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Come diventare copywriter e seguire la giusta disciplina fiscale

Oggi sono in molti a essere interessati a sapere come diventare copywriter. Si tratta di una professione che si è largamente diffusa anche grazie allo smart working. I soggetti che decidono d’intraprendere questa carriera, non sono obbligati ad aprire una partita IVA. Infatti, è una professione che può, qualche volta, essere svolta anche come prestazione occasionale.

Copywriter: cosa fa

La figura del copywriter è cambiata e si è evoluta negli ultimi anni. Oggi, un copy, non si occupa solo di scrivere testi pubblicitari, slogan o contenuti persuasivi. Le sue mansioni si sono fuse e mescolate con quelle dell’articolista. In entrambi i casi, comunque, le professioni possono essere svolte sia alle dipendenze di qualcuno, che come liberi professionisti.

Come diventare copywriter

In alcuni articoli precedenti, abbiamo già visto che per lavorare come sviluppatore app o come accompagnatore turistico serve aprire una partita IVA. Per la professione del copywriter non è detto che sia necessario dotarsi di partita IVA con un preciso codice ATECO.

Per capire quando e se è necessaria la partita IVA, prima bisogna capire se il lavoro è svolto in maniera saltuaria e non continuativa, oppure in modo abituale. Per fare un esempio, quando la domanda di lavoro ammonta a quattro articoli da scrivere in una volta sola, durante tutto l’anno, allora la prestazione è occasionale. Quando invece i soliti quattro articoli dell’esempio devono essere scritti tutti i mesi per tutto l’anno, allora il lavoro è continuativo e abituale. In questo secondo caso serve pertanto l’apertura di una partita IVA.

Come sempre per l’apertura è necessario compilare uno specifico modulo da presentare ad Agenzia delle Entrate in via telematica o cartacea. Sul modulo deve essere indicato il codice ATECO corretto. Per questa professione non ne esiste solamente uno, ma ce ne sono diversi:

  • 90.99: altre attività professionali NCA;
  • 21.00: relazioni pubbliche e comunicazione;
  • 99.00: altre attività dei servizi d’informazione NCA;
  • 11.01: ideazione di campagne pubblicitarie.

Il codice cambia a second del lavoro svolto, degli obiettivi perseguiti e della tipologia di cliente per il quale è svolta l’attività.

Come diventare copywriter

Freelance copywriter e Iscrizione Alla Gestione Separata Dell’Inps

Tra le cose da sapere su come diventare copywriter c’è anche quella dell’iscrizione alla gestione separata dell’INPS. La gestione separata è un regime previdenziale utilizzato da tutti i professionisti non coperti dalla cassa previdenziale obbligatoria. La gestione separata prevede il versamento di contributi due volte nel corso dell’anno, in concomitanza con altri obblighi fiscali.

Il copywriter non è obbligato a iscriversi al Registro delle Imprese a meno che non svolga molte attività, una delle quali ne richiede l’iscrizione. Per un inquadramento più preciso è sempre meglio rivolgersi a un dottore commercialista che può consigliare la soluzione migliore. L’iscrizione alla gestione separata deve avvenire entro e non oltre trenta giorni dal momento in cui è aperta partita IVA. La quota annua da versare a INPS ammonta al 25,98% dul reddito imponibile.

Copywriters e regime fiscale

Il copy è un’attività che può essere svolta in regime ordinario, oppure in regime forfettario. Il forfettario è un regime fiscale agevolato che consente di avere una tassazione al 5% nei primi cinque anni di attività, per poi passare al 15% successivamente.

IVA e IRPEF sono sostituite da questa tipologia di tassazione.

Aderendo al regime forfettario, come sempre, non è possibile superar i 65.000€ annui di fatturato. Se la soglia dovesse essere superata, avviene il passaggio diretto al regime ordinario. Inoltre, da luglio 2022 anche i forfettari, quindi anche i copy in questo regime, sono obbligati per legge a mettere fatturazione elettronica. Invece, i soggetti che non superano i 25.000€ di fatturato annui, possono mettere ancora la semplice fattura cartacea.

Accompagnatore Turistico: requisiti, regole e regime

Un accompagnatore turistico non è esattamente una guida turistica. La sua attività consiste nell’accompagnare i turisti, singoli o in gruppo, nei vari viaggi svolti sul territorio italiano. Si occupa dell’organizzazione del viaggio (tappe, tour e spostamenti) e fornisce informazioni generiche sui luoghi visitati. Per svolgere questa attività in modo autonomo è necessario aprire partita IVA, scegliere il regime fiscale più consono e versare i contributi previdenziali che permettono di accedere alla pensione.

Accompagnatore Turistico: chi è e cosa fa

L’accompagnatore turistico guida gruppi di persone straniere in Italia, oppure italiani all’estero. Organizza il viaggio e segue persone e comitive per accertarsi che tutto vada per il meglio e che il programma stabilito si svolga regolarmente. Non illustra le bellezze locali descrivendone la storia e la produzione, a differenza della guida turistica.

Per svolgere questa attività sono necessarie conoscenze e requisiti specifici stabiliti dalla normativa regionale vigente. Per diventare accompagnatore turistico è necessario:

  • aver compiuto almeno 18 anni di età
  • aver conseguito il diploma di scuola media superiore
  • possedere una fedina penale pulita
  • conoscere l’inglese a livello avanzato (C1)

Ci sono poi dei requisiti ulteriori che differiscono da regione a regione. Per operare come accompagnatore, oltre al diploma di scuola superiore è necessario aver sostenuto e superato un esame specifico di abilitazione per il conseguimento del patentino.

L’accompagnatore turistico e la partita IVA

La professione è tutelata da un sindacato specifico e per svolgerla è necessaria l’iscrizione al relativo albo. Il lavoro può essere svolto sia come dipendente, che come libero professionista, aprendo partita IVA. I soggetti che invece svolgono l’attività in modo saltuario possono ricorrere alla prestazione occasionale.

Accompagnatore Turistico

Come per lo sviluppatore app, anche l’accompagnatore turistico deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/11 e presentarlo ad Agenzia delle Entrate. Il codice ATECO per accompagnatori turistici è il 79.90.2. È possibile, inoltre, aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Ogni volta che un accompagnatore presta un servizio, è tenuto per legge, a emettere fattura elettronica.

Come diventare accompagnatore turistico: la scelta del regime fiscale

L’accompagnatore può decidere se aderire al regime ordinario, piuttosto che a quello forfettario. Sicuramente il più vantaggioso è il secondo. Per aderirvi è necessario rispettare alcuni requisiti, come ad esempio quello che relativo al fatturato annuo che non deve essere superiore ai 65.000€.

Il forfettario prevede un’aliquota unica pari al 15% che si abbassa al 5% nei primi 5 anni di attività. Da luglio del 2022 è diventato obbligatorio anche per i forfettari emettere fatturazione elettronica.

Scelto il regime serve poi l’iscrizione alla Gestione separata INPS. La gestione separata non prevede il versamento di una quota fissa annuale, ma solamente di una percentuale pari al 25,98% dei redditi percepiti. Infine, il regime forfettario esonera dall’obbligo delle scritture contabili e non prevede l’applicazione d’IVA e ritenute d’acconto.

Abilitazione accompagnatore turistico

L’ultimo passo da compiere per iniziare questa attività, è quello di presentare al proprio Comune di residenza una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Il documento è necessario per dimostrare al proprio comune di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per svolgere attività di accompagnatore turistico.

Il documento deve essere presentato almeno un giorno prima dell’inizio dell’attività e può essere inviato sia per PEC, oppure telematicamente online. Il modulo deve riportare anche la firma digitale del soggetto che inoltra certificazione. È possibile trovare ulteriori informazioni consultando un dottore commercialista, oppure rivolgendosi all’ufficio SUAP del Comune dove deve essere avviata l’attività.

Sviluppatore app: partita IVA, regime fiscale e fatture elettroniche

Esperto di programmazione e informatica, lo sviluppatore app è simile al programmatore informatico, ma con qualche differenza. Per svolgere questo lavoro è necessario aprire una partita IVA, adempiere a precisi obblighi fiscali e scegliere un determinato regime fiscale in base alla natura dell’attività svolta.

Sviluppatore app: chi è e cosa fa

Esperto d’informatica, lo sviluppatore app, progetta e realizza applicazioni destinate a vari utilizzi. Dalla stampa di fotografie, a quelle utili a parcheggiare o a fare la spesa, le applicazioni oggi sono sempre più diffuse e utilizzate e si possono trovare in molti store online, gratis o a pagamento. Lo sviluppatore app può svolgere le proprie mansioni come dipendente, oppure come libero professionista.

La categoria di sviluppatori informatici non hanno una precisa disciplina fiscale. Se ne distinguono però due differenti casistiche:

  1. Sviluppatori che realizzano app per uno o più committenti – svolge attività professionale. Se continuativa deve aprire partita IVA compilando il modulo AA 9/12 e consegnarlo ad Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio della propria attività.
  2. Sviluppatori informatici che creano app per rivenderle direttamente negli store di app.

Ci sono poi sviluppatori che fanno entrambe le cose. Chi non pratica questa attività in modo continuativo, può avvalersi della prestazione occasionale. Gli sviluppatori autonomi, quando aprono partita iva devono anche scegliere il relativo e corretto codice ATECO. Per farlo possono rivolgersi direttamente ad AdE (Agenzia delle Entrate), oppure attraverso un intermediario.

Sviluppatori app e codici ATECO

Il codice ATECO cambia a seconda della professione svolta. Gli sviluppatori di app possono scegliere tra:

  • 01.00 – produzione di software non connesso all’edizione;
  • 02.00 – consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica;

La scelta deve ricadere sul codice maggiormente inerente alla propria attività. Nel dubbio è possibile chiedere consiglio ad AdE, oppure a un dottore commercialista. I soggetti che decidono di creare app e venderle direttamente negli store online, devono scegliere il codice 49.91.10, relativo al commercio elettronico diretto.

Sviluppatore app

Sviluppatori di app e regimi fiscali

Il regime fiscale determina il modo con il quale lo sviluppatore app deve pagare le tasse allo Stato. Le imposte sono applicate in base alla diversa tipologia di ricavi prodotti. In questo caso, gli sviluppatori di applicazioni sono artefici di una vera e propria attività commerciale. Quindi, lo sviluppatore che crea app  e lavoro autonomamente deve:

  • aprire partita IVA
  • scegliere il regime fiscale migliore (ad esempio quello forfettario)
  • iscriversi all’INPS.

Invece, lo sviluppatore di app che crea e rivende applicazioni deve:

Gli sviluppatori di applicazioni possono aderire sia al regime ordinario che a quello forfettario. Per quanto riguarda il secondo, presenta dei notevoli vantaggi, ma tutto dipende dal fatturato annuo che non può superare i 65.000€ annui. Inoltre, non è possibile aderire a questo regime nemmeno quando il soggetto interessato partecipa ad associazioni o imprese familiari, oppure a società di persone o Srl.

I vantaggi del regime forfettario permettono allo sviluppatore app di non applicare l’IVA sulle fatture elettroniche e l’IRPEF. Inoltre, l’imposta sostitutiva è al 15% e si abbassa al 5% per i primi 5 anni. Le tasse sono applicate sulla base del coefficiente di redditività, che per lo sviluppatore di app è del 67%.

Programmatore app e previdenza sociale

Aperta la partita IVA è necessario comunica all’INPS l’inizio dell’attività. La comunicazione è necessaria per iniziare a versare i contributi che permettono di accedere alla pensione. In regime fiscale ordinario e forfettario è possibile l’iscrizione alla Gestione Separata INPS rivolta a tutti i professionisti.

I contributi da versare per questa categoria, ammontano a 25,98% del reddito imponibile sulla base del fatturato annuo. Se il fatturato annuo è inferiore o pari a 15.953€ esiste una quota minima di contributi da versare all’INPS pari a 3.850€.

Prop trader: chi sono e quale regime fiscale scegliere

Un prop trader è un professionista che si occupa di prop trading. Si tratta di una professione nata recentemente grazie al web. Una figura molto particolare che lavora per conto delle Prop House. Non si tratta di comuni promotori finanziari o di gestori diretti del rischio. Trattandosi di una nuova forma di lavoro cerchiamo di capire meglio quale sia il regime fiscale migliore da adottare per svolgere questa attività.

Prop Trader: chi è e cosa fa

Il Prop Trader gestisce un portafogli d’investimento per conto delle Prop House che altro non è che una società finanziaria che gestisce vari portafogli finanziari d’investitori. La gestione di questi portafogli è affidata proprio ai Prop Trader. Il professionista ha a disposizione una data somma di denaro da gestire, ma non risponde di eventuali perdite subite dall’attività d’investimento.

Beneficia esclusivamente di parte dei proventi ottenuti dalle attività d’investimento. Infatti, la gestione dell’investimento riguarda solo il rapporto tra l’investitore e la Prop House. Il Prop Trader lavora per la Prop House. Questo significa che, in caso di eventuale perdita subita dal committente, il trader può decidere di recedere dal contratto e dalla collaborazione professionale con il singolo professionista.

Prop Trader: lavoro, partita iva e regime fiscale

Per svolgere l’attività di prop trader, se continuativa e abituale, è necessario aprire una partita IVA. La partita IVA è quindi sempre richiesta e non esiste una soglia minima sotto la quale è possibile operare in assenza di partita IVA. È obbligo inoltre dichiarare i proventi relativi all’attività svolta. Il professionista che vuole esercitare tale attività deve anche stabilire la gestione previdenziale e scegliere il codice ATECO corretto.

Agenzia delle Entrate, per il momento, non avendo discusso di questa professione, non ha stabilito un codice ATECO preciso. Quindi, è necessario scegliere un codice già esistente tra i tanti presenti nelle attività residuali. Durante la scelta è d’uopo tenere in considerazione anche la diversa tipologia di contratto che il professionista va a sottoscrivere con la società d’investimento committente.

Allo stesso modo, non esistono specifiche, almeno per adesso, sugli aspetti previdenziali di questa attività professionale. In linea generale, quindi, è possibile farla rientrare nei casi di gestione separata INPS che prevede un’aliquota variabile di anno in anno, da applicare sul valore del reddito prodotto su ogni annualità. Come per il codice, anche in questo caso, la situazione deve essere valutata caso per caso con un dottore commercialista tenendo conto anche del contratto sottoscritto con la Prop House.

Prop trader

Organismo OCF: iscrizione e aspetti amministrativi

L’organismo OCF è un ente che tutela e vigila l’Albo Unico dei Consulenti Finanziari. Per potersi iscrivere all’OCF occorre superare un esame specifico. Per quanto riguarda i prop trader, non essendoci chiarimenti ufficiali, non è chiaro se debbano o no iscriversi a questo organismo. Analizzando il loro operato sembra non essere necessaria l’iscrizione, essendo professionisti che operano al di fuori delle normative che regolano l’attività dei consulenti finanziari.

Prop trader lavoro e regime fiscale

I prop trader possono ricorrere al regime forfettario, fuori campo IVA. Così facendo hanno un’aliquota molto bassa del 5% (nei primi 5 anni) o del 15% e non si pagano IRPEF, IRAP o altre imposte addizionali. Per accedere al forfettario devono sempre essere rispettati determinati criteri:

  1. ricavi annui non superiori ai 65.000€
  2. redditi da lavoro dipendente o pensioni non superiori a 30.000€
  3. non superare i 20.000€ annui di spese per i dipendenti
  4. non possedere quote di partecipazione a società di persone o associazioni
  5. non possedere partecipazioni di controllo in SRL che svolgono attività analoghe

In alternativa al regime forfettario, è possibile, per il Prop Trader, aprire partita IVA individuale in contabilità semplificata, oppure aprire una SRL. Meglio, comunque, valutare ogni situazione caso per caso avvalendosi dell’ausilio di un commercialista esperto in materia.

Vendita porta a porta: come funziona il regime fiscale delle vendite a domicilio

Così come aprire un blog e iniziare a fatturare correttamente richiede degli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, anche la vendita porta a porta ha le proprie regole da dover rispettare. Si tratta di una particolare vendita al dettaglio di beni e servizi  direttamente presso il domicilio del cliente finale. È un’attività svolta da un incaricato alle vendite che opera, solitamente, senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa mandante e al di fuori dell’inquadramento di agente di commercio.

Vendita porta a porta: il regime fiscale

La disciplina fiscale relativa alla vendita porta a porta, stabilisce le imposte sui redditi e sull’attività occasionale e professionale del venditore, con relative conseguenze sull’imposta sul valore aggiunto (IVA).

I venditori a domicilio sono agenti e rappresentanti di commercio. I guadagni derivanti dalle vendite di beni e servizi si chiamano provvigioni. Quest’ultime sono soggette all’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta del 23%. La ritenuta è applicata sul totale delle provvigioni ridotte del 22% a titolo di deduzione forfettaria delle spese legate alla produzione del reddito.

Il valore delle provvigioni nette è determinato dalla seguente formula:

provvigioni nette = provvigioni premi e incentivi lordi X 78%

Il valore delle provvigioni nette è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta del 23%. I venditori a domicilio non devono presentare dichiarazione dei redditi a meno che non percepiscano altri redditi al di fuori delle provvigioni derivanti dalla vendita porta a porta. Inoltre sono altresì esonerati dall’applicazione dell’IRAP.

Venditore a domicilio e sostituto d’imposta

La società mandante del venditore a domicilio è obbligata a versare, entro il 16 del mese successivo a quello del pagamento delle provvigioni, le ritenute. Il pagamento è eseguito tramite modello F24 con codice contributivo 1038 nella sezione erario.

Ciascuna ritenuta e i compensi annuali devono essere riepilogati nella venditore a domicilio Certificazione Unica. Infine la società committente è tenuta a segnalare con il modello 770, all’Amministrazione Finanziaria, il totale delle provvigioni per la base imponibile e il calcolo delle ritenute operate.

Vendita porta a porta

Venditore Porta A Porta: professionale od occasionale

La vendita porta a porta può essere effettuata in modo occasionale, oppure professionale. Si tratta di vendita occasionale quando il reddito annuo derivante da tale attività non supera i 5000€. I venditori porta a porta occasionali non sono tenuti ad avere scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi. Inoltre sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei redditi, a meno che non percepiscano altri redditi derivanti da attività diverse.

I venditori a domicilio occasionali non sono, pertanto, tenuti ad aprire una partita IVA  e non devono applicare l’IVA sui compensi percepiti. Devono solamente rilasciare una ricevuta alla società mandante per ricevere le provvigioni stabilite.

Si tratta invece di vendita porta a porta professionale quando le provvigioni annue superano i 6426,10€. In questo caso il venditore deve obbligatoriamente aprire una partita IVA entro 30 giorni. Il codice attività per aprire partita IVA è il 46.19.02, “Procacciatori di affari di vari prodotti senza prevalenza di alcuno”. È inoltre obbligato ad assoggettare a IVA tutti i compensi che eccedono il limite indicato. In questo caso i venditori non possono accedere al regime forfettario in quanto per loro esiste già un apposito regime agevolato.

Venditori Porta A Porta e INPS

Gli addetti alla vendita porta a porta sono obbligati a iscriversi alla Gestione Separata dell’INPS quando il reddito annuo supera i 5000€. L’iscrizione può essere fatta online sul sito messo a disposizione da INPS, dove è anche possibile versare i contributi relativi.

I contributi da versare sono composti da:

  1. 1/3 a carico del contribuente/venditore
  2. 2/3 a carico dell’azienda mandante

I contributi devono essere versati entro il 16 del mese successivo al pagamento delle provvigioni. Il venditore a domicilio deve indicare in fattura elettronica la trattenuta INPS per la Gestione Separata. I venditori non sono comunque tenuti a iscriversi anche all’INAIL.

Come aprire un blog e fatturare correttamente

Oggi sono in molti a chiedersi come aprire un blog. Sembra un’operazione facile e banale, ma in realtà la gestione degli aspetti finanziaria può riservare qualche sorpresa ai meno esperti in materia. Prima di aprire una partita IVA ad hoc e iniziare a monetizzare, è importante conoscere ogni aspetto di quest’attività, dagli adempimenti fiscali, amministrativi e contributivi, fino alla gestione dei guadagni online. Indipendentemente dalla natura del blog (turistico, artistico, tecnico, ecc…)le regole da seguire rimangono sempre le stesse, sia per le affiliazioni che per i guadagni derivanti da banner pubblicitari.

Come aprire un blog e guadagnare

Per capire come aprire un blog e iniziare a guadagnare bisogna, prima di tutto, distinguere tra guadagni diretti e indiretti. Tra i guadagni indiretti derivanti da un blog troviamo:

  • Banner pubblicitari – si tratta di guadagni derivanti da accordi con società di raccolta pubblicitaria. Per ciascun click, o per ogni visualizzazione, di un banner pubblicitario presente sul blog, il blogger riceve una percentuale. Il più famoso tra tutti è sicuramente Google Adsense.
  • Affiliazioni commerciali – in questo caso i guadagni derivano dall’ospitare sul proprio blog dei banner pubblicitari di aziende terze che vogliono offrire dei servizi/prodotti agli utenti. Per ogni vendita effettuata tramite il link presente sul blog, il blogger riceve una percentuale.
  • Post sponsorizzati – i guadagni provengono da accordi tra blogger di successo (influencer) e società terze che intendono sfruttare la loro popolarità per la vendita di prodotti e servizi.

Tra i guadagni diretti ci sono:

  • Servizi offerti direttamente dal blogger – è il blogger stesso a mettere a disposizione dei suoi utenti le sue capacità e il proprio tempo. È una forma nota come inbound marketing. Una tecnica che sfrutta la capacità empatica di una persona di convincere i proprio followers a comprare servizi e prodotti pubblicizzati sulla propria piattaforma online.

Come fare ad aprire un blog: partita iva o prestazione occasionale?

È necessari aprire una partita IVA solo quando è soddisfatta la condizione di abitualità della prestazione. Questo significa svolgere un’attività in modo continuativo nel tempo. Quando invece l’attività da blogger è occasionale o sporadico, è possibile ricorrere alle prestazioni di lavoro autonomo occasionale. Invece non esiste una soglia massima di guadagni superata la quale è obbligatorio aprire partita IVA.

Come aprire un blog

Aprire un blog: gli adempimenti fiscali

La gestione fiscale di un blog richiede:

  1. Apertura di una partita IVA – come visto, è necessario aprirla solo se l’attività risponde alla caratteristica di abitualità. Aprirla non costa niente. Basta compilare e presentare un apposito modello all’Agenzia delle Entrate scegliendo il regime fiscale più adatto alle proprie esigenze (come ad esempio il regime forfettario).
  2. Iscrizione alla Camera di Commercio – l’iscrizione è obbligatoria. Le campagne pubblicitarie sono considerate un’attività commerciale che richiede l’iscrizione nel Registro delle Imprese. Ogni anno devono quindi essere versati i diritti camerali.
  3. Iscrizione alla Gestione Commercianti dell’INPS – è obbligatorio l’iscrizione all’INPS alla Gestione Commercianti e al relativo versamento annuale dei contributi fissi (circa 4800 € fino a 15.000€ di fatturato annuo).

Come guadagnare da un blog: la partita iva

I guadagni derivanti dall’apertura di un blog, sono, per lo più, di modesta entità. Per questo motivo molti sono scoraggiati nell’aprire una partita IVA ad hoc. In realtà il legislatore fiscale ha ideato un regime fiscale perfetto per questo genere di situazioni: il regime forfettario.

Come abbiamo già visto in altri articoli, il forfettario è un regime agevolato che prevede una cospicua serie di vantaggi:

  • Applicazione del regime di cassa per la determinazione del reddito
  • Determinazione dei costi dell’attività con metodo a forfait
  • Esclusione dall’ambito di applicazione di:
    • Imposta sul valore aggiunto (IVA);
    • Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA);
    • Ritenute di acconto.
  • Applicazione obbligatoria fatturazione elettronica (sopra i 25.000 euro di compensi dell’anno precedente) per avere la possibilità di ridurre di un’annualità i tempi di accertamento.

Sicuramente si tratta di un regime molto agevolato per chi avesse intenzione d’iniziare una nuova attività di blogger.

Marca da bollo virtuale: costo, validità e funzione

La marca da bollo virtuale è un modo semplice e veloce per assolvere l’imposta senza dover esser costretti a andare fisicamente in tabaccheria ad acquistare la marca cartacea. Il 14 aprile 2017 è stata introdotta, per la prima volta in Italia, la marca da bollo virtuale. Nell’ottica della digitalizzazione delle procedure, per renderle più snelle e fluide, il sistema di pagamento virtuale si è rivelato efficace e apprezzato dagli utenti. Un sistema che vuole sostituire completamente l’utilizzo del contrassegno cartaceo.

Marca da bollo virtuale: cos’è e cosa serve

La marca da bollo è un contrassegno (adesivo fino a qualche anno fa) da applicare su documenti, atti, fatture (sulle fatture elettroniche si indica solo che è soggetta) e ricevute fiscali. La versione cartacea si acquista presso qualunque tabaccaio e ricevitoria autorizzata. Nell’aspetto è simile a un francobollo e possiede valore nominale pari a 2 euro, oppure a 16 euro.

Serve a convalidare atti ufficiali o adempiere all’onere tributario in sostituzione dell’IVA qualora non esigibile. Quindi consente di versare l’imposta di bollo. La marca da bollo virtuale, al pari di quella cartacea, sostituisce l’imposta dell’IVA quando non è applicabile. Essendo virtuale è utilizzabile esclusivamente per via telematica ed è acquistabile online e non in tabaccheria.

Acquisto marche da bollo virtuali

Le marche da bollo virtuali non sono propriamente acquistate, nel senso stretto del termine. Corrispondono, piuttosto, al versamento di un determinato importo. L’importo dovuto può essere versato utilizzando un modello F24 a seguito della richiesta e dell’ottenimento dell’autorizzazione ad Agenzia delle Entrate. Il tempo massimo per assolvere a quanto dovuto è pari a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio. La marca da bollo virtuale non ha scadenza.

Anche per quanto riguarda le fatture elettroniche, la marca da bollo virtuale può essere pagata versando l’imposta tramite il modello F24 e può essere apposta sulla e-fattura seguendo la medesima procedura.

Marca da bollo assolta in modo virtuale: le tipologie

Esistono diversi importi di marche da bollo virtuale. Le più comuni sono quelle da 2 e 16 euro stabilite dal governo Letta tramite decreto legge 43/2013. Fino ad allora le marche da bollo avevano importi inferiori, ovvero 1,81 euro e 14,62 euro.

Marca da bollo virtuale

Assolvimento marca da bollo in modo virtuale: quando è applicata

La marca da bollo virtuale è obbligatoria per tutte le fatture elettroniche e cartacee o ricevute fiscali d’importo superiore ai 77,47 euro, in quanto non soggette al versamento dell’IVA. Il DPR 642/72 impone l’obbligo del pagamento della marca da bollo per le seguenti fatture:

  1. esenti IVA
  2. emesse da soggetti che rientrano nel regime dei minimi o nel regime forfettario
  3. fuori campo IVA, ovvero in cui viene a mancare il requisito oggettivo o soggettivo
  4. fuori campo IVA per assenza del requisito territoriale
  5. non imponibili – come ad esempio la vendita di auto, navi, aerei e di ogni altro componente e/o prestazione di servizio destinati ai suddetti
  6. fatture non imponibili riguardanti servizi internazionali o relativi a scambi internazionali.

Sulle fatture relative a servizi internazionali relativi all’esportazione di merci, la marca da bollo non deve essere applicata e pagata.

Marca da bollo virtuale fattura elettronica: quando non è prevista

La legge vuole che la marca da bollo virtuale pari a 2 euro non debba essere corrisposta nei seguenti casi:

  • nelle fatture dove l’IVA risulta esposta, tuttavia la quota in esenzione non deve superare i 77,47 euro
  • fatture per esportazione di merce
  • documenti fiscali relativi a operazioni intracomunitarie
  • fatture in cui l’IVA risulta assolta in origine
  • operazioni di reverse charge

Mentre per le fatture cartacee la marca deve essere fisicamente apposta sul documento, per le fatture elettroniche basta indicare l’obbligo di versamento dell’imposta sul documento stesso inserendo il relativo valore nel campo previsto dal formato.

Infine, non è obbligatorio apporre la marca da bollo virtuale per i seguenti soggetti.

  • ONLUS con iscrizione presso l’Anagrafe dell’Agenzia delle Entrate
  • associazioni di volontariato con iscrizione presso il Registro regionale del Volontariato
  • ogni federazione sportiva ed Ente di promozione sportiva riconosciuta dal CONI

Il bollo in regime forfettario

Nel caso dei forfettari, la fattura elettronica (a meno che questa non superi l’importo di € 77,47) è sempre soggetta all’imposta di bollo di € 2,00 in quanto contiene importi esenti IVA regime forfettario (codice esenzione N2.2), di conseguenza deve sempre riportare l’indicazione.

Nel caso dei forfettari il bollo deve essere solo indicato e non addebitato, questo perché le somme che danno origine al bollo non sono anticipazioni (spese sostenute per conto del cliente art.15) ma i compensi del forfettario, come confermato dalla risposta n.248/2022 del 12 agosto dell’Ageniza delle Entrate.

Per effetto del fatto che si tratta di compensi e non di spese anticipate per conto del cliente, il bollo nella fattura elettronica di un forfettario non deve essere addebitato al cliente, qualora il bollo venisse inserito in fattura per avvalersi (senza alcun titolo) della rivalsa nei confronti del cliente, l’importo di 2 euro deve essere inserito in fattura con esenzione N2.2 (quella del regime forfettario) e sarà soggetto a tassazione (importi che concorrono all’utile), diversamente da come avviene per le anticipazioni, che non costituiscono utile d’impresa.

Le Sanzioni

I soggetti che non dovessero rispettare l’obbligo di pagamento della marca da bollo sono soggetti a sanzioni pecuniarie come stabilito dall’articolo l’articolo 23 del DPR 633/1972. Le sanzioni previste sono pari ad ammende che vanno da un 1 a 5 volte l’imposta evasa per ogni documento irregolare.

Dichiarazione annuale Iva: i soggetti esonerati nel 2022

La dichiarazione annuale IVA è un adempimento obbligatorio, in linea di massima, per tutti i contribuenti titolari di partita IVA. In pratica, chiunque eserciti un’attività d’impresa, arte o professione, è tenuto a presentarla. Nonostante l’obbligo sia imputato a tutti, il legislatore ha previsto comunque dei soggetti esonerati. Le categorie esentate da tale obbligo sono, di norma, regimi agevolati, come, ad esempio, quello dei forfettari o i contribuenti minimi. Ci sono comunque anche altre categorie che è bene ricordare in vista della dichiarazione annuale.

Dichiarazione annuale IVA: i soggetti esonerati nel 2022 (anno d’imposta 2021)

I soggetti che nell’anno d’imposta 2021 hanno registrato solo operazioni esenti (art. 10 Dpr 633/72) o hanno usufruito della dispensa dagli obblighi di fatturazione e di registrazione (art 36 bis) sono dispensati dall’obbligo di dichiarazione annuale IVA. L’esonero, però, non è applicabile nel caso in cui il contribuente.

  • Ha effettuato operazioni intracomunitarie
  • Deve eseguire rettifica della detrazione IVA (art. 19-bis2)
  • Ha acquistato prodotti per i quali l’imposta è dovuta da parte del cessionario (una regola che vale, ad esempio, per l’acquisto di oro, argento, rottami, ecc…)
  • Quando effettua operazioni non esenti riferite ad attività gestite con contabilità separata.

Dichiarazione annuale iva

Tra i vari soggetti esonerati dall’obbligo della dichiarazione annuale IVA ritroviamo anche:

  1. contribuenti che rientrano nel regime dei forfettari per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti e professioni;
  2. contribuenti che hanno goduto dell’agevolazione fiscale per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità;
  3. produttori agricoli con volume d’affari annuale inferiore a 7000 euro (volume che deve essere costituito almeno per i due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte dell’allegata tabella A del Dpr 633/72);
  4. attività di organizzazione giochi e intrattenimenti
  5. altre attività indicate nella tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, esonerati dagli adempimenti IVA ai sensi dell’art. 74, sesto comma, che non hanno optato per l’applicazione dell’IVA nei modi ordinari.

Dichiarazione annuale Iva: l’elenco continua con…

I soggetti elencati finora rientrano nelle casistiche previste dal legislatore come esoneri dall’obbligo di dichiarazione annuale Iva. Non si tratta, però, degli unici casi. Infatti, l’elenco previsto per il 2022 prevede anche:

  1. imprese individuali che hanno dato in affitto l’unica azienda e non esercitano altre attività rilevanti ai fini IVA;
  2. soggetti passivi d’imposta non residenti (art. 44, comma 3, secondo periodo del decreto-legge n. 331 del 1993) – questo vale solo nel caso in cui tali soggetti non abbiamo effettuato durante il 2021 operazioni non imponibili, o comunque non soggette all’obbligo del pagamento dell’imposta;
  3. Enti non commerciali, società sportive che hanno esercitato l’opzione per l’applicazione delle disposizioni recate dalla legge 398/91;
  4. soggetti domiciliati o residenti fuori dall’UE – in questo caso si tratta di soggetti non identificati in ambito comunitario, ma identificati fini dell’IVA sul territorio dello Stato in base alle modalità previste dall’art. 74. In questa categoria rientrano, tra gli altri, l’assolvimento degli adempimenti relativi ai servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici resi a committenti, non soggetti passivi d’imposta, domiciliati o residenti in Italia o in altro Stato membro.
  5. raccoglitori occasionali di prodotti selvatici non legnosi – soggetti che rientrano nella categoria identificata con codice Ateco30;
  6. raccoglitori occasionali di piante officinali spontanee, come stabilito dall’art. 3 del decreto legislativo n°21 maggio 2018, n°75, che non abbiano superato un volume d’affari annuo di 7000 euro, nell’anno fiscale precedente.

Fatturazione elettronica per Forfettari: si parte dal 1° luglio

La situazione odierna dei forfettari

Professionisti ed aziende cosiddetti forfettari non addebitano al cliente il pagamento dell’IVA dovuta per la transazione da parte del committente (in rivalsa). Questo tipo di contribuente viene inoltre esonerato non solo dagli obblighi di liquidazione e versamento dell’imposta ma anche da tutti gli obblighi contabili e dichiarativi previsti dal D.P.R. n. 633/1972 (registrazione delle fatture, dichiarazione IVA annuale, etc.). Far parte di questo regime fa sì che la fatturazione elettronica verso i privati non sia obbligatoria, tuttavia, a partire dal 1° luglio la fatturazione elettronica per forfettari cambierà.

Fatturazione elettronica per Forfettari: quando entrerà in vigore?

Come menzionato nel nostro ultimo articolo Fatturazione elettronica per Forfettari: obblighi e novità dal 2022. Grazie alla decisione presa dal Consiglio Europeo (decisione n. 2021/2251 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale UE del 17 dicembre 2021) e quella dello scorso 13 aprile dal Governo, ci saranno dei cambiamenti importanti nel nostro paese. In quest’ultima il Governo ha approvato un nuovo decreto urgente, dove si stipulano finalmente le tempistiche della e-fattura per i forfettari. L’obbligo inizierà dal 1° luglio di quest’anno.

E-fattura per Forfettari: le tempistiche

Fino a ora l’accesso al regime forfettario determinava l’esonero dall’obbligo di fatturazione elettronica verso i privati (come da articolo 1, comma 3 del decreto legislativo n. 127/2015). Si è provato, nel 2015, a incentivare all’utilizzo della fatturazione elettronica, con la legge di Stabilità, che stipulava che per i forfettari che utilizzano esclusivamente fatture elettroniche, l’accertamento per il termine di decadenza si sarebbe ridotto di un anno.

Nonostante ciò, a partire dal primo giorno del mese di luglio scatterà l’obbligo della fatturazione elettronica anche per il regime forfettario. Tuttavia, ci sono delle tempistiche da precisare. Secondo la bozza rilasciata negli ultimi giorni, il primo trimestre sarà strettamente transitorio. Questo significa che dall’inizio di luglio fino alla fine di settembre non scatteranno sanzioni. Inoltre per i sogetti con fatturato inferiore a 25 mila euro (soglia ancora in fase di definizione), la fatturazione elettronica non sarà ancora obbligatoria. 

Questo trimestre avrà lo scopo di dare l’opportunità alle persone e alle piccole imprese di adeguarsi ai cambiamenti.

 

Fatturazione elettronica per forfettari

Fatturazione elettronica per Forfettari: perché è necessaria?

L’obbligo di emissione, esclusivamente di fatture elettroniche per le partite IVA di regime forfettario, è espressamente richiesto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per provare a evitare in misura maggiore l’evasione fiscale. Questo permetterebbe di avere una migliore tracciabilità dei documenti, a differenza di quelli cartacei. Occorre però evidenziare che il passaggio all’utilizzo delle fatture elettroniche non ha avuto un impatto significativo sui costi a carico dei soggetti titolari di partita IVA, ma al contrario, ha permesso di automatizzare molti processi che oggi sono eseguiti in automatico, permettendo alle piccole aziende di alleggerire il peso della burocrazia sul personale e quindi un’ottimizzazione del lavoro dello stesso.

I suggerimenti di Fatturapro.click

La nostra missione fin dall’inizio è stata non solo di cercare una soluzione per l’assolvimento dell’imminente obbligo, ma di creare uno strumento che potesse trasformarlo in un’opportunità, capire come avrebbe potuto essere utile, migliorando e alleggerendo la vostra attività quotidiana.

FatturaPRO.click ha sviluppato un metodo che semplifica il processo di emissione del documento fiscale allo scopo di ottimizzare la gestione delle attività, introducendo strumenti davvero utili che automatizzano procedure, effettuano controlli, intercettano e limitano gli errori.

Se fai parte del regime forfettario e non emetti ancora i documenti in formato digitale FatturaPRO.click è la piattaforma giusta per te. Pensa in grande, pensa a quello che ti serve davvero ogni giorno. Cogli l’occasione, grazie a questa digitalizzazione che rende possibile ottenere in ogni momento le informazioni aggiornate che ti occorrono. 

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Tutto questo grazie alla Fattura Elettronica di FatturaPRO.click, certo puoi farne tranquillamente a meno, ma sei davvero sicuro che sia la scelta giusta? Anche il tuo più diretto concorrente la pensa così? Aspetterai fino alla fine del periodo transitorio, oppure ti organizzerai diversamente?

Sappi che non ti serve un programma di contabilità complesso per ottenere questi risultati. Serve, prima di tutto, lo spirito giusto, un po’ di lungimiranza e lo strumento adeguato per le tue esigenze: a quel punto risulterà una scelta naturale.

Certificazione unica istruzioni per i forfettari e novità del codice “24”

Oggi trattiamo un tema particolarmente importante: “certificazione unica istruzioni per forfettari e le novità introdotte dal codice 24”. Partiamo dicendo che il 16 marzo 2022 fissa la scadenza entro la quale i sostituti d’imposta devono inviare ad Agenzia delle Entrate le certificazioni dei redditi. Certificazioni che riguardano i redditi da lavoro dipendente, autonomo e redditi diversi. Il periodo di riferimento è l’anno 2021.

Quindi, i documenti che devono essere inviati sono:

  • Frontespizio – documento contenente le seguenti informazioni:
    • tipo di comunicazione
    • dati del sostituto
    • dati relativi al rappresentante firmatario della comunicazione
    • firma della comunicazione
    • impegno alla presentazione telematica
  • Quadro CT – contenente i dati relativi al modello 730-4 reso disponibile da Agenzia delle Entrate
  • Certificazione Unica 2022 – documento contenente:
    • dati fiscali e previdenziali relativi alle certificazioni lavoro dipendente
    • assimilati e assistenza fiscale e alle certificazioni lavoro autonomo
    • provvigioni e redditi diversi
    • dati fiscali relativi alle certificazioni dei redditi inerenti alle locazioni brevi

Certificazione unica istruzioni per i forfettari

La categoria dei lavoratori autonomi, comprende anche i contribuenti che rientrano sotto il regime forfettario. In base all’art. 1, comma 69 della Legge n. 190/2014, i forfettari non sono considerati sostituti d’imposta. Questo significa che, se ricevono una fattura assoggettata a ritenuta d’acconto, devono saldarla al lordo dell’importo indicato. Inoltre non sono obbligati al versamento delle ritenute d’acconto e, di conseguenza, a presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta, vale a dire il Modello 770.

Una situazione molto diversa rispetto ai contribuenti ritenuti sostituti d’imposta che rientrano nel regime ordinario, semplificato, o nel vecchio regime dei minimi che ricevono fatture dai forfettari. Questi,  infatti, hanno l’obbligo d’indicare, nelle Certificazioni Uniche, tutti i compensi corrisposti ai contribuenti forfettari. L’indicazione deve essere inserita nel quadro relativo alla sezione per i lavoratori autonomi.

Certificazione unica istruzioni

Certificazione unica istruzioni 2022: compensi erogati ai forfettari

La Certificazione Unica è composta da una serie di sezioni e quadri che devono essere compilati seguendo delle regole ben precise. Ad esempio, per quanto riguarda le istruzioni da seguire per compilare il documento relativamente ai compensi erogati ai forfettari, si devono rispettare le seguenti indicazioni:

  • Riquadro: “dati relativi alle somme erogate – tipologia reddituale” – indicare causale A per prestazioni di lavoro autonomo rientranti nell’esercizio di arte o professione abituale
  • Sezione “dati fiscali” punto “4” – indicare importo lordo corrisposto al forfettario. Questo deve essere comprensivo delle eventuali anticipazioni fatte al cliente ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 633/1972 e dell’eventuale rivalsa INPS al 4% ai fini previdenziali.
  • Riquadro “6” – il codice “12” presente esclusivamente nelle Certificazioni Uniche 2021 è oggi sostituito dal codice “24”. Questo significa che i contribuenti forfettari nel campo 6 devono riportare:
    • codice 24 per indicare i compensi non assoggettati a ritenuta d’acconto corrisposti ai soggetti in regime forfetario di cui all’articolo 1, della L. 190/2014.
    • codice “22”, nel caso di erogazione di redditi esenti ovvero di somme che non costituiscono reddito.

Certificazione Unica: scadenze

La certificazione unica deve essere correttamente compilata e inviata telematicamente ad Agenzia delle Entrate, entro e non oltre il 16 marzo 2022.

Infine, per le sole CU, contenenti esclusivamente redditi esenti, o non dichiarabili mediante la dichiarazione precompilata (Mod. 730), il termine di trasmissione è fissato al 31 ottobre 2022.

Infine si ricorda che entro il 21.03.2022, vale a dire entro i cinque giorni successivi alla scadenza prevista per l’invio telematico, si possono effettuare correzioni alle certificazioni inviate nei termini, senza incorrere in sanzioni.