Come rifiutare una fattura elettronica

È fondamentale per gli operatori economici che operano con la fatturazione elettronica non solo conoscere le procedure per emettere e conservare correttamente le fatture, ma anche sapere come rifiutare una fattura elettronica. Infatti, mentre l’emissione e la conservazione del documento fiscale sono procedure ormai ordinarie, può capitare di voler notificare il rigetto di una specifica fattura per varie motivazioni, dalla non conformità del file ai dati della fornitura, fino agli errori formali. La premessa è che: “Non  è possibile per un privato (B2b e B2c) rifiutare una fattura elettronica al di fuori del sistema della fatturazione verso la Pubblica amministrazione”. È possibile però far presente al fornitore che la fattura è errata. Vediamo come.

Sapere esattamente come motivare adeguatamente la contestazione e inviare la comunicazione al fornitore è importante per evitare contenziosi con il cedente. Allo stesso modo è altrettanto rilevante ricevere correttamente una notifica qualora si sia mittenti della fattura contestata perchè errata.

Gestire correttamente anche questo aspetto dimostra una conoscenza professionale completa del processo di fatturazione elettronica, dalla sua creazione alla sua eventuale contestazione. Oltre ad assicurare la piena regolarità formale delle procedure, conoscere anche questo step intermedio consente agli operatori di tutelare al meglio i propri interessi economici nello scambio digitale di documenti fiscali. Essere in grado di far presente correttamente che una fattura, per legittime ragioni come errori, difformità rispetto all’ordine o pagamenti già effettuati, è errata, permette infatti di non farsi carico di addebiti non dovuti e non corretti.

Allo stesso modo, sapere di poter ricevere una regolare notifica nel caso la propria fattura venisse a sua volta contesta da un cliente, tutela l’emittente da problematiche amministrative e contenziosi. In definitiva, la corretta applicazione di una procedura di controllo nel processo di fatturazione elettronica consente agli operatori di proteggere le rispettive posizioni economico-contabili nello scambio telematico di documenti fiscali con controparti terze.

Come rifiutare una fattura elettronica: le motivazioni giustificate

Sono diverse le motivazioni che possono giustificare la contestazione di una fattura elettronica da parte del soggetto ricevente. Tra gli errori formali più comuni si annoverano l’omessa o errata indicazione del codice destinatario, problema nella firma digitale del file XML, formato della fattura non conforme alle specifiche tecniche.

Anche la presenza di difformità rispetto all’ordine o alla fornitura effettivamente resa costituisce motivo legittimo di segnalazione al fornitore. Ad esempio, discordanza tra quantità, prezzi o sconti riportati in fattura e quelli pattuiti, diversa natura dell’oggetto fatturato, mancata o parziale esecuzione delle prestazioni, consegna di beni o servizi difformi rispetto a quanto ordinato, fatturazione di oneri o penali non dovuti o previsti contrattualmente.

Come rifiutare una fattura elettronica

Inoltre, errori nei dati identificativi come partita IVA o codice fiscale del cedente/cessionario, dati anagrafici non corretti, coordinate bancarie non corrispondenti, sono cause ammissibili di contestazione dell’e-fattura. Così come la presenza di un importo diverso rispetto a quanto stabilito nei documenti della fornitura, l’applicazione di penali o interessi moratori non dovuti o senza previa comunicazione scritta.

Queste motivazioni, se debitamente documentabili e segnalate al cedente, giustificano pienamente la contestazione dell’addebito digitale.

Come rifiutare una fattura elettronica agenzia delle entrate: la corretta procedura per comunicare la contestazione

Tra privati (B2b e B2c) non è possibile rifiutare la ricezione di una fattura elettronica, ma questo non significa che non può, o non debba, essere segnalato all’emittente l’errore commesso. La procedura da seguire per comunicare correttamente la contestazione di una fattura elettronica prevede alcuni passaggi ben definiti. Una volta rilevato nel Sistema di Interscambio il file xml contenente l’e-fattura, il soggetto ricevente deve preliminarmente verificarne la validità formale tramite l’apposito software di controllo.

In caso di esito positivo, si procede all’esame del contenuto: se riscontrate difformità o altre motivazioni di rigetto, il soggetto passivo deve immediatamente comunicarlo all’emittente.

La comunicazione deve indicare in modo chiaro e dettagliato i motivi che hanno determinato l’esito negativo della verifica da parte del ricevente. Non è previsto un obbligo di segnalazione all’Agenzia delle Entrate. Il suggerimento, però, è quello di conservare la prova della comunicazione degli errori e delle anomalie riscontrate, qualora dovessero risultare utili ai fini di un contenzioso legale, nonché di eventuali controlli da parte delle autorità competenti.

Esenzioni fiscali: cosa sono e chi può beneficiarne

Le esenzioni fiscali rappresentano uno strumento molto utile per sostenere categorie di soggetti considerati meritevoli di aiuto da parte dello Stato, come enti non profit, famiglie in difficoltà economica e imprese innovative. Grazie alle esenzioni, questi soggetti ottengono una riduzione dell’ammontare delle tasse e imposte dovute, che può risultare determinante per le loro attività. Gli enti non profit come le ONLUS sviluppano attività di interesse generale, quali assistenza sociale, volontariato e ricerca scientifica. Le esenzioni fiscali di cui godono rappresentano quindi un supporto fondamentale per disporre delle risorse necessarie allo svolgimento della loro preziosa funzione sociale.

Anche le famiglie a reddito basso o medio-basso beneficiano spesso di detrazioni e deduzioni dall’IRPEF e di esenzioni dall’IMU che possono alleviare sensibilmente il carico fiscale e migliorare il loro bilancio. Infine, le agevolazioni destinate alle imprese innovative e alle startup consentono alle nuove attività imprenditoriali di affrontare la fase di avvio ed espansione con meno vincoli fiscali. Ciò risulta vitale per promuovere lo sviluppo economico e occupazionale. Quindi, per categorie come enti non profit, famiglie a basso reddito e nuove imprese, le esenzioni fiscali possono rappresentare un valido supporto per poter portare avanti al meglio il proprio ruolo nella società.

Esenzioni fiscali: cosa sono esattamente

Le esenzioni fiscali rappresentano un meccanismo mediante il quale è concesso un beneficio fiscale che comporta l’esclusione totale o parziale dalla base imponibile di determinate categorie di reddito. Tale agevolazione consente di ridurre l’importo delle imposte dovute, contribuendo così a favorire specifici settori o situazioni particolari all’interno del sistema fiscale di un Paese.

Nel contesto delle esenzioni fiscali, l’esenzione IVA rappresenta una delle forme più comuni e rilevanti di agevolazione. L’IVA, acronimo di Imposta sul Valore Aggiunto, è un’imposta indiretta che grava sul consumo di beni e servizi. L’esenzione IVA comporta l’esclusione totale o parziale dell’imposta sulle operazioni che rientrano in specifiche categorie o soddisfano determinati requisiti. Questa può riguardare diversi ambiti e settori economici. Ad esempio, possono essere esenti da IVA le operazioni nel settore sanitario, l’istruzione, la cultura, i servizi sociali, le assicurazioni, le operazioni finanziarie e le attività degli enti non profit. L’obiettivo di queste esenzioni è quello di favorire l’accesso a servizi essenziali o di interesse pubblico, stimolare la crescita economica o garantire un trattamento fiscale equo.

Esenzioni fiscali

Le esenzioni fiscali, compresa l’esenzione IVA, possono avere un impatto significativo sia sulle imprese che sulle finanze pubbliche. Da un lato, le imprese che beneficiano di tali agevolazioni possono godere di maggiori margini di profitto, di una maggiore competitività sul mercato o di una riduzione dei costi. Dall’altro lato, l’esenzione IVA comporta una diminuzione delle entrate fiscali per lo Stato, che potrebbe dover compensare questa riduzione attraverso altre fonti di finanziamento o effettuando una redistribuzione delle imposte tra i contribuenti.

Le esenzioni fiscali devono essere attentamente regolamentate per evitare abusi o distorsioni del sistema fiscale. Le autorità fiscali devono stabilire criteri chiari e precisi per definire quali operazioni o settori possano beneficiare di tali agevolazioni, al fine di garantire una corretta gestione delle risorse pubbliche e un equo trattamento tra i diversi soggetti coinvolti.

Esenzione fiscale: chi ne può beneficiare

Le esenzioni fiscali sono generalmente concesse a determinate categorie di soggetti in base alla loro attività e alla loro situazione economica. Gli enti non profit, tra cui le ONLUS, possono beneficiare di svariate agevolazioni ed esenzioni al fine di supportarne la loro attività a scopo sociale e solidale. Ad esempio le ONLUS sono esentate dall’IVA e godono di detrazioni IRPEF per le donazioni effettuate. Queste forme di sostegno fiscale risultano fondamentali per consentire a tali organizzazioni di disporre delle adeguate risorse per svolgere le proprie finalità sociali.

Anche famiglie e soggetti con redditi bassi sono destinatari di diverse esenzioni, come detrazioni dall’IRPEF e dall’IMU per la prima casa, al fine di agevolarli economicamente. Le agevolazioni imprese e startup innovative, comprese le neoimprese, risultano essenziali per supportare la nascita e lo sviluppo del tessuto produttivo e imprenditoriale. Si tratta di benefici come il regime forfetario e le detrazioni per gli investimenti in innovazione e ricerca.

Infine, l’esenzione IMU sulla prima casa costituisce una forma di beneficio fiscale fondamentale per agevolare l’acquisto dell’abitazione principale, bene primario per i cittadini. Le esenzioni fiscali sono concesse principalmente per raggiungere finalità di interesse generale, quali il sostegno alle categorie sociali più fragili, la promozione del non profit e l’incentivazione degli investimenti e dell’imprenditoria.

Rivalsa INPS 4 fattura elettronica agenzia entrate: cos’è e come inserirla correttamente in fattura

La corretta indicazione della rivalsa INPS nelle fatture elettroniche riveste una notevole importanza sia per i fornitori che per l’Agenzia delle Entrate. Per i fornitori che emettono fattura elettronica, specificare tale voce è fondamentale per diversi motivi:

  1. Consente di addebitare correttamente ai clienti i costi del personale dipendente utilizzato per erogare la prestazione fatturata. Questo in base al principio contabile per cui tutti i costi devono essere imputati ai clienti finali.
  2. Garantisce la possibilità di riversare effettivamente all’INPS – attraverso il modello F24 – l’ammontare dovuto a titolo di rivalsa. In assenza di tale indicazione, l’INPS non avrebbe modo di calcolare la somma da versare.
  3. Permette di dimostrare, in caso di controlli, di aver addebitato ai clienti tutti i costi effettivamente sostenuti per poter ottenere i ricavi dichiarati.

Per l’Agenzia delle Entrate invece l’indicazione della rivalsa in fattura elettronica consente di:

  1. Verificare che i fornitori stiano addebitando ai clienti tutti i costi di competenza come previsto dalla legge, evitando distorsioni fiscali.
  2. Monitorare il corretto versamento di quanto dovuto all’INPS a titolo contributivo.

Quindi, la rivalsa INPS 4 fattura elettronica agenzia entrate può essere considerata un’informazione rilevante sia per una corretta fiscalità da parte dei fornitori che per le attività ispettive dell’Agenzia delle Entrate. Un suo omesso o errato utilizzo nelle fatture elettroniche potrebbe comportare sanzioni.

rivalsa INPS 4 fattura elettronica agenzia entrateRivalsa INPS 4 fattura elettronica: cos’è e qual è il suo scopo

La rivalsa INPS è un contributo aggiuntivo che i datori di lavoro devono versare all’INPS a titolo di recupero di una parte dei costi sostenuti per alcune prestazioni assistenziali e previdenziali erogate ai dipendenti.

In pratica sulle fatture emesse ai clienti i fornitori che applicano la fatturazione elettronica per Forfettari devono indicare questa voce di costo (rivalsa INPS) per poter poi riversare all’INPS quanto dovuto. Quando e perché deve essere inserita? La rivalsa INPS va sempre inserita nelle fatture elettroniche emesse, per ogni periodo di lavoro svolto dai dipendenti, per la quota parte di competenza del cliente.

 

Ad esempio se un dipendente ha lavorato il 50% del mese per un cliente, nella fattura emessa a quest’ultimo verrà addebitato anche il 50% dell’importo complessivo della rivalsa INPS dovuta per quel mese. L’importo è pari a circa il 24% dei contributi previdenziali INPS a carico dell’azienda (come TFR, malattia, maternità e ferie). Indicando correttamente la rivalsa INPS nelle fatture elettroniche si rende noto al cliente il costo del lavoro “nascosto” dietro la prestazione fatturata, permettendo poi all’azienda di assolvere l’obbligo di versamento all’INPS.

Rivalsa INPS 4 fattura elettronica agenzia entrate: come inserirla correttamente in fattura elettronica

È fondamentale inserire la rivalsa INPS nella fattura elettronica in modo corretto, seguendo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate:

  1. La denominazione. La voce deve essere denominata “Rivalsa INPS” o “Rivalsa art. 2119 cc”, valorizzando obbligatoriamente il tipo di dato CNT336.
  2. Le voci di costo. La rivalsa rientra nella categoria “oneri accessori”, andando a incidere sul costo indiretto del personale dipendente utilizzato per fornire la prestazione.
  3. Collocazione in fattura. La rivalsa deve essere inserita in una riga separata, alla fine del dettaglio delle voci di costo, indicando anche l’aliquota di calcolo (solitamente 24%).

Esempio:

Descrizione Quantità Prezzo Unitario Aliquota IVA Importo IVA Importo Rig

Rivalsa INPS 1 500,00 esente 0,00 500,00

Altri aspetti. Non sono presenti limiti di importo ma è importante saper calcolare correttamente l’ammontare in base alle norme vigenti, poiché in occasione dei controlli l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare un importo irregolare. Quindi, indicando una corretta rivalsa INPS in fattura elettronica si evita il rischio di sanzioni ed è possibile riversare all’INPS effettivamente quanto dovuto a titolo di contributi.

Fatture false: come riconoscerle e come difendersi

Purtroppo le fatture false rappresentano un fenomeno in costante crescita, che causa danni enormi all’economia italiana e europea.

Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, le fatture false scoperte in Italia solo nel 2019 sono state oltre 74mila, per un valore di 7 miliardi di euro. Numeri in progressivo aumento negli anni: nel 2017 le fatture false erano state 59mila per un valore di 5,4 miliardi. Anche l’Europol riporta dati allarmanti: le truffe con fatture false sono il tipo di frode fiscale più diffuso in Europa, con danni per oltre 60 miliardi di euro l’anno.

Il fenomeno è in crescita per diversi fattori:

  • La globalizzazione del commercio e l’e-commerce hanno moltiplicato le transazioni tra sconosciuti, aumentando i rischi.
  • La crisi economica spinge molte persone a ricorrere a espedienti fraudolenti per sopravvivere.
  • Le tecnologie digitali rendono facile e tracciabile la creazione e diffusione di finti documenti commerciali.

Questa crescente diffusione di fatture e documenti falsi rende sempre più importante per le imprese adottare accorgimenti e controlli per individuare eventuali tentativi di frode ed evitare danni economici ed eventuali responsabilità penali e civili. La sensibilizzazione e l’attenzione sono le prime difese per contrastare questo allarmante fenomeno.

Fatture false

Fatture false: come riconoscerle

Le fatture false hanno alcune caratteristiche ricorrenti che possono aiutare a riconoscerle.

  1. Dati anagrafici incompleti o generici del fornitore. Se i dati del fornitore indicati in fattura sono molto scarni e non compaiono partita IVA, indirizzo e altri riferimenti completi, è un primo campanello d’allarme.
  2. Numeri di partita IVA sospetti. Controllare il numero di partita IVA è sempre una buona regola: cifre ripetute o sequenze numeriche anomale possono indicare un dato inventato.
  3. Importi arrotondati o cifre ripetute nelle voci. Fatture con importi totali arrotondati o cifre che si ripetono spesso nelle voci possono essere state create ad arte.
  4. Siti web improbabili dei fornitori. Verificare l’esistenza di un sito web o di una pagina social del fornitore può far emergere eventuali anomalie.

A cosa serve la fattura? La fattura è un documento contabile e fiscale molto importante. Serve infatti per certificare l’avvenuta cessione di beni o prestazione di servizi, ai fini dell’IVA e della deduzione dei costi. Per questo è fondamentale verificarne l’autenticità per evitare truffe.

Falsa fatturazione: come difendersi da truffe e frodi

Per difendersi da frodi e truffe con fatture false è importante adottare alcuni accorgimenti:

  1. Verificare i dati del fornitore prima di accettare fatture. Effettuare sempre un controllo incrociato dei dati identificativi del fornitore (partita IVA, ragione sociale, indirizzo ecc…) prima di validare una fattura.
  2. Controllare periodicamente estratto conto e fatture ricevute. Tenere sotto controllo regolarmente i movimenti in entrata e uscita, confrontando fatture con estratto conto, è utile per individuare eventuali addebiti fraudolenti.
  3. Bloccare immediatamente i pagamenti non riconosciuti. Non appena si riscontra un pagamento sospetto è importante bloccarlo immediatamente, informando la banca e le autorità competenti.
  4. Denunciare prontamente alle autorità casi sospetti. Nei casi dubbi è sempre meglio denunciare tempestivamente l’accaduto alla Guardia di Finanza o all’Agenzia delle Entrate per attivare indagini ed evitare complicità.

È risaputo che, sapere Come fare la fattura elettronica esterna aiuta a ridurre il rischio di frode, essendo un processo controllato e tracciabile. L’invito quindi è quello di emettere fatture elettroniche verso indirizzi certificati.

Tassazione per trasparenza: cos’è e come funziona

Il regime della tassazione per trasparenza si applica a particolari tipologie di società come società di persone e società in accomandita semplice. In base a questo regime, gli utili e i redditi prodotti dalla società non sono assoggettati a tassazione a livello societario ma sono attribuiti ai soci in proporzione alle quote di partecipazione.

I soci devono quindi dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi la quota di utili di competenza e pagare le relative imposte utilizzando il proprio scaglione IRPEF anziché, come avviene per le società di capitali, pagare l’IRES sul proprio reddito complessivo. In questo modo i redditi della società “appaiono trasparenti” ai fini fiscali, venendo tassati direttamente nella dichiarazione dei redditi personali dei soci anziché a livello di soggetto societario.

La tassazione per trasparenza si applica solo a società di persone e società in accomandita semplice, ritenute “trasparenti” dagli ordinamenti fiscali a causa della mancanza di limitazione della responsabilità dei soci per le obbligazioni della società.

Tassazione per trasparenza: cos’è

La tassazione per trasparenza è un regime fiscale in base al quale i redditi della società non sono assoggettati a tassazione a livello societario. Questi infatti sono attribuiti pro quota ai soci e tassati a livello personale nella dichiarazione dei redditi di questi ultimi.

Nello specifico, il reddito prodotto dalla società non è tassato direttamente a livello societario ma è “trasparente” ai fini fiscali, nel senso che è riversato e dichiarato dai soci per la parte proporzionale di competenza, con i quali l’Amministrazione Finanziaria mantiene i rapporti fiscali diretti. In sostanza, al posto di pagare tasse e imposte sul reddito prodotto, la società lo alloca tra i soci che provvedono autonomamente ad assolvere gli oneri fiscali per la quota di competenza. L’effetto è quello di “trasparenza fiscale“, in quanto l’Amministrazione Finanziariavede attraverso” la società per impossessarsi direttamente dei redditi dei soci.

Il regime della tassazione per trasparenza si applica soltanto a società di persone e società in accomandita semplice, in quanto ritenute dagli ordinamenti fiscali “trasparenti” ai fini IRPEF poiché la loro natura non prevede la limitazione della responsabilità patrimoniale dei soci.

Regime di trasparenza: come funziona

Il meccanismo della tassazione per trasparenza è piuttosto semplice. Il reddito prodotto dalla società è attribuito ai soci in proporzione alla quota di partecipazione degli stessi. Ciascun socio dichiara dunque nella propria dichiarazione dei redditi la quota di reddito di competenza e paga le relative imposte.

In altre parole, i profitti realizzati dalla società sono distribuiti ai soci – ad esempio sotto forma di utili – che dovranno dichiararli come reddito aggiuntivo e pagare su di esso le imposte dovute in base al proprio scaglione IRPEF. La società, in quanto “trasparente”, opera essenzialmente come mero soggetto interposto, semplice contenitore della attività dei soci.

Tassazione per trasparenza

In concreto, una volta calcolato l’utile prodotto nel periodo d’imposta, la società:

  1. Attribuisce ad ogni socio una quota dell’utile in proporzione alla sua partecipazione al capitale sociale.
  2. Prepara la certificazione unica con i dati da indicare nella dichiarazione dei redditi di ogni socio.
  3. Riversa materialmente gli utili ai soci, ad esempio tramite distribuzione di dividendi.

I soci provvedono quindi a:

  1. Indicare nelle proprie dichiarazioni dei redditi la quota di reddito imputata dalla società
  2. Pagare le relative imposte in base al proprio scaglione IRPEF anziché, come avviene per le società di capitali, procedere al pagamento dell’IRES a livello societario.

Alla società rimane l’onere della sola compilazione della certificazione unica per ogni socio.

Trasparenza fiscale: a quali soggetti si applica

Il regime della tassazione per trasparenza, come anticipato, si applica a:

  • Società di persone come società in nome collettivo (SNC), società in accomandita semplice (SAS) e società semplice (SS): sono considerate trasparenti ai fini fiscali perché non contemplano la limitazione della responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. Di conseguenza, i redditi sono attribuiti direttamente ai soci che sono tenuti a dichiararli e a pagare le relative imposte.
  • Società in accomandita semplice: sebbene i soci accomandatari, che gestiscono materialmente l’attività, siano tassati per trasparenza per la quota di reddito a essi imputabile, i soci accomandanti, che non intervengono nella gestione, sono tassati separatamente in quanto percepiscono unicamente il diritto al dividendo.

Non si applica invece alle:

  • Società di capitali (p.A. e Srl), soggetti fiscali autonomi rispetto ai soci, che pagano l’IRES sul proprio reddito di impresa e distribuiscono successivamente gli utili ai soci, assoggettandoli alla tassazione dei dividendi.

Pertanto, solo alcune tipologie di società beneficiano della tassazione per trasparenza dei redditi, in virtù della loro natura giuridica che non prevede una netta separazione tra soggetto societario e soggetti soci.

Tregua fiscale: cos’è, a cosa serve e quando e perché è concessa

La tregua fiscale è una chance per i contribuenti in difficoltà. Si tratta di un provvedimento straordinario mediante il quale lo Stato concede la possibilità a contribuenti e imprese in ritardo con il fisco di regolarizzare la propria posizione versando somme notevolmente ridotte rispetto a quanto dovuto. Si tratta di una definizione agevolata dei debiti tributari, con sconti considerevoli su sanzioni, interessi e anche le somme iscritte a ruolo. Un’occasione per mettersi in regola con l’erario pagando anche fino al 90% in meno rispetto al debito iniziale.

La tregua fiscale è decisa dal legislatore in situazioni particolari, come periodi di crisi economica o all’inizio dell’attività di un nuovo governo, con l’obiettivo da un lato di fare emergere il nero fiscale e dall’altro di sostenere contribuenti e imprese in difficoltà.

Per questi soggetti rappresenta una chance per mettersi in pari con il fisco pagando somme più sostenibili, annullando le azioni di riscossione in corso e chiudendo in via definitiva le proprie pendenze. Un’occasione da non lasciarsi sfuggire per tutti coloro che desiderano regolarizzare la propria situazione tributaria in modo più agevole. Il provvedimento ha durata limitata e richiede il rispetto di precisi termini e modalità di adesione per poterne beneficiare.

Cos’è la tregua fiscale

La tregua fiscale è quindi un provvedimento con il quale lo Stato, in via del tutto eccezionale, concede la possibilità ai contribuenti di regolarizzare la propria posizione con il fisco in modo agevolato. Consiste in una definizione agevolata dei debiti tributari: i contribuenti possono pagare una somma notevolmente ridotta rispetto a quanto effettivamente dovuto, estinguendo così tutti i debiti fiscali.

È emanata normalmente in situazioni di particolare difficoltà economico-finanziaria, al fine di favorire la ripresa dell’economia e consentire ai contribuenti in ritardo coi pagamenti di rimettersi in regola. In questo modo lo Stato può recuperare almeno una parte delle imposte non versate, facendo emergere debiti fiscali occulti.

 

La tregua fiscale prevede che i contribuenti interessati possano pagare solo una quota ridotta dei debiti tributari iscritti a ruolo, con percentuali di sconto che possono arrivare fino al 90% del dovuto. In cambio lo Stato ‘perdona’ le altre somme e annulla sanzioni, interessi, more e pignoramenti già avviati. È generalmente concessa per un determinato periodo di tempo, entro il quale i contribuenti possono aderire beneficiando degli sconti previsti.

Tregua fiscale

Tregua fiscale: a cosa serve

La tregua fiscale ha principalmente due obiettivi:

  1. Fare emergere situazioni irregolari. Concedendo sostanziali sconti sui debiti, lo Stato mira a favorire l’emersione spontanea di evasione fiscale ed elusione, spingendo i contribuenti a regolarizzare le proprie posizioni. La tregua fiscale serve così ad ampliare la base imponibile e recuperare, seppur parzialmente, gettito fiscale nascosto.
  2. Favorire la ripresa economica. La tregua fiscale mira anche a sostenere imprese e famiglie in difficoltà, permettendo loro di mettersi in regola senza oneri eccessivi. In questo modo si contribuisce ad accelerare la ripresa e il rilancio dell’economia.

È generalmente concessa in situazioni particolari, come:

  • Periodi di crisi economica, per incoraggiare i contribuenti a regolarizzarsi e consentire la ripresa produttiva e degli investimenti.
  • All’inizio della attività di un nuovo governo, come segnale di discontinuità con il passato e per recuperare prontamente gettito.
  • In presenza di contenziosi e situazioni di irregolarità diffuse, al fine di semplificare e alleggerire il carico per lo Stato e i contribuenti.

In generale è uno strumento eccezionale deciso dal legislatore per garantire un gettito immediato e favorire la compliance fiscale, con un’adesione volontaria da parte dei contribuenti.

Cosa prevede, come funziona e quali sono gli sconti previsti

Normalmente il funzionamento della tregua fiscale prevede:

  • Pagamento di una quota ridotta dei debiti iscritti a ruolo. Le percentuali di sconto applicate variano ma di solito sono molto alte: spesso si arriva fino al 50%-60% di sconto per tasse e contributi e fino al 90% per sanzioni e interessi.
  • Annullamento di sanzioni e interessi di mora, nonché di costi di notifica e gestione delle cartelle.
  • Possibilità di regolarizzare anche le cartelle non ancora formalmente iscritte a ruolo, pagandole integralmente ma senza sanzioni.

Gli sconti si applicano generalmente sia ai debiti tributari di importo elevato (come l’IVA) sia a quelli di importo contenuto (come le ritenute IRPEF), oltre che ai contributi previdenziali non versati.

Per aderire alla tregua fiscale bisogna presentare apposita domanda entro la scadenza prevista (di solito 90 giorni dall’emanazione della norma). Chi aderisce deve poi pagare le somme dovute secondo modalità e tempistiche stabilite. A pagamento effettuato, l’Agenzia delle Entrate annulla i ruoli, estingue le somme non versate e considera regolare la posizione del contribuente.

In sintesi, la tregua fiscale consente di chiudere tutte le pendenze con il fisco versando somme significativamente inferiori, anche fino al 90% in meno, rispetto a quanto dovuto e cancellando anche la posizione debitoria pregressa.

Iva ristoranti: tipologie e funzionamento

Aprire un’attività come un ristorante è un’impresa complessa, ben nota a coloro che hanno preso in considerazione questa possibilità. Tuttavia, la gestione dell’IVA nei ristoranti è ancora più intricata nonostante le semplificazioni legislative, suscitando ancora dubbi e incertezze.

L’applicazione dell’IVA nel settore della ristorazione differisce notevolmente da altri settori. Per un commerciante, la questione è semplice: acquista merce con un’aliquota del 22% e la rivende applicando la stessa aliquota. Per un ristoratore, invece, la situazione è diversa in quanto le materie prime acquistate sono soggette ad aliquote diverse, ma al momento della vendita è necessario applicare un’unica aliquota IVA prevista per la ristorazione. Vediamo quindi come orientarsi all’interno del complesso mondo dell’IVA nei ristoranti, evitando rischi con le autorità fiscali.

Iva ristorante: categorie e aliquote da applicare

Come precedentemente menzionato, il caso dei ristoranti presenta delle peculiarità, poiché il settore della ristorazione è uno dei pochi in cui si applica l’aliquota ridotta del 10%, indipendentemente dalle bevande e dai cibi serviti. Tuttavia, quando si procede all’acquisto delle materie prime, ci si trova ad affrontare diverse tipologie di aliquote.

Infatti, sull’acqua in bottiglia, sulle bevande alcoliche e sulle bibite, si dovrà pagare il 22% di IVA, mentre sulla carne, il pesce, le uova, i cereali e lo zucchero, solo per citarne alcuni, si applica l’aliquota del 10%. L’aliquota scende ulteriormente per la frutta, la verdura, il pane, la pasta, il pomodoro in conserva, l’olio e i latticini, poiché considerati beni di prima necessità, beneficiando dell’aliquota minima del 4%.

Pertanto, la gestione dell’IVA nei ristoranti risulta complessa e richiede una particolare attenzione, specialmente durante la registrazione delle fatture elettroniche d’acquisto, quando è necessario associare l’aliquota corretta a ciascun prodotto singolarmente.

Nel contesto dei ristoranti, l’aliquota IVA applicabile è quella ridotta al 10%, la medesima prevista per la fornitura di energia elettrica, gas e medicinali. Tale scelta è giustificata sia dal fatto che determinati beni sono considerati di rilevanza per i consumatori, sia dal fatto che il valore di tali beni non supera la metà del valore totale del servizio offerto.

Iva ristoranti

Di fatto, come ristoratore, è possibile applicare l’aliquota ridotta poiché il costo delle materie prime rappresenta meno della metà dell’importo totale addebitato ai clienti.

Tuttavia, fino a poco tempo fa, i ristoranti con servizio da asporto e i servizi di consegna a domicilio, pur operando nello stesso settore dei ristoranti, non potevano beneficiare dell’applicazione dell’aliquota IVA ridotta.

Iva ristorazione: come funziona per asporto e delivery

Fino al 2021, l’aliquota IVA applicata nei ristoranti variava a seconda della loro tipologia. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26/10/1972 forniva una chiara enumerazione di beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%, tra cui rientrava anche la ristorazione.

Tuttavia, all’interno della normativa si trovava un breve paragrafo che specificava che per somministrazione di alimenti e bevande al pubblico si intendeva esclusivamente la vendita sul posto, cioè il consumo immediato in locali appositamente attrezzati.

Di conseguenza, l’aliquota IVA del 10% si applicava a ristoranti, pub, pizzerie, osterie, trattorie, sushi bar e così via, ma non alle attività che si occupavano di servizio delivery o asporto, per le quali, fino al 2021, si applicava l’aliquota del 22%. Cosa è cambiato?

Nonostante nel corso del tempo le associazioni di categoria avessero sollecitato il legislatore a consentire l’applicazione dell’IVA al 10% anche per i ristoranti con servizio da asporto, tali richieste erano rimaste inascoltate. Tuttavia, a seguito delle gravi conseguenze della pandemia che ha colpito duramente il settore della ristorazione, il governo ha cambiato posizione. Pertanto, anche se i clienti non consumano più i pasti all’interno dei locali, è possibile applicare l’aliquota più bassa.

Tuttavia, è importante sottolineare che questa concessione è da considerare come una misura transitoria adottata per contrastare gli effetti dell’emergenza COVID-19 e si applica solo agli alimenti cotti e pronti per il consumo. Di conseguenza, per le bevande e per i cibi non preparati, considerati beni e non alimenti, che sono consumati al di fuori del locale, si dovrà applicare l’aliquota del 22%.

 

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Quando si vince al 10 e lotto è obbligatorio dichiararlo al Fisco?

Quando si vince al 10 e lotto è obbligatorio dichiararlo al Fisco? Una domanda a cui non tutti sanno dare una risposta precisa, soprattutto perché le leggi sui giochi a premi cambiano molto frequentemente. In Italia, le vincite ai giochi in denaro sono soggette a una tassazione del 6% se il valore della vincita supera i 500 euro. Tuttavia, le vincite al gioco del 10 e lotto sono considerate una forma di lotteria a estrazione differita, e quindi sono esenti da tassazione fino a un importo massimo di 500 euro. Al di sopra di tale soglia, la tassazione del 6% si applica solo alla parte eccedente i 500 euro.

È importante notare che, a prescindere dall’importo della vincita, queste devono essere sempre denunciate al Fisco, in quanto l’omessa dichiarazione di tali redditi costituisce un reato fiscale. Dunque, anche le vincite di importo inferiore ai 500 euro, sebbene non siano soggette a tassazione, devono comunque essere riportate nella dichiarazione dei redditi, dalla quale non è possibile omettere niente.

Giochi a premi: definizione e tassazioni

I giochi a premi sono una tipologia di gioco in cui è possibile vincere premi di varia natura, come denaro, oggetti o servizi. Questi giochi possono essere organizzati da aziende, associazioni, enti pubblici o privati, ed essere svolti in vari contesti, come fiere, eventi, punti vendita od online. Tuttavia, la partecipazione ai giochi a premi è soggetta a precise regole, che variano a seconda della tipologia di gioco e delle leggi in vigore nel paese in cui si svolgono. In Italia, ad esempio, i giochi a premi sono regolati dal decreto legislativo n. 114 del 31 marzo 1998, che stabilisce le modalità di svolgimento dei concorsi e delle operazioni a premio, nonché le condizioni di partecipazione e le eventuali tassazioni.

Quando si vince al 10 e lotto

In Italia, le regole per la tassazione delle vincite al gioco cambiano frequentemente e variano a seconda del tipo di gioco e dell’entità del premio. Sebbene lo Stato riceva una parte delle vincite, a volte definita “tassa sulla fortuna”, è importante sapere che il gioco e le scommesse fanno parte delle attività controllate dallo Stato e sono gestite tramite agenzie specifiche come l’Amministrazione Dogane e Monopoli o società che hanno ottenuto i dovuti permessi. Tuttavia, nel caso di gioco illegale e scommesse clandestine, è prevista una multa fino a 516 euro e l’arresto fino a 3 mesi. Pertanto, prima di iniziare a giocare è necessario accertarsi che il portale scelto sia in possesso della licenza ADM o AAMS per evitare di trovarsi in situazioni di illegittimità e conseguenti sanzioni.

In generale, la tassazione delle vincite al gioco può essere diversa a seconda della tipologia di gioco. Ad esempio, per le scommesse sportive, l’imposta è applicata sulla raccolta, mentre per le lotterie nazionali come il Lotto e il Superenalotto, la tassazione si applica solo per le vincite superiori ai 500 euro. Per i casinò online, invece, le regole sono differenti e variano a seconda della tipologia di gioco e dell’entità del premio. In passato, era in vigore un sistema di flat tax che prevedeva una tassazione in percentuale identica per tutti i premi, indipendentemente dall’entità di questi, ma ora le regole sono state modificate. In ogni caso, è importante tenere in considerazione le normative sul gioco d’azzardo e sulle tassazioni applicabili, per evitare di incorrere in sanzioni e problemi legali.

Tasse sulle vincite: quando devono essere pagate

I giochi a premi sono una pratica molto diffusa in diversi contesti, dal gioco d’azzardo ai concorsi a premi promossi da aziende e negozi. Questi consistono nella possibilità di vincere un premio in base alla casualità, alla fortuna o all’abilità dimostrata nel gioco. È importante, però, conoscere le regole che regolamentano la tassazione dei premi, poiché in caso di mancata osservanza delle stesse si possono incorrere in sanzioni o conseguenze legali. In generale, la persona vincitrice non deve preoccuparsi di praticare la tassazione, poiché questa è effettuata alla fonte dal gestore del gioco. Tuttavia, se si partecipa a giochi illegali o a premi promossi da realtà prive delle dovute licenze, si deve procedere all’inserimento dei premi nella dichiarazione dei redditi.

La tassazione dei premi segue regole specifiche, in base all’importo del premio e al tipo di gioco. In linea generale, le vincite fino ai 500 euro nella maggior parte dei casi non sono tassate, mentre l’importo tassabile verrà poi calcolato a partire dal superamento di tale cifra. Ad esempio, una vincita al superenalotto di 1500 euro, tassato al 20%, sarà pari a 1300 euro netti. In ogni caso, è sempre opportuno conservare la documentazione attestante la vincita, come la ricevuta o il certificato di vincita, in caso di eventuali accertamenti fiscali. Inoltre, è importante sottolineare che l’inserimento dei premi vinti in giochi illegali nella dichiarazione dei redditi può essere considerato un’ammissione di colpevolezza e comportare conseguenze legali. Al contrario, i premi vinti legalmente in Stati non italiani facenti parte dell’Unione Europea non sono soggetti a tassazione e non devono essere dichiarati.

Società di comodo, evasione ed elusione fiscale

Le società di comodo possono avere conseguenze deleterie non solo in Italia, ma anche a livello globale. L’uso di queste società per evadere le tasse e nascondere l’identità dei veri proprietari può creare disuguaglianze economiche e causare la perdita di entrate fiscali per gli Stati, con conseguenze negative per la fornitura dei servizi pubblici essenziali. Sono solitamente usate per attività illecite, come il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo. Per questi motivi, è fondamentale che gli Stati collaborino a livello internazionale per prevenire e combattere l’evasione fiscale causata dalle società di comodo, garantendo un sistema fiscale equo e trasparente per tutti.

Società non operativa: regolamentazione e normativa

La regolamentazione delle società di comodo è un tema cruciale nella lotta all’ evasione fiscale e all’elusione fiscale. La difficoltà principale risiede nel fatto che le società di comodo sono progettate per nascondere l’identità dei veri proprietari e rendere difficile l’individuazione delle persone responsabili dell’azienda. Ciò ha reso la regolamentazione di queste strutture un compito arduo per le autorità, che spesso devono lavorare a lungo per identificarle e per capire quali sono gli individui coinvolti.

Tuttavia, sono state adottate diverse misure per regolamentare le società di comodo e limitare il loro utilizzo per fini illeciti. Ad esempio, alcuni Paesi hanno introdotto leggi che richiedono la registrazione delle società e la divulgazione dell’identità dei veri proprietari, mentre altri hanno sviluppato sistemi di controllo più sofisticati per identificare le società di comodo. Organizzazioni internazionali come l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) hanno sviluppato standard internazionali per la regolamentazione di queste società.

Ci sono ancora molti problemi aperti, tuttavia. Ad esempio, l’applicazione delle leggi e delle regolamentazioni sulle società di comodo è spesso complessa, e le autorità sono costrette a collaborare su scala internazionale per identificare e perseguire i responsabili. Alcuni Paesi ancora non hanno introdotto leggi e regolamenti adeguati a regolamentare queste strutture, rendendo difficile la lotta all’evasione fiscale e all’elusione fiscale a livello globale.

Società non operative: strumenti per l’evasione fiscale

Le società di comodo sono diventate un’arma comune nell’evasione fiscale. Spesso, i proprietari sono individui o aziende che cercano di nascondere i loro beni e di evitare di pagare le tasse. In molti casi, sono create in Paesi a bassa tassazione e utilizzate per creare artificiosi flussi finanziari che permettono di nascondere le attività reali dell’azienda. Questo rende difficile per le autorità fiscali individuare i veri proprietari delle società, e di conseguenza rende difficile riscuotere le tasse che spettano.

L’utilizzo di società di comodo per l’evasione fiscale ha effetti negativi sull’economia globale. Infatti, l’evasione fiscale priva gli Stati delle risorse necessarie per finanziare i servizi pubblici, come l’istruzione e la sanità. Le società di comodo hanno anche effetti negativi sulla concorrenza, in quanto consentono alle imprese di mantenere prezzi artificialmente bassi, poiché evadono le tasse e non devono coprire i costi che altre imprese legali devono sostenere. Questo può portare a un mercato distorto e a una concorrenza sleale che danneggia le aziende che rispettano le leggi fiscali. In generale, sono una minaccia per l’economia globale e la loro regolamentazione è di fondamentale importanza per preservare l’equità e la sostenibilità dell’economia mondiale.

Società di comodo: impatto su tassazione ed economia globale

Le società di comodo rappresentano un grave problema per la tassazione e l’economia globale. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), l’evasione fiscale causata dalle società di comodo ha un costo globale compreso tra i 100 e i 240 miliardi di dollari l’anno. Ciò significa che gli Stati perdono ingenti entrate fiscali che potrebbero essere utilizzate per finanziare servizi pubblici essenziali come la sanità e l’istruzione. L’uso di società di comodo può creare disuguaglianze economiche poiché i ricchi proprietari di queste società possono evadere le tasse mentre i cittadini comuni devono pagarle.

L’impatto negativo sulla tassazione e sull’economia globale è ancora più preoccupante se si considera che solo un piccolo numero di individui e aziende è responsabile della maggior parte dell’evasione fiscale. Secondo uno studio della Banca mondiale, solo l’1% della popolazione mondiale possiede il 45% di tutte le ricchezze mondiali e controlla il 60% di tutte le società di comodo. Questo significa che l’evasione fiscale causata dalle società di comodo è concentrata nelle mani di una piccola élite di individui e aziende, che hanno un impatto significativo sulla tassazione e sull’economia globale. Per contrastare questo fenomeno, è fondamentale che gli Stati adottino misure efficaci per prevenire e combattere l’evasione fiscale causata proprio dalle società non operative.

Rappresentante fiscale: chi è, cosa fa e a cosa serve

Il rappresentante fiscale è un professionista o un’azienda incaricata di rappresentare legalmente una società estera o un cittadino straniero in Italia dal punto di vista fiscale. Possono beneficiare del suo operato sia le aziende estere che intendono operare in Italia, avendo bisogno di un punto di contatto affidabile con le autorità fiscali italiane, sia i cittadini stranieri che vivono in Italia e necessitano di una consulenza personalizzata per conformarsi alle leggi fiscali italiane e presentare le dichiarazioni fiscali. In entrambi i casi, il rappresentante fiscale è una figura professionale fondamentale per garantire la corretta adesione alle norme fiscali italiane e prevenire eventuali sanzioni e contenziosi.

Rappresentante fiscale in Italia: una figura fondamentale per le aziende estere che operano in Italia

Il rappresentante fiscale è un professionista o un’azienda incaricata di rappresentare legalmente una società estera in Italia dal punto di vista fiscale. La figura del rappresentante fiscale è particolarmente importante per le aziende estere che intendono operare in Italia, poiché è il principale punto di contatto tra l’azienda e le autorità fiscali italiane. Svolge una serie di compiti, tra cui la presentazione delle dichiarazioni fiscali. 

Il rappresentante ha il compito di monitorare costantemente le leggi e le normative fiscali italiane per assicurarsi che l’azienda estera sia sempre in regola. Questa figura professionale, infatti, ha una conoscenza approfondita del sistema fiscale italiano e delle sue regole, e ciò gli consente di fornire consulenza preziosa alle aziende estere. Ha un ruolo importante nella gestione dei rapporti tra l’azienda estera e le autorità fiscali italiane, contribuendo a garantire la trasparenza e la correttezza degli scambi. Rappresenta un importante alleato per le aziende estere che intendono operare in Italia, garantendo loro la conformità alle leggi fiscali e la possibilità di evitare sanzioni e contenziosi.

Rappresentante fiscale: un alleato per le aziende italiane che operano all’estero

Il rappresentante fiscale non è importante solo per le aziende estere che operano in Italia, ma anche per le aziende italiane che operano all’estero. In questo caso, il rappresentante fiscale è una figura che aiuta le aziende italiane a conformarsi alle leggi fiscali del paese in cui operano, evitando sanzioni e contenziosi fiscali. Il rappresentante fiscale svolge una serie di compiti, tra cui la presentazione delle dichiarazioni fiscali, la gestione delle imposte e la risoluzione di eventuali contenziosi fiscali. Fornisce consulenza su questioni fiscali specifiche del paese in cui l’azienda opera, aiutando l’attività a comprendere le leggi fiscali locali e a evitare sanzioni e contenziosi.

Rappresentante fiscale

Il ruolo del rappresentante fiscale diventa particolarmente importante per le aziende italiane che operano in paesi con sistemi fiscali molto diversi da quello italiano. In questi casi, infatti, rappresenta un punto di riferimento indispensabile per l’azienda italiana, fornendo consulenza su questioni fiscali e aiutando l’azienda a navigare in un sistema fiscale spesso complesso e diverso da quello a cui è abituata. È un alleato fondamentale per le aziende italiane che intendono operare all’estero, garantendo loro la conformità alle leggi fiscali locali e la possibilità di operare in modo efficiente ed efficace.

Rappresentanza fiscale: una figura importante per i cittadini stranieri che vivono in Italia

Il ruolo del rappresentante fiscale diventa particolarmente importante per i cittadini stranieri che non hanno una conoscenza approfondita del sistema fiscale italiano. Il rappresentante fiscale, infatti, è in grado di fornire una consulenza personalizzata e aiutare i cittadini stranieri a navigare nel complesso sistema fiscale italiano, evitando, anche in questo caso, eventuali sanzioni e contenziosi. Questa figura professionale può rappresentare un punto di contatto affidabile tra i cittadini stranieri e le autorità fiscali italiane, garantendo la trasparenza e la correttezza degli scambi.

Il ruolo del rappresentante fiscale è particolarmente importante per i cittadini stranieri che vivono in Italia e hanno attività commerciali o possiedono proprietà immobiliari. In questi casi, il rappresentante fiscale assiste i cittadini stranieri nell’adempimento degli obblighi fiscali, presentando le dichiarazioni fiscali e gestendo le imposte. Inoltre, fornisce assistenza anche nella gestione dei rapporti con le autorità fiscali, aiutando i cittadini stranieri a mantenere la propria attività in regola con le leggi fiscali italiane.