da una parte all’altra, con una velocità mai sperimentata prima dall’economia globale.
  • Sicurezza – è un metodo di pagamento sicuro perché tracciabile e protetto da misure di sicurezza avanzate (autenticazione e tokenizzazione).

Istituto di moneta elettronico

Gli attori che prendono parte alla produzione e circolazione della moneta elettronica sono tre:

  1. istituzioni finanziarie (banche) – elaborano le transazioni
  2. società non bancarie – produttrici di software e hardware usati nelle e per le operazioni digitali
  3. portafogli digitali (wallet) – magazzini virtuali per la moneta che, attraverso la verifica delle credenziali dei vari utenti, permettono la gestione quotidiana del denaro elettronico.

Il denaro elettronico rappresenta quindi il futuro dei pagamenti e delle transazioni mondiali. I consumatori sono ormai abituati a usare i mezzi di pagamento elettronico e hanno accettato tranquillamente anche scontrini elettronici e fatture elettroniche. Il mondo cambia e punta alla digitalizzazione globale per semplificare e velocizzare al massimo il commercio mondiale.

Comunicazione lavoro occasionale: cos’è e chi deve farla

La comunicazione lavoro occasionale è diventata un obbligo grazie al Decreto fisco-lavoro n° 146 del 2021. È possibile effettuarla anche online dal 28 marzo 2022, direttamente sul sito dell’ispettorato del lavoro grazie alle credenziali SPID e CIE. Vogliamo ricordare modalità, tempi e regole generali di comunicazione.

Comunicazione lavoro occasionale: i soggetti obbligati

Oltre ai precedenti soggetti obbligati a comunicare la prestazione occasionale, le nuove disposizioni a norma di legge hanno incluso nell’elenco anche:

  1. i committenti che operano in qualità d’imprenditori (esclusi quindi i professionisti)
  2. lavoratori autonomi occasionali inquadrati nella definizione dell’articolo 222 c.c.

Una classificazione che porta, di conseguenza, all’esclusione di:

  1. collaborazioni coordinate e continuative, comprese quelle etero-organizzate  già oggetto di comunicazione preventiva
  2. rapporti instaurati in base all’54-bis del D.L. n. 50/2017
  3. professioni intellettuali, in base alla disciplina dell’articolo 2229 c.c. Tutte le attività autonome esercitate in maniera abituale e assoggettate al regime IVA
  4. rapporti di lavoro “intermediati da piattaforma digitale, comprese le attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l), TUIR, soggetti a specifici obblighi di comunicazione)

Una nota esplicativa dell’ispettorato del lavoro ha specificato che gli Enti del Terzo Settore che svolgono esclusivamente attività non commerciale, non sono soggetti all’obbligo di comunicazione.  Solo nel caso in cui svolgano attività d’impresa, anche in forma marginale, tornano immediatamente ad assoggettarsi all’obbligo della comunicazione.

Anche le aziende di vendita diretta a domicilio sono escluse dall’obbligo di comunicazione. Così come i lavoratori autonomi occasionali impiegati in prestazioni di natura intellettuale, i lavoratori dello spettacolo, le ASD, le SSD e gli studi professionali a patto che non siamo organizzati in forma d’impresa.

Comunicazione lavoro occasionale 2022: tempistiche

La comunicazione lavoro occasionale deve essere trasmessa entro il 18 gennaio nel caso di collaborazioni iniziate prima o dopo il 21.12 e ancora attive alla data dell’11 gennaio 2022. Stessa scadenza per le collaborazioni iniziate dopo il 21.12 e cessate prima dell’11.1.2022.

È necessaria invece una comunicazione preventiva nel caso di collaborazioni iniziate dopo l’11 gennaio. Sono invece escluse dall’obbligo della comunicazione tutte quelle collaborazioni iniziate e cessate  entro il 21 dicembre.

Lavoro autonomo occasionale 2022: le modalità di comunicazione

La normativa attualmente vigente prevede l’obbligo di comunicare la prestazione di lavoro occasionale all’Ispettorato competente. Tale comunicazione può essere inviata tramite sms oppure posta elettronica (all’indirizzo specifico del relativo Ispettorato del Lavoro). È inoltre disponibile una piattaforma chiamata “Comunicazioni obbligatorie” con la quale è possibile indicare la prestazione in via telematica.

L’indicazione per email deve contenere dei dati obbligatori:

  • dati del committente
  • dati del prestatore
  • luogo di lavoro
  • descrizione dell’attività svolta
  • data d’inizio prestazione
  • arco temporale entro il quale la prestazione lavorativa possa dirsi conclusa
  • importo del compenso pattuito

Se la data di termine prestazione non dovesse essere rispettata, è necessario inviare una nuova comunicazione. Le varie dichiarazioni possono essere modificate e/o annullate entro e non oltre l’inizio dell’attività del prestatore. I dati trasmessi incompleti e/o errati (data d’inizio e dati personali dei soggetti coinvolti), non sono considerati come un’omessa comunicazione.

Comunicazione lavoro occasionale

Per quanto riguarda le indicazione dei termini entro le quali la prestazione può ritenersi conclusa sono tre:

  • 7 giorni
  • 15 giorni
  • 30 giorni

Comunicazione lavoro occasionale: sanzioni per omessa trasmissione

È prevista una precisa sanzione amministrativa in caso di omissione di comunicazione lavoro occasionale. Si tratta di un importo compreso tra i 500 € e i 2500 €. La sanzione pecuniaria è applicata per ciascun lavoratore autonomo occasionale per il quale sia stata omessa la comunicazione obbligatoria.

Le sanzioni sono applicate anche nel caso in cui la prestazione lavorativa si protragga nel tempo oltre la data indicata inizialmente e manchi la successiva nuova comunicazione. I lavoratori occasionali che svolgono prestazioni non comunicate sono annoverati e conteggiati come lavoratori irregolari. Sono soggetti a ispezioni e, se il loro numero supera il 10% dei lavoratori impiegati nello svolgimento della prestazione, l’ispettorato può prendere la decisione di sospendere l’attività lavorativa.

La fattura elettronica: i dati confermano un grande successo

Sono già passati tre anni da quando la fattura elettronica è diventata obbligatoria in Italia. All’inizio l’atteggiamento generale delle utenze è stato molto diffidente, ma, nonostante tutto, l’e-fattura è andata avanti e sta funzionando egregiamente. Non si tratta solo di una sensazione, ma di una certezza confermata da dati statistici ministeriali. Infatti, il Politecnico di Milano, ha condotto un’accurata ricerca per capire qual è la situazione generale che emerge attualmente nel nostro paese e quali sono i settori che hanno tratto maggiore vantaggio dall’introduzione della fatturazione elettronica.

La fattura elettronica

Inizialmente la e-fattura era stata introdotta per i titolari di partita IVA, a eccezione dei soggetti che rientravano nel regime dei minimi e in quello forfettario. L’ingresso nel Bel Paese è datato 1° gennaio 2019. L’idea era quella di dotarsi di uno strumento efficace per combattere l’evasione fiscale e portare avanti un progetto più ampio relativo alla digitalizzazione dello Stato.

All’inizio c’era molta reticenza nel doverla e poterla usare, ma con il passare del tempo, gli utenti hanno finalmente riconosciuto e capito il grande valore aggiunto che porta al mercato italiano. In particolare, la digitalizzazione dei processi amministrativi, ha apportato notevoli benefici a qualunque libero professionista e attività in generale. Vantaggi e benefici sottolineati da una serie di numeri alquanto impressionanti.

La fattura elettronica ha notevolmente abbassato i costi di gestione, ha velocizzato le operatività e gli scambi e ha apportato anche un vantaggio ecologico al sistema, eliminando i documenti cartacei per sempre. Alla fine, anche l’ambiente ha potuto godere dall’introduzione di questo fenomenale strumento amministrativo.

La fattura elettronica

Fattura elettronica e dati del MEF

Il MEF e l’Osservatorio sulla Fatturazione Elettronica del Politecnico di Milano ha delineato una situazione molto positiva sulla fatturazione elettronica. Il Report del Dipartimento delle Finanze ha messo in luce che l’imponibile IVA del primo trimestre del 2021 è aumentato del 21,3% rispetto allo stesso periodo del 2020.

Un dato che sottolinea quanto e come la fattura elettronica ha superato egregiamente il periodo della pandemia da Covid 19. Anche l’Osservatorio Digital B2b della School of Management del Politecnico di Milano ha dichiarato che il numero delle fatture elettroniche scambiate sono state addirittura due miliardi, vale a dire il 4% in più rispetto al periodo pre pandemia. Un sistema che, quindi, funziona, molto bene, per privati e aziende e rende più semplice e veloce fare impresa. La categoria dei liberi professionisti ha addirittura incrementato del 24,1%, mentre le persone fisiche sono arrivate al 21,2%.

Come va la fatturazione elettronica nelle varie regioni d’Italia

Il periodo esaminato dal MEF ha evidenziato anche che la regione italiana che ha registrato il maggior numero di fatture elettroniche è la Lombardia. La regione ha totalizzato un 21,1% pari a un +6,7% sulla crescita totale. È a nord che si concentra la maggiore crescita con un 43% di emissione di fatture valide. La secondo posto troviamo, invece, il Lazio con un 36% delle fatture trasmesse a livello nazionale.

La fattura elettronica e i settori di utilizzo

L’ Osservatorio sulla Fatturazione Elettronica del Politecnico di Milano ha riscontrato che il settore economico che ha registrato gli aumenti maggiori dell’imponibile sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio. Le percentuali relative sono rispettivamente pari al 27,7% del totale fatturato l’anno precedente. In seconda posizione troviamo le utility con il 18,6% nel 2020 contro il 18,4% del 2019. A seguire:

Invece, i settori che hanno avuto più difficoltà durante il periodo pandemico, sono anche quelli che hanno registrato il maggior calo:

  • alloggio e ristorazione – 40%
  • finanziario e assicurativo -35%
  • servizi di noleggio, supporto alle imprese e agenzie di viaggio -19%.

I servizi che hanno poi registrato le perdite maggiori sono:

  • organismi extraterritoriali -91,1%
  • attività legate alle famiglie e alle convivenze – categoria che comprende, tra gli altri, lavoro per personale domestico e organizzazioni condominiali, che hanno registrato in totale un calo del 47,3%.

Alla fine, comunque, il bilancio è più che positivo e, per il futuro, è previsto un ulteriore incremento che porterà il numero delle fatture elettroniche emesse ad aumentare sensibilmente.

Partita iva per e-commerce: tutto quello che c’è da sapere

Aprire una partita iva per e-commerce è sicuramente un argomento che interessa molti utenti, soprattutto in questo particolare periodo storico. Che si tratti di vendita diretta dei propri prodotti, piuttosto che una vendita conto-terzi in collaborazione con altri siti, è un argomento attuale e particolarmente sentito. Vediamo quindi cosa serve per iniziare un’attività su internet.

Commercio online: ecco come funziona

Il commercio online è ormai avviato e consolidato da molti anni. Anche nel nostro paese ha riscosso un grandissimo successo e sono sempre di più, gli imprenditori digitali che hanno intrapreso un’attività su internet. Online è ormai presente di tutto, dai big del web come Amazon ed Ebay, a tantissimi altri piccoli negozi che vendono prodotti e servizi di qualunque genere.

Mercato online: le diverse tipologie di vendita su internet

La moltitudine di siti meno noti che svolge attività di commercio online è in costante crescita. Si tratta di shop di piccole e medie dimensioni, alcune con cataloghi di nicchia, mentre altre sono delle vere e proprie realtà emergenti. Volendo è però possibile individuare tre diverse grandi tipologie di vendita online:

  • Vendita diretta – in questo caso il proprietario del sito di vendita online, è proprietario anche della merce che distribuisce. Per avviare un’attività di questo genere è necessario disporre, prima di tutto, di un budget iniziale per l’acquisto del dominio del sito, la sottoscrizione di un servizio di hosting e per la realizzazione materiale del portale stesso.
  • Vendita indiretta – altra casistica che prevede la commercializzazione della propria merce attraverso portali o piattaforme già esistenti. È la piattaforma di appoggio che mette a disposizione degli imprenditori uno specifico spazio virtuale e diversi servizi aggiuntivi, per permettere loro di effettuare vendite online. Un sistema piuttosto semplice, rapido, intuitivo e soprattutto molto più economico rispetto al precedente.
  • Affiliazione – si basa su un accordo tra affiliato e azienda. L’affiliato, che non possiede direttamente la merce, si limita a promuovere prodotti e servizi terzi, ricevendo una commissione per ogni vendita effettuata.

Partita iva per e-commerce

Partita iva per e-commerce: cosa prevede la normativa

In Italia il commercio elettronico è regolato dal Decreto Bersani (D.Lgs. 114/98). L’Art. 21, compare la vendita online di prodotti, ad altre forme di “vendita per corrispondenza”. In generale, quindi, a prescindere da quale tipologia di vendita si voglia avviare, l’imprenditore digitale è assoggettato alle stesse norme. Da specificare che, chi decide di aprire partita IVA per e-commerce non può svolgere l’attività di vendita online in modo occasionale.

La prima cosa da fare è capire l’inquadramento commerciale dell’attività da svolgere. Quindi è necessario capire se l’attività è svolta come ditta individuale di tipo commerciale, oppure come un libero professionista.

In ogni caso è necessario adempiere a un’azione denominata ComUnica. Si tratta di una specifica una pratica telematica compilata e trasmessa agli enti interessati (Camera di Commercio, Agenzia Entrate, INPS). Con la dichiarazione della ComUnica, il soggetto assolve in contemporanea a tutti gli obblighi fiscali e burocratici.

Infatti la ComUnica serve a:

Il codice ATECO corretto da indicare nella dichiarazione per vendita diretta o indiretta è il 47.91.10. Riguarda, infatti il commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via Internet”, valido per vendere online ogni genere di articoli, sia fisici che digitali (es. Applicazioni, video corsi, ecc.).

Mentre il codice ATECO giusto per le affiliazioni o dropshipping è il 73.11.02 – Conduzione campagne pubblicitarie.

Partita IVA per e-commerce: tasse, contributi e fatturazione

Gli imprenditori digitali sono soggetti al pagamento delle tasse come qualunque altro imprenditore. Le percentuali da pagare cambiano in base al regime fiscale scelto. Per chi ricade sotto il regime forfettario le tasse corrispondono al 15% (e al 5% per i primi cinque anni d’attività) del reddito imponibile. Inoltre, per loro, sono previste altre agevolazioni come la franchigia IVA, la contabilità assente e l’esonero da molti adempimenti, tra cui esterometro e studi di settore.

Per quanto riguarda invece i contributi, ricordiamo che i commercianti online fanno capo alla Gestione INPS che prevede due diversi tipi di versamento:

  • con reddito pari o inferiore al reddito minimale INPS (ovvero 15.953 euro), è previsto un solo contributo obbligatorio d’importo pari a 3.850 euro
  • con reddito superiore al minimale, invece, si aggiunge un secondo versamento, calcolato sulla sola parte eccedente con aliquota al 24,09% (o al 22,44% per gli under 21)

Per quanto riguarda invece la fatturazione, ricordiamo che è in vigore la fatturazione elettronica. Un sistema che ha apportato enormi benefici anche nell’ambito dell’apertura di partita IVA per e-commerce, soprattutto adesso che è possibile emettere fattura elettronica e scontrino elettronico direttamente dal proprio sito e-commerce realizzato con WooCommerce, grazie al plugin prodotto da FatturaPRO.click.

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Lavoro freelance: cosa significa e come funziona in Italia

Il lavoro freelance non è una passeggiata. Ci vuole impegno, passione, dedizione e buone conoscenze per lavorare da freelance in Italia. Chi decide per questo genere di “carriera” deve, prima di tutto, informarsi bene, su pro, contro e ogni altro aspetto contabile e fiscale che riguarda questa sfera di competenza specifica. Iniziamo comunque spiegando che un freelance altro non è che un lavoratore indipendente che offre il suo operato a società, organizzazioni e privati.

Si tratta di una figura che, negli ultimi anni, si è andata sempre più diffondendo anche nel nostro paese. Incentivata da agevolazioni fiscali e regimi semplificati, questa forma lavorativa è sempre più richiesta. Le aziende, ad esempio, si avvalgono di freelance quando all’interno del loro organico non hanno dipendenti qualificati su una precisa materia. O ancora, le imprese si rivolgono ai lavoratori freelance anche quando hanno bisogno di lavoro/consulenza spot. I privati invece preferiscono il lavoratore indipendente perché fornisce un lavoro più accurato e soprattutto veloce. Insomma, il lavoro freelance sta davvero andando alla grande. Ma non è tutto oro quel che luccica. Ci sono anche dei risvolti negativi per chi sceglie questa strada. Vediamo di capire meglio.

Lavoro freelance in Italia: numeri e ragioni

In Italia il lavoro freelance va davvero alla grande. Siamo il primo paese della zona europea in quanto a percentuale più alta di lavoratori autonomi. Cifre da capogiro, visto che contiamo oltre 5 milioni di lavoratori autonomi. Siamo primi assoluti da molti anni ormai, in cima alla classifica prima di Germania, Francia e Regno Unito.

Tante le motivazioni che hanno portato ‘Italia a vantarsi di questo primato:

  • evoluzione della tecnologia
  • miglioramento dal punto di vista fiscale e burocratico
  • entrata in vigore del Job Act

La tecnologia è complice del nostro successo. Oggi molti giovani scelgono la strada del lavoro freelance perché sanno di poter essere supportati da strumenti e mezzi innovativi che semplificano molte le varie attività operative e pratiche. Inoltre ci sono stati sostanziali miglioramenti dal punto di vista fiscale e burocratico. È più facile oggi, rispetto al passato, aprire Partita IVA, meno dispendioso e macchinoso. Esistono poi vari regimi agevolati, come ad esempio il regime forfettario (e prima ancora il regime dei minimi), che hanno reso possibile attivare con tranquillità un’attività da freelance. Il Job Act, infine ha posto le basi per una maggiore tutela di tutti quei lavoratori indipendenti e titolari di Partita IVA senza albo di riferimento.

Lavoro freelance: pro e contro

Tanti pro, ma tanti anche i contro che possiamo riscontrare nel lavoro freelance. Tra i pro vanno sicuramente annoverati:

  • Libertà Di Orari – essere liberi di scegliere quando iniziare e quando finire l’orario di lavoro, è una delle soddisfazioni più grandi che possa esserci. La routine quotidiano si semplifica e spesso si spezza pure.
  • Libertà Di Lavorare Dove Si Preferisce – Niente più code interminabili per arrivare sul posto di lavoro in orario, niente sveglie all’alba, o rientri ad orari improponibili. Chi lavora da casa poi, ha vinto il jackpot!
  • Minori Spese Quotidiane Da Sostenere – non avendo orari e sedi, si affrontano e si sostengono davvero molte meno spese.

Lavoro freelance

  • Ferie E Permessi Autogestiti – essere il capo di noi stessi significa che è possibile decidere quando andare in ferie senza dover aspettare l’approvazione (spesso tardiva) di un piano ferie aziendali. Non è necessario rendere conto a nessuno, se non a noi stessi.
  • Guadagni Più Alti (Potenzialmente Parlando) – maggiori rischi, maggiori guadagni. Se tutto va per il verso giusto, lo stipendio aumenta sicuro.
  • Crescita Personale E Professionale Assicurata – investire sulla propria attività, significa investire su se stessi. Di conseguenza vuol dire anche una crescita e un miglioramento personale, oltre che professionale.

Contro

Come abbiamo detto, però, non è tutto oro quel che luccica. Quindi il lavoro freelance presenta anche qualche difficoltà:

  • È difficile staccare la spina – l’attività di freelance non si ferma mai. Un lavoratore indipendente ha sempre la mente fissa al proprio lavoro: alle fatture elettroniche, alle scadenze da rispettare, ai corrispettivi telematici, ai pagamenti da dover sostenere, ecc…
  • Ci sono molte più responsabilità – Tutte le responsabilità ricadono sulle proprie spalle e non possono essere condivise con altri dipendenti dell’azienda
  • Nessuno sicurezza di uno stipendio fisso – le cose possono anche andare bene, ma possono anche andare male. Una cosa è certa, lo stipendio fisso non è un’opzione del lavoro freelance. I soldi arrivano quando e se si lavora.
  • È richiesto un investimento iniziale – Ogni attività, per essere avviata, richiede un primo investimento. Che si tratti di una piccola cifra, o di una ragguardevole partecipazione, bisogna spendere prima di guadagnare.
  • Bisogna pensare autonomamente alla contabilità e all’amministrazione dell’attività – Nota dolente per molti. Nel lavoro freelance ciascuno è amministratore e contabile di sé stesso.

Fare impresa: cosa significa aprire partita IVA nel 2021

Fare impresa nel 2021 vuol dire avere sicuramente grande coraggio visto il periodo delicato che sta attraversando l’economia, ma vuol dire anche gettarsi in un mercato che sta subendo una grande trasformazione a livello digitale. Fatturazione elettronica e scontrino elettronico sono solo 2 dei pilastri di un’impresa completamente nuova che sta cercando di trovare la sua dimensione. Ma cerchiamo di comprendere quali sono i passi per fare impresa nel 2021 e soprattutto quanto costa farlo.

Fare impresa: quando si apre una partita IVA

Fare impresa non vuol dire altro se non fare il grande passo ed entrare nel mondo della partita IVA, la cui apertura è indispensabile per tutti coloro che superano i 5.000 euro annui di reddito svolgendo un’attività da libero professionista o da imprenditore. Quando si parla di Partita IVA ci si riferisce a un codice numerico di 11 cifre che rilascia l’Agenzia delle Entrate e che identifica una certa impresa sul mercato o appunto un libero professionista. Niente di complicato vero? Se non fosse per tutta una serie di obblighi a cui si deve far fronte dal momento in cui si apre partita IVA.

Come si apre Partita IVA

 

La prima cosa che ti occorre per poter ottenere il tuo numero di Partita IVA è un indirizzo di posta elettronica certificata (la classica PEC per intenderci) che verrà utilizzata per ricevere e inviare tutte le comunicazioni ufficiali. Il proprio numero di partita IVA verrà poi richiesto all’Agenzia delle Entrate o affidandosi a un professionista in grado di svolgere tutte le pratiche al nostro posto oppure in completa autonomia compilando un apposito modulo di richiesta in cui dovrà essere inserito il codice ATECO della propria attività.

Un percorso piuttosto semplice questo, riservato però ai liberi professionisti. Per gli imprenditori invece si procederà all’iscrizione tramite la Camera di Commercio, la comunicazione di inizio attività al Comune in cui quest’ultima ha sede legale (SCIA) e contestualmente avverrà anche l’iscrizione alla gestione INPS per Commercianti e artigiani. Se tutto ciò in precedenza avveniva con la consegna manuale di alcuni moduli, a oggi il tutto avviene per via telematica, accedendo al sito della Camera di Commercio e del Comune, nella sezione Impresa in un giorno.

Se tale procedimento viene portato a termine in maniera autonoma, l’apertura della partita IVA non prevede alcun costo, se ci si affida a un professionista, allora se ne pagherà la parcella.

Fare impresa: a cosa serve la partita IVA

Quindi per poter dire che si sta facendo impresa occorre aprire la partita IVA, ma a cosa serve questo codice numerico? La partita IVA permette:

  • di verificare che il soggetto abbia i requisiti richiesti per l’esercizio della professione. Questo succede soprattutto in tutte quelle professioni in cui è richiesto l’iscrizione all’Albo;
  • permette di assolvere l’obbligo di iscrizione alla posizione previdenziale INPS per il pagamento dei contributi dovuti e all’INAIL per eventuali infortuni sul lavoro;
  • determina la forma giuridica dell’attività e il relativo regime fiscale.

Per dirla in poche parole la partita IVA è quell’elemento che permette all’azienda o al libero professionista di effettuare compravendite di beni e servizi ed emissione di fattura o scontrino fiscale.

Fare impresa

Regime forfettario vs regime ordinario

Come anticipato poco fa l’apertura della Partita IVA permette di determinare anche il tipe di regime a cui si aderisce. In genere la scelta avviene tra il regime forfettario e quello ordinario. A livello generico è possibile affermare che al di sotto dei 85.000 euro annui di ricavo è possibile aderire al regime forfettario a meno che non ci siano anche altri requisiti minimi non soddisfatti.

Al di sopra dei 85.000 euro di ricavi occorre procedere ad adesione al regime ordinario. Questo prevede l’aliquota fissa al 22% sul reddito imponibile. L’aliquota può variare a seconda dell’attività svolta fino a un minimo del 4% applicato alle attività che producono beni di prima necessità.

Con il regime forfettario invece si gode di non poche agevolazioni. Tra queste l’aliquota unica del 15% su una base imponibile calcolata in maniera forfettaria. Il calcolo è stabilito anche in base al proprio codice ATECO. Inoltre per tutti coloro che avviano una nuova attività per i primi 5 anni, l’imposta dovuta si riduce al 5%. Successivamente passa al 15%.

 

Ricevuta prestazione occasionale: come si compila e a cosa serve

Nell’articolo precedente abbiamo visto cos’è una quietanza di pagamento, chi la emette, chi la richiede e le principali differenze con una fattura elettronica. Oggi invece trattiamo della ricevuta prestazione occasionale, un documento che deve essere consegnato dal lavoratore che presta lavoro occasionale al proprio committente.

L’emissione e la compilazione di una ricevuta per prestazione occasionale, deve sottostare a precise regole. Regole che riguardano, ad esempio la ritenuta d’acconto, o l’eventuale marca da bollo. Dal punto di vista giuridico, la prestazione occasionale è stata normata dal Decreto Legislativo 81/2015 e dall’articolo 2222 del Codice Civile, che tratta del contratto d’opera.

Ricevuta prestazione occasionale: cos’è e come si compila

Chi svolge un lavoro occasionale per un altro privato, oppure per un’azienda, con rapporto non continuativo, non occorre aprire partita IVA. Senza partita IVA però non è possibile emettere fattura elettronica che attesti il lavoro svolto e il pagamento da incassare. Serve quindi un altro documento che certifichi la prestazione lavorativa e richieda al committente l’importo a saldo. In questo caso si emetterà una ricevuta prestazione occasionale.

Affinché questo documento possa essere ritenuto valido deve contenere dei dati precisi:

  1. Dati del prestatore del lavoro occasionale (nome, cognome, indirizzo, codice fiscale, ecc…)
  2. Generalità del committente (vale a dire tutti i dati della persona fisica, piuttosto che quelli dell’azienda)
  3. Compenso pagato:
    • Importo lordo
    • Ritenuta d’acconto del 20% sul totale
    • Somma netta percepita effettivamente
  1. Descrizione dell’attività svolta
  2. Data
  3. Numero progressivo della ricevuta e se verrà prestato in futuro altri servizi alla stessa azienda
  4. Firma
  5. Riferimenti alla normativa nel caso di esenzione dall’IVA per prestazione occasionale (articolo 5 del DPR 633/72) e in caso di assoggettamento alla ritenuta d’acconto (articolo 25 del DPR 633/72)
  6. firma del prestatore
  7. eventuale marca da bollo se il valore della prestazione è superiore a 77,46 euro.

È possibile ricorrere alla ricevuta per prestazioni occasionali solo se la prestazione lavorativa è veramente “occasionale” e non continuativa. È imposta una soglia massima annuale pari a 5000 €.

Ricevuta prestazione occasionale

Ritenuta d’acconto e marca da bollo

Quando si compila una ricevuta per prestazione occasionale si rende necessario fare attenzione al soggetto al quale è stato prestato servizio. Se il committente ha partita IVA, infatti, il creditore dovrà obbligatoriamente versare la ritenuta d’acconto pari al 20% del compenso lordo in qualità di sostituto d’imposta.

Tale versamento deve avvenire entro il 16 del mese successivo alla data della ricevuta per prestazione occasionale.

Se invece il committente è un altro privato, il compenso dovuto non è soggetto a ritenuta d’acconto e quindi deve essere versato l’importo complessivo del compenso pattuito.

Per ricevute di importo superiore ai 77,47 euro, è poi necessario ricordarsi di versare la marca da bollo da 2€.

Se il lavoratore che presenta ricevute per prestazioni occasionali, dovesse, nell’anno, superare i 5000 , dovrà obbligatoriamente iscriversi alla Gestione Separata presso l’INPS. Infatti, per importi superiori a tale cifra, diventa obbligatorio il versamento dei contributi previdenziali.

Lavoro autonomo occasionale

Il lavoro autonomo occasionale è una particolare tipologia di prestazione a carattere sporadico, non stabile, derivato dalla cessione di un’opera, o di un dato servizio, da parte di un soggetto nei confronti di un committente.

Il vantaggio del lavoro autonomo occasionale e delle relative ricevute, è che non è necessario aprire una partita IVA. Basta però ricordarsi di pagare la ritenuta d’acconto, dove necessario. Per essere definito tale, il lavoro occasionale non deve:

  • avere durata continuativa nel tempo, oppure abituale
  • avere alcun tipo di coordinamento da parte del committente
  • possedere vincolo di subordinazione

Inoltre la prestazione da eseguire deve essere svolta in autonomia da parte del prestatore, senza vincoli di tempo e/o modalità di esecuzione. Questo significa che il prestatore deve essere libero di svolgere l’attività richiesta, quando e come vuole, in piena libertà decisionale.