Centrale Rischi: cos’è e come funziona la CdR della Banca d’Italia

La centrale rischi è uno strumento informatico creato dalla Banca d’Italia. Nel Bel Paese la maggior parte delle aziende ricorre al sistema bancario o al mondo finanziario, per ottenere credito, sotto qualunque forma. Per questo motivo le banche hanno bisogno di un sistema che consenta loro di effettuare molteplici accertamenti prima di concedere o meno credito alle attività. La centrale rischi, chiamata anche CR o CdR, permette loro di accedere a moltissime informazioni supplementari, rispetto a quelle che l’azienda fornisce al momento della richiesta dell’accesso al credito. Da questo sistema informatico è anche possibile capire se il soggetto richiedente è o no classificato come un cattivo pagatore. La decisione è completamente unilaterale da parte della banca che utilizza le informazioni della CR. Le stesse sono sempre più frequentemente utilizzate anche da clienti e creditori per effettuare controlli prima di entrare in affari con una controparte.

Centrale Rischi: cos’è

La centrale rischi è un sistema informatico che raccoglie informazioni sulla solvibilità degli utenti, sia persone fisiche che giuridiche. Queste informazioni sono poi fornite ai vari istituti di credito, oppure a clienti e fornitori che richiedono tale tipologia di controllo. I dati della CR sono gestiti o pubblicamente (quindi si parla di centrale rischi della Banca d’Italia), oppure privatamente (ad esempio Crif, ctc, ecc…).

Tutte le informazioni raccolte in questo sistema informatico sono importantissime sia a livello informativo, nella fasi di valutazione del credito (istruttoria e delibera), che per l’analisi e la gestione del credito stesso (monitoraggio). Tutte questi dati influenzano il rating finanziario di un’azienda.

CdR: a cosa serve

La CR ha un triplice scopo. Serve in primis a fornire una visione d’insieme dell’eventuale stato debitorio di soggetti singoli, imprese e famiglie. In secondo luogo serve ai clienti che possiedono un’ottima storia creditizia ad ottenere un finanziamento molto più velocemente e a condizioni agevolate. Infine è utile alle banche e alle società finanziarie per valutare la capacità dei clienti di restituire i finanziamenti concessi.

CR: come funziona

Nella centrale rischi sono raccolte tutte le informazioni che banche ed istituti finanziari comunicano a questo strumento. Affinché banche ed istituti possano lecitamente inviare questi dati al CR, devono essere regolarmente iscritti all’albo e/o all’elenco speciale previsto negli articoli 64 e 107 del TUB.

Le informazioni così convogliate all’interno del sistema informatico, sono accessibili in qualunque moneto da qualunque banca e/o istituti finanziario, per controllare la situazione creditizia reale di qualunque soggetto. Queste permette alle banche e agli istituti finanziari di tutelarsi dall’esposizione di eventuali rischi determinati dalla concessione di finanziamenti e fidi multipli.

Centrale Rischi

Soglie di registrazione

Un soggetto è inserito nella banca dati della centrale rischi con una soglia minima relativa alla propria posizione individuale di 30.000€. Questa è chiamata soglia di censimento. Invece per le soglie a sofferenza non c’è alcun limite minimo. Volendolo comunque identificare è molto basso e corrisponde alla somma di 250€.

La registrazione automatica all’interno della centrale rischi avviene quando un soggetto:

  • ottiene un finanziamento
  • risulta essere garantito dalla banca che concede un credito di firma e l’importo concesso supera la soglia di censimento
  • è garante del finanziamento di un altro soggetto (come ad esempio nel caso di una fideiussione, o di un mutuo prima casa, ecc.)

La Centrale rischi ogni mese riceve e raccoglie le informazioni da parte di ogni intermediario. Una volta raccolte ed elaborate, nonché aggiornate, tutte le informazioni, le restituisce agli stessi intermediari finanziari ed istituti bancari.

Centrale rischi e storia creditizia

La centrale rischi non è quindi solamente un mero elenco di cattivi pagatori. Raccoglie piuttosto l’intera storia creditizia dei soggetti iscritti. Contiene tutte le informazioni positive (regolarità di pagamento rate e chiusura rapporti finanziari), nonché quelle negative (difficoltà nel restituire il debito).

Questo vuol dire che se un soggetto non paga una rata non è inserito immediatamente e automaticamente nell’elenco della centrale rischi. Il creditore infatti, prima di segnalare il nominativo, valuta l’intera storia creditizia del soggetto, la complessità finanziaria della situazione e, alla luce di tutte le informazioni, decide se segnalare o meno il nominativo.

La centrale rischi gestita dalla Banca d’Italia ha quindi uno scopo pubblico, ma nel Bel Paese esistono anche altri archivi privatizzati, gestiti da diverse società che partecipano su base volontaria. Questi SIC, cioè sistemi di informazione creditizia, non sono assolutamente monitorati dalla Banca d’Italia. I meccanismi regolatori e di funzionamento sono disciplinati da precisi codici deontologici, consultabili direttamente sul sito del Garante per la protezione dei dati personali.

In questo caso per conoscere la propria posizione all’interno di queste banche dati è necessario contattare direttamente i SIC. La Banca d’Italia infatti non è assolutamente responsabile dei dati gestiti da organismi privati.

ISA: Indici sintetici di Affidabilità e compliance del settore economico

ISA, acronimo di indici sintetici di affidabilità, sono strumenti atti a verificare che, i titolari di partita IVA, professionisti ed aziende, rispettino la compliance del proprio settore economico. In altre parole sono elementi che hanno sostituito i vecchi studi di settore. Anche se si tratta di uno strumento di auto verifica, sbagliando la loro redazione l’attività incorre in precise sanzioni. Gli indici sintetici di affidabilità servono quindi a capire la situazione reddituale del contribuente, attraverso un’ auto dichiarazione. Gli ISA sono state introdotte nel 2018 e sono definite come compliance fiscale. Lo scopo finale di questo strumento è quello di capire se la situazione reddituale e fiscale del soggetto che presenta l’auto dichiarazione, è in linea con gli standard ipotizzati. Sono quindi utili a capire se le direttive del fisco sono state violate oppure no. Gli sono strumenti utilizzabili da chiunque abbia una partita IVA, anche per chi presenta dichiarazione dei redditi online.

ISA: caratteristiche e premi previsti

Il sistema degli ISA nasce per due motivi:

La norma che ne stabilisce le caratteristiche è il Decreto Legislativo n°50/17. Nel DL è indicato il funzionamento degli ISA e i regimi premiali previsti. Gli Indici sintetici di affidabilità funzionano sulla base di calcoli statistici basati su periodi d’imposta. Ogni anno il contribuente è soggetto a valutazione della propria attività e il risultato è espresso con una votazione compresa tra 1 e 10. A seconda del punteggio ottenuto, il contribuente può ottenere varie agevolazioni.

I soggetti che ottengono un punteggio pari ad 8, ottengono:

  1. esonero dal visto di conformità per la compensazione dei crediti d’imposta
  2. riduzione per un anno dei termini di accertamento dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo e dell’IVA.

I contribuenti che invece totalizzano un punteggio pari a 8,5, ottengono, oltre ai precedenti vantaggi, anche l’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.

Infine chi ottiene un punteggio compreso tra 9 e 10, ottiene:

  1. esclusione dall’applicazione della disciplina delle società non operative
  2. esclusione dalla determinazione sintetica del reddito complessivo

Gli ISA prevedono specifiche direttive che devono essere scrupolosamente seguite alla lettera. Qualora queste non venissero rispettate, sono previste sanzioni alquanto salate. È facile non ottenere la sufficienza perché basta veramente poco per sbagliare qualcosa della compliance. Ad esempio, le sanzioni sono applicate nel caso in cui:

  • qualche modulo è compilato in modo scorretto
  • sono effettuati pagamenti sbagliati
  • sono omessi del tutto i pagamenti
  • i moduli non sono presentati nella tempistica corretta

Per avere la certezza matematica che ogni documenti sia compilato correttamente e che non vi siano ritardi e/o imprecisioni, meglio rivolgersi ad esperti dottori commercialisti professionisti in materia.

ISA

ISA: soggetti inclusi ed esclusi

Gli ISA sono usati da imprese e liberi professionisti classificati e suddivisi in macro categorie: agricoltura, manifattura, commercio, ecc. Ogni macro categoria è poi suddivisa in tante piccole sottocategorie alle quali è assegnato un numero chiamato “indicatore”.

I soggetti esclusi sono davvero tanti, tra questi si ricordano, ad esempio:

  • contribuenti che hanno avviato la propria attività durante il periodo di imposta
  • soggetti che hanno chiuso la propria attività durante il medesimo periodo
  • chi eccede ai limiti di guadagno della propria categoria previsti dagli indicatori stessi
  • chi non svolge attività in maniera stabile e continuativa
  • i soggetti che rientrano sotto il regime forfettario
  • lavoratori in mobilità
  • i giovani imprenditori che rientrano sotto un regime agevolato
  • gruppo di volontariato
  • enti di promozione sociale (sempre a regime forfettario)
  • cooperative e consorzi che svolgono attività solo verso aziende socie

Nonostante quindi l’elenco dei soggetti esclusi dagli ISA sia molto lungo, che vi rientra e non rispetta le regole previste dagli indicatori, incorre in sanzioni.

ISA: soglia minima

Il voto minimo accettabile è il 6. Sopra questo valore il risultato è considerato positivo. Un risultato pari o inferiore a 6 invece può portare ad un accertamento da parte delle Agenzia delle Entrate. In questo caso il contribuente può accettare il punteggio inferiore al 6 ed esporsi ad eventuali accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, oppure adeguarsi al maggior reddito indicato nell’ISA, ottenendo così un punteggio superiore. In questo secondo caso il soggetto deve tassare e versare maggiore IVA su un importo di reddito presunto determinato dall’ISA. Così facendo è possibile evitare eventuali accertamenti.

Sanzioni amministrative

L’articolo 8 comma 1 del DL 471/97 stabilisce le sanzioni applicate in caso di omissione della comunicazione dei dati relativi ai fini della costruzione o dell’applicazione degli indici. Queste risultano pari ad importi compresi tra 250 e 2000 euro.

Lo stesso decreto prevede anche la possibilità per il soggetto di sanare le violazioni di natura fiscale tramite il ravvedimento operoso. Modalità e termini sono indicati nella norma stessa.

Diritto camerale: calcolo e pagamento alla Camera di Commercio

Il diritto camerale è una prestazione dovuta ogni anno alle varie Camere del Commercio da parte di tutte le imprese iscritte o annotate al Registro delle imprese. Si tratta di un diritto dovuto in base alla sede legale dell’impresa. Questo significa che l’impresa paga la Camera di Commercio (unità locali, sede secondarie o uffici di rappresentanza) della località dove ha sede legale. In caso le sedi si trasferiscano, allora il diritto va pagato alla Camera di Commercio in cui è ubicata la sede legale dal 1° gennaio dell’anno in corso.

Diritto camerale: soggetti obbligati e soggetti esonerati

Ci sono alcuni soggetti obbligati a pagare il diritto camerale ogni anno. Tra questi vanno ricordati:

  • Società a responsabilità Limitata (unipersonali)
  • Società per Azioni
  • Imprese individuali
  • Società in accomandita per azioni
  • Società di persone (in nome collettivo e in accomandita semplice)
  • Imprese agricole
  • Imprese non agricole
  • Cooperative
  • Consorzi
  • Enti economici pubblici
  • Enti economici privati
  • Aziende speciali e consorzi previsti dalla Legge n 267/00
  • Imprese estere con sedi locali in Italia
  • Società consortili a responsabilità limitata per azioni

Non tutte le imprese però sono assoggettate a questo obbligo. L’onere del pagamento, ad esempio, non grava su:

  • società per le quali è stato adottato un provvedimento fallimentare (salvo esercizio provvisorio di attività)
  • imprese per le quali è stata adottata una liquidazione amministrativa (salvo esercizio provvisorio di attività)
  • imprese individuali che hanno dichiarato e cessato l’attività al 31 dicembre dell’anno precedente e che hanno presentato la cancellazione al Registro delle Imprese entro e non oltre il 30 gennaio dell’anno corrente
  • società ed enti collettivi con bilancio finale di liquidazione già approvato e che hanno presentato domanda di cancellazione dal Registro Imprese sempre entro il 30 gennaio dell’anno in corso
  • Cooperative nei confronti delle quali le Autorità Giudiziarie, hanno adottato provvedimenti di scioglimento

Diritto camerale

Diritto Camerale per più unità locali

Le imprese che esercitano la propria attività in diverse unità locali dislocate in differenti zone del territorio, sono tenute a pagare il diritto camerale ad ogni Camera di Commercio nel cui territorio ha sede l’unità locale stessa. L’importo dovuto è pari al 20% di totale che corrisponde la sede centrale. Il pagamento è da eseguirsi utilizzando un modello F24 dove, ogni unità locale, deve occupare un singolo rigo per la quale dovranno essere indicati gli importi dovuti, la sigla della provincia di appartenenza, l’anno di riferimento e il codice tributo 3850.

Termine di pagamento e scadenze

Il termine di pagamento del diritto camerale coincide con la scadenza del primo acconto delle imposte sui redditi. Esistono delle eccezioni. Infatti per tutte quelle imprese che determinano l’importo dovuto per il diritto camerale, in base a precisi scaglioni di fatturato e le ditte che hanno approvato il bilancio entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, devono pagare entro:

  • 30 giugno – per il pagamento senza 0,40%
  • 30 luglio – per il pagamento con 0,40%

Inoltre le società che approvano il bilancio oltre i quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, devono versare il diritto camerale entro il 16 del mese successivo a quello di approvazione.

Infine, i soggetti che non approvano proprio il bilancio entro i termini stabiliti da legge, devono pagare il diritto camerale entro il 30 del mese successivo a quello in cui avrebbero dovuto approvare il bilancio stesso.

Quando le scadenza non sono rispettate, i soggetti possono comunque pagare entro il trentesimo giorno successivo alla scadenza, versando una somma maggiorata dello 0,40%. Se anche questa nuova scadenza non dovesse essere rispettata, il soggetto potrà comunque provvedere al pagamento entro un anno, avvalendosi del ravvedimento operoso.

Diritto camerale: come pagarlo

Il diritto camerale si paga versandolo in un’unica soluzione. Si paga utilizzando un modello F24. Su questo va sempre indicato il codice tributo 3850 nella sezione IMU ed altri tributi locali.

Il diritto annuale deve essere versato con arrotondamento all’unità di euro secondo le modalità indicate dalla nota MISE 3.3.2009 n. 19230.

Cosa succede quando non si paga il diritto camerale

I soggetti che non pagano il diritto camerale non possono ottenere le certificazioni da parte dell’Ufficio del Registro delle Imprese. Questo significa che chi non ha provveduto a pagare il diritto camerale non può ottenere alcun certificato da parte del sistema informatico nazionale delle Camere di Commercio.

Le imprese che non pagano, non hanno versato un importo sufficiente, oppure versano in ritardo, si possono avvalere del ravvedimento operoso. In questo caso il pagamento è sempre effettuabile con modello F24, ma stavolta i codici tributo da riportare sono:

  • 3852 per la sanzione, dovuta al ritardo del pagamento
  • 3851 per gli interessi.

Prima nota: registro di entrate e uscite

La prima nota è un documento contabile. Si tratta di un registro delle entrate e delle uscite della cassa che non è obbligatorio redigere, ma è sempre molto consigliato. In un’azienda infatti è sempre molto importante avere sotto controllo entrate ed uscite. Lasciare quindi traccia dei movimenti di denaro e dovendoli poi inserire nel bilancio d’esercizio, un registro aiuta a segnare in modo ordinato le entrate e le spese effettuate con i contanti. Un registro che risulta indispensabile per i movimenti economici quotidiani. Non ha una forma determinata, basta che contenga, in ordine di data, i movimenti e le operazioni finanziarie dell’attività. Si tratta di un registro che serve anche a trovare traccia di ogni evento esterno che ha coinvolto l’utilizzo di denaro contante. Risulta particolarmente importante, sia per i liberi professionisti, che per le aziende, perché molto spesso o movimenti in denaro sfuggono al controllo. Inoltre, se redatta correttamente, la prima nota, è un aiuto valido per preparare le varie scritture contabili all’interno del libro giornale.

Prima nota: la normativa di riferimento

La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 prevede che la prima nota acquista validità giuridica e fiscale quando è numerata regolarmente, bollata prima dell’utilizzo e, soprattutto, se contiene ogni operazione di gestione.

L’articolo 24 del DPR n. 633/1972, prevede inoltre che i commercianti al dettaglio esonerati dall’obbligo dei corrispettivi telematici, siano invece obbligati a redigere la prima nota. Sono inoltre obbligati a tenere correttamente un registro prima nota di cassa, quando il registro dei corrispettivi è conservato in un luogo diverso.

Un monitoraggio costante

Se la prima nota è tenuta correttamente, può rappresentare un valido riferimento per capire come sta andando l’azienda. Per redigerlo non esiste un modello standard, visto che non è obbligatorio. Esistono comunque delle regole di scrittura che ne assicurino una redazione precisa e puntuale.

Visto che si tratta di un registro giornaliero, che serve a tenere sotto controllo i movimenti dei contanti, deve riportare ogni singola operazione redatta e catalogata in ordine cronologico. Questo perché la prima nota riporta ogni transazione che deve poi essere trascritta nel libro giornale che raccoglie tutti gli eventi di gestione esterni.

Prima nota

I dati necessari e immancabili in una prima nota sono:

  • data
  • riferimenti specifici a documenti come ricevute, fatture, ecc…
  • importi singoli
  • importi totali
  • descrizione estesa ed esaustiva della natura della transazione eseguita
  • riferimento alla natura del documento contabile (fattura, ricevuta, ecc…)
  • partite fuori cassa (banca, o altro)

Prima nota di cassa e le operazioni da segnalare

Maggiore è la precisione con la quale la prima nota è redatta, maggiori saranno le informazioni da riportare poi più facilmente sul libro giornale. Tra le tante operazioni finanziarie che possono essere annotate nella prima nota ricordiamo:

Consegnare la documentazione al commercialista

La prima nota cassa è un documento da consegnare periodicamente al proprio commercialista. Il contabile infatti utilizza la prima nota integrandone le informazioni in essa contenute per predisporre i documenti di:

  • elenco fatture emesse e ricevute (ordinandole in base alla data di emissione)
  • elenchi ordinati di altra documentazione, come ad esempio, buste paghe, ricevute, quietanze di pagamento, estratti conto, ecc…

Di conseguenza è facile intuire come la redazione corretta della prima nota sia il primo passo da compiere per avere una contabilità attendibile e ordinata. Da questa poi, è possibile studiare l’andamento della propria attività, individuando e analizzando eventuali andamenti positivi e negativi relativi alla gestione stessa.

Da precisare comunque che, a differenza del libro giornale, la prima nota non è un documento fiscale. Nel libro giornale la registrazione è molto più rigida e dettagliata. La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 specifica infatti:

“Diviene un vero e proprio libro giornale con validità giuridica e fiscale quando è regolarmente numerato e bollato prima dell’uso e contiene tutte le operazioni di gestione di un’impresa”.

DIVENTA UN ESPERTO DELLA PRIMA NOTA

Scopri il nostro approfondimento: La prima nota secondo FatturaPRO.click

Cuneo Fiscale: cos’è e perché è necessario ridurlo

In un nostro precedente articolo: “Evasione fiscale: un fenomeno dilagante” abbiamo visto cos’è l’evasione fiscale, l’elusione fiscale e come il Governo italiano ha deciso di affrontare una volta per tutte questa piaga dilagante nel nostro paese. I primi veri passi sono stati mossi con l’adozione della fattura elettronica e dei corrispettivi telematici. Strumenti innovativi suggeriti dall’Unione Europea e prontamente adottati anche nel nostro Paese. Uno Stato che, come purtroppo ben sappiamo, vanta uno dei primati più tristi che ci siano. È infatti in vetta alla classifica europea degli Stati Membro con la percentuale di evasione fiscale più alta che ci sia. Altro grande fenomeno italiano, identificato con il nome di cuneo fiscale, è un ulteriore fenomeno che piaga l’Italia ormai da diversi decenni. Legato all’evasione perché sempre di tasse si tratta e del costante scoraggiamento che queste provocano nell’impiego privato e pubblico. In poche parole il cuneo fiscale è un indicatore. Vuole infatti segnalare gli effetti che la tassazione ha sul reddito dei lavoratori, sull’occupazione e il mercato di lavoro (di conseguenza anche sull’elusione e l’evasione fiscale).

Cuneo Fiscale: il costo del lavoro

Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette e contributi previdenziali) che gravano sul costo del lavoro. Un peso che schiaccia sia i lavoratori dipendenti, i liberi professionisti, ma anche i datori di lavoro stessi.

In altre parole il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta incassata dai dipendenti. A verifica del gravame su imprese e dipendenti, l’ISTAT ha condotto delle ricerche dalle quali è emerso che nel 2016, questo era pari al 46% del costo del lavoro. Un dato sconcertante. Per essere precisi il costo del lavoro è dato dalla somma delle retribuzioni lorde dei lavoratori e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Dallo studio ISTAT è quindi emerso che quello che rimane a disposizione dello stipendio al lavoratore, è poco più della metà del costo del lavoro stesso.

Tutto quello che rimane è il cuneo fiscale e contributivo, vale a dire la somma dell’imposta personale sul reddito da lavoro dipendente e dei contributi sociali del lavoratore e del datore di lavoro. La maggior parte è composto soprattutto dai contributi sociali dei datori di lavoro.

Inoltre è stata rilevata una sostanziale differenza di incidenza tra nord e sud Italia. Infatti nel nord Italia il costo del lavoro è nettamente superiore.

Lavoratore dipendente e cuneo fiscale

Per il lavoratore dipendente il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali

Cuneo Fiscale

Lavoratore autonomo e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito da:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Libero professionista e cuneo fiscale

Per il lavoratore autonomo il cuneo fiscale è costituito dalle seguenti imposte:

  • IRPEF
  • contributi previdenziali
  • IVA

Taglio del cuneo fiscale

Quest’anno è stato finalmente approvato il taglio del cuneo fiscale (l’ok da parte del Senato con a favore 254 voti). Con il decreto legge è attuata la norma della Legge di Bilancio con la quale sono stanziati oltre 3 miliardi per il 2020 e 5 miliardi per il 2021, atti a ridurre il carico fiscale.

Nonostante tutte le buone intenzioni dei vari Governi che si sono succeduti dal 2014 ad oggi, l’Italia è ancora uno dei paesi al mondo con il gravame fiscale più alto di tutti. Secondo il Taxing wages OCSE il peso delle tasse sul lavoro in Italia è infatti salito sopra il 49%, in confronto alla media che lo stesso ente ha registrato negli anni precedenti (pari a 35,9%).

Quindi il cuneo in Italia è da sempre uno dei più alti in Europa. In quasi tutti i paesi membri il maggior carico del cuneo è rappresentato dalla quota spettante all’impresa per i contributi fiscali e contributivi. Unica eccezione è la Germania dove tale quota grava maggiormente sul dipendente e non sul datore di lavoro.

Internazionalizzazione d’impresa: un futuro possibile e sempre più vicino

L’internazionalizzazione è un processo di penetrazione in nuovi mercati esteri da parte delle aziende nostrane. Le società si aprono sempre più frequentemente ai mercati esteri. I motivi di questa scelta sono svariati. Alcuni ad esempio lo fanno perché i mercati sui quali stanno già operando stagnano e non progrediscono (o addirittura retrocedono), in altri casi invece si prospettano semplicemente delle nuove opportunità di guadagno. Qualunque sia la motivazione di questa scelta è opportuno ponderarla e munirsi degli strumenti amministrativi e gestionali adatti a dirigere i vari aspetti economici e fiscali, per far fronte alle eventuali necessità (ne è un esempio il connubio “valuta estera e fatturazione elettronica”).

Internazionalizzazione: un nuovo modo di fare impresa

L’internazionalizzazione è evoluzione del tradizionale “fare impresa”. Si tratta infatti dell’apertura delle società locali ai mercati esteri, con i quali sono instaurati rapporti atti a vendere, e/o scambiare merce e servizi, produrre, acquistare materie prime e trovare, perché no, nuove fonti di finanziamento.

In questo processo le aziende presenti su un certo territorio entrano in contatto con aziende ed enti esteri, consumatori ed istituzioni operanti su diversi territori stranieri.

Molto spesso le società italiane decidono di ricorrere all’internazionalizzazione  perché:

  • il mercato locale è saturo
  • la concorrenza dei competitors è troppo alta e agguerrita
  • mancano stimoli al consumo
  • è presente un’eccessiva burocratizzazione che rallenta la produttività
  • le società sono oppresse da un elevato carico fiscale

I mercati stranieri allettano le imprese italiane per la presenza di una burocrazia snella  e una tassazione semplificata. Il processo di internazionalizzazione non è comunque privo di ostacoli. Per avvicinarsi ad un dato mercato estero è importante prima conoscere l’ambiente politico, sociale, economico e fiscale del paese con il quale si intende intrattenere rapporti commerciali.

In cosa consiste l’internazionalizzazione

In buona sostanza un’azienda sta compiendo il processo di internazionalizzazione quando svolge una delle seguenti attività:

  • produzione all’estero
  • esportazione all’estero dei propri prodotti
  • vendita all’estero dei propri prodotti
  • alleanze e coalizioni con partner stranieri
  • apporti di capitali di azionisti stranieri
  • creazione nei paesi stranieri di unità produttive locali

si tratta di un’ottima occasione di fare business all’estero.

Obiettivi dell’internazionalizzazione

Un’impresa italiana si interessa ai vari processi di internazionalizzazione per:

  • aumentare i propri ricavi
  • ridurre i costi di produzione
  • affacciarsi a nuovi sbocchi commerciali
  • delocalizzazione aziendale
  • ottimizzazione e/o riduzione del carico fiscale e del cuneo fiscale
  • trovare nuovi acquirenti

Internazionalizzazione

è possibile aspirare all’internazionalizzazione della propria azienda quando:

  • è ideato è ideato un nuovo prodotto adatto al mercato estero sul quale si vuole operare
  • esistono particolari opportunità di business
  • si hanno contatti e/o clienti all’estero
  • si hanno partner o contatti con papabili partner per la produzione all’estero
  • è possibile attirare eventuali investitori stranieri grazie a particolari prodotti e/o metodologie di produzione/lavoro
  • necessità di approvvigionamento presso fornitori esteri
  • è necessario ridurre i costi e trovare delle migliori condizioni economiche e fiscali all’estero

Internazionalizzazione: i requisiti

Non è possibile prendere in considerazione un processo di internazionalizzazione se prima non si valuta lo stato di “salute” della propria ditta. Non esistono regole precise da seguire, ma indubbiamente volersi affacciare ai mercati esteri è possibile quando la società ha una discreta solidità economica-finanziaria alle spalle, produce prodotti di qualità e adatti al target straniero, vanta prezzi competitivi sui mercati di destinazione, dispone di un sistema d’informazione affidabile e dispone infine di risorse temporali, economiche e umane per investire su un’altra piazza.

Immancabili dovrebbero essere anche interlocutori e controparti estere affidabili. Infatti poter fare affidamento su uno o più partner già presenti sul mercato straniero, significa riuscire a far fronte ad eventuali problematiche legate alla logistica, agli investimenti, ai pagamenti, ecc.

La migliore strategia

L’internalizzazione è sicuramente una buona carta da giocare per un’impresa che voglia avere maggiori opportunità di business. Affrontarla nel modo giusto però, significa fare affidamento ed essere affiancati durante il processo da professionisti in grado di stilare e strutturare un’adeguata strategia. Il tutto infatti deve essere realizzato tenendo conto delle caratteristiche intrinseche dell’azienda e degli specifici mercati d’interesse. Per questi obiettivi sono erogati anche diversi contributi a fondo perduto pubblici  nonché finanziamenti agevolati.

Istruzioni certificazione unica: modello, informazioni e aggiornamenti 2021

Il 15 gennaio 2021 Agenzia delle Entrate(AdE) ha emesso un nuovo provvedimento con il quale ha pubblicato il nuovo modello CU definitivo per l’anno in corso. Allegato al modello sono state inserite le relative istruzioni certificazione unica per una corretta compilazione. Molteplici le novità inserite da AdE, sia per quanto riguarda le voci aggiuntive (come ad esempio il nuovo bonus IRPEF 2021, o le voci relative all’emergenza Covid-19), che la nuova scadenza prevista per il 16 marzo per la trasmissione ad Agenzia delle Entrate. Rimane invece invariata la data del 31 ottobre 2021 il termine ultimo per la trasmissione della CU contenente i redditi esenti o non dichiarabili tramite certificazione unica precompilata.

Istruzioni certificazione unica: modello e novità

I sostituti d’imposta usano la CU per dichiarare i redditi di lavoro dipendente e assimilati, redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. In CU inoltre sono inseriti anche tutti i redditi derivanti dai contratti di locazione brevi relativi al periodo di imposta 2020.

Il 15 gennaio Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento “dichiarazioni fiscali 2021 modelli definitivi 730, CU, IVA e 770″. Provvedimento con il quale è stato quindi messo finalmente a disposizione il modello definitivo della CU con le relative istruzioni certificazione unica. Il modello è quindi quello che deve essere obbligatoriamente utilizzato da:

  • tutti i soggetti che durante il 2020 hanno ricevuto denaro o valori soggetti a ritenute alla fonte
  • coloro che hanno corrisposto contributi previdenziali e assistenziali e/o premi assicurativi dovuti all’INAIL
  • tutti i coloro che sono assoggettati alla contribuzione INPS, anche se hanno corrisposto somme e valori per i quali non è prevista l’applicazione delle ritenute alla fonte
  • titolari posizione assicurativa INAIL
  • Amministrazioni che operano come sostituto d’imposta

CU: le novità sulle informazioni contenute nel documento

Il provvedimento  di AdE ha introdotto una serie di novità sui contenuti della CU. Ogni certificazione unica infatti, deve contenere:

  • frontespizio – dove sono riportate le informazioni relative alla tipologia di comunicazione, ai dati del soggetto che inoltra la CU, i dati del rappresentante firmatario della comunicazione stessa, firma e impegno alla comunicazione telematica
  • quadro CT – in questa sezione sono da riportare tutte le informazioni relative alla comunicazione telematica dei dati relativi ai modelli 730 – 4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate
  • certificazione unica 2020 – sezione principale del modulo che deve contenere: dati fiscali, dati previdenziali, assistenza fiscale, certificazione lavoro autonomo, provvigioni, redditi diversi e i dati fiscali relativi alle certificazioni dei redditi relativi alle locazioni brevi.

Istruzioni certificazione unica

Certificazione Unica 2021: scadenze

Altra grande novità introdotta da Agenzia delle Entrate con il medesimo provvedimento del 15 gennaio, è quella relativa al calendario scadenze. Infatti il Decreto Fiscale 2020 e il Decreto Legislativo numero 9 del 2020 hanno stabilito un nuovo scadenzaria per far fronte anche all’attuale situazione pandemica dovuta alla diffusione del Covid-19. Entra quindi in ballo la scadenza unica datata 16 marzo (Consegna della Certificazione Unica ai lavoratori e Consegna dei dati CU all’Agenzia delle Entrate). Invariata invece la data del 31 ottobre 2021 pre presentare la CU relativa ai redditi esenti o non dichiarabili con CU precompilata.

La trasmissione della CU deve avvenire in forma telematica. Questa può essere fatta direttamente dal soggetto obbligato alla comunicazione, oppure tramite un intermediario abilitato.

Inoltre Agenzia delle Entrate specifica:

“Il flusso si considera presentato nel giorno in cui è conclusa la ricezione dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate. La prova della presentazione del flusso è data dalla comunicazione attestante l’avvenuto ricevimento dei dati, rilasciata per via telematica”.

Istruzioni certificazione unica 2021: modelli e novità fiscali

Quest’anno sono stati messi a disposizione due diversi modelli CU definitivi:

Assieme a questi sul sito di AdE sono presenti anche il Modello CU 2021 – Istruzioni dell’Agenzia delle Entrate  e la Certificazione Unica 2021 – Specifiche tecniche.

Molte le novità fiscali previste vista l’attuale situazione:

  • trattamento integrativo
  • detrazione redditi di lavoro dipendente e assimilati
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del sostituto del bonus IRPEF
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del trattamento integrativo in presenza di ammortizzatori sociali
  • attribuzione premio ai lavoratori dipendenti nel mese di marzo

Principio di competenza economica: cos’è e come si applica

Il principio di competenza economica, così come il principio di cassa, è un principio contabile. Si basa sulla correlazione tra costi e ricavi e serve per calcolare un preciso risultato economico che si riferisce ad un determinato lasso di tempo considerando solo costi e ricavi. Non prende in considerazione quello che potrà essere, né quello che è già avvenuto. Guarda solo ora e qui. Non prende quindi in considerazione la così detta manifestazione finanziaria. Un bilancio aziendale deve rispettare il principio di competenza economica sul quale si basa il calcolo annuale delle tasse. È un principio obbligatorio per la maggior parte delle aziende. Chi non vi è obbligato, significa che segue il principio di cassa. La competenza economica è materia di economia aziendale e si basa su tre diverse regole, chiamate, nello specifico, corollari.

Principio di competenza economica: che cos’è

Quando si parla di principio di competenza economica si generalizza semplicemente riferendosi ad una correlazione tra costi e ricavi. In realtà è più opportuno specificare che sono considerati di competenza i ricavi ottenuti dallo scambio o dalla produzione avvenuti e terminati nell’esercizio. Allo stesso modo si considerano di competenza quei costi sostenuti nell’esercizio stesso.

Per capire bene cos’è il principio economico basta fare un semplice esempio. Mettiamo che un imprenditore abbia emesso fattura elettronica a novembre, per un bene/servizio offerto durante lo stesso anno. Questa fattura elettronica però verrà saldata dal cliente solo a fine gennaio successivo, come precedentemente stabilito dagli accordi tra le parti. Questo significa che l’imprenditore non riscuoterà nulla fino ad anno nuovo. Nonostante il pagamento avverrà a distanza di qualche mese, tasse ed IVA previste e riportate in e-fattura devono comunque essere pagate. Questo perché una volta emessa fattura, questa deve comunque essere calcolata nel bilancio di chiusura.

In altre parole, quello che possiede manifestazione economica nel corso dell’anno, deve essere riportato in bilancio a prescindere dal reale movimento di denaro. Questo concetto vale sia per quanto riguarda i ricavi, che per quanto concerne i costi.

Assume quindi un ruolo di fondamentale importanza la manifestazione economica. Questa però è riconosciuta e gestita diversamente, a seconda del tipo di ricavo o di costo. Per quanto riguarda la vendita  o l’acquisto  di un bene/servizio è piuttosto facile, perché in questo caso la manifestazione economica avviene con l’emissione/ricezione della fattura elettronica.

Altro discorso invece i costi non finanziari, gli abbonamenti e/o affitti che si manifestano a cavallo tra più esercizi, la cui gestione è molto più complessa.

Principio di competenza economica: i tre corollari

I tre corollari altro non sono che regole utili a capire come e quando applicare il principio di competenza economica all’interno del bilancio. Indicano inoltre le scritture di assestamento e di rettifica per poterlo applicare.

1° Corollario

La prima delle tre regole del principio di competenza economica sostiene: “Non si possono imputare al conto economico costi o ricavi per i quali non siano stati conseguiti i relativi ricavi o sostenuti i correlativi costi”.

In altre parole, se non c’è stata una manifestazione economica, totale o parziale del ricavo/costo, allora questo elemento non può finire nel conto economico. Al contrario, quando un ricavo/costo dell’anno successivo ha invece manifestazione economica e quindi effetto, nell’anno in corso, deve allora essere registrato in bilancio. Questa operazione è possibile tramite:

Le prime, cioè le rimanenze, sono beni destinati alla vendita, o impiegati per la produzione degli articoli da rivendere, ma che rimangono in giacenza in magazzino al momento della chiusura dell’esercizio annuale. Le rimanenze sono classificate in:

  1. materie prime e semilavorati
  2. materie sussidiarie e di consumo
  3. prodotti in corso di lavorazione
  4. merci destinate alla rivendita
  5. prodotti finiti

Gli ammortamenti invece sono scritture di assestamento, vale a dire voci inserite nel conto economico solo al termine dell’esercizio. Queste voci riguardano solo beni durevoli, anche immateriali, dell’azienda, come ad esempio:

  1. capannone
  2. terreni
  3. macchinari
  4. veicoli

Infine i riscontri sono voci contabili che rettificano costi e ricavi la cui competenza cade a “cavallo” di due annualità.

Principio di competenza economica

2° Corollario

La seconda regola cita testualmente: “Si rinviano costi già sostenuti o ricavi già conseguiti al risultato economico dell’esercizio successivo, in quanto sia attendibile che, nel futuro esercizio, debbano essere conseguiti o sostenuti i correlativi costi o ricavi”.

Questo vuol dire che le rettifiche nell’anno in corso, diventeranno costi e ricavi per l’anno successivo.

3° Corollario

L’ultima delle tre regole del principio di competenza economica riporta: “È necessario imputare al conto economico costi o ricavi che durante l’esercizio non si sono manifestati finanziariamente, qualora i correlativi ricavi o costi abbiano già avuto sostenimento o conseguimento”.

Per dirla con altre parole sono ricavi e costi non sono ancora stati incassati o pagati, ma hanno già avuto manifestazione economica nel corso dell’esercizio:

  • Accantonamenti
  • Ratei

Dove viene applicata la competenza economica

Quasi tutti i bilanci seguono il principio della competenza economica, almeno buona parte di quelli previsti dal Codice Civile. Le società di persone e di capitali sono obbligate a farlo. I liberi professionisti e le ditte individuali invece che usano la contabilità semplificata non sono obbligati ad applicarlo, visto che possono invece seguire il principio di cassa.

Indagini Patrimoniali: recupero credito e report patrimoniale persone fisiche e giuridiche

Le indagini patrimoniali sono uno strumento utile e fondamentale per l’attività di recupero crediti. In Italia circa il 50% delle transazioni avviene a credito. Questo significa che il pagamento è fatto a 30, 60, o 90 giorni dalla data della fattura. Il Belpaese detiene anche un altro spiacevole record. È in vetta alla classifica per i ritardi dei pagamenti, rispetto alla media europea. Alla fine lo scenario che si prospetta, nella maggior parte dei casi, vede i creditori costretti ad inseguire i debitori per farsi pagare o saldare le fatture già emesse.

Esistono diversi strumenti a servizio di professionisti ed imprese che possono aiutare a far recuperare quanto dovuto. Qualche volta, prima di passare alle vie legali vere e proprie, è sufficiente dimostrare semplicemente la determinazione al recupero del credito. Per farlo è necessario ricorrere ad uno strumento potente, quanto sconosciuto ai più: l’indagine patrimoniale. Questa serve per capire la capacità patrimoniale del debitore e scoprire se il debitore ha sostanze più o meno aggredibili. È utile anche quando è necessario ricorrere alle vie legali per avere un quadro chiaro della situazione e degli eventuali beni pignorabili.

Report e Indagini patrimoniali

Dalle indagini patrimoniali è possibile ottenere il report patrimoniale. Questo è recuperabile sia che si tratti di persona fisica, che di persona giuridica. Anche se nella maggior parte dei casi si ha a che fare con imprese, i due report non differiscono molto l’uno dall’altro. In pratica nel documento sono riportati gli effettivi e verificati dati di residenza del soggetto interessato, nel caso di persona fisica, oppure la sede legale, per le persone giuridiche. È un’informazione molto importante ai fini legali, perché ogni comunicazione inviata a un indirizzo sbagliato, non ha alcuna validità legale.

Oltre a questo il report elenca:

  1. reperibilità del soggetto (persona fisica)
  2. operatività dell’azienda (persona giuridica)
  3. presenza di atti pregiudizievoli
  4. probabilità di successo dell’eventuale azione di recupero
  5. stima del patrimonio aggredibile
  6. azione consigliata per raggiungere l’obiettivo
  7. indicazione dell’eventuale presenza di protesti, pregiudizievoli di conservatoria o procedure concorsuali già attive.

Indagini Patrimoniali

Il report è suddiviso in sezioni nella quali è analizzata la situazione del soggetto, da un punto di vista lavorativo, di referenze bancarie, possesso di beni immobili, partecipazioni e quote azionarie, Beni mobili/autoveicoli intestati, negatività, Dati legali aziende collegate, Dati legali, sedi e dati di bilancio.

Negatività

Nota di attenzione sulle negatività. In questa sezione del report patrimoniale sono indicati eventuali protesti, pregiudizievoli di conservatoria e procedure concorsuali attualmente in essere. Queste sono informazioni molto importanti per capire l’effettivo stato patrimoniale e la situazione economica del soggetto. Capire infatti se ci sono altri creditori nei suoi confronti, può aiutare a stilare meglio il quadro generale della situazione per capire la strategia da intraprendere. Ad esempio, è in questa specifica sezione che sono indicati eventuali pignoramenti da banche, finanziarie e/o agenzie di riscossione tributi. La raccolta di questi dati evita di dover richiedere un’ispezione ipocatastale (che poi sarebbe quella con la quale si dimostra la titolarità immobiliare di un soggetto, eventuali gravami come ipoteche, pignoramenti e note di cancellazione di ipoteche parziali o totali).

Beni immobili

Nel report patrimoniale alla sezione beni immobili sono riportati tutti gli immobili (case, fabbricati, terreni, ecc…) intestati al soggetto dell’indagine patrimoniale. La verifica e l’accertamento è fatto a livello nazionale e per ogni immobile identificato sono riportati nello specifico tutti i dati catastali.

È comunque sempre consigliata una successiva verifica ipocatastale prima di procedere con eventuali azioni esecutive.

Beni mobili e auto intestate

Sezione di particolare interesse nell’ambito di recupero crediti. Qui vi sono infatti riportati tutti i veicoli intestati al soggetto. Per ciascun veicolo è indicato targa, marca e modello, date di immatricolazione e intestazioni.

I veicoli sono beni pignorabili e, se sono beni strumentali all’attività del soggetto, si trasformano velocemente in un mezzo valido a risolvere il contenzioso.

Associazioni datoriali: cosa sono, come funzionano e quali vantaggi offrono

In Italia esistono diverse associazioni datoriali. Le aziende che decidono di entrare a far parte di una o più associazione possono usufruire di diversi vantaggi. Quando si parla di sindacati il pensiero va subito alle associazioni per i lavoratori dipendenti (CGIL, CISL, UIL). In realtà esistono anche i sindacati di datori di lavoro, cioè al servizio delle imprese e dei titolari di partita IVA. Ogni associazione è organizzata a livello nazionale ed articolata in diverse divisioni e presidi territoriali. Queste hanno lo scopo di rappresentare e tutelare gli interessi di una specifica categoria. Forniscono inoltre servizi utili collettivamente ad ogni imprese aderente, mettendo a disposizione validi strumenti di gestione, amministrazione, propaganda e sostegno.

Associazioni datoriali: tipologie e caratteristiche

In Italia esistono centinaia di associazioni datoriali. Queste si suddividono in base alla categoria, alle dimensioni, al territorio geografico e al settore economico/industriale.

L’elenco completo ed esaustivo di ogni associazione datoriale attiva sul territorio è presente sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Riportiamo intanto una breve lista delle più importanti associazioni di categoria:

  • Confindustria – Confederazione Generale dell’Industria Italiana raggruppa e rappresenta le grandi imprese manifatturiere e di servizi italiani; comprende anche banche e aziende pubbliche (dal 1993)
  • Confcommercio – Confederazione Generale Italiana delle Imprese, delle Attività Professionali e del Lavoro Autonomo, è un organismo italiano di rappresentanza delle imprese impegnate nel commercio, nel turismo e nei servizi (settore terziario) che associa oltre 700.000 imprese

Associazioni datoriali

  • Confapi – Confederazione della Piccola e Media Industria Privata, nata nel 1947 che associa e tutela le PMI (conta 94.000 imprese aderenti per un totale di addetti di circa 900.000 sul territorio nazionale)
  • Confesercenti – associazione che rappresenta le piccole e medie imprese del commercio e del turismo, del terziario, dell’artigianato e della piccola industria (rappresenta 350 mila imprese italiane, per una occupazione di circa 1 milione di addetti)
  • Confartigianato – rete europea di rappresentanza degli interessi e di erogazione di servizi all’artigianato e alle piccole e micro imprese. È stata fondata nel 1946 e oggi rappresenta oltre 700.000 imprenditori associati
  • CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, che associa le imprese del settore artigiano. È una delle associazioni datoriali che fa parte del gruppo CNEL

E l’elenco continua…

  • Confetra – Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica, riunisce le imprese del settore del trasporto, della spedizione, della logistica e nonchè deposito delle merci
  • ANCE – Associazione Nazionale dei Costruttori Edili che associa le imprese edili nata nel 1946 e che rappresenta a livello nazionale gli imprenditori privati di ogni dimensione e forma giuridica, operanti nei settori delle opere pubbliche, dell’edilizia abitativa, commerciale, direzionale e anche industriale
  • Confagricoltura – Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana che associa agricoltori ed imprese agricole. È anche la più antica associazione datoriale in Italia
  • Coldiretti – è la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana.
  • Assicredito e ABI – Associazione Sindacale fra le Aziende del Credito, rappresenta le associazioni delle imprese del settore creditizio e anche finanziario
  • APA – Associazione Provinciale Allevatori
  • CIA – Confederazione Italiana Agricoltori
  • CIDEC – Confederazione Italiana degli Esercenti Artigiani e Commercianti e nonchè delle Attività del Terziario del Turismo e dei Servizi
  • Confcooperative – Confederazione Cooperative Italiane
  • Confedilizia – Confederazione Italiana Proprietà Edilizia
  • Confitalia– Confederazione Italiana degli Operatori Economici

 

L’elenco è molto più lungo, ma questo è sufficiente a far capire quanto e come siano rappresentate e tutelate le imprese italiane.

Associazioni datoriali per i liberi professionisti

Non solo le imprese, ma anche i liberi professionisti possono contare sulle associazioni datoriali. Tra queste, ad esempio,  ricordiamo:

  • Confprofessioni – organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia;
  • UNIALPCE Unione Italiana Autonoma Liberi Professionisti Comparto Economia rappresentativa delle categorie professionali economiche.
  • ALP, associazione che raccoglie i liberi professionisti di ogni categoria.
  • ANACI, associazione nazionale degli amministratori di condominio.
  • ANAPI, associazione nazionale dagli amministratori professionisti di immobili.
  • Assoingegneri, associazione degli ingegneri liberi professionisti.
  • ANAMA – Associazione Nazionale Agenti e Mediatori d’Affari
  • FIAIP – Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali
  • FIMAA – Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari

Contratti Collettivi di Lavoro

Le associazioni datoriali ogni anno si riuniscono per definire i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). Oltre a questo, a livello locale, le associazioni si occupano anche di discutere e analizzare questioni legate  a problemi lavorativi locali. Fungono anche da mediatori sindacali in casi di controversie. Quindi detengono un duplici ruolo. Da una parte sostengono il dialogo tra Governo ed imprese e dall’altro offrono servizi di tutela e assistenza diretta ad aziende, imprenditori e titolari di partita Iva.