Il Rendiconto Finanziario: cos’è e a cosa serve

Nell’articolo precedente: “Bilancio di Esercizio soggetti obbligati, documenti e funzioni” abbiamo visto cos’è il Bilancio d’esercizio, quali funzioni svolge e da quali documenti è composto. Cinque i documenti fondamentali contenuti in un bilancio: Stato Patrimoniale, Conto Economico, rendiconto finanziario, Nota Integrativa e relazione sulla gestione. Oggi in particolare andiamo a vedere i dettagli del rendiconto finanziario.

Il rendiconto finanziario: decreto legislativo 139/2015

Il rendiconto finanziario è un dei cinque documenti obbligatori previsti nel bilancio d’esercizio che una società deve obbligatoriamente redigere secondo norma di legge. É stato introdotto come obbligatorio dal decreto legislativo 139/2015. Prima si trattava di un documento facoltativo.

Il rendiconto finanziario riassume tutti i flussi di cassa di un’impresa, avvenuti in un determinato periodo di tempo. In altre parole il rendiconto finanziario contiene l’indicazione di tutte le fonti che hanno portato a incrementare i fondi liquidi disponibili della società e il tracciamento di tutti gli impieghi di capitale sostenuto dall’impresa. Se volessimo spiegarlo in modo ancora più semplice, è possibile affermare che il rendiconto finanziario indica quanto “denaroè entrato e uscito dal conto aziendale e quali sono i fattori che ne hanno determinato tutte le variazioni.

La rendicontazione di questo documento non tiene conto della distinzione tra attività, passività, ricavi o costi. Di tutte queste voci è presa in considerazione solo quelle sottovoci per le quale c’è stato nel concreto, un’entrata o un’uscita di cassa.

Un importante strumento di controllo nella gestione di un’azienda

Il rendiconto finanziario è uno strumento potente e importante per un’impresa. Serve infatti a determinare la disponibilità di denaro dell’azienda. Inoltre permette di controllare le variazioni della disponibilità di denaro nel tempo. Serve quindi ad anticipare le dinamiche di entrate ed uscite dalle casse d’impresa.

Il rendiconto finanziario inoltre aumenta la credibilità dell’azienda, quando questa, ad esempio, cerca di accedere al credito tramite gli istituti bancari. La capacità di misurare e controllare le dinamiche finanziarie di un’attività è sinonimo di affidabilità (rating).

Infatti da un rendiconto finanziario è possibile calcolare:

  1. se l’azienda è in grado di pagare gli interessi passivi sui prestiti
  2. la capacità di rimborsa i finanziamenti richiesti
  3. se è in grado di pagare le imposte (IRPEF, IRES, IRAP)
  4. la necessità di richiedere un nuovo finanziamento
  5. la programmazione per futuri investimenti

Principi e finalità

In base al principio OIC n°10 il rendiconto finanziario deve riassumere:

  • l’attività di finanziamento (sia autofinanziamento sia esterno);
  • le variazioni delle risorse finanziarie causate dall’attività produttiva di reddito;
  • l’attività di investimento dell’impresa;
  • le variazioni della situazione patrimoniale-finanziaria.

Il Rendiconto Finanziario

Le finalità da raggiungere invece sono:

  • Conoscere per effetto di quali cause è variata la situazione patrimoniale dell’impresa rispetto alla chiusura dell’esercizio precedente;
  • Esplicitare le modalità di reperimento delle risorse finanziarie,
  • Esplicitare le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie;
  • Evidenziare le correlazioni esistenti tra le singole categorie di fonte e le singole categorie di impieghi;
  • Determinare le incidenze percentuali delle fonti e degli impieghi di risorse sul totale delle medesime.

Il Rendiconto Finanziario: compilazione e contenuto

Non si tratta di un documento facile da compilare. In generale il rendiconto è impostato secondo due diverse modalità:

  1. Metodo Diretto
  2. Metodo Indiretto

Metodo Diretto

Tiene conto della traccia di tutti i movimenti in entrata e in uscita. Questi sono classificati in base alla loro entità e natura.

Metodo Indiretto

In questo caso la rendicontazione parte dall’Utile Netto. L’utile netto non tiene conto degli elementi che non hanno natura monetaria. In questo modo è possibile arrivare a individuare esattamente incassi ed esborsi. Questo secondo metodo è il più diffuso, perché legato strettamente alla redazione dello Stato patrimoniale e del conto economico.

Bilancio di Esercizio: soggetti obbligati, documenti e funzioni

Il bilancio di esercizio è un insieme di documenti contabili che un’impresa è obbligata a redigere e conservare ai sensi della legge. In linea di massima serve a definire la situazione patrimoniale e finanziaria di un’azienda, nonché il risultato economico d’esercizio dato dalla somma di tutte le fatture elettroniche e dalle spese sostenute. Fa riferimento ad un determinato periodo amministrativo e deve essere redatto periodicamente. In Italia questa documentazione è regolamentata dagli articoli 2423 e seguenti del codice civile. L’argomento è trattato anche dalla normativa comunitaria speciale in materia e dalla normativa tecnica di settore nazionale (principi contabili emanati dall’Organismo Italiano di Contabilità-OIC) e internazionale (International Accounting Standard-IAS). Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Bilancio d’esercizio: definizione

Il comma 1 dell’articolo 2423 del Codice Civile definisce il bilancio d’esercizio:

“Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico, dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa”.

Sono quindi gli amministratori societari, cioè i rappresentati legali della società, a dover redigere il bilancio. La redazione del bilancio deve seguire determinati criteri stabiliti sempre dal codice civile:

  • continuità – nell’ottica che l’azienda continui la sua attività nel tempo
  • prudenza – nella determinazione del reddito
  • competenza (economica) – tenendo conto degli oneri e dei ricavi, indipendentemente dal pagamento e dall’incasso, solamente se imputabili economicamente all’esercizio
  • separazione – ogni elemento presente nel bilancio d’esercizio deve essere valutato separatamente e non in compensazione
  • costanza – per garantire che i criteri di valutazione rimangano sempre gli stessi di anno in anno
    prevalenza della sostanza sulla forma – la valutazione delle voci è determinata dalla loro funzione economica.

Soggetti obbligati a redigere e depositare il bilancio d’esercizio

Soggetti societari obbligati a redigere e depositare il bilancio d’esercizio in Camera di Commercio sono:

  1. Società a responsabilità limitata;
  2. Società per azioni;
  3. Società in accomandita per azioni;
  4. Società cooperativa;
  5. Società estere con sede in Italia;
  6. Geie;
  7. Consorzi con qualifica di confidi;
  8. I consorzi che non hanno la qualifica di confidi sono tenuti a depositare unicamente la situazione patrimoniale;
  9. Contratti di Rete di Imprese;
  10. Aziende speciali e Istituzioni di Enti Locali;
  11. Startup innovative.

I documenti del bilancio

Il bilancio d’esercizio è composto da cinque diversi documenti fondamentali:

  1. Stato Patrimoniale;
  2. Conto Economico;
  3. Rendiconto finanziario;
  4. Nota Integrativa;
  5. Relazione sulla gestione.

Stato Patrimoniale: che cos’è e a cosa serve

Si tratta del documento attraverso il quale è possibile valutare la situazione patrimoniale e finanziaria di un’azienda in un determinato momento. Lo stato patrimoniale è costituito da sezioni contrapposte: a sinistra vi è l’attivo e a destra il passivo. Nell’attivo vengono inserite le attività o investimenti, nel passivo le fonti di finanziamento, ossia le passività e il capitale netto.

Bilancio di Esercizio

Conto Economico: art. 2424 del Codice Civile

Il Conto Economico contiene i ricavi e i costi di competenza dell’esercizio, redatto in maniera a scalare e classificato in base alla natura delle voci. La differenza tra ricavi e costi può essere:

  • positiva (utile di esercizio)
  • negativa (perdita di esercizio).

Rendiconto finanziario: approfondimento dei dati

Troviamo la definizione del rendiconto finanziario sempre nell’art. 2425-ter del Codice Civile:

“Dal rendiconto finanziario risultano, per l’esercizio a cui é riferito il bilancio e per quello precedente, l’ammontare e la composizione delle disponibilità’ liquide, all’inizio e alla fine dell’esercizio, ed i flussi finanziari dell’esercizio derivanti dall’attività’ operativa, da quella di investimento, da quella di finanziamento, ivi comprese, con autonoma indicazione, le operazioni con i soci”

Con questo documento sono approfonditi i dati e la valutazione della liquidità e solvibilità aziendale.

Nota Integrativa: art. 2427 del Codice Civile

Con la nota integrativa sono spiegati tutti i dati e i numeri contenuti nello Stato Patrimoniale e nel Conto Economico. Dati che risulterebbero incomprensibili senza poter entrare nel merito grazie alla nota integrativa prevista dall’art. 2427 del Codice Civile.

Bilancio d’esercizio: funzioni di verifica interna ed esterna

Il bilancio assolve a diverse funzioni. Funzioni di verifica interna ed esterna. La funzione interna serve all’impresa per valutare l’investimento fatto nell’attività. Quella esterna invece serve ai soggetti terzi all’impresa per valutare correttamente l’attività, la sua situazione patrimoniale, finanziaria ed economica.

Aprire una partita IVA: procedura e costi da sostenere

L’apertura di una nuova attività prevede una serie di regole da rispettare e vari elementi da valutare. Aprire una partita IVA richiede impegno economico e un calcolo preciso di tutti i vantaggi e gli svantaggi a cui potrebbe portare. L’apertura in se per se non è molto difficile, ma richiede qualche passaggio che deve essere seguito alla lettera. Decidere di “mettersi in proprio” e non essere un dipendente a stipendio fisso mensile però, comporta delle responsabilità alle quali non è possibile sottrarsi. Obblighi previdenziali e regolari tasse da pagare. Vediamo quindi come fare per aprire una partita IVA, chi può farlo, quanto costa e quali sono le spese da sostenere.

Aprire una partita IVA: i passaggi da seguire

La partita IVA è una sequenza di 11 cifre che identifica, in modo inequivocabile, un soggetto che esercita un’attività. La partita IVA è importante ai fini dell’imposizione fiscale diretta (IVA). La partita IVA è composta da una sigla dello stato di appartenenza (nel caso dell’Italia corrisponde a IT), le prime 7 cifre indicano invece il contribuente, i 3 numeri seguenti indicano il Codice dell’Ufficio delle Entrate e, infine, l’ultimo numero ha carattere di controllo.

In Italia la partita IVA è rilasciata dall’Agenzia delle Entrate (AdE). Il numero assegnato rimane invariato per tutto il periodo in cui è svolta l’attività e vale sull’intero territorio nazionale.

La partita IVA si apre inoltrando richiesta telematica ad AdE, utilizzando due diversi modelli:

  1. modello AA9/11 per le ditte individuali
  2. modello AA7/10 per le società

Entrambi i modelli sono presenti e scaricabili sul sito di Agenzia delle Entrate. Il modello può essere presentato direttamente presso l’ufficio AdE territorialmente competente, oppure inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno o, infine, per via telematica, utilizzando il software sul sito AdE.

La comunicazione ad AdE deve essere fatta entro 30 giorni dal primo giorno di inizio attività.

Codice ATECO, regime contabile ed INPS

Al momento in cui si decide di aprire una partita IVA, deve essere scelto il codice ATECO. Come abbiamo visto nell’articolo: “Codice Ateco cos’è a cosa serve e dove trovare quello di appartenenza”, il codice ATECO rappresenta la Classificazione delle attività economiche ed è una tipologia di classificazione adottata dall’Istituto Nazionale di Statistica italiano (ISTAT). Serve per le rivelazioni statistiche nazionali di carattere economico.

Inoltre l’apertura della partita IVA comporta anche la scelta del relativo regime contabile: regime forfettario, regime dei minimi o regime ordinario.

Come ultimo step al quale adempiere, non rimane che l’INPS. É necessario recarsi presso l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale per comunicare la propria posizione previdenziale. In alcuni casi, ad esempio per le ditte individuali la dove è richiesto, è necessario anche iscriversi alla Camera di commercio (dipende comunque dall’attività svolta) e comunicare al comune di appartenenza l’avvio dell’attività.

I soggetti che possono aprire partita IVA

In linea generale chiunque. Nello specifico diciamo che lavoratori autonomi, professionisti e titolari di società, sono tenuti ad aprire una partita IVA.

Quanto costa aprire una partita iva

Veniamo ai costi, la parte, forse, più importante. Aprire una partita IVA non costa nulla. Mantenerla invece si. Tutto dipende dal regime contabile scelto.
In regime di contabilità ordinaria, chi apre partita IVA e deve registrare l’attività presso la Camera di Commercio, deve pagare alla stessa circa € 80-100/annui. A questo costo dovrà essere aggiunto l’importo da corrispondere all’eventuale commercialista, nonché i contributi INPS. Infine sono da considerare anche il pagamento delle imposte IRPEF e IRAP, calcolate sul reddito e sul valore aggiunto.

Chi invece appartiene al regime forfettario, godrà di qualche agevolazione in più. Questo regime, come abbiamo già visto, prevede l’esenzione IVA e una tassazione ad aliquote molto ridotte per l’IRPEF (pari al 15% e al 5% per i primi cinque anni di attività). Da tenere comunque in considerazione che nel forfettario non è possibile portare in detrazione le spese sostenute (unica eccezione i contributi previdenziali obbligatori).

Il consiglio generale è di evitare di aprire una partita IVA con introiti annui al di sotto di € 5000.

Aprire una partita iva: la procedura da seguire e i costi da sostenere

Mantenere una partita IVA: i costi

Aprirla è gratis, ma mantenerla costa. Tutto dipende dal regime scelto e dal tipo di attività svolta. Quando si apre un’attività nel calcolo dei costi da sostenere per il suo mantenimento troviamo:

Obblighi fiscali

Chi apre una partita iva ricordiamo che dovrà anche adempiere a precisi obblighi fiscali, tra i quali:

Regime semplificato: caratteristiche e funzionamento

Abbiamo già visto in cosa consiste il regime forfettario, il regime dei minimi e infine il regime ordinario. Adesso occupiamoci del regime semplificato. Un particolare regime fiscale nel quale gli obblighi di contabilità sono ridotti per alcune attività entro un certo limite di volume d’affari. Vediamo nel dettaglio quali sono le sue caratteristiche, come funzione e i vantaggi riservati a chi vi aderisce.

Regime semplificato: che cos’è

Il regime di contabilità semplificata, lo dice la parola stessa, ha il vantaggio di essere di facile applicazione e di richieder epoche conoscenze contabili. É un regime particolarmente caro e utilizzato soprattutto a chi ha intenzione di aprire una partita IVA. Questo regime infatti permette la gestione di una piccola attività in modo molto più semplice e meno onerosa.

Regime semplificato: chi può aderirvi

Vi possono aderire:

  1. Liberi professionisti
  2. Ditte individuali
  3. Società di persone
  4. Enti non commerciali

Un requisito importante è che il fatturato non superi i limiti previsti agli art. 57 e 85 TUIR. La normativa di riferimento è comunque l’art. 18 del DPR n°600/1973.

Limite dei ricavi

Il regime semplificato prevede anche un limite massimo di ricavi, oltre il quale non è possibile andare. Questi limiti prevedono che nell’ultimo anno intero, i ricavi totali non abbiano superato:

  • 400.000 euro per le imprese aventi a oggetto prestazioni di servizi;
  • 700.000 euro per le imprese aventi a oggetto altre attività.

Invece se l’attività dovesse essere iniziata durante il corso dell’anno, la verifica è da eseguire al ragguaglio dei ricavi.

Chi desidera aprire una partita IVA deve sapere che al momento dell’attribuzione del numero, il controllo per l’assegnazione del regime fiscale è eseguito sul volume d’affari presunto. Se questo dovesse essere al di sotto dei limiti sopra indicati, il regime contabile assegnato è in automatico quello semplificato.

Regime semplificato

Multi attività e regime semplificato

Nel caso in cui l’impresa svolga più di un’attività, a determinare il regime di appartenenza sarà l’attività prevalente, vale a dire quella con il maggior volume d’affari.

Se i ricavi delle attività svolte non fossero registrati separatamente, allora si deve fare riferimento al limite delle attività diverse dalla prestazione di servizi, vale a dire € 700,000,00.

I vantaggi del regime semplificato

Chiariti i requisiti di accessibilità, veniamo ora ai vantaggi. Primo fra tutti che aderisce al regime semplificato non ha l’obbligo di redigere il bilancio ed è esonerato dal conservare le scritture contabili. Questo quindi esclude il libro giornale, il libro inventari e le scritture ausiliarie.

La contabilità è appunto semplificate. Questo significa che i soli registri obbligatori sono:

  • I registri IVA – nei quali devono comunque essere riportate anche le annotazioni non utili ai fini d’imposta
  • registro dei beni ammortizzabili (in alternativa gli stessi dati possono essere forniti all’amministrazione Finanziaria)
  • Libro Unico del Lavoro – in caso di dipendenti
  • Registro di incassi e pagamenti – entro 60 giorni dall’avvenuto pagamento o dell’incasso registrato

Non è più obbligatoria la bollatura del registro dei beni ammortizzabili ne dei registri IVA. É invece ancora obbligatoria la numerazione progressiva, che deve essere eseguita autonomamente dal soggetto incaricato della tenuta delle scritture.

Infine il soggetto incaricato può registrate le spese per prestazioni di lavoro dipendente cumulativamente nel registro IVA acquisto. Questo deve avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi e sempre che queste pagine vengano annotate anche nel Libro Unico del Lavoro.

Il principio di cassa

La Legge 232/2016 – Legge di Stabilità 2017 – ha previsto che le imprese in regime semplificato debbano calcolare il redditto d’imposta (anche ai fini IRAP) in base al principio di cassa (alternativo a quello di competenza). Oggi esiste un calcolo misto cassa-competenza che prevede la determinazione del reddito d’impresa calcolato dalla differenza tra il totale:

+ ricavi e proventi percepiti;
– spese sostenute.

Regime ordinario: cos’è e come funziona

In alcuni precedenti articoli abbiamo visto requisiti, limiti, vantaggi e svantaggi, del regime forfettario e del regime dei minimi. Oggi invece prendiamo in esame il classico regime ordinario. Cos’è? Come funziona? Chi deve aderirvi e quali sono i documenti obbligatori da presentare al Fisco? Partiamo dall’inizio.

Regime ordinario: definizione

Si tratta di un regime fiscale al quale sono tenuti ad aderire alcune società e imprese di grandi dimensioni. Solitamente aderiscono a questo regime le grandi società e le imprese con un fatturato molto elevato.

Prerogativa del regime ordinario è la contabilità particolarmente articolata e la complessità dei vari registri da redigere, conservare e consegnare alle autorità competenti.

Le aziende che devono aderire al regime ordinario

Le società che sono tenute ad aderire obbligatoriamente a questo regime fiscale sono:

  • S.p.A, S.r.l., S.r.l.s., S.a.p.a., società cooperative e mutue assicuratrici;
  • Enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;
  • Stabili organizzazioni di società ed enti non residenti;
  • Associazioni non riconosciute e consorzi che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.

Nel caso in cui vengano poi superati i seguenti limiti:

  1. 400.000 euro per la vendita di servizi
  2. 700.000 euro per altri tipi di attività

Regime ordinario

sono tenuti a registrarsi alla contabilità ordinaria anche:

  • Persone fisiche che esercitano attività commerciali;
  • Società di persone (s.n.c. e s.a.s.);
  • Enti non commerciali che esercitano anche un’attività commerciale in misura non prevalente.

È comunque possibile passare da un regime semplificato, a quello ordinario, presentando tutta la dovuta documentazione.

I registri del regime ordinario

Uno degli obblighi al quale devono sottostare le società a regime ordinario è quello di redigere, conservare e presentare alle autorità alcuni specifici registri. Tra questi ricordiamo:

  1. Il libro giornale
  2. Il libro degli inventari
  3. le scritture di magazzino
  4. il libro mastro
  5. il registro dei beni ammortizzabili
  6. libri sociali
  7. registri IVA

Libro giornale

Si tratta di un libro di contabilità previsto dall’art. 2214 del Codice Civile che recita: “L’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori.

Il libro giornale ha esclusivo fine tributario. In questo registro sono annotati tutti i movimenti contabili di una ditta. Esistono vari modi per redigere questo libro, ma quello oggi più diffuso è il sistema a partita doppia. Per spiegare nel modo più semplice possibile di cosa si tratta, si potrebbe dire che la partita doppia elenca l’insieme degli scambi tra le attività e la passività dell’azienda.

Libro degli inventari

In questo registro sono contenute varie informazioni:l’inventario all’inizio dell’attività, gli inventari per i diversi anni, l’indicazione delle risorse dell’azienda e il loro valore, lo stato patrimoniale e il conto economico oltre che il capitale contribuito dall’imprenditore.

Su questo documento è necessario apporre una marca da bollo virtuale, o cartacea e deve essere numerato.

Libro Mastro

È il registro di tutti i conti (mastrini) che compongono un dato sistema contabile. Quindi è l’insieme dei conti accesi di una contabilità.

Il libro è strutturato in due colonne, una del dare e una dell’avere. In più è presente una rubrica alfabetica per debitori e creditori.

Le scritture di magazzino

Questo registro è riservato a tutte quelle attività che, per due esercizi consecutivi, hanno registrato ricavi maggiori di 5.164.568,99 euro e rimanenze alla fine del periodo superiori a 1.032.913,80 euro. Nel caso in cui gli importi registrati successivamente per due esercizi successivi siano inferiori ai limiti sopracitati, l’obbligo di compilazione di questo registro viene meno

Il registro dei beni ammortizzabili

Qui sono registrati gli immobili, i beni annotati nei registri pubblici e tutti gli altri beni. Per ciascuno deve essere indicato l’anno e il costo di acquisizione, eventuali modifiche di valore, il valore e il coefficiente di ammortamento. Anche questo tomo deve essere numerato.

Registri IVA

La tenuta e la stampa dei registri IVA non è più obbligatoria dal 2019 per effetto dell’entrata in vigore della fattura elettronica B2B.

Libri sociali

Permettono una rappresentazione sociale della struttura interna dell’azienda e consento la verifica del funzionamento degli organi societari (libro delle adunanze e libro delle deliberazioni assembleari).

Paradisi Fiscali nel Mondo: cosa sono e dove sono

Le “zone franche” nel mondo, per i “risparmiatori italiani” (e non solo) stanno diminuendo drasticamente. I paradisi fiscali nel mondo sono sempre meno e tutto questo grazie (o per colpa, dipende dai punti di vista) dell’accordo del Common Reporting standard del 2014. Questo patto ha eliminato il così detto “segreto bancario”, promuovendo lo scambio di informazioni finanziarie fra i governi di ben 52 paesi, diventati, nel 2018, 92. Cerchiamo di capire bene cosa sono i paradisi fiscali e dove si trovano queste oasi di salvezza finanziaria.

Paradisi fiscali nel mondo: cosa sono

Si tratta di paesi all’interno dei quali non esistono particolari regimi fiscali, non si pagano tasse, o comunque la pressione fiscale è bassissima. Inoltre i tassi di deposito negli istituti bancari, sono ridotti ai minimi termini.

Il nome di paradiso fiscale, deriva forse da un’errata traduzione di “Tax Haven”, che più appropriatamente significa “Rifugio Fiscale”. Il concetto rimane come lo stesso. Paesi che attirano importanti somme di capitale in cambio di una tassazione estremamente ridotta.
I paradisi fiscali nel mondo sono anche conosciuti come centri finanziari offshore (OFC), piccole giurisdizioni a bassa tassazione.

Ricorrono ai paradisi fiscali chi vuole godersi felicemente la pensione senza subire drasticamente la pressione fiscale italiana. Orientati a queste soluzioni anche chi vuole crearsi un “gruzzolo” di risparmi. Risparmi faticosamente sudati a forza di emettere fatture elettroniche, risparmiare e tirare avanti il proprio business, motivo per cui, ben intenzionati a non dividere i propri sforzi con lo Stato.

I cambiamenti in seguito al Common Reporting Standard

Tra il 2016 e il 2017 il Common Reporting Standard ha mietuto non poche vittime. Dalla black list uscirono:

  • Svizzera
  • Cayman
  • Ecuador
  • Bermuda
  • le Isole di Man e Jersey
  • Gibilterra
  • Mauritius
  • Filippine
  • Barbados
  • Cile
  • Dominica
  • India
  • Niue
  • Seychelles
  • Uruguay
  • Trinidad
  • Tobago
  • Lichtenstein
  • Città del Vaticano
  • San MarinoMonteca
  • Montecarlo

Hanno manifestato l’intenzione spontanea ad aderire: Andorra, Arabia Saudita, Australia, Bahamas, Belize, Brasile, Brunei, Canada, Cina, Costa Rica, Dar es Salaam, Grenada, Emirati Arabi, Hong Kong, Indonesia, Israele, Giappone, Isole Marshall, Macao, Malesia, Monaco, Nuova Zelanda, Qatar, Russia, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadines, Samoa, Singapore, Sint Maarten, Turchia.

Molti però non hanno presentato le regolarità in tempo, e pertanto rimangono nella lista dei paesi black listed.

Paradisi Fiscali nel Mondo

Regimi fiscali e tassazioni nei paradisi fiscali

Esiste ancora una Black list dei paesi offshore. Si dividono a seconda della tipologia di tassazione o regime adottato. I regimi sono:

  1. Pure Tax Haven – nessuna tassa e assoluto segreto bancario
  2. No taxation on foreign income – esclusi i redditi esterni dalla tassazione; tassato solo i redditi interni
  3. Low taxation – tassazioni modeste su qualunque reddito
  4. Special Taxation – hanno regimi fiscali simili agli altri paesi normali, ma consentono la costituzione di società flessibili.

Quali sono i paradisi fiscali nel mondo che resistono nel 2020?

Riportiamo l’elenco dei paesi offshore redatto e aggiornato dal Ministero dell’Economia e dall’Agenzia delle Entrate, sulla base di quella stilata dall’OCSE:

  • Andorra
  • Bahamas
  • Barbados
  • Barbuda
  • Brunei
  • Gibuti
  • Grenada
  • Guatemala
  • Isole Cook
  • Isole Marshall
  • Isole Vergini statunitensi
  • Kiribati
  • Libano
  • Liberia
  • Liechtenstein
  • Macao
  • Maldive
  • Nauru
  • Niue
  • Nuova Caledonia
  • Oman
  • Polinesia francese
  • Saint Kitts e Nevis
  • Salomone
  • Samoa
  • Saint Lucia
  • Saint Vincent e Grenadine
  • Sant’Elena
  • Isola di Sark
  • Seychelles
  • Tonga
  • Tuvalu

Altro elenco quello stilato da Ecofin, che riunisce i ministri delle finanze dell’Unione Europea. Elenco aggiornato al 14 novembre 2019 che indica i nuovi paradisi fiscali nel mondo:

  • Samoa americane
  • Figi
  • Guam
  • Oman
  • Trinidad e Tobago
  • Isole Vergini degli Stati Uniti
  • Vanuatu

Stati Uniti battono Svizzera

Per la prima volta, dopo molti anni, gli Stati Uniti hanno battuto la Svizzera nel medagliere dei paesi ritenuti i nuovi paradisi fiscali nel mondo. In America infatti vengono messe a disposizione tutta una serie di disposizioni di segretezza e di agevolazioni fiscali per i non residenti che depositano e trasferiscano capitali dall’estero.

Gli Stati Uniti non hanno voluto aderire al Common Reporting Standard (CRS) dell’Ocse, lo scambio globale per lo scambio di informazioni. La notizia è stata diffusa dal Financial Secrecy Index elaborato dal Tax Justice Network.

In particolare lo stato del Delaware mette a disposizione di piccoli e grandi imprenditori, lo strumento della LLC, Limited liabilities company (società a responsabilità limitata). Questa particolare forma societaria permette di ridurre drasticamente il carico fiscale, mantenendo la segretezza sui beneficiari delle attività. Porto sicuro per alcune delle più grandi multinazionali americane, il Delaware elude il fisco in maniera ingegnosa.

Il regime dei minimi: cos’è e come funziona

L’articolo: “Regime forfettario: limiti ricavi e fatture elettroniche” ha spiegato nel dettaglio cos’è e come funziona il regime forfettario. Questo particolare regime fiscale non è l’unico esistente nel sistema fiscale italiano, che preveda delle agevolazioni per i contribuenti. Oggi infatti vogliamo parlarvi di un altro regime in vigore dal 1° gennaio 2008 e introdotto dalla Legge 21/12/2007 n° 244 art. 1 comma 96-117. Il regime dei minimi è stato creato con l’intento di abbattere i costi amministrativi e introdurre un regime semplice e vantaggioso. Vediamo come funziona.

Il regime dei minimi: requisiti soggettivi

Non tutti i soggetti possono accedere al regime agevolato dei minimi. Per farlo devono essere rispettati determinati requisiti soggettivi. Al regime possono acceder imprese individuali e professionisti che:

  • presumono di avere un volume di ricavi entro il limite dei trentamila euro annui;
  • non hanno effettuato cessioni all’esportazione;
  • non hanno dipendenti o collaboratori;
  • non hanno erogato utili ad associati in partecipazione con apporto di solo lavoro;
  • non hanno acquistato nel triennio precedente beni strumentali per un importo superiore a quindicimila euro.

Quindi il regime dei minimi può essere richiesto dalle persone fisiche residenti in Italia che non superano € 30,000/annui. Non devono avere dipendenti o collaboratori, né spese per beni strutturali (cioè necessari alla professione, come ad esempio affitti, computer, ecc…) superiori a € 15,000. Inoltre non devono vendere all’estero e non distribuiscono utili soci.

Il limite di € 30,000 è riferito ai compensi, cioè i ricavi, non il reddito (vale a dire ricavi-spese).

I beni strumentali

Abbiamo detto che uno dei requisiti per accedere al regime dei minimi è quello di non avere spese per beni strutturali superiori a € 15,000/annui. Per beni strumenti si intendono:

  • i beni utilizzati sia per l’attività che ad uso personale si considerano in misura pari alla metà del relativo corrispettivo;
  • i canoni di locazione o noleggio;
  • non rilevano i beni in comodato d’uso.

Chi è escluso dal regime dei minimi

Per esclusione in base al paragrafo precedente, da questo sistema fiscale, sono esclusi:

  • i non residenti;
  • chi operi in attività a regime speciale Iva quali editoria, agricoltura, agenzie di viaggi o simili;
  • coloro che partecipano in società di persone, associazioni tra professionisti, o società a responsabilità limitata in regime di trasparenza fiscale;
  • chi effettua attività di cessione di immobili ovvero mezzi di trasporto nuovi.

I vantaggi del regime dei Minimi

Il regime dei minimi prevede tutta una serie precisa di agevolazioni. Prima fra tutte l’IRPEF secca al 20%, come imposta sostitutiva della normale tassazione ad aliquote progressive.

Oltre a questa è prevista anche un’esenzione dall’IVA, l’imposta sul valore aggiunto, che non deve essere inserita nella fattura elettronica o normale, né versata al fisco.

Ci anche altre semplificazioni burocratiche, come ad esempio l’esonero dall’obbligo delle scritture contabili e degli elenchi clienti e fornitori, nonché della comunicazione annuale IVA. Per il fisco è sufficiente numerare progressivamente le fatture e conservarle. Questo vale anche per le fatture di acquisto per le spese da detrarre.

Sulle fatture elettroniche e normali deve essere riportata la seguente dicitura:

“Operazione ai sensi dell’art. 1, comma 100, della Legge finanziaria 2008”.

Un regime che non conviene a tutti

Visti i vantaggi, passiamo agli svantaggi. Questo regime è conveniente, ma non per tutti. Ad esempio il tetto massimo stanziato ad € 30,000 è abbastanza basso, ed è facile superare la soglia.

Quando e se questo dovesse avvenire può accadere che:

  • se si supera il tetto di meno del 50% (cioè fino a 45.000 euro di compensi) si perde l’agevolazione l’anno successivo;
  • se si supera il tetto di oltre il 50% (cioè oltre 45.000 euro) il regime agevolato cessa nell’anno in corso e il contribuente deve rimanere nel regime ordinario per almeno 3 anni.

Il regime dei minimi

Inoltre, sarà dovuta l’IVA sulle operazioni dell’intero anno di superamento del limite.

Ancora peggio è superare il tetto e non dichiararlo, perché in questo caso scattano pure le sanzioni. Sanzioni piuttosto salate, aumentate del 10% se il maggior reddito accertato supera quello dichiarato di almeno il 10%.

Prima di accettare e inserirsi in questo regime è bene calcolare bene la propria effettiva convenienza. Alle volte la tassazione ordinaria potrebbe essere addirittura più conveniente, perché consente le detrazioni d’imposta, mentre il regime dei minimi no.

A chi conviene di più il regime dei minimi

Questo sistema fiscale conviene soprattutto a chi ha poche detrazioni e pochi costi da sostenere e scaricare. A chi ha anche altri redditi (per esempio come lavoratore dipendente) e tiene separate le tassazioni evitando l’aumento dell’aliquota progressiva. Ed infine conviene a chi ha clienti privati, non interessati a scaricare l’iva, che non si ritrovano sulle fatture elettroniche.

Ultima cosa da considerare: i contributi previdenziali. Questi ammontano a circa il 26,72% e restano a carico del lavoratore, come comunque già succede per tutte le altre partite IVA.

Codice Ateco cos’è a cosa serve e dove trovare quello di appartenenza

Parlando del Regime forfettario, abbiamo accennato al codice Ateco. Avevamo detto che per accedere a quel determinato regime fiscale è necessario non aver superato € 85,000 di ricavi/compensi indipendentemente dal Codice Ateco di appartenenza. Ma effettivamente il Codice Ateco che cos’è? E perché assume un ruolo tanto importante nella classificazione del regime fiscale? Cerchiamo di fare chiarezza sull’argomento in breve.

Codice Ateco cos’è e come funziona

L’Ateco rappresenta la Classificazione delle attività economiche ed è una tipologia di classificazione adottata dall’Istituto Nazionale di Statistica italiano (ISTAT). Serve per le rivelazioni statistiche nazionali di carattere economico.

La sigla ATECO derivava dalle lettere iniziali Attività ECOnomiche. In altre parole rappresenta la nomenclatura delle attività economiche (NACE) creata dall’Eurostat. Oggi è in uso la versione Ateco 2007,entrata in vigore il 1° Gennaio 2008. Quella precedente, sostituita definitivamente nel 2008, era denominata Ateco 2002, a successivo aggiornamento della Ateco 1991.

Quindi si tratta di una di una classificazione soggetta ad aggiornamenti e modifiche periodiche. Ateco 2007 è stata approvata dall’ISTAT (Istituto Nazionale Statistiche) in stretta collaborazione con Agenzia delle Entrate, le Camere di Commercio ed altri Enti, Ministeri ed associazioni imprenditoriali interessate.

Codice Ateco cos’è e come è fatto

Il Codice Ateco è una combinazione alfa numerica, che identifica un’attività economica. Lettere e numeri hanno un valore diverso.
Le lettere individuano il macro settore economico di appartenenza di quella specifica attività. I numeri invece rappresentano categorie e sotto categorie dei settori. I numeri vanno da un minimo di due fino ad un massimo di sei cifre. Esprimono un diverso grado di dettaglio le varie articolazioni sottostanti la macro categoria.

Le attività economiche sono raggruppate dalle più generiche, a quelle più specifiche, in varie sezioni (codifica: 1 lettera), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre), categorie (5 cifre) e sottocategorie (6 cifre).

Ciascun codice numerico incorpora i precedenti.

Questa nuova classificazione è valida oggi anche per le comunicazioni e le dichiarazioni all’Agenzia delle Entrate.

L’utilità del Codice Ateco

Una volta capito cos’è il Codice Ateco e come è formato, vediamone adesso l’utilità. A cosa serve il Codice Ateco?
Il Codice Ateco è indispensabile per l’apertura di una nuova Partita IVA. Quando si apre una nuova partita iva, all’Agenzia delle Entrate, ne è data comunicazione, specificando la tipologia dell’attività che andrà ad essere svolta. La comunicazione è fatta proprio in base alla classificazione Ateco 2007.

Questa comunicazione è necessaria affinché ciascuna attività sia classificata in modo standardizzato ai fini fiscali, contributivi e statistici. Contemporaneamente alla comunicazione ad Agenzia delle Entrate, il contribuente deve rivolgersi ad un commercialista per elaborare la DIA (Dichiarazione di Inizio Attività). Anche in questo caso la comunicazione deve essere fatta sempre in base all’Ateco 2007.

Successivamente, ogni eventuale variazione dell’attività economica dovrà essere comunicata al Fisco, insieme ad un nuovo codice Ateco.

Codice Ateco cos'è

Aziende multi attività

Per tutte quelle aziende che svolgono contemporaneamente più attività economiche , saranno assegnati più codici Ateco. Un Codice Ateco Primario e un Codice Ateco Secondario. Il primario indica attività che contribuisce in percentuale maggiore al valore aggiunto dell’unità. Tutte le altre attività economiche saranno identificate con un codice Ateco secondario.

I Codici Ateco sono indispensabili quando si partecipa ad un bando, oppure quando si tratta con le Pubbliche Amministrazioni.

Codice Ateco e fascia di rischio

Per quanto concerne la sicurezza sul lavoro, il Codice Ateco è usato per individuare la macrocategoria di rischio dell’attività economica. A ciascuna attività infatti è assegnato un livello di rischio: basso, medio, alto. Questa associazione è stata specificata nel 2011 nelle linee guida redatte dall’INAIL.

Il Codice Ateco assume quindi un valore molto importante per individuare il livello di rischio aziendale. Grazie a questo infatti è possibile stabilire le misure di sicurezza dei locali e le misure di prevenzione e protezione dei lavoratori. Senza contare che sulla base del livello di rischio è possibile anche stabilire una diretta e specifica formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche

Nell’articolo: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” abbiamo accennato al fatto che chi ha scelto regime forfettario, non è tenuto a pagare l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). Questa effettivamente è una delle tante agevolazioni riconosciute a questo particolare regime fiscale.

Lo sentiamo nominare tante volte e sempre più spesso è scelto come formula lavorativa, per godere di maggiori agevolazioni e minor pressione fiscale. Vediamo allora tutto quello che riguarda il regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche per cercare di capirne i pro e i contro.

Cos’è il regime forfettario: definizione

Il regime forfettario è un particolare regime fiscale riservato a partite IVA individuali. Permette di fruire di particolari agevolazioni fiscali e contabili.

Introdotto dalla legge 190/2014 – Legge di Stabilità 2014, è stato poi riformato con la successiva Legge 208/2015 (Legge di stabilità d2016). Le ultime modifiche introdotte sono quelle entrate in vigore il 1° Gennaio 2019.

Questo regime è l’unico, attualmente in vigore, che permette di gestire la propria partita IVA individuale con alcune agevolazioni rispetto al regime ordinario. É un regime solitamente adottato dalle piccole imprese e dai professionisti.

Per poter godere delle agevolazioni previste da questo regime è necessario rispettare alcuni requisiti di accesso e permanenza. I requisiti da verificare sono quelli riferiti all’anno di imposta precedente a quello in cui verrà applicato il regime fiscale.

Regime forfettario limiti ricavi e requisiti

Possono fruire del regime forfettario le persone fisiche esercenti un’attività d’impresa, di arte o professione e le Imprese Familiari, sempre se in possesso dei giusti requisiti.

I requisiti per accedere al regime forfettario nel 2020 sono:

  1. Il limite dei ricavi/compensi è tarato a massimo € 65,000 (ragguagliati ad anno)
  2. Le spese per il lavoro accessorio, dipendente o collaboratori devono ammontare al massimo ad € 20,000 lordi
  3. Per i beni strumentali invece non è richiesta nessuna condizione specifica.

Regime forfettario: limiti dei ricavi

Per accedere al Regime Forfettario è necessario non aver superato € 85,000 di ricavi e/o compensi. Indipendentemente dal codice Ateco di riferimento. Se le attività svolte sono più di una, la somma da considerare è quella derivante dal fatturato dei singoli codici Ateco.

Per la verifica del limite dei compensi, occorre fare riferimento anche delle cessioni o prestazioni eventualmente non ancora fatturate. Cessioni e prestazioni per le quali, si sono verificati i presupposti dell’articolo 109, comma 2, del DPR n. 917/86.

Regime forfettario limiti ricavi

Spese per lavoro accessorio, dipendente o collaboratori

Questo è il secondo limite e requisito imposto per accedere al Regime forfettario. Le spese
sostenute per lavoro accessorio, dipendente o collaboratori non devono superare € 20,000.

Le spese si riferiscono a:

  1. Lavoro accessorio
  2. Lavoratori dipendenti e collaboratori di cui all’art. 50 comma 1 lett. c) e c-bis) del TUIR
  3. Gli utili erogati agli associati in partecipazione con apporto costituito da solo lavoro e le somme corrisposte per le prestazioni di lavoro effettuate dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Limite beni strumentali

Il regime forfettario 2020 non prevede più alcun limite o vincolo legato al valore dei beni strumentali.

Regime forfettario limiti ricavi e agevolazioni

Abbiamo quindi visto finora i limiti e i ricavi previsti per accedere e mantenere il Regime Forfettario. Ma quali sono i principali vantaggi di questo regime fiscale?

Anzitutto la franchigia IVA. Infatti esiste l’esonero da buona parte degli adempimenti previsti per l’imposta valore aggiunto. La disciplina IVA del regime forfettario prevede solo alcuni adempimenti specifici in base al tipo di operazione eseguita.

Operazioni Nazionali

Nelle operazioni Nazionali, il Regine Forfettario prevede che sulle fatture elettroniche emesse, scontrino elettronico e/o ricevute fiscali, L’IVA non debba essere addebitata a titolo di rivalsa.

Acquisto di beni Extra-UE

Entro la soglia di € 10.000 annui sono considerati non soggetti ad IVA nel Paese di destinazione.

Prestazioni di servizi

Prestazioni di servizi ricevuti da non residenti o rese ai medesimi, rimangono soggette alle ordinarie regole.

Altra agevolazione per gli operatori in regime forfettario è quella di non essere obbligati alla registrazione e conservazione delle scritture contabili. Tuttavia c’è l’obbligo di numerare e conservare le fatture d’acquisto e le bollette doganali, e di certificare i corrispettivi.

I ricavi conseguiti e i compensi percepiti non sono assoggettati a ritenuta d’acconto.

Fattura in regime forfettario

Le fatture in regime forfettario devono riportare la seguente dicitura:

Operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, commi da 54 a 89, della Legge n. 190/2014, e articolo 1, commi da 111 a 113, della Legge n. 208/2015, e s.m. – Regime forfetario

Questo serve per informare il cliente che non è prevista l’applicazione dell’IVA.

I soggetti che rientrano nel regime forfettario sono esonerati dall’obbligo di emettere la fattura elettronica. Questo significa che possono emettere normale fattura.

Agevolazioni contributive

Sono previste delle agevolazioni contributive per i soggetti che rientrano nel regime forfettario.
L’agevolazione vale solo per chi è iscritto alla gestione IVS Artigiani e commercianti, i professionisti, di qualsiasi genere, ne sono esclusi.

Questa agevolazione consiste in una riduzione del 35% dei contributi previdenziali dovuti annualmente.

Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP

Nei tre precedenti articoli abbiamo approfondito i concetti di IRPEF, IRES e IRAP. Si tratta di tre diverse imposte nella quali aziende, liberi professionisti e lavoratori autonomi, si imbattono ogni anno. Ciascuna ha le sue caratteristiche e rappresenta una diversa quota dei contributi che i soggetti sono obbligati a versare ogni anno all’erario.

Il gravame fiscale in Italia è uno dei più alti tra i Paese della Comunità. Recenti analisi, hanno infatti dimostrato che la pressione fiscale ammonterebbe a circa il 42%. Questo di conseguenza porta a chiedere perché ci sono così tante tasse in Italia e perché sono così alte.

In pratica quasi il 50% dei guadagni di un imprenditore va a finire in tasse. Ma di preciso quanto si paga di tasse in Italia? Cerchiamo di rispondere a questa domanda nel modo più semplice possibile (per quanto un argomento così complesso possa permetterlo).

Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF e IVA

Al primo posto della classifica delle imposte che più di altre pesano sui portafogli degli italiani, troviamo proprio l’IVA e l’IRPEF. Dalla riscossione di queste due imposte infatti, l’Erario trae circa il 55,4% del totale del gettito tributario.

IVA e IRPEF le pagano tutti i cittadini, indipendentemente che siano persone fisiche, piuttosto che giuridiche.

Per l’IRPEF sono previsti i seguenti scaglioni di aliquote in base al reddito imponibile:

  • fino a 15.000 23% aliquota 23% sulla parte eccedente la no tax area
  • da 15.000,01 a 28.000 (23% e) 27% aliquota
    imposta dovuta 3.450 € + 27% sulla parte eccedente i 15.000 €
  • da 28.000,01 a 55.000 (23%, 27% e) 38% aliquota
    imposta dovuta 6.960 € + 38% sulla parte eccedente i 28.000 €
  • da 55.000,01 a 75.000 (23%, 27%, 38% e) 41% aliquota
    imposta dovuta 17.220 € + 41% sulla parte eccedente i 55.000 €
  • oltre 75.000 (23%, 27%, 38%, 41% e) 43% aliquota
    imposta dovuta 25.420 € + 43% sulla parte eccedente i 75.000 €

Quanto si paga di tasse in Italia

Mentre l’IVA prevede attualmente:

  • 4% – aliquota minima – per l’IVA sui generi di prima necessità;
  • 10% – aliquota ridotta – per l’IVA su servizi turistici, alimentari ed edili;
  • 22% – aliquota ordinaria – per l’IVA da applicare in tutti i casi non rientranti nelle prime due aliquote.

Quanto si paga di tasse in Italia: l’IRAP

L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive è un vero e proprio incubo per chi possiede una Partita IVA ed emette regolarmente fatture elettroniche.
Questa è infatti calcolata sul valore della produzione netta e ha un aliquota che va dal 4,25% al 8,50%.

Per fortuna i liberi professionisti e chi ha scelto il regime forfettario, non è tenuto a pagare l’IRAP. Esistono comunque delle eccezioni. É il caso in cui, per svolgere le proprie attività, si avvalga dell’aiuto di collaboratori.

Ogni regione ha facoltà di diminuire o aumentare la percentuale applicabile fino a un punto percentuale. Questo dipende anche dal tipo di attività svolta.

Pressione fiscale alle stelle

Secondo i dati contenuti nelle ultime “Revenue Statistics” dell’Osce, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 42,1%. Nella classifica stilata per l’occasione, L’Italia si posiziona purtroppo settima su 37 paesi in gara. Dietro di noi l’Austria, ma di poco, -0,1%. Invece in vetta alla classifica troviamo:

  1. Francia – 42,7%
  2. Danimarca – 44,9%
  3. Belgio – 44,8%
  4. Svezia – 43,9%
  5. Finlandia – 42,7%

Vero è che si tratta di paesi che offrono migliori servizi, assistenza e agevolazioni, rispetto all’Italia.
Nell’area OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) la pressione fiscale si attesta attorno al 34,3%. Negli Stati Uniti invece è più bassa, “solo” il 24,3%, mentre in Irlanda è addirittura del 22,3%.