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Fattura elettronica a privato senza partita IVA: ecco come fare in pochi semplici mosse!

Oggi può capitare (molto più spesso di quanto si pensi) di dover emettere Fattura elettronica a privato senza partita IVA. Sembra facile, soprattutto se ci si avvale di un software gestionale delle fatture elettroniche come FatturaPRO.click, ma in alcuni casi può sorgere qualche dubbio. Ad esempio, non tutti conoscono alla perfezione i campi obbligatori da compilare, o non sanno quali sono i dati che devono essere riportati, o ancora come fare a recapitargli il documento creato. Vediamo quindi di fugare ogni dubbio e cerchiamo di capire i passaggi fondamentali per una corretta compilazione, emissione e invio di una Fattura elettronica a privato senza p.IVA.

Fattura elettronica a privato senza p iva: obbligo di legge

Emettere Fattura elettronica a privato senza p.IVA è obbligatorio. È la legge a stabilirlo. Ed è obbligatorio sin dal primo gennaio 2019 per effetto della Legge di Bilancio. Una regola che riguarda tutte le operazioni B2C che hanno per oggetto la cessione di beni mobili e immobili effettuate da un soggetto IVA verso un cliente o un consumatore finale. Nonostante questa specifica esistono come 4 eccezioni alla regola principale. In altre parole alcuni soggetti sono esonerati dall’obbligo di emettere fattura elettronica a privato senza p.IVA. È questo il caso, ad esempio, dei contribuenti che agiscono nel regime forfettario. È comunque sempre possibile adottarla come scelta libera.

Fattura elettronica a privato senza p.IVA, senza codice destinatario e senza PEC

I privati senza partita IVA non hanno alcun obbligo di dotarsi di PEC, oppure di codice destinatario, anche se devono ricevere una fattura elettronica. Resta il fatto che, in alcuni casi, un’azienda o un professionista debba emettere fattura elettronica a privato senza p.IVA. In questo caso, in fase di compilazione della e-fattura, deve:

  • inserire il codice convenzionale: “0000000” (7 zeri) nel campo “CodiceDestinatario
  • Lasciare vuoto senza compilazione il campo “IdFiscaleIVA” e specificare solo l’eventuale Codice Fiscale del destinatario
  • Lasciare vuoto il campo “PECDestinatario”.

Inoltre il Provvedimento 89757 del Direttore dell’Agenzia delle entrate ha stabilito che:

  • Il Sistema di Interscambio recapita la fattura elettronica al destinatario direttamente nell’area riservata del sito di AdE
  • È obbligatorio consegnare al cliente una copia cartacea o digitale e informarlo che l’originale si trova sul sito dell’Agenzia delle Entrate

Inoltre è importante sapere che alcuni software/piattaforme sono in grado di convertire il formato XML in uno leggibile in altri formati desiderati.

E-fattura a privato senza p.IVA, senza codice univoco, ma con PEC

Può capitare che qualche privato abbia la PEC, ma non per questo il codice univoco. In questi casi allora bisogna:

  • inserire il codice convenzionale: “0000000” (7 zeri) nel campo “CodiceDestinatario
  • Lasciare vuoto senza compilazione il campo “IdFiscaleIVA” e specificare solo l’eventuale Codice Fiscale del destinatario
  • compilare il campo “PECDestinatario”.

Il sistema di Interscambio (SdI), questa volta, recapiterà alla PEC del destinatario la fattura elettronica. SdI mette comunque a disposizione del destinatario una copia della fattura all’interno dell’area privata sul sito di Agenzia delle Entrate.

Fattura elettronica a privato senza p iva

Privato senza p.IVA, con codice univoco

Anche se si tratta di un caso davvero molto raro, è pur sempre probabile. In questo caso, in fase di compilazione della fattura elettronica bisogna:

  • inserire nel campo “CodiceDestinatario” il codice comunicato
  • Lasciare vuoto senza compilazione il campo “IdFiscaleIVA” e specificare solo l’eventuale Codice Fiscale del destinatario
  • Compilare o meno il campo “PECDestinatario”.

Per quanto riguarda l’invio invece SDI recapita la fattura elettronica all’indirizzo corrispondente al codice destinatario.

Privato senza partita IVA e cliente estero

L’emissione di una fattura a cliente estero sena partita IVA è un caso piuttosto frequente, che deve essere gestito come segue:

  • inserire il codice convenzionale: “XXXXXXX” (7 volte X) nel campo “CodiceDestinatario
  • indicare nel campo “CodiceFiscale” il codice fiscale del destinatario
  • Lasciare vuoto senza compilazione il campo “IdFiscaleIVA” e specificare solo l’eventuale Codice Fiscale del destinatario

In questo specifico caso però il Sistema di Interscambio non è in grado di recapitare la fattura elettronica al destinatario. Questo perché non la può recapitare all’estero, visto che il sistema di fatturazione elettronica esiste (al momento) solo in Italia. Questo significa che la fattura deve essere consegnata a mano al cliente. Il formato può essere cartaceo, oppure digitale nella forma che lui desidera.

Tutto un altro discorso la compilazione della fattura elettronica a un destinatario avente partita IVA, oppure se è una Pubblica amministrazione.

Ravvedimento operoso 2021: cos’è, come funziona e quali sanzioni prevede

Il ravvedimento operoso è un istituto che permette ai contribuenti di sanare spontaneamente irregolarità fiscali, beneficiando di una riduzione delle sanzioni. Questo strumento è particolarmente utile in caso di:

  • Omessi o tardivi pagamenti di imposte e contributi
  • Errori in dichiarazione che hanno portato a un calcolo errato dell’imposta dovuta
  • Tardiva emissione di fatture elettroniche

Ravvedimento operoso 2021: quando si applica e quali sono i vantaggi

Lo strumento del ravvedimento operoso è utilizzabile da tutti (o quasi) privati cittadini e imprese. Introdotto in Italia dall’art 13 del Decreto legislativo n° 472 del 1997 ha portata a una diminuzione delle sanzioni applicabili a chi commette violazione fiscale. Si può utilizzare nei casi di:

  • versamenti omessi
  • pagamenti ritardati
  • versamenti errati o insufficienti
  • dichiarazione dei redditi omesse, oppure in ritardo, o ancora errate o insufficienti
  • comunicazioni omesse, presentate in ritardo o sbagliate

Ravvedimento operoso 2021

I vantaggi di sfruttare il ravvedimento operoso 2021 si possono riassumere in quattro diversi punti:

  1. pagare una sanzione ridotta in base al numero dei giorni del mancato, ritardato, o insufficiente adempimento
  2. avere la possibilità di saldare un tributo omesso, ritardato o insufficiente
  3. presentare comunicazione o dichiarazione dei redditi omessa
  4. pagare gli interessi di mora legali solo in base al tasso legale annuo stabilito dalla BCE

Ravvedimento operoso 2021: uno strumento versatile e potente

Il meccanismo di funzionamento di questo strumento è piuttosto semplice. In pratica un contribuente, cittadino o impresa che sia, che ha commesso una violazione fiscale, sa che può ricorrere spontaneamente al ravvedimento operoso 2021 per sanare la violazione stessa, pagando solo la sanzione ridotta, il tributo omesso e gli interessi di mora, calcolati sugli effettivi giorni di ritardo.

Il ravvedimento operoso è uno strumento per mettersi in regola spontaneamente. Nessuna lettera, comunicazione, o sollecito è inviata al contribuente per far presente che può pagare una sanzione ridotta, adottando questo sistema. È possibile usufruire del ravvedimento anche quando è già iniziata la procedura di accertamento della violazione, o la sua contestazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Il ravvedimento operoso 2021 è usufruibile solo per mettersi in regola con tributi e tasse dell’Agenzia delle Entrate: IRPEF, IVA, IRAP, imposta di registro, imposta ipotecaria, imposta catastale, di bollo, successione, ecc…

Anche i contribuenti che hanno già ricevuto una lettera di accertamento fiscale, possono ancora ricorrere all ravvedimento operoso. Non è invece più possibile farvi ricorso nei casi in cui la notifica è per atti di liquidazione, accertamento. Allo stesso modo non si può utilizzare questo strumento in caso di ricezione di comunicazione di irregolarità, emessa a seguito di controlli automatici, o del controllo formale delle dichiarazioni dei redditi.

Tipologie di ravvedimento operoso

Ne esistono di ben 5 diverse tipologie, suddivise in base alle percentuali sanzionatorie applicate. I ravvedimenti quindi possono essere:

  • sprint – se il pagamento è effettuato entro i primi 14 giorni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1%
  • breve – se il pagamento è effettuato dal 15° al 30° giorno dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1,5%
  • intermedio – se il pagamento è effettuato entro 90 giorni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’1,67%
  • lungo – se il pagamento è effettuato entro lo stesso anno della violazione (o meglio, entro la dichiarazione dei redditi successiva) e corrisponde all’3,75%
  • lunghissimo – se il pagamento è effettuato entro e oltre i due anni dalla scadenza del tributo/tassa e corrisponde all’4,95-5,00%

Calcolo del Ravvedimento Operoso per Tardiva Emissione Fattura Elettronica

In caso di tardiva emissione di fattura elettronica, il calcolo del ravvedimento operoso segue queste regole:

  1. Ritardo fino a 30 giorni: riduzione della sanzione a 1/10
  2. Ritardo tra 31 e 90 giorni: riduzione a 1/9
  3. Entro la scadenza dell’IVA annuale: riduzione a 1/8
  4. Entro un anno dalla scadenza IVA: riduzione a 1/7

Esempio Pratico

Per una fattura emessa con 45 giorni di ritardo:

  • Sanzione base: 250 euro
  • Riduzione applicata: 1/9
  • Importo da versare: 27,78 euro

Il pagamento va effettuato tramite modello F24, utilizzando il codice tributo 8911

Sollecito di pagamento: quando come e perché inviarlo

Qualche volta capita che liberi professionisti e imprese si trovino a dover fare i conti con alcuni clienti che tardano a effettuare i pagamenti dovuti. Si rendono spesso irreperibili a telefono e non rispondono alle mail. In questi casi diventa necessario ricorrere a precise misure di recupero credito e lo strumento da utilizzare è proprio il sollecito di pagamento. Si tratta di un documento ufficiale che, se redatto in maniera opportuna, può addirittura avere valore legale.

Fattura elettronica: le caratteristiche fondamentali

Per capire quando è il momento opportuno per inviare una lettera di sollecito di pagamento, è necessario partire dalla fattura. È questo infatti il documento ufficiale dal quale è possibile ricavare tutti i dati necessari per capire importi dovuti ed eventuali scadenze di pagamento concordate.

I dati obbligatori affinché la fattura sia ritenuta valida sono:

  • dati relativi a debitore e creditore – ragione sociale, partita IVA, residenza o domicilio
  • descrizione dell’operazione effettuata o del bene/servizio ceduto
  • importo richiesto
  • termini di pagamento
  • modalità di pagamento

Se il soggetto che acquista non è il consumatore finale, la legge allora prevede che il pagamento possa avvenire nei termini di 30 giorni (in alcuni casi 60), da quando la fattura elettronica è consegnata, dal termine della prestazione o dalla consegna del bene. Alla scadenza di questi termini, il fornitore ha diritto a sollecitare le fatture insolute.

Fatture elettroniche scadute: fatture aperte e non pagate

Nel caso di fatture elettroniche aperte e non ancora pagate, il fornitore può ricorrere all’invio di una lettera di sollecito di pagamento. Nel documento il soggetto invita il debitore ad assolvere a quanto concordato in fattura, rispettando i termini previsti e le modalità di saldo. Quando il mancato pagamento è legato a una involontaria dimenticanza, o una momentanea impossibilità, è possibile risolvere la questione in modo amichevole e informale. Non è quindi necessario ricorrere al sollecito di pagamento. In caso contrario invece, la lettera di sollecito è sicuramente lo strumento migliore per agire.

Sollecito di pagamento: primo avviso

Quando una fattura elettronica risulta aperta e non pagata e i termini previsti per il saldo sono scaduti, il fornitore può inviare un primo avviso al debitore. La prima lettera di sollecito in realtà è un promemoria abbastanza amichevole con il quale sono puntualizzati e ricordati al debitore le somme dovute e i termini, già decorsi, per effettuare il pagamento. Su questo documento sono inseriti i dati principali come il numero della fattura di riferimento, gli importi dovuti e le modalità di pagamento. Se la fattura sollecitata prevede un importo superiore ai 77,47€ allora deve anche essere applicata una marca da bollo di 2€.

Sollecito di pagamento

Sollecito di pagamento: secondo avviso

In questo secondo documento il creditore rafforza la propria richiesta e la propria posizione. Rammenta ancora una volta, ma con tono più deciso, la pretesa sull’importo ancora non saldato. Volendo è già possibile fare presente al debitore il ricorso alle vie legali, in caso di continuo mancato pagamento.

In questo atto devono essere contenuti tutti i dati della fattura (come per il primo sollecito di pagamento) e il riferimento (numero e data) del primo avviso già inviato. La modalità di invio è indifferente, perché hanno tutti la stessa validità. Si può quindi scegliere l’invio cartaceo per posta normale, oppure ricorrere a una semplice email, o ancora preferire il recapito di una PEC, per essere ancora più sicuri che venga consegnata.

Sollecito di pagamento: terzo e ultimo avviso

Il terzo sollecito di pagamento è anche l’ultimo. Se l’importo dovuto non è ancora stato saldato, il credito può rivolgersi a uno studio legale per chiedere di inviare un nuovo sollecito e costituisca la messa in mora del creditore.

La costituzione in mora attiva particolari e precisi effetti in favore del creditore:

  1. inizia la decorrenza degli interessi moratori, nella misura degli interessi legali, salvo comunque diversi accordi
  2. interrompe il termine di prescrizione
  3. inizia l’obbligo per il debitore di risarcire eventuali danni causati dal mancato pagamento
  4. la perpetuatio obligationis, ossia il passaggio in capo al debitore del rischio che la prestazione divenga impossibile

L’ultima lettera di sollecito pagamento deve obbligatoriamente contenere le somme dovute e deve anche apporre la marca da bollo di 2€ da annullare con inchiostro indelebile. Ultimo sollecito e richiesta di costituzione in mora sono da inviare a mezzo raccomandata A/R, oppure PEC, direttamente allo studio legale incaricato.

Lotteria degli scontrini: un venditore può rifiutare la partecipazione?

La lotteria degli scontrini è uno strumento con il quale Governo ed Agenzia delle Entrate vogliono combattere l’evasione fiscale. Insieme all’introduzione della fatturazione elettronica e ai corrispettivi telematici, la lotteria è stata creata appositamente affinché i negozianti emettano regolarmente scontrino fiscale. Nell’articolo: “Lotteria degli scontrini: che cos’è e come funziona” abbiamo visto cos’è nello specifico e quale meccanismo di funzionamento abbia. Volendolo riassumere in modo semplice e conciso, si può dire che la lotteria degli scontrini è una misura anti evasione, con il quale l’Esecutivo, spera di far rientrare, almeno in parte, il fenomeno dilagante dell’evasione fiscale. Qualunque soggetto maggiorenne e residente in Italia, che effettua acquisti di beni o servizi al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, arte o professione, può partecipare alla lotteria degli scontrini. E come ogni lotteria che si rispetti, anche quella statale mette in palio diversi premi in denaro attribuibili tramite estrazione mensile e annuale.

Lotteria degli scontrini: come si partecipa

La partecipazione alla lotteria è facoltativa. Per farlo è necessario recuperare dal Portale Lotteria un apposito codice lotteria. Questo deve poi essere comunicato all’esercente presso il quale è effettuato l’acquisto del bene/servizio. Il rivenditore deve comunicare ad Agenzia delle entrate ogni codice ricevuto. AdE infine fornirà all’Agenzia dei Monopoli tutte le informazioni raccolte per procedere alle varie estrazioni.

Gli acquisti con i quali concorrere alle varie estrazioni devono essere superiori ad 1€. Il codice rilasciato dal Portale Lotteria è alfanumerico a barre ed è generato partendo dal proprio codice fiscale. Il Portale Lotteria è strutturato con un’area pubblica, cui possono accedere tutti gli utenti interessati, e un’area riservata il cui accesso è consentito, attraverso lo SPID Livello 2, la Carta d’Identità Elettronica (CIE) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS).

Lotteria degli scontrini

Premi previsti per il 2021

I premi in palio nella lotteria degli scontrini sono diversi a seconda che il pagamento del bene/servizio, sia stato effettuato in contanti, piuttosto che con carta di credito.

I premi previsti per i pagamenti in contanti sono:

  • Estrazione annuale – 1.000.000 euro
  • Mensile – 30,000 euro (3 premi mensili)
  • Settimanale – 5000 euro (7 premi settimanali)

I premi previsti per i pagamenti con cashless sono:

  • Estrazione annuale – 5.000.000 euro
  • Mensile – 100,000 euro (10 premi mensili)
  • Settimanale – 25000 euro (15 premi settimanali)

Sono previsti premi anche per gli esercenti, ma solo per i pagamenti con carta. I premi prevedono:

  • Estrazione annuale – 1.000.000 euro
  • Mensile – 20,000 euro
  • Settimanale – 5000 euro (15 premi settimanali)

Lotteria degli scontrini: un esercente può rifiutarsi di partecipare?

Una domanda che in molti si pongono da quando è nata l’idea della lotteria degli scontrini, è quelle che prevede l’ipotesi nella quale un esercente si rifiuti di acquisire o trasmettere i codici lotteria e i dati della transazione.

Inizialmente il decreto legge che sanciva la lotteria, aveva previsto una serie di sanzioni amministrative, da 100 a 500€. I commercianti che avessero rifiutato di acquisire il codice fiscale del contribuente o non avessero trasmesso i dati della prestazione/cessione, avrebbero dovuto pagare una multa. Ma questo schema è stato definitivamente abbandonato, preferendo lo sviluppo di un processo che coinvolgesse direttamente i consumatori nella lotteria stessa.

In pratica adesso i venditori che si rifiutano di partecipare alla lotteria possono essere segnalati direttamente dai clienti. Le segnalazioni avvengono per via telematica alle autorità fiscali. Per segnalare un esercente che si rifiuti di partecipare alla lotteria è presente un’apposita sezione direttamente sul Portale Lotteria.

Questa strategia rischia di trasformarsi però in una vera e propria delazione fiscale, nella quale gli esercenti rischiano di essere segnalati come contribuenti fiscalmente a rischio. Questo perché le varie segnalazioni sono usate dal Fisco (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) per le analisi del rischio di evasione fiscale, così come disposto dal decreto legge n°201 del 2011. Questo significa che le varie segnalazioni dei contribuenti possono mettere in cattiva luce l’esercente che saranno esposti a maggiori controlli e vedranno abbassarsi il proprio rating fiscale.

Delazione fiscale e segnalazione esercenti

È chiaro quindi che un venditore “può” a tutti gli effetti rifiutare di partecipare alla lotteria degli scontrini, ma a proprio rischio e pericolo. Si tratta infatti di una situazione alquanto delicata. Basti pensare ad un esercente che non “possa” acquisire il codice fiscale e il codice lotteria di un contribuente, o che non possa trasmettere i dati ad AdE, a causa di un sovraffollamento nel negozio. In questo caso il malcapitato, potrebbe incappare in una segnalazione da parte di un contribuente a propria insaputa.

Non voler partecipare alla lotteria degli scontrini non costituisce di fatto una vera e propria “evasione” visto che l’emissione dello scontrino è stata comunque regolarmente effettuata e, di conseguenza, il suo importo concorre al calcolo del volumi d’affari e dei ricavi ai fini IVA e di altre imposte.

In pratica i contribuenti potrebbero trovarsi nelle mani uno strumento alquanto pericoloso e ritorsivo nei confronti dei commercianti. Alcuni potrebbero infatti arrivare a segnalare un commerciante al quale non sia stato addirittura richiesta nemmeno la partecipazione alla lotteria. Difatti ad oggi ai contribuenti non è chiesto alcuna altra precisazione in merito alle eventuali segnalazioni. Basta collegarsi al Portale Lotteria, nella sezione riservata, e procedere alla segnalazione.

Si spera quindi in nuovi e più dettagliati provvedimenti che possano evitare situazioni incresciose che mettono in cattiva luce i negozianti e che potrebbero portare a controlli a tappeto da parte del Fisco.

Prima nota: registro di entrate e uscite

La prima nota è un documento contabile. Si tratta di un registro delle entrate e delle uscite della cassa che non è obbligatorio redigere, ma è sempre molto consigliato. In un’azienda infatti è sempre molto importante avere sotto controllo entrate ed uscite. Lasciare quindi traccia dei movimenti di denaro e dovendoli poi inserire nel bilancio d’esercizio, un registro aiuta a segnare in modo ordinato le entrate e le spese effettuate con i contanti. Un registro che risulta indispensabile per i movimenti economici quotidiani. Non ha una forma determinata, basta che contenga, in ordine di data, i movimenti e le operazioni finanziarie dell’attività. Si tratta di un registro che serve anche a trovare traccia di ogni evento esterno che ha coinvolto l’utilizzo di denaro contante. Risulta particolarmente importante, sia per i liberi professionisti, che per le aziende, perché molto spesso o movimenti in denaro sfuggono al controllo. Inoltre, se redatta correttamente, la prima nota, è un aiuto valido per preparare le varie scritture contabili all’interno del libro giornale.

Prima nota: la normativa di riferimento

La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 prevede che la prima nota acquista validità giuridica e fiscale quando è numerata regolarmente, bollata prima dell’utilizzo e, soprattutto, se contiene ogni operazione di gestione.

L’articolo 24 del DPR n. 633/1972, prevede inoltre che i commercianti al dettaglio esonerati dall’obbligo dei corrispettivi telematici, siano invece obbligati a redigere la prima nota. Sono inoltre obbligati a tenere correttamente un registro prima nota di cassa, quando il registro dei corrispettivi è conservato in un luogo diverso.

Un monitoraggio costante

Se la prima nota è tenuta correttamente, può rappresentare un valido riferimento per capire come sta andando l’azienda. Per redigerlo non esiste un modello standard, visto che non è obbligatorio. Esistono comunque delle regole di scrittura che ne assicurino una redazione precisa e puntuale.

Visto che si tratta di un registro giornaliero, che serve a tenere sotto controllo i movimenti dei contanti, deve riportare ogni singola operazione redatta e catalogata in ordine cronologico. Questo perché la prima nota riporta ogni transazione che deve poi essere trascritta nel libro giornale che raccoglie tutti gli eventi di gestione esterni.

Prima nota

I dati necessari e immancabili in una prima nota sono:

  • data
  • riferimenti specifici a documenti come ricevute, fatture, ecc…
  • importi singoli
  • importi totali
  • descrizione estesa ed esaustiva della natura della transazione eseguita
  • riferimento alla natura del documento contabile (fattura, ricevuta, ecc…)
  • partite fuori cassa (banca, o altro)

Prima nota di cassa e le operazioni da segnalare

Maggiore è la precisione con la quale la prima nota è redatta, maggiori saranno le informazioni da riportare poi più facilmente sul libro giornale. Tra le tante operazioni finanziarie che possono essere annotate nella prima nota ricordiamo:

Consegnare la documentazione al commercialista

La prima nota cassa è un documento da consegnare periodicamente al proprio commercialista. Il contabile infatti utilizza la prima nota integrandone le informazioni in essa contenute per predisporre i documenti di:

  • elenco fatture emesse e ricevute (ordinandole in base alla data di emissione)
  • elenchi ordinati di altra documentazione, come ad esempio, buste paghe, ricevute, quietanze di pagamento, estratti conto, ecc…

Di conseguenza è facile intuire come la redazione corretta della prima nota sia il primo passo da compiere per avere una contabilità attendibile e ordinata. Da questa poi, è possibile studiare l’andamento della propria attività, individuando e analizzando eventuali andamenti positivi e negativi relativi alla gestione stessa.

Da precisare comunque che, a differenza del libro giornale, la prima nota non è un documento fiscale. Nel libro giornale la registrazione è molto più rigida e dettagliata. La Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/101 del 09/08/1979 specifica infatti:

“Diviene un vero e proprio libro giornale con validità giuridica e fiscale quando è regolarmente numerato e bollato prima dell’uso e contiene tutte le operazioni di gestione di un’impresa”.

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Scopri il nostro approfondimento: La prima nota secondo FatturaPRO.click

Pagamento in contanti: limiti e regole per il 2021

Per combattere l’evasione fiscale in Italia negli ultimi anni, sono state adottate diverse misure. Tra queste le più importanti sono sicuramente quelle legate all’adozione della fatturazione elettronica  e dei corrispettivi telematici. Va ricordato però che questi mezzi sono stati posti in essere per incentivare i pagamenti tracciati e disincentivare il pagamento in contanti. Questo rimane sempre possibile, ma sono stati fissati dei limiti e delle modalità precise, per arginare il fenomeno. Infatti anche per questo 2021 il limite previsto per i pagamenti in contanti è pari a 2000 €, anche se è già in corso l’approvazione per una maggiore restrizione per il 2022.

Il limite di pagamento in contanti è stato ritoccato dalla Legge di Bilancio 2020, che ha stabilito una soglia più bassa rispetto a quella precedente. La legge di bilancio ha infatti fissato il limite di soglia per i pagamenti in denaro e la tracciabilità delle spese detraibili IRPEF al 19%. Il limite fissato che varrà anche per tutto il 2021 è posto a 1999,99 euro. Precedentemente era pari a 2999,99 euro. Per il 2022 il governo ha previsto un’ulteriore stretta di vita, facendo scendere la soglia a 999,99 euro. Il limite vale per qualunque tipologia di pagamento, che si tratti di un prestito, un regalo, oppure una donazione (regola che vale anche tra parenti).

Pagamento in contanti: cosa stabilisce la legge di bilancio

In vigore dal primo luglio 2020 e valida per tutto il 2021, la Legge di Bilancio 2020, ha stabilito che è possibile eseguire pagamenti con carta moneta fino al massimo di 1999,99 euro. Allo scoccare dei 2000€ è richiesto obbligatoriamente il pagamento tramite l’utilizzo di strumenti tracciabili come il bonifico bancario, carta di credito, carte di debito, o assegni. Questo vale per i pagamenti tra persone e aziende, mentre non ha validità per quanto riguarda il prelievo o il versamento di somme di denaro sui propri conti correnti, in quanto considerati trasferimenti tra stesso soggetto.

Queste disposizioni porteranno a una non troppo lenta e progressiva diminuzione di circolazione di denaro contante. Alla regola sono comunque previste delle deroghe e delle esclusioni. È il caso, ad esempio, dei pagamenti di cittadini stranieri non residenti in Italia (altrimenti detti turisti) che effettuano pagamenti sul territorio nostrano. Loro infatti possono effettuare pagamenti in contanti oltre i 3000 € nei confronti di operatori di commercio al minuto, agenzie di viaggio e turismo.

Oneri detraibili IRPEF

Modificando le disposizioni previste per i pagamenti in contanti, sono cambiati anche gli oneri detraibili dall’IRPEF al 19%. Questi cambiamenti hanno interessato i pagamenti per spese:

  • mediche e mediche specialistiche
  • funebri
  • assicurazioni rischio morte
  • addetti all’assistenza personale nei casi di non autosufficienza
  • veterinarie
  • interessi passivi mutui prima casa
  • intermediazioni immobiliari per abitazione principale
  • frequenza scuole e università
  • erogazioni liberali
  • iscrizione ragazzi ad associazioni sportive, palestre, piscine, altre strutture e impianti sportivi
  • affitti studenti universitari
  • abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale

Pagamento in contanti

Quindi affinché queste spese possano essere detraibili al 19%  dell’IRPEF, devono essere sostenute usando delle modalità di pagamento tracciabile. Per quanto riguarda le spese mediche, i medicinali e le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o private accreditate al Servizio Sanitario Nazionale, potranno comunque ancora essere pagate in contanti.

Pagamento in contanti di stipendio

Dal primo luglio 2018 è vietato pagare uno stipendio in contanti. Il pagamento della retribuzione è possibile solo ed esclusivamente tramite bonifico bancario sull’IBAN del collaboratore/dipendente, oppure tramite pagamenti elettronici e assegni bancari/postali. Al momento rimangono ancora esclusi i rimborsi spese per le trasferte  e gli anticipi di spese per conto del datore o del committente.

I datori di lavoro o i committenti che non rispettassero l’obbligo di tracciabilità degli stipendi, sono soggetti a sanzioni amministrative pecuniarie che oscillano tra i 1000 e i 1500 euro.

Disincentivazione all’uso del contante

Per cercare di disincentivare la massimo l’uso del contante per pagamenti, il Governo ha ideato il famoso sistema chiamato cashback di Stato. Questo consiste in un rimborso in denaro a tutti coloro che effettuano abitualmente acquisti con metodi di pagamento tracciabili. Sono escluse le spese eseguite per attività d’impresa o esercizio di professione.

Principio di cassa: cos’è e come si gestisce in dichiarazione dei redditi

Nella determinazione del reddito, il principio di cassa assume un ruolo molto importante. È fondamentale nella dichiarazione dei redditi dei professionisti. Questi infatti in fase di dichiarazione annuale sono tenuti a verificare che i compensi dovuti per le prestazioni eseguite nel corso dell’anno, siano effettivamente incassati. Quindi il reddito dei professionisti è dato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute.

Mentre le imprese applicano il principio di competenza economica, i professionisti si attengono a quello di cassa. Secondo quanto previsto da questo fondamento, al calcolo del reddito concorrono solo i compensi effettivamente incassati nell’arco dell’anno. Allo stesso modo, solo le spese effettivamente sostenute nel corso del periodo d’imposta, possono essere considerate e ritenute valide per la deduzione. In quest’ultimo caso comunque esistono diverse eccezioni, come ad esempio i canoni di leasing, oppure la quota del TFR. 

I problemi, se così si possono definire, possono sorgere quando i pagamenti delle prestazioni avvengono a fine, o a cavallo dell’anno, oppure quando i saldi sono eseguiti non in contanti, ma con altre modalità di pagamento.

Principio di cassa e pagamenti in contanti

Si tratta del caso più semplice relazionato al principio di cassa. Nonostante il pagamento in contanti oggi sia sempre meno incentivato dalle autorità, dal mercato e dagli strumenti a disposizione dei professionisti (come la fattura elettronica e lo scontrino elettronico), rimane comunque una tipologia di pagamento accettata. In questo caso i pagamenti in contanti si considerano eseguiti completamente nel momento in cui il denaro entra nelle disponibilità del professionista. Il momento del pagamento, quindi, coincide con quello dell’incasso.

Principio di cassa e pagamento con bonifico (bancario o postale)

Il secondo caso prevede il pagamento eseguito sotto forma di bonifico bancario/postale. In questo caso l’importo pagato al professionista concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo quando riceve l’accredito sul proprio conto corrente.

Questo momento è individuato dalla così detta “data disponibile”. Quest’ultima indica la data dalla quale in poi il denaro è disponibile per essere utilizzato da parte del professionista. Vale solo e soltanto questa specifica data, mentre la data di valuta, la data di emissione ordine bonifico, oppure quella in cui la banca avvisa il cliente dell’accredito, non hanno alcuna rilevanza.

Qualche volta questa modalità di pagamento può dare vita a delle difficoltà. Questo avviene soprattutto quando il pagamento è eseguito a cavallo dell’anno fiscale. In altre parole il momento dell’incasso non coincide con quello utile per rilevare il periodo/mese in cui il soggetto che ha pagato, deve effettuare il versamento della ritenuta. Si tratta comunque di una problematica facilmente risolvibile. Infatti, in caso di verifiche e/o contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria, è necessario portare come prova gli estratti conti bancari dai quali è possibile attestare la data di effettivo incasso.

Principio di cassa

Principio di cassa e pagamenti con carte di credito

Altro caso sempre più frequente. I compensi per le prestazioni/servizi al professionista sono saldati mediante carta di credito. In questo funziona un po’ come per i pagamenti con bonifico bancario. Per la determinazione del reddito da lavoro autonomo fa fede la data dalla quale l’importo ricevuto si rende disponibile sul proprio conto corrente. In materia Agenzia delle Entrate non ha mai rilasciato nulla di preciso e ufficiale, ma nella pratica il principio di cassa ha seguito le stesse indicazioni in essere per i pagamenti avvenuti tramite bonifico bancario.

Assegni bancari e circolari

Per questa modalità di pagamento l’Agenzia delle Entrate (AdE) ha stabilito, mediante la circolare n° 38/E/2010, che ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo, il pagamento è ritenuto concorsuale al momento in cui la somma di denaro si rende disponibile al professionista, cioè quando l’assegno è consegnato in mano al lavoratore. Quindi, un assegno che rappresenta un titolo di credito che si sostanzia al mento dell’ordine scritto, secondo il principio di cassa, si considera ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo nel momento in cui il titolo di credito è consegnato al ricevente. Non conta invece, in questo caso, che la data di versamento e incasso dell’assegno sia successiva a quella di ricezione.

Pagamento con Carte di debito

Sempre più diffuse, le carte di debito rappresentano una delle molteplici modalità attraverso le quali i professionisti ricevono i propri compensi. Al pari dei pagamenti con bonifici bancari/postali, in base al principio di cassa per la determinazione del reddito da lavoro autonomo, la cifra si considera solo al momento in cui il denaro è reso disponibile sul conto corrente del ricevente.

 

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Cashback: spese incluse ed escluse dal rimborso

Nell’articolo: “Cashback: cos’è e come funziona”abbiamo visto l’introduzione di questo nuovo sistema ideato dall’Esecutivo per incentivare l’utilizzo di carte e bancomat per i pagamenti dei contribuenti. Il Cashback è un’ulteriore manovra che il Governo ha intrapreso per continuare a combattere contro il dilagante fenomeno dell’ evasione fiscale. Insieme allo scontrino elettronico  e alla fatturazione elettronica, questo sistema si prefigge di disincentivare l’uso dei contatti e contrastare evasione ed elusione fiscale.

A dicembre 2020 abbiamo assistito a una prima fase sperimentale del Cashback e adesso, chi ha raggiunto la soglia prevista delle dieci transazioni minime, attende il rimborso. Questo deve avvenire entro il primo marzo 2021, ma non tutti i pagamenti elettronici effettuati, danno diritto al rimborso. Ad esempio, chi voleva usufruire dell’iniziativa, ma è stato costretto a effettuare gli acquisti online, perché in “zona rossa” con negozi chiusi, è stato penalizzato. Ma ci sono molte altre spese che purtroppo non possono essere incluse e considerate per il calcolo del rimborso.

Cashback: le spese escluse

La diffusione della pandemia di Covid-19 e le relative misure di contenimento che hanno portato molte regioni italiane a passare diverse settimane in zona rossa, ha penalizzato l’iniziativa del Cashback. Questo perché in zona rossa negozi, centri commerciali e molte altre attività, sono dovute rimanere chiuse. Di conseguenza le persone che necessitavano di fare acquisti e al tempo stesso volevano partecipare all’iniziativa del Cashback, hanno dovuto ricorrere agli acquisti online.

Cashback

Purtroppo gli acquisti effettuati online e pagati con carte di credito, di debito, PayPal, o altri sistemi, non rientrano nella lista delle spese che permettono di accedere al Cashback di Stato. Nella lista delle spese escluse, tra le altre, ci sono anche quelle sostenute per l’esercizio della propria attività imprenditoriale, professionale, o artigianale. Ai fini del Cashback valgono, infatti, esclusivamente le spese personali.

Cashback: le spese incluse

Escluse quindi le spese online e quelle effettuate ai fini dell’esercizio della propria attività, vediamo quali sono quelle incluse nella lista. L’elenco è molto più ricco di quello che si possa pensare. Per ottenere il 10% di rimborso sulle spese effettuate nei periodi di riferimento è possibile sfruttare i pagamenti digitali. Questo significa che gli acquisti effettuati all’interno delle sedi fisiche delle attività, possono essere pagati tramite carte di credito, carte di debito, bancomat e/o app. Sistemi tracciati e rintracciabili che possono facilmente essere controllati dal Fisco.

Quindi è possibile fare acquisti in qualunque negozio, per quanto piccolo possa essere, purché abbia a disposizione un sistema di pagamento digitale. Addirittura anche un caffè al bar, o un panino in fast food possono essere pagati con carta o bancomat e concorrere così all’accumulo del Cashback.

Alla soglia prevista concorrono inoltre il pagamento di bollo auto e moto, assicurazioni, bollette utenze, carburanti e addirittura multe. Ma non solo. Anche gli importi dovuti ai professionisti e ai vari lavoratori a domicilio, come ad esempio idraulici, elettricisti, antennisti, ecc… Rientrano tra le spese incluse nel rimborso per il Cashback. Infine, da ultimo, ma non per importanza, nelle spese per il cashback, a differenza per esempio della lotteria degli scontrini, sono incluse anche tutte le spese detraibili e deducibili.

Conclusioni

In conclusione quindi, il cashback nonostante forse sia partito con il piede sbagliato, visto il periodo non esattamente molto propizio, ha una buona potenzialità di riuscita. Le persone sono predisposte a provare, anche se devono essere messe in condizione di poter sfruttare l’intero processo. Con l’ipotetica riapertura delle zone è probabile che il sistema prenderà uno slancio maggiore in futuro. Sicuramente una volta concretizzati i primi rimborsi, i contribuenti si renderanno conto meglio di come funziona il sistema e nei periodi successivi si comporterà di conseguenza.

Contrassegno telematico: cos’è, a cosa serve e come acquistarlo

Il contrassegno telematico è un certificato di pagamento dell’imposta di bollo. Il suo valore varia a seconda delle disposizioni di legge e da documento a documento. In passato esisteva solamente la marca da bollo cartacea, liberamente acquistabile anche in tabaccheria. Oggi, invece, è possibile comprare anche le marche da bollo telematiche, direttamente online. Il contrassegno telematico non ha una validità, una data di scadenza se vogliamo. Acquistandolo online non si compra un vero e proprio contrassegno, ma, piuttosto, si effettua un “versamento”.

La marca da bollo telematica consente quindi a privati e imprese di assolvere all’obbligo del versamento dell’imposta, richiesto per atti e documenti della Pubblica Amministrazione (PA).

Contrassegno telematico: come funziona

Volendo acquistare un contrassegno telematico è necessario utilizzare il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate che si chiama @e.bollo. L’acquisto è addebitato direttamente sul proprio conto corrente, oppure su carta di debito o su carta prepagata tramite il sistema PagoPa. Per farlo basta scegliere un prestatore di servizi di pagamento abilitato al servizio, che abbia aderito alla convenzione tra AgID e Agenzia delle entrate.

Al momento comunque, l’unico prestatore che abbia aderito al servizio è quello rappresentato dall’Istituto di Pagamento del sistema camerale.

Dove acquistare il contrassegno telematico

Attualmente non è possibile acquistare ovunque la marca da bollo online. Infatti, per ora, il servizio è attivo e utilizzabile esclusivamente tramite i portali internet delle PA che offrono servizi interattivi di dialogo tra utenti che rilasciano documenti elettronici e che hanno aderito al Sistema dei pagamenti elettronici o pagoPA dell’AgID.

Per il momento è questa la situazione, piuttosto limitata quindi, ma in futuro sono previsti dei cambiamenti e notevoli miglioramenti. Gli utenti infatti potranno acquistare le marche da bollo online via PEC con le relative amministrazioni, oppure direttamente presso i PSP convenzionati, attraverso appositi servizi predisposti utilizzando il proprio smartphone, tablet o PC.

L’acquisto online del contrassegno telematico vuole portare alla completa digitalizzazione la richiesta di atti pubblici e documenti della Pubblica Amministrazione, per i quali è ancora obbligatorio il versamento dell’imposta di bollo. In questo modo di andrà a dematerializzare e a semplificare il rapporto tra PA, cittadini e imprese.

Contrassegno telematico

Marca da bollo digitale: quando e come usarla

La marca da bollo è regolamentata dall’art.3 del DPR 642/1972. La norma stabilisce che la marca da bollo è obbligatoria ogni volta che si vuole ottenere l’emanazione di un provvedimento amministrativo o di un relativo atto pubblico. La legge stessa prevede comunque casi specifici di esonero dal pagamento. È questo il caso, ad esempio, della richiesta di documenti e/o istanze da ONLUS, federazioni sportive, enti di promozione sportiva riconosciuti CONI e le organizzazioni di volontariato.

Contrassegno telematico e fatture

Le fatture esenti IVA, come ad esempio quelle emesse in regime forfettario, di importo maggiore a 77,47€ richiedo il pagamento di una marca da bollo da 2,00€. Per assolvere telematicamente alla richiesta è necessario compilare un modulo di dichiarazione consutiva. Questo deve essere presentato entro il 31 gennaio successivo all’anno di imposta. La dichiarazione deve riportare l’elenco dei documenti fiscali emessi nell’anno solare precedente, sui quali è necessario apporre la marca da bollo virtuale. La trasmissione di questa dichiarazione è possibile esclusivamente online.

Il pagamento della marca da bollo elettronica avviene utilizzando apposito modello f24 con relativi codici tributo:

  • 2505: in caso di rateizzazione dei versamenti
  • 2506: pagamento dell’acconto
  • 2507: pagamento di eventuali sanzioni
  • 2508: pagamento di eventuali interessi

Contrassegno telematico e fatture elettroniche

Chi emette fatture elettroniche ha la possibilità di acquistare la marca da bollo virtuale con le stesse modalità delle vecchie fatture. Il consuntivo con l’elenco dei documenti che richiedono l’apposizione della marca da bollo deve quindi essere presentato entro il 31 gennaio dell’anno d’imposta successivo. Il pagamento avviene sempre tramite nodello F24.

Istanze trasmesse alle Pubbliche Amministrazioni

Le istanze trasmesse alle PA richiedo apposizione e pagamento di marca da bollo. Anche in questo caso il contrassegno può essere comprato online attraverso il portale @e.bollo sul quale è possibile acquistare la marca da bollo forfettaria del valore di 16€ indipendentemente dalle dimensioni del documento.

Bonus bancomat 2020: come funziona e quali acquisti sono validi

Nell’articolo precedente: “Cashback: cos’è e come funziona” abbiamo introdotto l’argomento del nuovo programma governativo per incentivare i pagamenti con bancomat e carte di credito. Il bonus bancomat, è un programma che vuole essere una nuova arma contro l’evasione fiscale, assieme ai corrispettivi telematici e alla fatturazione elettronica, nostre vecchie conoscenze.

Il 28 novembre 2020 il decreto attuativo del MEF (Ministero dell’economia e delle finanze) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Pronto ormai anche il sito Cashless Italia, dove è possibile trovare tutte le informazioni relative al programma. Il piano Italia cashless prevede anche alcune novità sulla lotteria degli scontrini, alla quale ora è possibile partecipare solo con i pagamenti elettronici e non più con quelli in contanti.

Importante sottolineare subito che non sono validi ai fini del cashback, gli acquisti eseguiti online. Valgono solo e soltanto quelli fatti nei negozi fisici e pagati tramite bancomat o carta di credito, oppure app accreditate. I rimborsi ottenuti tramite cashback e i premi della lotteria degli scontrini, sono “esentasse”.

Bonus bancomat 2020:il programma dall’8 dicembre

Il programma sperimentale del bonus bancomat 2020 inizia dall’8 dicembre 2020. Il programma è ideato per contrastare l’evasione fiscale, incentivando l’uso dei pagamenti elettronici con carte di credito e bancomat. In questo modo il flusso dei soldi è maggiormente controllabile.

Ricapitoliamo velocemente come funziona:

  1. erogazione rimborso semestrale
  2. rimborso diretto in conto corrente
  3. pagamenti validi solo quelli con carte di credito e bancomat
  4. bonus pari al 10% degli importi spesi con mezzi tracciabili
  5. tetto massimo rimborsabile 3000€ annui
  6. soglia massima rimborsabile a semestre 1500€.

Bonus bancomat 2020

Dall’8 dicembre parte il periodo sperimentale. Gli utenti possono scaricare l’app IO e partecipare al programma. Basta cancellare l’app per smettere di parteciparvi. L’app permette di controllare i pagamenti effettuati per i quali è valido ricevere il rimborso del 10%. A dicembre bastano 10 pagamenti elettronici per sbloccare il cashback del 10%. Le transazioni validi sono quelle fino a un valore massimo di 150€ per singola operazione. Le transazioni di importo superiore a 150 euro concorrono fino all’importo di 150 euro, fino a una spesa massima di 1.500 euro.

Il rimborso spettante per il mese di dicembre 2020, è erogato a febbraio 2021. Possono partecipare al programma solo i maggiorenni residenti in Italia. Ogni componete di una famiglia può partecipare e i rimborsi possono essere cumulati.

Come pagare per partecipare

Per aver diritto al bonus bancomat 2020 i pagamenti validi sono quelli eseguiti con:

  1. carte di credito
  2. carte di debito
  3. prepagate (Amex, Bancomat, Diners, Maestro, Mastercard, PostePay, VISA, V-Pay)
  4. app per pagamento digitale (come ad esempio Satispay, Google Pay ed Apple Pay dal 2021).

Dal 2021 il numero minimo delle transazioni passa da 30 a 50. I periodi di riferimento sono:

  1. 1° gennaio 2021 – 30 giugno 2021;
  2. 1° luglio 2021- 31 dicembre 2021;
  3. 1° gennaio 2022 – 30 giugno 2022.

I rimborsi sono erogati luglio 2021, gennaio 2022 e luglio 2022.

Bonus bancomat 2020: spese incluse ed escluse

Gli acquisti online non sono compresi nelle spese per aver diritto al cashback. Gli acquisti quindi devono essere effettuati nei negozi fisici e pagati con carte di credito, prepagate, carte di debito o bancomat, oppure tramite app.

Sono escluse anche tutte quelle spese eseguite per svolgere attività imprenditoriali, artigianali e professionali. Escluse anche le operazioni tramite sportelli ATM, come ad esempio le ricariche telefoniche. Non sono inoltre compresi i bonifici SDD per addebiti diretti su conto corrente e le operazioni ricorrenti con addebito su carta di credito.

App IO, SPID e Carta di Identità Elettronica

Per partecipare al programma è necessario scaricare l’app Io della Pubblica Amministrazione. Per accedervi è poi necessario avere lo SPID o la Carta di Identità Elettronica.

Chi non è ancora in possesso di queste credenziali potrà comunque partecipare al cashback statale di Natale usando una di queste app:

  1. Satispay
  2. Hype
  3. Nexi Pay
  4. Yap