Baratto finanziario: compensazione multilaterale di crediti e debiti

Il baratto finanziario è uno strumento introdotto quest’anno dalla Legge di Bilancio. In pratica consiste nella compensazione multilaterale di crediti e debiti commerciali che provengono da fatture elettroniche. Il baratto è una delle forme commerciali più antiche che esistano al mondo. Ci sono due diverse tipologie di baratto: semplice e multiplo. Il primo, chiamato anche baratto diretto, consiste nello scambio di un singolo bene/servizio con un altro bene/servizio, preventivamente concordato tra le parti. Nel secondo, che prende anche il nome di baratto indiretto, il soggetto che cede il bene/servizio, non riceve in cambio quanto vuole a causa di una differenza di valore e/o reperibilità. Nel corso del tempo, sia in Italia, che nel resto del mondo, sono nate anche altre forme di baratto: amministrativo, finanziario e online. Quello introdotto dalla nuova legge di Bilancio è appunto il baratto finanziario, definito 4.0 che dovrebbe permettere alle imprese di compensare le proprie posizioni creditizie e debitorie, senza nemmeno dover passare dalla moneta.

Baratto finanziario: un sistema complementare a quello bancario

Si tratta di una vera e propria rivoluzione, al pari di quella protratta dall’introduzione della fatturazione elettronica e dei corrispettivi telematici. Il baratto finanziario è un vero e proprio sistema complementare a quello bancario.

La proposta di questa nuova formula compensatoria, nasce dall’ Associazione italiana dei Commercialisti e di Confimi industria (Confederazione dell’industria manifatturiera italiana). L’idea è nata dalla volontà di andare incontro e in aiuto alle imprese che presentano difficoltà finanziarie. In pratica, se venisse concretizzata, le fatture elettroniche verrebbero utilizzate come moneta di scambio (al posto della vera e propria moneta). Un’impresa non da poco, che presenta però moltissimi vantaggi, tra i quali, sicuramente, quello di dare respiro alle aziende in crisi di liquidità.

Si tratta quindi di un sistema sicuro e controllato che vuole incentivare la circolazione di beni e servizi tra le imprese. Un meccanismo che sfrutta appieno il sistema e i vantaggi della fatturazione elettronica.

Baratto Finanziario: i soggetti che possono sfruttare la compensazione

La compensazioni promossa dalle associazioni sopra citate avverrebbe su base volontaria attraverso una piattaforma telematica di Agenzia delle Entrate. Le imprese che aderirebbero potrebbero così chiedere la compensazione di crediti e debiti con altre aziende aderenti. Se entrambe le parti accettano la compensazioni, il sistema aggiorna la situazione e gli importi di crediti e debiti relativi. Le operazioni portate in compensazione comportano l’estinzione dell’obbligazione ex art. 1241 del codice civile.

Al baratto finanziario possono accedere tutte le imprese residenti o stabilite in Italia. Non possono invece sfruttare questo meccanismo le imprese:

  • soggette a procedure concorsuali
  • che hanno aderito a operazioni di ristrutturazione del debito
  • che hanno accettato e hanno in corso piani di risanamento iscritti al Registro delle Imprese.

Baratto Finanziario: tutti i vantaggi

I vantaggi per chi aderisce al baratto finanziario sono davvero molteplici. Le aziende infatti potrebbero, in questo modo, riuscire a ridurre:

  • il ricorso ai finanziamenti bancari
  • i rischi di crisi di liquidità
  • le perdite su crediti
  • il ricorso allo sconto su fatture elettroniche

Baratto Finanziario

Ma non solo. Il sistema del baratto finanziario funzionerebbe infatti su una piattaforma telematica controllata da Agenzia delle Entrate e farebbe affidamento su operazioni testimoniate e garantite dalla presenza delle fatture elettroniche. Questo significa che ci sarebbero molte meno possibilità di pressione sulle imprese da parte di organizzazioni mafiose, con una sensibile riduzione del rischio di usura.

Alla fine, riuscire a trasformare le fatture elettroniche in una vera e propria moneta digitale equivarrebbe a un grandissimo vantaggio competitivo per il paese. L’Italia oggi è l’unico paese in occidentale ad aver introdotto la fatturazione elettronica obbligatoria. Vale a dire un sistema controllato direttamente da Agenzia delle Entrate che sfrutta il Sistema di Interscambio (SdI) per emettere, controllare e recapitare le fatture elettroniche. Riuscire a sfruttare il SdI anche per compensare debiti e crediti delle imprese darebbe un ulteriore nuovo impulso al rinnovamento finanziario italiano. I rischi delle imprese verrebbero ridotti e molti dei fallimenti sistematici che incombono su diversi settori, verrebbero scongiurati per sempre.

Baratto Finanziario: a quali casi è applicato

Spiegato cos’è il baratto finanziario cerchiamo adesso di capire a quali casi potrebbe essere applicato questo sistema.

A questo scopo riportiamo due esempio:

Caso 1

L’impresa A emette fattura all’impresa B per un valore di 100€. Al tempo stesso l’impresa B emette fattura all’impresa A del valore di 70€. Saldato il debito, l’impresa A rimane creditrice nei confronti dell’impresa B di soli 30€

Caso 2

A fattura a B 100€. B fattura a C 200€ e C deve 100€ ad A. Compensando le varie fatture rimane solo un debito pari a 100€ dell’impresa B verso C

Questi sono due semplici esempio ai quali il sistema del baratto finanziario 4.0 potrebbe essere applicato con efficacia.

Pace contributiva: cos’è, come funziona e chi può beneficiarne

La pace contributiva, da poco introdotta grazie ad una nuova legge, è una misura che permette di andare in pensione prima della scadenza del periodo previsto. Uno strumento che può essere utilizzato dai lavoratori più giovani, per riscattare fino a 5 anni di contributi, scaricando il costo delle tasse. In alcuni casi è previsto anche che l’onere di riscatto sia sostenuto dal datore di lavoro. La pace contributiva può essere utilizzata per andare a coprire vari versamenti di contributi mancanti tra l’anno di iscrizione all’INPS e l’ultimo anno in cui sono stati versati gli ultimi contributi. Gli anni riscattabili però non possono essere già oggetto di obbligo contributivo o coperti da altra contribuzione versata altre forme di previdenza obbligatoria. Il riscatto è inoltre rateizzabile senza interessi.

Pace contributiva: gli anni riscattabili

Esistono dei casi particolari e delle eccezioni alla pace contributiva, ma in linea generale gli anni riscattabili per quasi la totalità dei lavoratori sono:

  • anni di lavoro all’estero
  • corsi di laurea
  • corsi per diplomi universitari, di specializzazione
  • dottorati di ricerca
  • periodi di aspettativa non retribuita per assistenza e cura dei disabili, sino a un massimo di 5 anni
  • congedo familiare per gravi motivi (massimo due anni)
  • congedo parentale al di fuori del rapporto di lavoro (massimo 5 anni)
  • sospensione o interruzione del rapporto lavorativo (massimo 3 anni)
  • formazione professionale
  • studio e ricerca ed inserimento nel mercato di lavoro
  • intervalli tra lavori saltuari e discontinui (come quelli stagionali o temporanei)
  • intervalli tra un part-time e l’altro
  • servizio civile universale (sempre se non coperto da contribuzione obbligatoria

Pace contributiva

Pace contributiva: le forme assicurative previste

Secondo il decreto ministeriale di riferimento è quindi possibile riscattare, in tutto o in parte, anni di mancati versamenti contributivi. Per farlo sono state creare delle formule assicurative particolari:

  • assicurazione generale obbligatoria (AGO), a sua volta suddivisa in:
  1. fondo speciale degli addetti ad attività commerciali, o gestione speciale Commercianti
  2. fondo della previdenza degli artigiani
  3. sistema dei coltivatori diretti/imprenditori agricoli professionali, coloni e mezzadri
  • fondi esonerativi dell’AGO:
  1. ad esaurimento degli spedizionieri doganali (confluita nell’Inps a seguito della soppressione operata nel 1997)
  2. speciale dei lavoratori delle miniere, cave e torbiere
  3. ad esaurimento del consorzio autonomo del porto di Genova e Trieste
  4. speciale dei lavoratori dipendenti di ex-enti creditizi
  • forme sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria (Inpdap, Enpals…)
  • gestione separata

come già specificato, i periodi riscattabili non devono essere soggetti a diverso obbligo contributivo, né coperti da altre forme previdenziali. È possibile riscattare al massimo 5 anni di contributi.

I soggetti beneficiari

La pace contributiva non è aperta a tutti i lavoratori. La possono infatti richiedere e sfruttare solamente i lavoratori:

  • iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, oppure ad altre forme sostitutive ed esclusive, o alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, o, ancora, alla gestione separata
  • non sono già titolari di pensione
  • sono privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995

In altre parole tutti quei lavoratori che contano contributi versati alla data del 31/12/1995, non possono beneficiarne. Allo stesso modo non ne beneficiano i lavoratori iscritti ad una o più casse professionali, oppure che non risultano essere registrati a nessuna gestione amministrata dall’INPS.

Pace contributiva: il calcolo

Gli anni da riscattare con il sistema della pace contributiva sono calcolati con il sistema contributivo. Ci sono quindi alcune regole generali che valgono per tutti i calcoli e le situazioni possibili:

  • ad ogni anno da riscattare va applicata l’aliquota vigente nella gestione previdenziale a cui appartiene l’iscritto (33% per i dipendenti), per il reddito imponibile degli ultimi 12 mesi
  • (imponibile ultimi 12 mesi X aliquota contributiva X numero anni da riscattare)
  • L’imponibile è da rapportare a mese, o settimana qualora non risultino annualità intere
  • quando l’imponibile è inferiore al reddito minimale, o non sono stati percepiti redditi, l’aliquota si applica sul minimale annuo.

Come già anticipato, l’onere del riscatto è rateizzabile, senza interessi, per un massimo di 120 rati, vale a dire 10 anni. Il datore di lavoro volendo può pagare tutto o parte del riscatto, devolvendo i premi di produzione  del lavoratore a tale scopo. In questo caso il costo può essere dedotto dal reddito d’impresa. Per il dipendente questo costo, non è comunque considerato un reddito imponibile.

Il versamento può avvenire in un’unica rata, oppure rateizzato in massimo 120 rate (10 anni). In caso di rateizzazione, ogni rata non può essere inferiore a 30€. Il costo del riscatto, infine, è detraibile nella misura del 50% dall’IRPEF. Questo è ripartito in 5 diverse quote annuali, costanti e di egual importo per ogni anno successivo.

Spese detraibili: cosa sono e quali sono quelle detraibili nel Modello 730

Quest’anno le dichiarazioni 730 vedono introdotta una significativa novità: le spese detraibili certificate. Si tratta di una iniziativa introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 che individua delle spese per cui è prevista una detrazione d’imposta del 19% in fase di dichiarazione dei redditi. A questa, di conseguenza, di applica l’obbligo della tracciabilità dei pagamenti in parola.

Spese detraibili: cosa sono

La Legge di bilancio 2020, articolo 1 comma 689 ha reso obbligatorio la tracciabilità delle spese detraibili al 19%. Questo significa che, affinché possano essere considerate spese detraibili certificate e comparire nel Modello 730, devono essere tracciate. In altre parole si tratta di spese pagate tramite un metodo di pagamento tracciato, verificabile dalle autorità giudiziarie (bonifico bancario, bonifico postale, carte di credito, carte di debito, assegni bancari o postali).

I pagamenti in contanti invece, anche se consentiti, non godono dell’agevolazione fiscale di detrazione del 19%.

Spese detraibili certificate: quali sono

Come specificato al paragrafo precedente, si tratta di spese sostenute attraverso un pagamento tracciato, controllabile dalle autorità giudiziarie. Tra queste, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, ricordiamo le spese:

  • assicurative
  • veterinarie
  • funebri
  • le spese sostenute dagli studenti fuori sede per affitti
  • spese sostenute per istruzione secondaria e universitaria

Ci sono poi alcune spese per le quali non si applica l’obbligo della tracciabilità, come ad esempio le spese sanitarie effettuate in farmacia (spese per farmaci da banco e dispositivi medici). Stesso discorso vale per le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o da strutture private accreditate al Servizio Sanitario Nazionale. Queste sono spese per cui è possibile beneficiare della detrazione fiscale al 19%, ma possono essere effettuate in contanti. L’obbligo non si estende nemmeno alle spese per cui è prevista una detrazione diversa da quella del 19% e agli oneri deducibili.

Documentazione da presentare

Se il pagamento della spesa sostenuta è stato effettuato in contanti, questa allora non potrà essere detratta, anche se si conserva la ricevuta, lo scontrino o la fattura.

Al contrario, come abbiamo visto, se la spesa è stata pagata tramite mezzo tracciabile, allora è detraibile, ma è necessario aver conservato la prova del pagamento.

Nel caso in cui il documento attestante la prova del pagamento venga a mancare, occorre un’apposita annotazione in fattura (ricevuta fiscale o documento commerciale) da parte del precettore delle somme che cede il bene o servizio. Questo difatti certifica di aver ricevuto denaro con pagamento tracciato. L’annotazione è obbligatoria sul documento di acquisto, mentre non può essere ammessa se integrata manualmente da parte dell’acquirente.

Quindi la documentazione da presentare è costituita da:

Su ciascuna di esse deve essere riportato codice fiscale, numero di partita IVA e codice fiscale del contribuente.

Spese detraibili

L’Amministrazione Finanziaria può richiedere, quando e se lo desidera, di esibire la documentazione che dimostri il diritto alle deduzioni e detrazioni richieste in dichiarazione. Per questo motivo è necessario conservare la documentazione originale per tutto il periodo di accertamento (vale a dire entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione).

Esempi di documentazione da presentare per aver diritto alla deduzione

Per l’acquisto di farmaci (anche omeopatici), comprati presso farmacie, supermercati e altri esercizi commerciali, o attraverso farmacie on-line, la documentazione da conservare e presentare è:

  • Fattura o scontrino fiscale (detto anche parlante) in cui devono essere specificati natura (farmaco o medicinale, OTC, ecc…), qualità (codice alfanumerico) e quantità del prodotto acquistato nonché il codice fiscale del destinatario
  • Per eventuali farmaci acquistati all’estero idonea documentazione (v. CM n. 34 del 2008)

Per le spese di prestazioni medico-generiche, specialistiche e spese veterinarie è necessario avere:

  • Ricevuta fiscale o fattura rilasciata dal medico o dallo specialista
  • Ricevuta relativa al ticket se la prestazione è resa nell’ambito del SSN

Per spese per prestazioni chirurgiche:

  • Ricevuta fiscale o fattura rilasciata dall’ospedale o dalla struttura inerente alle spese sanitarie le spese sanitarie sostenute per l’intervento chirurgico.

Nel caso di spese sostenute per degenze sanitarie:

  • Ricevuta fiscale o fattura rilasciata dall’ospedale o dalla casa di cura – devono essere escluse le spese inerenti ogni maggiorazione extra (come ad esempio: uso del telefono, o spese relative al letto aggiuntivo utilizzato da chi presta l’assistenza)

Cambiando tipologia di spesa, per interessi passivi (mutui per la costruzione/ristrutturazione dell’abitazione principale a partire dal 1998) occorre conservare e presentare:

  • Ricevute quietanzate dalla banca relative alle rate di mutuo pagate nell’anno d’imposta
  • Contratto di mutuo dal quale dovrà risultare che il finanziamento è stato concesso per la costruzione dell’abitazione principale o per l’effettuazione degli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 3, co. 1, lettera d) DPR n. 380 del 2001 dell’abitazione principale; in mancanza la motivazione può essere autocertificata
  • Autocertificazione che attesti che sussistono le condizioni richieste per la detraibilità in riferimento all’abitazione

Dichiarazioni 730 – cosa sono, quando si fanno, scadenze e compilazione

Le dichiarazioni 730 sono quelle riservate ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Dal 10 maggio di quest’anno sul sito dell’Agenzia delle Entrate (AdE) è disponibile il modello del 730 precompilato. A distanza di 15 giorni AdE consente ai contribuenti di scaricarlo, compilarlo e inviarlo in forma telematica. Per poter accedere all’area personale sul sito di AdE è necessario possedere le credenziali PIN dell’Agenzia delle Entrate, il PIN dell’INPS, oppure SPID o CIE. La compilazione di queste dichiarazioni offrono diversi vantaggi ai lavoratori. Prima fra tutti quella secondo la quale non è necessario eseguire i calcoli per poi ottenere il rimborso in busta paga, piuttosto che sulla rata della pensione. Al contrario, se dai calcoli, risultasse necessario effettuare dei pagamenti, questi sono trattenuti direttamente dalla retribuzione, piuttosto che dalla pensione stessa.

Quindi si tratta di modelli di dichiarazione dei redditi che devono presentare le persone fisiche. I modelli cambiano a seconda della tipologia di reddito posseduta (pensione, retribuzione da lavoro dipendente, ecc…).

Dichiarazioni 730: alternativa al Modello Unico

Il modello 730 è usato in alternativa al Modello Unico da tutti i contribuenti che devono dichiarare i seguenti redditi:

  • di pensione o di lavoro dipendente (compresi i redditi da collaborazione coordinata e continuativa e le indennità sostitutive di reddito di lavoro dipendente); i redditi di pensione o di lavoro dipendente (assieme alle trattenute fiscali e i contributi previdenziali) sono certificati nel CUD emesso dal datore di lavoro o dall’INPS
  • di terreni e fabbricati
  • a tassazione separata
  • di capitale
  • di lavoro autonomo per i quali non è richiesta la partita IVA (ad esempio prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente)
  • redditi diversi (ad esempio redditi di terreni e fabbricati situati all’estero)

I titolari di partita IVA invece non devono usare il modello 730. Oltre a loro ci sono un’altra serie di soggetti esonerati dalla presentazione delle dichiarazioni 730:

  • contribuenti non residenti in Italia
  • eredi di contribuenti deceduti
  • tutti coloro i cui datori di lavoro non sono tenuti a versare le ritenute d’acconto (ad esempio, i lavoratori domestici come colf, giardinieri, ecc.)
  • i contribuenti con soli redditi da abitazione principale più eventuali altri fabbricati non locati
  • i contribuenti con soli redditi da lavoro dipendente o pensione a patto che il datore di lavoro/ente pensionistico abbia effettuato correttamente tutte le ritenute fiscali in busta paga
  • coloro che oltre ad aver percepito redditi da lavoro dipendente o pensione, posseggono anche la loro abitazione principale più altri eventuali fabbricati non locati

A differenza del modello Unico, le dichiarazioni 730 possono essere congiunte e contenere i redditi di entrambi i coniugi.

Dichiarazioni 730

Dichiarazioni 730: scadenze e modalità di presentazione

La scadenza fiscale entro la quale le dichiarazioni 730 devono essere presentate è il 30 settembre 2021. Il termine di trasmissione è sempre lo stesso. Mentre la data per l’erogazione del rimborso IRPEF spettante è differenziata in relazione al periodo di trasmissione della dichiarazione dei redditi.

Gli eventuali rimborso emersi dal calcolo del 730, sono erogati sulle retribuzioni di competenza del mese successivo a quello in cui il sostituto ha ricevuto la comunicazione di liquidazione, in altre parole il risultato del calcolo della dichiarazione dei redditi.

Da ricordare infine la data del 25 ottobre 2021, entro la quale è necessario per i lavoratori inviare l’eventuale dichiarazione dei redditi integrativa in caso di errori.

Rimborsi e conservazione

Abbiamo visto quindi che la data di rimborso, se previsto, arriva direttamente in busta paga a cadenza personalizzata. Nel caso in cui il 730 contenga i dati del sostituto d’imposta, allora il rimborso è accreditato a partire dalla busta paga del mese di luglio. Per i pensionati invece il rimborso va sulla rata della pensione a partire da quella del mese di agosto.

Se il modello 730 invece non contiene i dati del sostituto d’imposta, allora il rimborso è accreditato da parte dell’Agenzia delle Entrate entro fine anno, o all’inizio dell’anno successivo, direttamente sul conto corrente bancario del soggetto dichiarante.

Le dichiarazioni 730 devono essere obbligatoriamente conservate per almeno i 5 anni successivi dall’anno di presentazione (termine stabilito per l’accertamento). Per fare un esempio: la dichiarazione del 730 dell’anno 2018, va conservata fino al 31 dicembre del 2023.

Infine si ricorda che i contribuenti con partita IVA non possono fare dichiarazioni 730 nemmeno se avessero percepito anche un reddito da lavoro dipendente o da pensione. Devono per forza fare il modello REDDITI (ex Modello Unico).

Dazi doganali: cosa sono, come sono calcolati e quando non si applicano

Nel precedente articolo: “Bolletta doganale: cos’è e come funziona abbiamo visto cos’è e a cosa serve una bolletta doganale. In pratica si tratta di un documento che serve a confermare e certificare alle autorità competenti, il pagamento dei dazi doganali. Il dazio è la richiesta di pagamento per lo scambio merci tra paesi, più o meno vicini, più antico che si conosca. Già oltre 2000 anni fa i popoli ne esigevano il pagamento. Oggi invece, la definizione più comune è quella secondo la quale i dazi doganali sono delle imposte indirette applicate sul valore di tutti i prodotti importati ed esportati dal Paese che l’impone. In Europa i dazi sono richiesti per il pagamento di tutti i prodotti che provengono o sono diretti, in paesi che non fanno parte della CEE (Comunità Economica Europea). Quindi, in altre parole, i dazi doganali sono applicati a qualunque (o quasi) merce acquistata e proveniente dall’estero.

Dazi doganali: un po’ di storia

Come abbiamo detto, hanno un’origine molto antica. Durante il Medioevo, ad esempio, rappresentavano una delle entrate fiscali più alte ed importanti. In quel periodo i dazi erano applicati alla merce che transitava addirittura da un Comune all’altro. Con il passare del tempo, durante alcune particolari epoche, i dazi furono sospesi. Questo accorgimento venne adottato grazie ad una diversa organizzazione amministrativa del territorio e, visto che gli scambi commerciali andavano aumentando, la sospensione si rese necessaria, per evitare di gravare troppo sul transito della merce.

Dal 1600 i dazi interni sono ridotti drasticamente. Grazie a questa manovra, le dottrine economiche liberali, riescono a garantire una maggiore libertà di circolazione delle merci. A quel punto l’applicazione delle tasse doganali si applica esclusivamente quando la merce passa da una dogana all’altra sui confini dei vari Stati.

A cosa servono veramente

Non c’è un’unica vera ragione. Ne esistono molteplici, che spingono i vari Stati ad applicare ciascuno i propri dazi doganali. In alcuni casi, ad esempio, quando i dazi sono applicati in misura particolarmente alta su merce costosa e di pregio, il pagamento è richiesto in via cautelare per proteggere il consumatore. Infatti gli addetti della dogana devono eseguire degli attenti e accurati controlli  sull’origine dei prodotti.

In altri casi invece le autorità doganali devono controllare eventuali regole che disciplinano la circolazione della merce, la presenza o meno di autorizzazioni o divieti all’importazione e certificazioni. In questo caso il dazio compensa il controllo che mira ad individuare merce pericolosa di cui è vietata l’importazione (armi, stupefacenti, specie animali o vegetali protette, ecc…).

Ma non è sempre e solo una questione di controllo e tutela. Anzi, il più delle volte i dazi doganali sono introdotti dai vari Stati pe ragioni politiche. Ragioni che si traducono nel voler provare a proteggere settori produttivi interni che NON sono in grado di concorrere con i mercati stranieri. Quando però questo sistema è applicato sistematicamente, per cercare quindi di proteggere la produzione interna, allora è il caso di parlare di protezionismo.

I dazi doganali infine possono essere applicati anche alle esportazioni (merce in uscita dal paese). Questo avviene soprattutto quando un paese è particolarmente ricco di un determinato prodotto e deve incrementare le entrate fiscali.

Dazi doganali: il calcolo

Esistono tre diversi metodi per calcolare i dazi doganali:

  • sul valore della merce trasportata che risulta dalla fattura elettronica, al netto o al lordo delle spese di trasporto (valore della merce + nolo Extra UE – nolo=spesa di trasporto)
  • sulla quantità di merce trasportata espressa in una precisa unità di misura
  • sommando al primo metodo il secondo

Esiste una classificazione ben precisa della merce trasportata, che rientra tutta nelle tabelle online disponibili sul TARIC. Quest’ultimo è lo strumento utilizzato per calcolare i dazi doganali sulla merce importata. La merce è classificata per codici che ne identificano la natura e le caratteristiche, dalle quali, a loro volta, dipende il calcolo delle tasse alla dogana. Quindi ad ogni codice corrispondono precisi obblighi, disposizioni e tariffe doganali.

Sbagliare un codice significa trovare un’errata associazione tra categoria merceologica e merce trasportata. Questo può portare a inconvenienti che vanno dalla semplice sanzione amministrativa, al blocco della merce. 

Dazi doganali

Classificazione doganale delle merci

Ad ogni merce è assegnato un preciso codice numerico. Si tratta di una raccolta in 21 sezioni e 99 capitoli. Ogni codice è composto da 10 cifre e ogni parte del codice ha una specifica funzione:

  • le prime sei cifre del codice indicano le voci e le sottovoci del sistema armonizzato (SA – 1 e 2 identificano il capitolo, 3 e 4 la voce di tariffa del SA, 5 e 6 si riferiscono alla sottovoce).
  • le successive due si riferiscono invece alle sotto-voci relative alla suddivisione comunitaria della nomenclatura combinata (NC)
  • le ultime due invece identificano le sotto-voci del codice Taric

A questo schema si possono aggiungere ulteriori 4 cifre che servono a identificare il codice addizionale Taric, relativo a determinate categorie merceologiche oppure categorie soggette a dazi compensatori.

Unione Europea e Dazi doganali

La nascita del Mercato Unico Europeo ha cambiato la terminologia in fatto di dazi doganali. Difatti non si parla più di “dazi”, ma di “merce proveniente da paesi che non fanno parte dell’Unione Europea”. Quindi il dazio doganale, infatti, come anticipato, è un’imposta di consumo che grava sui prodotti che vengono importati da paesi terzi.

Bolletta doganale: cos’è e come funziona

La bolletta doganale è un documento che attesta e conferma il pagamento delle tasse doganali. Inoltre è una sorta di certificato che dichiara la conformità ad ogni altra formalità previste dalla dogana. Tutto ha inizio al momento della spedizione. In questa prima fase, il mittente, compila e firma la bolletta doganale che servirà ad accompagnare la merce fino alla frontiera. Questo documento assolve, contemporaneamente, a due importanti compiti: individuare il paese di destinazione merce e calcolare le relative tasse doganali. Il documento si trasforma in una vera e propria bolletta doganale, chiamata anche DAU (Documento Amministrativo Unico) o DAE (Documento Accompagnamento Esportazione), quando le tasse doganali risultano pagate e la dogana assegna al modulo una data e un numero identificativo. La bolletta doganale è unica e vale sia per importazioni che per le esportazioni.

Bolletta doganale: tipologie, modelli e caratteristiche

A seconda dei casi la bolletta doganale può assumere denominazioni diverse:

  • di accompagnamento – questo termine indica una bolletta doganale che serve solo ad accompagnare la merce da una dogana all’altra. Solo nell’ultima dogana verranno pagate le tasse.
  • di importazione – utilizzata per trasportare la merce dalla dogana alla destinazione finale
  • di esportazione o temporanea importazione – in questo caso la merce transita solo temporaneamente da una dogana, quindi sulla bolla è scritto la data entro la quale la merce deve essere definitivamente spostata
  • introduzione in deposito – si tratta dei documenti che accompagnano le merci depositate in appositi locali messi a disposizione dalle dogane.

Al momento in cui è fatto un acquisto di merce proveniente da un Paese Extra UE, assieme alla bolla doganale, l’acquirente riceve anche:

  • fattura emessa dal venditore straniero
  • fattura del trasportatore

quando un’azienda riceve quindi della merce proveniente da un paese Extra UE deve registrare la bolla doganale, la fattura del venditore e la fattura dello spedizioniere. Quando le bolle doganali e le corredate fatture devono essere registrate è necessario fare tre diverse distinte.

Dazi doganali: cosa sono e come sono calcolati

Da oltre 2000 anni le civiltà impongono dei dazi sulle merci che venivano scambiate con le popolazioni vicine. Oggi il dazio doganale è definito come: “imposta indiretta applicata sul valore di tutti i prodotti importati ed esportati dal Paese che l’impone”. In Europa, è applicato un dazio doganale per tutti quei prodotti che provenienti, o diretti in Paesi che non fanno parte della CEE (Comunità Economica Europea).

In Italia l’importo da pagare alla dogana varia a seconda della merce. Ci sono però alcuni fattori da considerare sempre:

  • valore del prodotto importato
  • tipologia di prodotto importato

Bolletta doganale

Dazi doganali: come sono calcolati

I dazi doganali sono calcolati quindi tenendo conto del valore stesso della merce importata/esportata. È applicata una relativa percentuale che varia in base appunto alla merce. Esiste una tabella specifica che serve ad identificare e classificare ogni diversa tipologia di merce importata. Online è inoltre disponibile il TARIC, un servizio telematico che consente di recuperare tutte le informazioni necessarie ad identificare la tipologia di merce che passa per le dogane.

Volendo trarre una formula generica per spiegare la composizione di un dazio doganale, è possibile affermare che questo è composto da:

valore della merce + nolo Extra UE (nolo=spesa di trasporto)

Infine l’IVA, imposta sul valore aggiunto, è calcolata su valore del bene + nolo Extra UE + dazi doganali. In altre parole l’IVA è calcolata e fatta pagare anche sugli stessi dazi doganali! Quando la bolletta doganale non è espressa in Euro, la conversione va fatta tenendo conto del tasso di cambio alla data riportata sulla bolletta stessa.

Bolletta doganale: sezioni e caselle

La bolletta doganale è suddivisa in una serie di caselle, codici e sezioni, ciascuna delle quali indica uno specifico elemento. Le caselle più importanti sono:

  • 1 – Dichiarazione Contiene la scritta IM (importazione)
  • 8 – Destinatario Il tuo indirizzo
  • 12 – Elementi di trasporto Spese di trasporto UE e extra UE
  • 20 – Termini Le condizioni contrattuali di spedizione
  • 22 – Valuta La valuta usata per l’acquisto
  • 23 – Tasso di cambio tasso di cambio fissato dalla dogana
  • 33 – Codice merci Codice identificativo delle merci
  • 42 – Prezzo Costo della merce al tasso di cambio
  • 44 – Speciali Eventuali autorizzazioni, certificati
  • 47 – Imposte IVA e dazi doganali

Spesometro

Lo spesometro è una particolare comunicazione che i titolari di partita IVA devono redigere e presentare ad Agenzia delle Entrate. Non sono tenuti alla compilazione di questa documentazione i contribuenti che rientrano nel regime forfettario, commercianti al dettaglio per operazioni inferiori ai 3.000 € e le agenzie di viaggio per importi inferiori a 3.600 €.

Lo spesometro contiene solo operazioni certificate da scontrino elettronico o ricevuta fiscale, nonché tutte quelle fatturate con fatturazione elettronica. Dal 2017 lo spesometro è stato poi collegato anche alla comunicazione IVA e alla liquidazione IVA periodica.

Le spese sostenute per importazioni Extra UE NON vanno riportate nello spesometro. Quando la merce transita in Italia, occorre semplicemente  emettere bolla doganale e, con quella, il Fisco è già consapevole del trasporto.

Regime opzionale OSS: One Stop Shop entrerà in vigore il prossimo 1° luglio

Il primo luglio 2021 entrerà in vigore un nuovo regime contabile chiamato: regime opzionale OSS (in acronimo OSS). È un regime che vale per tutti gli operatori che effettuano vendite verso privati con volumi d’affari superiore alla soglia di 10.000 euro annui. Si tratta di un passo importante che l’Italia andrà a compiere, per attenersi alle disposizioni stabilite dal VAT e-commerce package all’interno del più ampio quadro del Digital Single Market Strategy. Disposizioni e iniziative stabilite per la riforma globale dell’IVA dalla Commissione Europea nel VAT action plan  del 2016.

Il nuovo regime doveva entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2021, ma è stato posticipato al 1° luglio 2021 a causa degli effetti negativi dovuti alla pandemia di Covid-19.

Regime opzionale OSS: che cos’è

Si tratta del regime con il quale, l’Italia, ma in generale l’Europa, punta alla riforma per l’assolvimento dell’IVA, un nuovo regime centralizzato e digitale che comprende tutta una serie specifica di operazioni:

  • Vendite a distanza di beni importati da territori terzi o Paesi terzi, effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica (sono esclusi da questi, i beni soggetti ad accise)
  • Prestazioni di servizi da parte di soggetti passivi non stabiliti nell’UE o da soggetti passivi stabiliti all’interno dell’UE ma non nello Stato membro di consumo a soggetti non passivi (consumatori finali)
  • Vendite a distanza intracomunitarie di beni effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
  • Vendite nazionali di beni effettuate tramite l’uso di un’interfaccia elettronica

La principale novità del nuovo regime è quella secondo la quale l’operatore economico, può registrare l’IVA  telematicamente, in un solo Stato dell’Unione Europea. Questo vale per tutte le operazioni di vendita a distanza eseguite nei confronti di privati. Tutto questo sarà reso possibile attraverso un’unica presentazione trimestrale telematica dell’IVA.

Regime opzionale OSS

Obblighi IVA oltre la soglia di 10.000€

Gli operatori che superano la soglia di 10.000€, per assolvere agli obblighi IVA devono:

  1. Qualificarsi e identificarsi ai fini IVA in ogni singolo Stato Membro in cui si trovano i clienti finali a cui sono state effettuate le vendite
  2. Assolvere all’IVA ogni trimestre, in ogni Stato in cui si sono identificati (per farlo devono quindi registrarsi al regime opzionale OSS)

Questo nuovo regime semplifica moltissimo gli obblighi e gli adempimenti ai fini IVA. Questo perché l’operatore economico deve registrarsi in un solo Stato dell’UE tramite il regime opzionale OSS, quello in cui si è identificato ai fini IVA.

Secondo Agenzia delle Entrate, si aprono quindi tre diversi scenari:

  1. Operatore NON UE – il soggetto passivo sceglie lo Stato UE per l’identificazione IVA
  2. Operatore UE – Prestazioni di servizi da parte di soggetti passivi non stabiliti nell’UE o da soggetti passivi stabiliti all’interno dell’UE ma non nello Stato membro di consumo a soggetti non passivi (consumatori finali).
  3. Schema di importazione – In questo caso se l’operatore economico ha sede in uno Stato con il quale l’UE ha stabilito un accordo per il recupero dell’Iva, allora può ricorrere al regime opzionale OSS. In questo modo si può identificare in qualunque Stato membro dell’UE. In caso contrario, l’operatore avrà bisogno di un intermediario che abbia sede in UE per poter usare lo schema di importazione.

Registrazione all’OSS da parte degli operatori economici

Per registrarsi l’operatore può usare un apposito portale internet predisposto dall’UE. Il sistema telematico trasmette così i dati inseriti e li comunica ad ogni altro Stato membro. Gli operatori UE mantengono lo stesso identificativo IVA. Per quanto riguarda invece lo schema d’importazione l’operatore riceve un apposito nuovo codice identificativo.

Regime opzionale OSS: dichiarazione e versamento IVA

La dichiarazione IVA OSS deve essere presentata via telematica. Questa deve avvenire entro la fine del mese successivo a ciascun trimestre. Deve essere presentata anche qualora non sia stata effettuata alcuna operazione nel corso del trimestre di riferimento. Il periodo d’imposta è trimestrale per le operazioni eseguite secondo gli schemi UE e non UE, ed è mensile per lo schema d’importazione.

Chi si registra a questo regime deve presentare dichiarazione trimestrale anche se non ha prestato alcun servizio digitale. In dichiarazione devono essere indicati:

  • numero di identificazione
  • ammontare IVA – suddiviso per aliquote, spettante a ciascuno Stato membro di domicilio o di residenza dei clienti
  • aliquote – in base allo Stato membro di domicilio o residenza dei clienti
  • totale prestazioni di servizi digitali eseguite nel trimestre di riferimento

Inoltre i soggetti che hanno delle stabili organizzazioni in Paese Membri:

  • totale servizi digitali resi tramite una stabile organizzazione in ciascuno Stato membro
  • numero individuale di identificazione Iva o il numero di registrazione fiscale della stabile organizzazione stessa

Il versamento dell’IVA deve avvenire nello Stato Membro presso cui l’operatore economico si è identificato. Sono applicate le aliquote dei vari Stati membri di consumo. Il totale da versare è quello risultante dalla dichiarazione IVA. Spetta infine allo Stato membro di identificazione, ripartire i vari importi tra gli altri Stati.

Iva per cassa: il sistema alternativo al regime IVA ordinario

IVA per cassa è un regime alternativo a quello IVA ordinario o per competenza. È conosciuto e chiamato anche con il nome di cash accounting ed è entrato in vigore a partire dal 1° dicembre 2012. È stato l’articolo 32 bis del Decreto Legislativo n°83/2012 che ha introdotto questo nuovo regime e che permette ai contribuenti che esercitano attività d’impresa o professionale di differire il versamento dell’IVA sulle fatture emesse, al momento dell’incasso della fattura elettronica. Di conseguenza permette anche di detrarre l’IVA sulle fatture elettroniche di acquisto al momento del relativo pagamento.

Articolo 32 bis del Decreto Legislativo n°83/2012

L’articolo 32 bis, comma 1 del D.L. 83/2012 stabilisce che:

“In esecuzione della facoltà accordata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro, nei confronti di cessionari o di committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi. Per i medesimi soggetti l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta relativa agli acquisti dei beni o dei servizi sorge al momento del pagamento dei relativi corrispettivi. In ogni caso, il diritto alla detrazione dell’imposta in capo al cessionario o al committente sorge al momento di effettuazione dell’operazione, ancorché’ il corrispettivo non sia stato ancora pagato.

Le disposizioni del presente comma non si applicano alle operazioni effettuate dai soggetti che si avvalgono di regimi speciali di applicazione dell’imposta, ne’ a quelle poste in essere nei confronti di cessionari o di committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile. L’imposta diviene, comunque, esigibile dopo il decorso del termine di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione. Il limite annuale non si applica nel caso in cui il cessionario o il committente, prima del decorso del termine, sia stato assoggettato a procedure concorsuali”.

In pratica chi adotta questo regime può calcolare l’ammontare periodica dell’IVA da versare considerando solo le operazioni per le quali l’incasso o l’esborso di denaro, è già avvenuto. Per le vendite quindi valgono solo le transazioni per le quali siano già stato riscosso quanto dovuto dalla fattura emessa. Per gli acquisti valgono solo le fatture già pagate ai fornitori.

IVA per cassa: come funziona il nuovo regime

Questo nuovo regime è stato creato ed è entrato in vigore, allo scopo di tutelare i professionisti e i piccoli imprenditori. In effetti, tutti quei soggetti che possono incontrare delle difficoltà nel farsi pagare. Ne sono un esempio tutte quelle piccole-medie imprese che lavorano con e per conto delle Pubbliche Amministrazioni. Le PA hanno tempi di pagamento davvero lunghissimi!

La liquidazione periodica dell’IVA, in questo regime, tiene conto del momento stesso di pagamento del corrispettivo per individuare il mese, o il trimestre di riferimento. Invece se il pagamento avviene con modalità diverse dal contante (bonifico, carta di credito, ricevute bancarie, ecc…), allora sono di riferimento i documenti contabili prodotti che attestino l’avvenuto accredito dei corrispettivi, su fattura elettronica emessa.

Fattura elettronica: come registrarle in regime Iva per cassa

Le fatture elettroniche emesse in questo regime devono obbligatoriamente riportare la seguente dicitura:

“Operazione con IVA per cassa, come previsto dell’art. 32 bis del D.L. 83/2012, convertito in Legge 134/2012”

Iva per cassa

 

Venendo a mancare questa semplice dicitura, l’imposta deve essere considerata esigibile secondo disposizioni del regime ordinario. Dal punto di vista del cliente che riceve una fattura elettronica con questa dicitura, vede già la possibilità di detrarre l’IVA, dell’acquisto effettuato, nel momento stesso dell’operazione (questo vale anche nel caso in cui non abbia ancora pagato la fattura stessa).

La fatturazione elettronica prevede una specifica sezione nel file XML “DatiAnagraficiCedenteType” il rigo RF17 IVA per cassa (art. 32-bis, D.L. 83/2012).

IVA per cassa: i requisiti per aderirvi

Il primo requisito per aderire al regime IVA per cassa è quello di non avere un fatturato annuo superiore ai 2 milioni di euro. È possibile passare dal regime IVA ordinario a quello IVA per cassa soddisfacendo alcuni requisiti base:

  • Non bisogna aver superato il fatturato di 2 milioni di euro nel precedente periodo di imposta
  • Il regime è sottoscrivibile sia ai privati, che soggetti esercitanti attività d’impresa, arte e professioni
  • Non è possibile aderire al regime IVA per cassa se già è presente l’adesione ad altro regime IVA agevolato (come ad esempio quello del margine)

Per adottare il cash accounting non occorre alcuna comunicazione preventiva. Infatti ha validità il “comportamento concludente” durante la liquidazione periodica dell’imposta sul valore aggiunto. Formalmente la comunicazione avviene tramite la dichiarazione IVA annuale. Vale dal 1° gennaio dell’anno in cui è stata manifestata l’adesione, o da quando è iniziata l’attività. L’adesione al regime d’IVA per cassa ha vincolo triennale. Al termine dei tre anni, la validità deve essere rinnovata annualmente, salvo revoca.

Transazioni incluse ed escluse dal regime

Non tutte le operazioni attive e passive possono rientrare in questo regime. Le operazioni attive escluse sono:

  • operazioni che rientrano nei regimi speciali IVA
  • attività svolte nei confronti di soggetti che non esercitano impresa, arte o professioni
  • operazioni eseguite nei confronti di soggetti che applicano il reverse charge (inversione contabile)
  • le operazioni soggette ordinariamente a esigibilità differita, senza limite annuale
  • le cessioni intracomunitarie, le cessioni all’esportazione e le operazioni assimilate, i servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, per i quali il cedente o prestatore nazionale non indica l’IVA in fattura e non è debitore della relativa imposta

Le operazioni passive escluse, sono:

  • beni o servizi ai quali è applicato il metodo dell’inversione contabile
  • gli acquisti intracomunitari di beni
  • le importazioni di beni
  • le estrazioni di beni dai depositi IVA