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Dichiarazione Irap: cosa è cambiato nel 2023

La dichiarazione Irap, acronimo di Imposta Regionale sulle Attività Produttive, è un adempimento fiscale che riguarda le imprese e gli enti che svolgono attività di produzione, commercio e servizi, con l’eccezione delle persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni a partire dal 2022. Questa imposta è calcolata sulla base del valore aggiunto prodotto dall’attività svolta ed è utilizzata dalle regioni per finanziare le spese per l’infrastruttura e i servizi pubblici locali. La dichiarazione Irap deve essere presentata annualmente entro i termini previsti. I soggetti tenuti al pagamento dell’imposta devono compilare un modello apposito indicando i dati relativi al periodo d’imposta e il valore della produzione netta.

Modello Irap: termini di presentazione 2023

In conformità con il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze datato l’11 settembre 2008, la dichiarazione IRAP deve essere presentata (ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni) entro i seguenti termini:

  1. Per le società semplici, le società in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché per le società e associazioni a esse equiparate, il termine è fissato al 30 novembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta;
  2. Per i soggetti all’imposta sul reddito delle società, nonché per le amministrazioni pubbliche il termine è fissato nell’ultimo giorno dell’undicesimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta.

Dichiarazione IRAP: esclusione delle Partite IVA

Si ricorda che, a partire dal 1 gennaio 2022, con una novità introdotta dalla legge di bilancio 2022, le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni sono escluse dai soggetti obbligati al pagamento dell’IRAP.

A seguito di questa modifica legislativa, il modello per l’anno d’imposta 2022 ha subito delle modifiche. Ed è quindi stato eliminato il Quadro IQ.

Restano invece soggetti all’imposta regionale sulle attività produttive IRAP: gli studi professionali associati, le società di persone, le società di capitali, gli enti commerciali in generale e gli enti del terzo settore.

Dichiarazione Irap

Dichiarazioni IRAP: deduzioni per i dipendenti, istruzioni per la compilazione

A seguito delle novità introdotte dal DL Semplificazioni DL n. 73/2022, poi convertito in legge n. 122/2022, la struttura della sezione I del quadro IS nella quale devono essere indicate le deduzioni previste dall’art. 11 del DLgs. 446/97, ha subito delle modifiche.

In particolare, le modalità di deduzione dal valore della produzione dell’intero costo relativo al personale dipendente a tempo indeterminato, e la conseguente indicazione nella dichiarazione IRAP, è notevolmente semplificata.

Si evidenzia, nel nuovo Quadro IS, la presenza del rigo IS7 per le deduzioni del costo per il personale dipendente a tempo indeterminato.

Come specificato nelle istruzioni, nel rigo IS7:

  1. nella colonna 2 va indicato l’importo della deduzione del costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato prevista dal comma 4-octies, dell’articolo 11, come modificato dall’articolo 10, comma 1, del decreto legge 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2022, n. 122
  2. nella colonna 1 del rigo IS7, invece, va indicata la quota della deduzione di cui all’articolo 11, comma 4-octies, fruita per i lavoratori stagionali già ricompresa nella colonna 2 del medesimo rigo.

La dichiarazione IRAP è importante poiché permette alle aziende di adempiere all’obbligo di versare l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP). Come abbiamo detto, questa imposta è calcolata in base alla somma degli elementi costitutivi del valore della produzione dell’azienda e, in alcuni casi, anche in base ai costi del personale dipendente. La dichiarazione è quindi un importante strumento di monitoraggio fiscale per le amministrazioni pubbliche e consente alle aziende di adempiere al proprio obbligo fiscale in modo corretto e tempestivo.

Chi non può aprire una partita iva: categorie e casistiche

L’apertura di una partita IVA rappresenta il primo passo per diventare imprenditore o professionista autonomo. Ma non tutti possono aprire una partita IVA. Ci sono categorie di persone che non possono farlo per diverse ragioni. In questo articolo, vedremo chi non può aprire partita IVA e le casistiche che ne derivano.

Chi non può aprire una partita iva: dipendenti pubblici

Una delle categorie di persone che non può aprire una partita IVA sono i dipendenti pubblici. Questi lavoratori, infatti, non possono aprire una partita IVA per le attività che svolgono all’interno della propria istituzione, a meno che non si tratti di attività accessorie e non concorrenti con il lavoro principale. In altre parole, un professore universitario non può aprire una partita IVA per insegnare nella propria università, ma può farlo per dare lezioni private. Lo stesso vale per un medico delle strutture pubbliche. Non può aprire una partita IVA per svolgere attività medica all’interno dell’ospedale, ma può farlo per esercitare la professione in studio privato.

È importante sottolineare che i dipendenti pubblici non possono aprire una partita IVA per svolgere attività che possono interferire con il loro lavoro principale o che potrebbero causare conflitti di interesse. Questo perché, come previsto dalla normativa, i dipendenti pubblici devono svolgere il proprio lavoro con imparzialità, neutralità e trasparenza.

In ogni caso, i dipendenti pubblici che desiderano avviare un’attività imprenditoriale o professionale possono farlo solo se ottemperano alle normative vigenti e ottenendo preventivamente l’autorizzazione del proprio datore di lavoro. In questo modo, è possibile evitare problemi di conflitto d’interesse e garantire il rispetto della legge.

Chi non può aprire una partita ivaRequisiti per aprire partita IVA: maggiorenni VS minori di 18 anni

Un altro aspetto importante da considerare riguarda i requisiti per aprire una partita IVA. In particolare, i minori di 18 anni non possono aprire una partita IVA in quanto non hanno la capacità giuridica necessaria per svolgere un’attività economica in proprio. In questo caso, il minore può comunque lavorare come dipendente o come collaboratore di un’impresa o di un professionista già registrato. Al contrario, i maggiorenni possono aprire una partita IVA, purché siano in possesso dei requisiti richiesti. Tra questi, vi è la necessità di avere la residenza o la sede legale in Italia, essere in possesso di un codice fiscale e non essere già titolari di una partita IVA attiva.

Sebbene i maggiorenni possano aprire una partita IVA, ci sono alcune limitazioni e obblighi da rispettare. Ad esempio, è necessario iscriversi alla Camera di Commercio competente per territorio e pagare il relativo diritto camerale. Bisogna poi scegliere la forma giuridica più adatta alle proprie esigenze, tra cui la ditta individuale, la società di persone o la società di capitali. Inoltre, è necessario avere una conoscenza approfondita delle norme fiscali e delle procedure amministrative che regolamentano l’apertura di una partita IVA. Da non sottovalutare, inoltre, sono le responsabilità fiscali e legali che si assumono nel momento in cui si decide di aprire una partita IVA. Infatti, i titolari di una partita IVA sono tenuti a gestire in modo autonomo la propria attività e a rispettare le normative fiscali e contabili in vigore. In caso di violazione di queste norme, si rischia di incorrere in sanzioni pecuniarie.

Come funziona partita IVA per i pensionati

Infine, vi è la casistica dei pensionati. In questo caso, i pensionati che ricevono una pensione di vecchiaia o di invalidità dall’INPS non possono aprire una partita IVA per la stessa attività per cui percepiscono la pensione. Tuttavia, possono aprire una partita IVA per un’altra attività, sempre che questa non confligga con la loro pensione e non superi determinati limiti di reddito. Possono comunque diventare collaboratori occasionali di un’azienda o di un professionista, senza aprire una partita IVA.

In generale, l’apertura di una partita IVA richiede l’attenta valutazione dei requisiti e delle casistiche che possono impedirne l’apertura. È necessario rispettare le normative in vigore per evitare problemi fiscali e legali. Chi desidera può rivolgersi a un commercialista o a un esperto del settore per avere maggior i informazioni e un supporto adeguato.

Conoscere le modalità e le scadenze per la presentazione delle dichiarazioni fiscali e per il pagamento delle tasse e dei contributi previdenziali è molto importante. Infatti, avere partita IVA comporta anche una serie di obblighi e responsabilità che devono essere rispettati per evitare sanzioni e problemi con l’amministrazione fiscale.

Scadenze fiscali: calendario 2023

Le scadenze fiscali rappresentano un impegno annuale per tutti i contribuenti e le imprese che operano sul territorio italiano. Nel corso del 2023, ci sono importanti appuntamenti fiscali che è bene conoscere e programmare in anticipo per evitare sanzioni e problemi con il Fisco. Esaminiamo quindi le scadenze fiscali del calendario 2023, suddividendo l’argomento in tre sezioni principali.

Scadenze fiscali per i contribuenti

Le scadenze fiscali per i contribuenti sono molteplici e coprono un’ampia gamma di tasse e imposte. Di seguito, elenchiamo le principali scadenze fiscali per il 2023:

  1. 16 giugno: scadenza per il pagamento del saldo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi entro il 2 ottobre 2022, oppure entro il 30 novembre 2022 se presentata via telematica.
  2. 30 giugno: scadenza per il versamento della seconda rata dell’imposta municipale propria (IMU) e della tassa sui rifiuti (TARI) per le abitazioni principali e le relative pertinenze.
  3. 16 settembre: scadenza per il versamento della seconda rata dell’acconto IRPEF e delle addizionali regionali e comunali per i contribuenti che hanno optato per il pagamento in due rate.
  4. 30 novembre: scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi per i contribuenti che hanno percepito redditi da lavoro autonomo o assimilati nel 2022.
  5. 16 dicembre: scadenza per il versamento del saldo dell’acconto IRPEF e delle addizionali regionali e comunali per i contribuenti che hanno optato per il pagamento in due rate.

Queste sono solo alcune delle scadenze fiscali più importanti per i contribuenti nel 2023. Per una lista completa, si può consultare il sito dell’Agenzia delle Entrate.

Scadenze fiscali

Scadenze fiscali annuali per le imprese

Anche le imprese hanno obblighi fiscali annuali da rispettare, che variano in base alla loro forma giuridica e alle loro attività. Di seguito, elenchiamo le principali scadenze fiscali annuali per le imprese nel 2023:

  1. 28 febbraio: scadenza per la presentazione del modello Redditi 2022 per le società di capitali (S.p.A., S.r.l., ecc.), dei relativi allegati e della dichiarazione IVA annuale.
  2. 30 aprile: scadenza per la presentazione del modello Unico 2023 per le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice), dei relativi allegati e della dichiarazione IVA annuale.
  3. 31 maggio: scadenza per la presentazione del modello IVA annuale per tutte le imprese che hanno effettuato operazioni soggette a IVA nel corso dell’anno precedente.
  4. 16 giugno: scadenza per il versamento del saldo dell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) per le imprese che hanno optato per il pagamento in due rate.
  5. 30 giugno: scadenza per il versamento della seconda rata dell’IMU e della TARI per le attività produttive.
  6. 16 settembre: scadenza per il versamento della seconda rata dell’acconto IRPEF e delle addizionali regionali e comunali per le imprese che hanno optato per il pagamento in due rate.
  7. 30 settembre: scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi delle persone giuridiche per l’anno 2022.

Anche in questo caso, si tratta solo delle scadenze fiscali annuali più importanti per le imprese nel 2023. Per una lista completa, si può consultare il sito dell’Agenzia delle Entrate.

Calendario fiscale: consigli per la pianificazione fiscale

Pianificare le scadenze fiscali può essere complicato, ma esistono alcuni consigli che possono aiutare a semplificare il processo:

  1. Utilizzare un calendario fiscale: scaricare un calendario fiscale dall’Agenzia delle Entrate o da un sito specializzato può essere utile per tenere traccia delle scadenze fiscali e programmare i versamenti in anticipo.
  2. Automatizzare i pagamenti: utilizzare servizi di home banking o di addebito diretto può semplificare i pagamenti delle tasse e ridurre il rischio di ricevere una cartella esattoriale e sanzioni per ritardi o omissioni.
  3. Conoscere le agevolazioni fiscali: informarsi sulle agevolazioni fiscali previste dalla normativa può consentire di ridurre l’imponibile e, di conseguenza, l’importo delle tasse da pagare.
  4. Affidarsi a un commercialista: in caso di dubbi o di complessità fiscale, è sempre consigliabile affidarsi a un commercialista o a un esperto fiscale che possa fornire assistenza e consulenza personalizzata.
  5. Controllare le fatture elettroniche e le spese: è importante tenere sotto controllo le fatture elettroniche e le spese per poter dedurre le spese e ottenere crediti d’imposta. Un’attenta gestione delle fatture e delle spese può consentire di ottenere una riduzione del reddito imponibile e, di conseguenza, una riduzione dell’imposta dovuta.
  6. Mantenere i documenti in ordine: tenere in ordine i documenti contabili e fiscali è fondamentale per non incorrere in sanzioni e per semplificare le operazioni di dichiarazione dei redditi e di versamento delle tasse. Utilizzare un software di contabilità può essere utile per tenere traccia delle entrate e delle uscite e per generare documenti contabili e fiscali in modo automatico.

In generale, una buona pianificazione fiscale richiede una conoscenza approfondita delle normative fiscali, una corretta gestione dei documenti e delle scadenze, e un’attenta valutazione delle possibili agevolazioni e delle deduzioni fiscali. Con un po’ di impegno e di organizzazione, è possibile evitare problemi con il Fisco e ottenere una maggiore tranquillità e sicurezza nella gestione delle finanze aziendali.

Cosa sono le imposte: dirette, indirette e differenze con le tasse

Sapere cosa sono le imposte è un’informazione fondamentale per chiunque, ma in particolare per tutti coloro che decidono di aprire una partita IVA. Le imposte sono una componente fondamentale dell’economia di qualsiasi paese. Queste rappresentano il mezzo principale attraverso cui lo Stato può raccogliere fondi per finanziare i propri programmi, investimenti e servizi pubblici. Vediamo quindi di capire meglio cosa sono le imposte, le differenze tra imposte dirette e indirette e le principali differenze tra imposte e tasse.

Imposte: cosa sono e a cosa servono

Le imposte sono prelievi fiscali obbligatori che lo Stato impone ai cittadini, alle imprese e alle organizzazioni. Sono utilizzate per finanziare le attività dello stato e per ridistribuire le risorse nella società in modo equo. Le imposte possono essere dirette o indirette, a seconda del modo in cui sono raccolte.

Cosa sono le imposte dirette?

Le imposte dirette sono quelle prelevate direttamente dal reddito o dalla proprietà di un individuo. Includono l’imposta sul reddito, l’imposta sul patrimonio, l’imposta sulle successioni e donazioni. Le imposte dirette sono considerate più giuste rispetto alle imposte indirette, poiché sono proporzionali alla capacità contributiva dell’individuo o dell’impresa.

Cosa sono le imposte

Imposte dirette e indirette: quali sono le differenze?

Le imposte indirette sono invece quelle prelevate su beni e servizi, ad esempio l’IVA, l’accisa sulle sigarette o l’imposta sul valore aggiunto sui beni di lusso. L’imposta indiretta è pagata dal consumatore finale del prodotto o del servizio, e non dal produttore o dal venditore. Questo significa che l’imposta è inclusa nel prezzo del prodotto o del servizio e aumenta il costo per il consumatore finale.

Le differenze tra imposte dirette e indirette sono molteplici. Le imposte dirette sono considerate più progressive, in quanto le persone con un reddito più alto pagano una percentuale più elevata rispetto alle persone con un reddito più basso. Le imposte indirette, d’altra parte, colpiscono tutti allo stesso modo, indipendentemente dal reddito. Le imposte dirette sono inoltre più difficili da evadere rispetto alle imposte indirette.

Imposte e tasse: quali sono le principali differenze?

Le tasse sono un altro tipo di prelievo fiscale, ma sono diverse dalle imposte. Le tasse sono generalmente prelevate per finanziare servizi specifici, come ad esempio le tasse universitarie o le tasse sull’utilizzo di una strada a pedaggio. Le tasse sono generalmente obbligatorie e non sono negoziabili anche se esistono diversi metodi per pagare meno tasse.

Le imposte, d’altra parte, sono prelevate per finanziare i programmi generali dello Stato, come ad esempio l’assistenza sanitaria pubblica o la difesa nazionale. Le imposte sono in genere negoziabili, e i contribuenti possono spesso scegliere come allocare i propri fondi, ad esempio tramite le donazioni a scopo fiscale.

Imposte indirette: cosa sono e come funzionano?

Quindi abbiamo visto che le imposte indirette sono imposte applicate sul consumo di beni e servizi. L’imposta è generalmente inclusa nel prezzo del bene o servizio acquistato ed è pagata dal consumatore finale. L’imposta indiretta è generalmente considerata una forma regressiva di tassazione, perché colpisce in modo più pesante le persone con redditi più bassi.

Un esempio comune di imposta indiretta è l’IVA (imposta sul valore aggiunto), applicata su tutti i beni e servizi venduti in un paese. L’IVA è generalmente applicata ad una determinata percentuale sul prezzo del bene o servizio e pagata dal consumatore finale.

Le imposte indirette possono essere utilizzate per influenzare il comportamento dei consumatori, ad esempio applicando un’aliquota più elevata su prodotti considerati dannosi per la salute, come il tabacco o l’alcol. In questo modo, lo Stato cerca di incentivare il consumo di prodotti più sani e di ridurre i costi sanitari correlati ai prodotti dannosi.

Inoltre, le imposte indirette possono essere utilizzate come strumento per proteggere l’industria nazionale, ad esempio attraverso l’applicazione di dazi doganali sulle importazioni di beni stranieri. In questo modo, le merci importate diventano meno competitive rispetto ai prodotti nazionali, favorendo l’industria nazionale.

Imposte e tasse: conclusioni

Abbiamo quindi cercato di dare una spiegazione dettagliato su cosa siano imposte, le differenze tra imposte dirette e indirette e le principali differenze tra imposte e tasse. Ricapitolando possiamo quindi dire che le imposte sono un mezzo fondamentale per finanziare i programmi pubblici e ridistribuire le risorse nella società. Le imposte dirette sono quelle prelevate direttamente dal reddito o dalla proprietà di un individuo, mentre le imposte indirette sono quelle prelevate sui beni e servizi. Le tasse, d’altra parte, sono prelevate per finanziare servizi specifici, come ad esempio le tasse universitarie. Le imposte indirette possono essere utilizzate per influenzare il comportamento dei consumatori e proteggere l’industria nazionale.

Pagare le tasse è obbligatorio se non si fattura?

Oggi cerchiamo una risposta alla seguente domanda: Pagare le tasse è obbligatorio se non si fattura? Il pagamento delle tasse è un aspetto fondamentale della vita di un imprenditore e può causare molta confusione, soprattutto quando si tratta di capire se è obbligatorio pagare le tasse anche se non si emettono fatture. In questo articolo, esamineremo questo argomento e forniremo informazioni dettagliate su cosa succede quando si apre una partita IVA senza emettere fatture, qual è il regime fiscale migliore da scegliere in questo caso e quali sono le agevolazioni contributive disponibili.

Pagamento tasse e apertura Partita IVA

Aprire una partita IVA non implica automaticamente l’obbligo di emettere fatture. Tuttavia, a seconda del regime fiscale scelto, potrebbe essere necessario emettere fatture elettroniche per tutte le prestazioni di servizi o vendite di beni effettuate. Ad esempio, nel regime ordinario di tassazione è obbligatorio emettere fatture per tutte le prestazioni di servizi o vendite di beni effettuate a clienti che non sono soggetti IVA o che appartengono a un altro Stato membro dell’UE. Inoltre, anche nel caso in cui non sia obbligatorio emettere fatture, è consigliabile farlo comunque per avere una maggiore trasparenza nei confronti dei clienti e per avere una documentazione comprovante delle prestazioni di servizi o vendite di beni effettuate.

Chi deve fare la dichiarazione dei redditi

Indipendentemente dal fatto che si emettano o meno fatture, è obbligatorio dichiarare i ricavi percepiti nel modello Unico o nel modello Redditi. In questo modo, il Fisco può verificare che le tasse siano pagate in modo corretto e che non vi siano evasioni fiscali. Pertanto, è importante tenere una buona organizzazione contabile e tenere traccia dei ricavi percepiti, anche se non si emettono fatture.

Pagare le tasse

Pagare le tasse quando si emettono poche fatture: la scelta del regime fiscale migliore

Il regime fiscale migliore da scegliere dipende dalle specifiche esigenze della propria attività e dal volume delle fatture emesse. In generale, per chi emette poche fatture, il regime fiscale più adatto potrebbe essere il regime forfettario. Questo regime prevede un’aliquota fissa del 15% sui ricavi, indipendentemente dall’effettivo reddito conseguito, e non prevede l’obbligo di tenere una contabilità ordinaria. Tuttavia, per poter accedere al regime forfettario è necessario soddisfare determinati requisiti, come ad esempio avere ricavi o compensi non superiori a 65.000 euro l’anno. Chi invece non rientra nei requisiti necessari per il regime forfettario, può valutare l’opzione del regime dei minimi.

Anche in questo caso, si tratta di un regime a tassazione forfettaria, con aliquote variabili a seconda della tipologia di attività svolta e dei ricavi conseguiti. Entrambi i regimi prevedono alcune limitazioni, ad esempio in termini di possibilità di dedurre le spese sostenute e di utilizzare il metodo di determinazione del reddito diverso da quello forfettario. Prima di scegliere il regime fiscale più adatto alla propria attività, il consiglio è quello di valutare attentamente le proprie esigenze e di fare riferimento alle disposizioni fiscali in vigore, eventualmente chiedendo consiglio a un professionista esperto in materia.

Quando si pagano le tasse

In conclusione, è importante comprendere che il pagamento delle tasse è obbligatorio indipendentemente dal fatto che si emettano o meno fatture elettroniche. Aprire una partita IVA non implica automaticamente l’obbligo di emettere fatture, ma comporta comunque l’obbligo di pagare le tasse sui ricavi percepiti, anche se non si è emessa alcuna fattura. Pertanto, è consigliabile valutare attentamente il regime fiscale più adatto alle proprie esigenze e verificare quali agevolazioni contributive possono essere fruite. Inoltre, è importante tenere sempre una buona organizzazione contabile e tenere traccia dei ricavi percepiti, anche se non si emettono fatture, per evitare eventuali problemi fiscali in futuro.

Come pagare meno tasse per i professionisti della fatturazione

I professionisti sono sempre alla ricerca di nuovi modi per sapere come pagare meno tasse. Farlo legalmente è possibile, ma è necessario cambiare un po’ mentalità. Vediamo quindi come possono ridurre in modo legale il carico fiscale professionisti e freelancer.

Come pagare meno tasse: trovare un consulente fiscale e gestire i costi

Per pagare meno tasse, prima di tutto, bisogna trovare un consulente fiscale adatto alle proprie esigenze e al proprio business. Stringere una forte e profonda collaborazione con una figura competente nel proprio settore, è sicuramente, un’agevolazione da non sottovalutare.

In secondo luogo è necessario ripensare a una corretta gestione dei costi. È importante che ogni spesa effettuato nell’esercizio della propria attività, sia correttamente registrata con fattura elettronica o scontrino elettronico. Ma non basta. Ogni documento deve anche essere giustificato nel modo giusto, visto che, purtroppo, in Italia, molte spese non possono essere dedotte perché non inerenti al proprio lavoro. Registrare e giustificare ogni spesa nel modo giusto può essere un modo per pagare meno tasse, visto che vanno a essere dedotti dal reddito professionale.

Come aumentare le deduzioni: giustificazioni corrette

Chi decide di aprire una partita IVA e inizia a fare impresa deve sapere cosa sono le deduzioni e come pagare meno tasse aumentandole legalmente. Ogni costo sostenuto dal professionista può essere dedotto se correttamente giustificato.  Affinché ogni costo sostenuto possa essere portato in deduzione deve:

La deduzione è legale, prevista e spiegata dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Quindi, ogni volta che si presenta l’occasione di documentare una spesa inerente alla propria attività, deve essere sfruttata per arrivare, al momento della dichiarazione dei redditi, a dedurre il maggior numero possibile di spese.

Come pagare meno tasse: il principio d’inerenza

Secondo questo principio, ogni spesa sostenuta dal professionista nell’ambito dell’esercizio della propria attività, può essere dedotta. Per capire se un costo è deducibile è necessario verificare se è possibile applicare il principio d’inerenza. In pratica è necessario controllare attentamente se il costo sostenuto è da imputare alla sfera personale, oppure all’attività lavorativa.

Come pagare meno tasse

Oltre alle spese completamente deducibili, esistono quelle parzialmente deducibili. Si tratta di spese che rispettano il diritto di cassa e d’inerenza. Ne sono un esempio i beni immobili considerati strumentali per l’esercizio dell’attività professionale. Sono beni immobili strumentali deducibili gli uffici, ma anche le abitazioni private destinate in parte allo svolgimento delle proprie mansioni. L’immobile, in questo specifico caso, è destinato a uso promiscuo, cioè in parte sono designati ad abitazione privata e in parte ad ambiente lavorativo. Di conseguenza tutte le spese che lo riguardano (acquisto, affitto, bollette, ecc…) possono essere deducibili a metà. Requisito fondamentale è che l’immobile sia intestato al professionista.

Allo stesso modo, anche l’utilizzo del cellulare e l’auto aziendale, destinati a uso promiscuo, possono dare luogo a una detrazione fiscale. Le spese telefoniche sono detraibili all’80% mentre l’IVA al 50% (che sale al 100% in caso di utilizzo esclusivamente aziendale). Lo stesso vale per l’uso dell’auto aziendale. Detto al 100% in caso mezzo usato nel pieno rispetto del principio d’inerenza oppure in misura ridotta se destinato alla promiscuità.

Infine, anche vitto e alloggio sono detraibili nella percentuale del 75% purché i costi sostenuti nell’anno non siano maggiori del “% dei compensi percepiti nello stesso anno d’imposta. Tutte le spese finora elencate devono essere corroborate da regolare fattura elettronica. Solo in questo caso l’IVA è totalmente detraibile. In presenza invece di ricevuta fiscale, l’IVA diventa indetraibile.

Consulente fiscale: una scelta importante

Non facile capire come pagare meno tasse legalmente. I casi sono tanti e le situazioni tutte diverse le une dalle altre. Il mondo fiscale è piuttosto complicato e diventa difficile muoversi correttamente, evitando errori grossolani che portano a sanzioni amministrative. Diventa quindi importante affiancarsi di un consulente finanziario che sappia bene come destreggiarsi tra regolamenti e aggiornamenti fiscali e legali. Affidare a qualcuno di esperto la gestione del proprio business lavorandovi a stretto contatto, è sicuramente la mossa vincente per riuscire al meglio nel proprio lavoro.

Limite pagamento contanti 2022

Con il Decreto Milleproroghe il Governo voleva abbassare il limite pagamento contanti 2022. L’anno scorso la soglia entro la quale accettare pagamenti in contanti, era fissata a 2000 €. L’Esecutivo ha però cambiato idea e preferisce rimandare l’abbassamento della soglia a 1000€ direttamente al 2023. Un rinvio momentaneo che non blocca comunque la crescita all’uso dei pagamenti elettronici, nonostante i pagamenti in contanti siano ancora il metodo preferito da molti.

Limite pagamento contanti 2022

Quindi il limite della soglia in contanti fissato a 1000 € è posticipato a inizio anno prossimo. Per tutto il 2022 per i pagamenti superiori a 2000 € è necessario ricorrere a metodi di pagamento tracciabili. Di conseguenza tutte le trasmissioni devono essere eseguite via:

  1. carte di credito
  2. assegni circolari
  3. carte di debito
  4. carte prepagate
  5. bonifici bancari
  6. bonifici postali
  7. portafogli virtuali che possano garantire l’identificazione esatta del contribuente

Chi possiede un’attività e/o un’impresa può accettare solo ed esclusivamente questo genere di transazioni per rispettare il limite dei pagamenti in contanti previsto da legge.

Pagamento in contanti limite 2022 e obbligo POS

Il metodo di pagamento maggiormente utilizzato oggi è quello delle carte di credito o delle carte prepagate. I commercianti devono essere forniti di un dispositivo in grado di scansionare e leggere i chip delle carte di credito, debito e prepagate.

I pagamenti tramite POS sono ormai diventati comuni, perché facili, sicuri e velocissimi. Da oggi sono anche obbligatori. Nonostante l’obbligo, purtroppo, ancora molti esercenti non sono dotati dell’attrezzatura minima indispensabile ad accettare transazioni elettroniche. Dal 30 giugno 2022 è diventato ufficialmente obbligatorio accettare i pagamenti con il POS per qualunque transazioni, di qualsiasi importo.

Il Governo, infatti, ha finalmente stabilito l’entità delle sanzioni da applicare qualora un negoziante  e professionisti non vogliano accettare i pagamenti elettronici. La multa da pagare è pari a 30 € a cui si aggiunge il 4% del valore del pagamento non consentito. Quindi, al crescere dell’importo non accettato, sale anche il valore della multa da corrispondere.

Limite pagamento contanti: gli incentivi per gli esercenti

Il Governo, oltre a stabilire le sanzioni, ha però anche messo a disposizione diversi incentivi per tutti coloro che devono ancora munirsi di POS. Le principali misure predisposte dall’Esecutivo per aiutare i commercianti e i liberi professionisti a sostenere i costi di acquisto e gestione di un POS, sono:

Limite pagamento contanti 2022

1.   Cashback

Si tratta di un incentivo indiretto, che può essere sfruttato solo dai consumatori e non dagli esercenti. Il Cashback consiste nel rimborso del 10% su acquisti di beni e servizi, fatti utilizzando come metodo il pagamento elettronico. Alla fine si è rivelato essere un sistema che ha incentivato il commercio e ha aumentato le opportunità di guadagno, soprattutto delle piccole imprese e degli artigiani locali.

2.   Lotteria degli scontrini

Alla lotteria degli scontrini partecipano clienti ed esercenti. In seguito a un pagamento digitale è emesso uno scontrino valido come biglietto per partecipare alle varie estrazioni. Ogni euro speso genera un ticket valido. Sono previste estrazioni e vincite settimanali, mensili e annuali. I premi sono corrisposti in denaro e la soglia più alta prevede un premio pari a 1.000.000 € per l’esercente. Fortunato sorteggiato. Ogni commerciante e professionista, per potervi partecipare, deve quindi possedere un POS e consentire ai propri clienti di effettuare i pagamenti tramite metodo elettronico.

Pagamento contanti: limite e credito d’imposta

Costi di gestione e commissioni sulle trasmissioni POS sono i due ostacoli principali che frenano gli  esercenti a voler utilizzare i POS. Per ovviare a questi problemi, l’Esecutivo ha previsto, da luglio 2020, un credito d’imposta pari al 30% sulle spese sostenute dagli esercenti. Una disposizione valido solo per tutti coloro che fatturano meno di 400.000 € l’anno. Fino al 30 giugno 2022 il limite è stato spostato addirittura al 100% per tutti coloro che hanno adottato un POS.

Il credito d’imposta è applicato per:

  • ogni commissione pagata dal commerciante/professionista sulle transazioni
  • costi fissi di locazione e gestione del terminale POS
  • spese sostenute dagli esercenti per tutti i pagamenti elettronici fatti dai clienti (eseguiti sia con carte di credito, debito, prepagate che con metodi alternativi quali, ad esempio, app e e-wallet).
  • Oneri per acquisto o noleggio POS sostenute dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022 (valore massimo 160€)
  • Spese per acquisto o noleggio POS che consente anche la trasmissione telematica dei dati (valore massimo 320 €).

Il credito d’imposta è inserito nella dichiarazione dei redditi. È utilizzabile solo in compensazione alle tasse e imposte dovute. Vale solo dal mese successivo a quello della spesa sostenuta. La documentazione relativa deve essere conservata per i dieci anni successivi e deve rimanere a disposizione delle autorità in caso di richiesta di controlli fiscali.

Parcella commercialista: quanto costa un professionista e come calcolarne l’onorario

Il commercialista è una figura molto importante nell’ambito della gestione di un’impresa, ma anche per un privato cittadino. I suoi servigi sono indispensabili a tenere in ordine la contabilità per effettuare i pagamenti dovuti entro i termini previsti e avere sempre tutto sotto controllo. La parcella commercialista è una voce che ogni imprenditore deve tenere ben presente nell’amministrazione della propria attività, perché è sempre presente, ogni anno, in ogni dichiarazione dei redditi.

Quanto costa un commercialista?

Il commercialista è un professionista indispensabili a chiunque abbia un’attività propria, ma non solo. Calcolare tasse e costi da detrarre non è semplice e non tutti ne sono in grado. Difronte a una dichiarazione dei redditi i dubbi possono essere davvero tanti e la paura di omettere o sbagliare qualcosa, paralizzante. Quindi, prima d’incorrere in sanzioni e ammende, è sempre meglio rivolgersi a un esperto professionista del settore.

Un professionista che richiede il pagamento di un preciso compenso per le proprie prestazioni offerte. La parcella commercialista però, varia in base ai servizi offerti e da soggetto a soggetto. È una buona idea chiedere prima un preventivo per capire bene i costi derivanti dall’attività svolta dal contabile.

Risulta quindi molto difficile riuscire a dare una risposta univoca alla domanda: “Quanto costa un commercialista?”. Un professionista della contabilità per calcolare la propria parcella tiene conto di una serie di variabili:

  • servizi offerti
  • frequenza d’interventi richiesti
  • tipologia di assistenza (in presenza, telefonica, per email, ecc…)
  • regime contabile dell’assistito

Parcella commercialista

Parcella commercialista secondo la legge

Esiste un orientamento di massima che i professionisti possono seguire per il calcolo parcella commercialista. Il DM 140/2012 stabilisce delle direttive di massima per dottori commercialisti ed esperti contabili, avvocati, notai, assistenti sociali, ecc… Anche le consulenze prevedono un onorario.

La scelta di affidarsi o meno a un commercialista è molto soggettiva. Ai titolari di aziende  e società è consigliato comunque rivolgersi a un professionista per essere seguiti attentamente nel difficile mondo della contabilità. I liberi professionisti potrebbero optare per compilare le dichiarazioni 730 autonomamente e poi chiederne la revisiona a un contabile, oppure al CAF.

Calcolo parcella commercialista: le prestazioni offerte

Le prestazioni offerte da un commercialista sono moltissime, tra queste ricordiamo, ad esempio:

  1. Consulenza
  2. Bilancio d’esercizio
  3. Bilancio infrannuale
  4. Dichiarazione IRAP
  5. Dichiarazione IVA
  6. Pratiche fiscali quali:
    1. operazioni d’inizio attività di una ditta (Registro Imprese, A.E., INPS ed eventualmente SUAP)
    2. pratiche di chiusura attività (Comunica, CCIAA, INAIL, INPS, AE, ecc.)
    3. operazioni di variazione ditta, predisposizione e invio comunicazione VIES, richiesta visura camerale
  7. Tenuta dei registri ammortizzabili
  8. Aggiornamento libri inventari

Il commercialista può decidere di farsi pagare annualmente, oppure mensilmente. A far variare l’ammontare della parcella commercialista è anche il numero delle fatture elettroniche emesse e il fatturato del proprio cliente.

Parcella commercialista esempio

Come detto, la parcella di un professionista contabile varia molto e in base a molti fattori differenti. Ad esempio, una dichiarazione IVA può avere un costo da 152 euro a 297 euro per un fatturato annuo fino a 75.000 euro; da 190 a 369 euro per un fatturato annuo compreso tra 75.001 e 150.000 euro.

La dichiarazione dei redditi invece può venire a costare da 236 euro a 475 euro per un fatturato annuo fino a 75.000 euro; da 426 a 640 euro per un fatturato annuo compreso tra 75.001 e 150.000 euro. Si tratta di costi applicati, in genere, alle persone fisiche titolari di partita IVA. Per le società di capitali si applicano altri prezzi, solitamente più alti.

I bilanci possono arrivare a costare da 284 euro a un massimo di 449 – 563 euro. Il prezzo calcolato tiene conto delle perdite e dei componenti positivi di reddito. Per la compilazione e l’invio del modello Intrastat il costo parte a oggi da circa 80€ ed è calcolato a ore.

La convenienza nel potersi rivolgere o meno a un commercialista, è molto soggettiva. Ogni soggetto deve valutare attentamente la propria posizione e se la situazione finanziaria dovesse risultare particolarmente complessa, è consigliato avvalersi di un professionista per evitare, nel futuro, di avere brutte sorprese con il Fisco.

Cash flow: cos’è, come si calcola e come gestire i flussi di cassa

Il cash flow è un aspetto finanziario molto importante e utile alle aziende per controllare correttamente la liquidità d’impresa. Si tratta di una voce che sintetizza la liquidità accumulata nel corso di un preciso lasso di tempo. L’intervallo temporale può essere mensile, trimestrale e annuale. In pratica serve a definire l’aumento o la diminuzione della liquidità aziendale in un determinato periodo di tempo. Il suo calcolo è dato dalla differenza tra entrate e uscite monetarie e corrisponde alla disponibilità monetaria delle aziende.

Cash flow definizione

Il cash flow è una risorsa molta importante per tutte le aziende. Aiuta le imprese a conoscere sempre la propria disponibilità di liquidità. È conosciuto anche come flusso primario dopo le imposte. Il valore di questo parametro è dato dalla differenza tra il totale delle entrate (cash inflow) e delle uscite (cash outflow). Il valore risultante è inserito anche nella contabilità generale e serve a determinare, all’interno del bilancio aziendale, gli scambi economici avvenuti con l’esterno (costi-ricavi).

Stabilito cos’è il cash flow, è necessario chiarire cosa non è. Non deve, infatti, essere confuso con il bilancio d’esercizio. Il bilancio è un documento che sintetizza tutti i dati quotidiani relativi a un’azienda a seguito della propria attività. Con il bilancio, però, non è possibile verificare l’andamento di un singolo prodotto, la sua redditività, oppure il costo delle materie prime e della distribuzione in generale. Il dettaglio dei singoli dati è tenuto sotto controllo solo grazie alla contabilità analitica, che parte proprio dal cash flow e si addentra nelle specifiche performance, linee produttive o singoli prodotti.

Cash flow

Calcolo cash flow

Il calcolo del cash flow parte dal rendiconto finanziario. Un documento aziendale di fondamentale importanza perché sintetizza i fattori d’incremento e diminuzione delle liquidità disponibili all’interno di un’impresa. In altre parole è un bilancio tra pagamenti effettuati e pagamenti ricevuti un determinato periodo di tempo. Non tiene conto delle spese da pagare e degli importi non ancora effettivi. È necessario, quindi, procedere con il calcolo del flusso di cassa.

Il documento tiene in considerazione anche:

  • proventi degli investimenti
  • passività da sostenere
  • interessi
  • dividendi
  • stipendi
  • tasse

Il cash flow è positivo quando la liquidità acquisita è maggiore di quella persa. Al contrario, è negativo quando la liquidità acquisita è inferiore a quella persa.

Cash flow: le varie tipologie

Esistono diverse tipologie di cash flow. Ciascuna è importante per controllare lo stato di liquidità a disposizione della propria azienda:

  • Flusso di cassa operativo – permette di calcolare la liquidità dovuto a seguito della gestione aziendale. Per calcolarlo occorre conoscere il reddito operativo che, a sua volta, deriva dall’utile aziendale al netto d’imposte e oneri finanziari.
  • Flusso di cassa per l’impresa – rappresenta la liquidità che gli investitori hanno a disposizione. È un parametro molto importante perché aiuta a stabilire la redditività precisa dell’azienda. Il risultato è dato dalla sottrazione delle spese sostenute in un determinato lasso di tempo che parte dal saldo tra attività e passività operative.
  • Flusso di cassa per gli azionisti – il parametro indica la somma da corrispondere agli azionisti che possiedono quote del capitale sociale.

Flussi di cassa: gestirli al meglio

Il cash flow è molto importante per una corretta gestione della propria attività. Serve a raggiungere una stabile e solida economia aziendale e a rispettare tutti gli impegni e gli obblighi prefissati. In combinazione a una corretta gestione dei rischi d’impresa, data dall’analisi della natura di vendite e investimenti, possono essere raggiunti dei risultati notevoli. È sempre molto importante monitorare le dilazioni di pagamento ed evitare che i flussi d’incasso vadano oltre una certa soglia.

Oggi esistono diversi software che permettono una gestione automatizzata e facilitata del proprio cash flow. Programmi che riescono a ridurre al minimo i rischi di cash outflow. Una sana gestione aziendale è composta da tante piccole accortezze che vanno dal corretto calcolo del cash flow a una corretta pianificazione del magazzino, dell’ammortamento e delle attrezzature, passando per previsioni di budget e analisi di ogni dato consuntivo.

Dichiarazione annuale Iva: i soggetti esonerati nel 2022

La dichiarazione annuale IVA è un adempimento obbligatorio, in linea di massima, per tutti i contribuenti titolari di partita IVA. In pratica, chiunque eserciti un’attività d’impresa, arte o professione, è tenuto a presentarla. Nonostante l’obbligo sia imputato a tutti, il legislatore ha previsto comunque dei soggetti esonerati. Le categorie esentate da tale obbligo sono, di norma, regimi agevolati, come, ad esempio, quello dei forfettari o i contribuenti minimi. Ci sono comunque anche altre categorie che è bene ricordare in vista della dichiarazione annuale.

Dichiarazione annuale IVA: i soggetti esonerati nel 2022 (anno d’imposta 2021)

I soggetti che nell’anno d’imposta 2021 hanno registrato solo operazioni esenti (art. 10 Dpr 633/72) o hanno usufruito della dispensa dagli obblighi di fatturazione e di registrazione (art 36 bis) sono dispensati dall’obbligo di dichiarazione annuale IVA. L’esonero, però, non è applicabile nel caso in cui il contribuente.

  • Ha effettuato operazioni intracomunitarie
  • Deve eseguire rettifica della detrazione IVA (art. 19-bis2)
  • Ha acquistato prodotti per i quali l’imposta è dovuta da parte del cessionario (una regola che vale, ad esempio, per l’acquisto di oro, argento, rottami, ecc…)
  • Quando effettua operazioni non esenti riferite ad attività gestite con contabilità separata.

Dichiarazione annuale iva

Tra i vari soggetti esonerati dall’obbligo della dichiarazione annuale IVA ritroviamo anche:

  1. contribuenti che rientrano nel regime dei forfettari per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti e professioni;
  2. contribuenti che hanno goduto dell’agevolazione fiscale per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità;
  3. produttori agricoli con volume d’affari annuale inferiore a 7000 euro (volume che deve essere costituito almeno per i due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte dell’allegata tabella A del Dpr 633/72);
  4. attività di organizzazione giochi e intrattenimenti
  5. altre attività indicate nella tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, esonerati dagli adempimenti IVA ai sensi dell’art. 74, sesto comma, che non hanno optato per l’applicazione dell’IVA nei modi ordinari.

Dichiarazione annuale Iva: l’elenco continua con…

I soggetti elencati finora rientrano nelle casistiche previste dal legislatore come esoneri dall’obbligo di dichiarazione annuale Iva. Non si tratta, però, degli unici casi. Infatti, l’elenco previsto per il 2022 prevede anche:

  1. imprese individuali che hanno dato in affitto l’unica azienda e non esercitano altre attività rilevanti ai fini IVA;
  2. soggetti passivi d’imposta non residenti (art. 44, comma 3, secondo periodo del decreto-legge n. 331 del 1993) – questo vale solo nel caso in cui tali soggetti non abbiamo effettuato durante il 2021 operazioni non imponibili, o comunque non soggette all’obbligo del pagamento dell’imposta;
  3. Enti non commerciali, società sportive che hanno esercitato l’opzione per l’applicazione delle disposizioni recate dalla legge 398/91;
  4. soggetti domiciliati o residenti fuori dall’UE – in questo caso si tratta di soggetti non identificati in ambito comunitario, ma identificati fini dell’IVA sul territorio dello Stato in base alle modalità previste dall’art. 74. In questa categoria rientrano, tra gli altri, l’assolvimento degli adempimenti relativi ai servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici resi a committenti, non soggetti passivi d’imposta, domiciliati o residenti in Italia o in altro Stato membro.
  5. raccoglitori occasionali di prodotti selvatici non legnosi – soggetti che rientrano nella categoria identificata con codice Ateco30;
  6. raccoglitori occasionali di piante officinali spontanee, come stabilito dall’art. 3 del decreto legislativo n°21 maggio 2018, n°75, che non abbiano superato un volume d’affari annuo di 7000 euro, nell’anno fiscale precedente.