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Iscro: cassa integrazione per i lavoratori autonomi

I lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS hanno ottenuto, grazie alla Legge di Bilancio 2021 una nuova agevolazione: l’ISCRO. Si tratta della cassa integrazione per i lavoratori autonomi per indennità straordinaria di continuità reddituale ed operativa che verrà sperimentata nel triennio 2021-2023. L’indennità è erogata direttamente dall’INPS ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata. Per poterne beneficiare occorre soddisfare alcuni precisi requisiti.

ISCRO: beneficiari e requisiti

I vantaggi della ISCRO sono riservati esclusivamente ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS. Sono quindi esclusi i soggetti iscritti alla Gestione Commercianti e i professionisti iscritti alle casse previdenziali private (avvocati, medici, giornalisti, ecc…).

Per poterne beneficiare occorre rispondere a determinati requisiti. Infatti l’indennità straordinaria è erogata solo ai lavoratori autonomi che esercitano una professione abituale e sono iscritti alla gestione separata INPS. Quindi per poterne beneficiare occorre che i soggetti:

  • non siano titolari di altri trattamenti pensionistici
  • non siano assicurati anche con altre forme previdenziali obbligatorie
  • Il lavoro autonomo prodotto nell’anno precedente deve essere inferiore del 50% rispetto alla media dei medesimi redditi percepiti nei tre anni precedenti a quello sottoposto a valutazione affinché la domanda sia accettata
  • non devono percepire reddito di cittadinanza
  • Il reddito massimo comune non deve essere superiore ad 8145€
  • Devono essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali obbligatori
  • Possedere partita IVA attiva da almeno 4 anni, con la stessa attività con la quale è stata fatta la registrazione alla Gestione separata INPS.

Il reddito prodotto deve essere presentato accompagnato da un’autocertificazione e l’Agenzia delle Entrate lo comparerà poi a quanto dichiarato. A questo punto spetta all’INPS calcolare il calo di fatturato e determinare l’importo spettante.

Iscro

Come presentare domanda

La domanda deve essere presentata ad INPS solo in forma telematica. Della ISCRO è possibile beneficiare solo una volta durante il triennio e la richiesta deve essere inviata entro e non oltre il 31 ottobre anno corrente.

Per non perdere il contributo è necessario seguire anche dei corsi professionali di formazione obbligatori, promossi dall’ANPAL e monitorate dallo stesso ente (Agenzia Nazionale per le Politiche attive). Le specifiche per presentare la domanda sono emesse attraverso il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali entro il sessantesimo giorno dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio. Quello che è noto finora è che, una volta acquisita la domanda, INPS comunicherà ad Agenzia delle Entrate i riferimenti anagrafici dell’interessato. Questo passaggio servirà ad AdE per effettuare controlli sul possesso dei requisiti minimi per accedere al bonus.

ISCRO: gli importi

La ISCRO è pari al 25% percepito l’anno precedente. Tale importo spetta dal giorno successivo alla presentazione della domanda. L’indennità vale sei mesi dall’approvazione e non comporta accreditamento di contribuzione figurativa. Gli importi minimi corrisposti sono di 250€, mentre i massimi sono di 800€. Le somme erogate come ISCRO non concorrono alla formazione del credito d’imposta.

I lavoratori autonomi con partita IVA, professionisti senza cassa, iscritti alla gestione separata dell’INPS dal 1° gennaio versano lo 0,26% in più dei contributi previdenziali. È con questo piccolo aumento che è finanziata la ISCRO. Un aumento previsto direttamente in Legge di bilancio 2021 che vuole aiutare tutti i professionisti senza cassa che hanno dovuto sostenere una diminuzione di reddito superiore al 50% a causa degli avvenimenti dell’ultimo anno.

INPS con la circolare n°12 del 5 febbraio 2021 ha reso note le aliquote addizionali per l’anno in corso. Queste saranno così suddivise:

  • Aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in misura pari al 25%
  • addizionale 0,72% destinata a finanziare le prestazioni di maternità, assegni nucleo familiare, degenza ospedaliera, malattia e congedo parentale
  • addizionale 0,26% prevista ex novo a finanziamento di ISCRO

In pratica per il 2021 l’aliquota INPS è pari al 25,98%. Mentre per gli anni successivi, 2022 e 2023, il contributo passerà dallo 0,26% e poi passerà allo 0,51% per ciascuna annualità.

ISA: Indici sintetici di Affidabilità e compliance del settore economico

ISA, acronimo di indici sintetici di affidabilità, sono strumenti atti a verificare che, i titolari di partita IVA, professionisti ed aziende, rispettino la compliance del proprio settore economico. In altre parole sono elementi che hanno sostituito i vecchi studi di settore. Anche se si tratta di uno strumento di auto verifica, sbagliando la loro redazione l’attività incorre in precise sanzioni. Gli indici sintetici di affidabilità servono quindi a capire la situazione reddituale del contribuente, attraverso un’ auto dichiarazione. Gli ISA sono state introdotte nel 2018 e sono definite come compliance fiscale. Lo scopo finale di questo strumento è quello di capire se la situazione reddituale e fiscale del soggetto che presenta l’auto dichiarazione, è in linea con gli standard ipotizzati. Sono quindi utili a capire se le direttive del fisco sono state violate oppure no. Gli sono strumenti utilizzabili da chiunque abbia una partita IVA, anche per chi presenta dichiarazione dei redditi online.

ISA: caratteristiche e premi previsti

Il sistema degli ISA nasce per due motivi:

La norma che ne stabilisce le caratteristiche è il Decreto Legislativo n°50/17. Nel DL è indicato il funzionamento degli ISA e i regimi premiali previsti. Gli Indici sintetici di affidabilità funzionano sulla base di calcoli statistici basati su periodi d’imposta. Ogni anno il contribuente è soggetto a valutazione della propria attività e il risultato è espresso con una votazione compresa tra 1 e 10. A seconda del punteggio ottenuto, il contribuente può ottenere varie agevolazioni.

I soggetti che ottengono un punteggio pari ad 8, ottengono:

  1. esonero dal visto di conformità per la compensazione dei crediti d’imposta
  2. riduzione per un anno dei termini di accertamento dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo e dell’IVA.

I contribuenti che invece totalizzano un punteggio pari a 8,5, ottengono, oltre ai precedenti vantaggi, anche l’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.

Infine chi ottiene un punteggio compreso tra 9 e 10, ottiene:

  1. esclusione dall’applicazione della disciplina delle società non operative
  2. esclusione dalla determinazione sintetica del reddito complessivo

Gli ISA prevedono specifiche direttive che devono essere scrupolosamente seguite alla lettera. Qualora queste non venissero rispettate, sono previste sanzioni alquanto salate. È facile non ottenere la sufficienza perché basta veramente poco per sbagliare qualcosa della compliance. Ad esempio, le sanzioni sono applicate nel caso in cui:

  • qualche modulo è compilato in modo scorretto
  • sono effettuati pagamenti sbagliati
  • sono omessi del tutto i pagamenti
  • i moduli non sono presentati nella tempistica corretta

Per avere la certezza matematica che ogni documenti sia compilato correttamente e che non vi siano ritardi e/o imprecisioni, meglio rivolgersi ad esperti dottori commercialisti professionisti in materia.

ISA

ISA: soggetti inclusi ed esclusi

Gli ISA sono usati da imprese e liberi professionisti classificati e suddivisi in macro categorie: agricoltura, manifattura, commercio, ecc. Ogni macro categoria è poi suddivisa in tante piccole sottocategorie alle quali è assegnato un numero chiamato “indicatore”.

I soggetti esclusi sono davvero tanti, tra questi si ricordano, ad esempio:

  • contribuenti che hanno avviato la propria attività durante il periodo di imposta
  • soggetti che hanno chiuso la propria attività durante il medesimo periodo
  • chi eccede ai limiti di guadagno della propria categoria previsti dagli indicatori stessi
  • chi non svolge attività in maniera stabile e continuativa
  • i soggetti che rientrano sotto il regime forfettario
  • lavoratori in mobilità
  • i giovani imprenditori che rientrano sotto un regime agevolato
  • gruppo di volontariato
  • enti di promozione sociale (sempre a regime forfettario)
  • cooperative e consorzi che svolgono attività solo verso aziende socie

Nonostante quindi l’elenco dei soggetti esclusi dagli ISA sia molto lungo, che vi rientra e non rispetta le regole previste dagli indicatori, incorre in sanzioni.

ISA: soglia minima

Il voto minimo accettabile è il 6. Sopra questo valore il risultato è considerato positivo. Un risultato pari o inferiore a 6 invece può portare ad un accertamento da parte delle Agenzia delle Entrate. In questo caso il contribuente può accettare il punteggio inferiore al 6 ed esporsi ad eventuali accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, oppure adeguarsi al maggior reddito indicato nell’ISA, ottenendo così un punteggio superiore. In questo secondo caso il soggetto deve tassare e versare maggiore IVA su un importo di reddito presunto determinato dall’ISA. Così facendo è possibile evitare eventuali accertamenti.

Sanzioni amministrative

L’articolo 8 comma 1 del DL 471/97 stabilisce le sanzioni applicate in caso di omissione della comunicazione dei dati relativi ai fini della costruzione o dell’applicazione degli indici. Queste risultano pari ad importi compresi tra 250 e 2000 euro.

Lo stesso decreto prevede anche la possibilità per il soggetto di sanare le violazioni di natura fiscale tramite il ravvedimento operoso. Modalità e termini sono indicati nella norma stessa.

Diritto camerale: calcolo e pagamento alla Camera di Commercio

Il diritto camerale è una prestazione dovuta ogni anno alle varie Camere del Commercio da parte di tutte le imprese iscritte o annotate al Registro delle imprese. Si tratta di un diritto dovuto in base alla sede legale dell’impresa. Questo significa che l’impresa paga la Camera di Commercio (unità locali, sede secondarie o uffici di rappresentanza) della località dove ha sede legale. In caso le sedi si trasferiscano, allora il diritto va pagato alla Camera di Commercio in cui è ubicata la sede legale dal 1° gennaio dell’anno in corso.

Diritto camerale: soggetti obbligati e soggetti esonerati

Ci sono alcuni soggetti obbligati a pagare il diritto camerale ogni anno. Tra questi vanno ricordati:

  • Società a responsabilità Limitata (unipersonali)
  • Società per Azioni
  • Imprese individuali
  • Società in accomandita per azioni
  • Società di persone (in nome collettivo e in accomandita semplice)
  • Imprese agricole
  • Imprese non agricole
  • Cooperative
  • Consorzi
  • Enti economici pubblici
  • Enti economici privati
  • Aziende speciali e consorzi previsti dalla Legge n 267/00
  • Imprese estere con sedi locali in Italia
  • Società consortili a responsabilità limitata per azioni

Non tutte le imprese però sono assoggettate a questo obbligo. L’onere del pagamento, ad esempio, non grava su:

  • società per le quali è stato adottato un provvedimento fallimentare (salvo esercizio provvisorio di attività)
  • imprese per le quali è stata adottata una liquidazione amministrativa (salvo esercizio provvisorio di attività)
  • imprese individuali che hanno dichiarato e cessato l’attività al 31 dicembre dell’anno precedente e che hanno presentato la cancellazione al Registro delle Imprese entro e non oltre il 30 gennaio dell’anno corrente
  • società ed enti collettivi con bilancio finale di liquidazione già approvato e che hanno presentato domanda di cancellazione dal Registro Imprese sempre entro il 30 gennaio dell’anno in corso
  • Cooperative nei confronti delle quali le Autorità Giudiziarie, hanno adottato provvedimenti di scioglimento

Diritto camerale

Diritto Camerale per più unità locali

Le imprese che esercitano la propria attività in diverse unità locali dislocate in differenti zone del territorio, sono tenute a pagare il diritto camerale ad ogni Camera di Commercio nel cui territorio ha sede l’unità locale stessa. L’importo dovuto è pari al 20% di totale che corrisponde la sede centrale. Il pagamento è da eseguirsi utilizzando un modello F24 dove, ogni unità locale, deve occupare un singolo rigo per la quale dovranno essere indicati gli importi dovuti, la sigla della provincia di appartenenza, l’anno di riferimento e il codice tributo 3850.

Termine di pagamento e scadenze

Il termine di pagamento del diritto camerale coincide con la scadenza del primo acconto delle imposte sui redditi. Esistono delle eccezioni. Infatti per tutte quelle imprese che determinano l’importo dovuto per il diritto camerale, in base a precisi scaglioni di fatturato e le ditte che hanno approvato il bilancio entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, devono pagare entro:

  • 30 giugno – per il pagamento senza 0,40%
  • 30 luglio – per il pagamento con 0,40%

Inoltre le società che approvano il bilancio oltre i quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, devono versare il diritto camerale entro il 16 del mese successivo a quello di approvazione.

Infine, i soggetti che non approvano proprio il bilancio entro i termini stabiliti da legge, devono pagare il diritto camerale entro il 30 del mese successivo a quello in cui avrebbero dovuto approvare il bilancio stesso.

Quando le scadenza non sono rispettate, i soggetti possono comunque pagare entro il trentesimo giorno successivo alla scadenza, versando una somma maggiorata dello 0,40%. Se anche questa nuova scadenza non dovesse essere rispettata, il soggetto potrà comunque provvedere al pagamento entro un anno, avvalendosi del ravvedimento operoso.

Diritto camerale: come pagarlo

Il diritto camerale si paga versandolo in un’unica soluzione. Si paga utilizzando un modello F24. Su questo va sempre indicato il codice tributo 3850 nella sezione IMU ed altri tributi locali.

Il diritto annuale deve essere versato con arrotondamento all’unità di euro secondo le modalità indicate dalla nota MISE 3.3.2009 n. 19230.

Cosa succede quando non si paga il diritto camerale

I soggetti che non pagano il diritto camerale non possono ottenere le certificazioni da parte dell’Ufficio del Registro delle Imprese. Questo significa che chi non ha provveduto a pagare il diritto camerale non può ottenere alcun certificato da parte del sistema informatico nazionale delle Camere di Commercio.

Le imprese che non pagano, non hanno versato un importo sufficiente, oppure versano in ritardo, si possono avvalere del ravvedimento operoso. In questo caso il pagamento è sempre effettuabile con modello F24, ma stavolta i codici tributo da riportare sono:

  • 3852 per la sanzione, dovuta al ritardo del pagamento
  • 3851 per gli interessi.

Istruzioni certificazione unica: modello, informazioni e aggiornamenti 2021

Il 15 gennaio 2021 Agenzia delle Entrate(AdE) ha emesso un nuovo provvedimento con il quale ha pubblicato il nuovo modello CU definitivo per l’anno in corso. Allegato al modello sono state inserite le relative istruzioni certificazione unica per una corretta compilazione. Molteplici le novità inserite da AdE, sia per quanto riguarda le voci aggiuntive (come ad esempio il nuovo bonus IRPEF 2021, o le voci relative all’emergenza Covid-19), che la nuova scadenza prevista per il 16 marzo per la trasmissione ad Agenzia delle Entrate. Rimane invece invariata la data del 31 ottobre 2021 il termine ultimo per la trasmissione della CU contenente i redditi esenti o non dichiarabili tramite certificazione unica precompilata.

Istruzioni certificazione unica: modello e novità

I sostituti d’imposta usano la CU per dichiarare i redditi di lavoro dipendente e assimilati, redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. In CU inoltre sono inseriti anche tutti i redditi derivanti dai contratti di locazione brevi relativi al periodo di imposta 2020.

Il 15 gennaio Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento “dichiarazioni fiscali 2021 modelli definitivi 730, CU, IVA e 770″. Provvedimento con il quale è stato quindi messo finalmente a disposizione il modello definitivo della CU con le relative istruzioni certificazione unica. Il modello è quindi quello che deve essere obbligatoriamente utilizzato da:

  • tutti i soggetti che durante il 2020 hanno ricevuto denaro o valori soggetti a ritenute alla fonte
  • coloro che hanno corrisposto contributi previdenziali e assistenziali e/o premi assicurativi dovuti all’INAIL
  • tutti i coloro che sono assoggettati alla contribuzione INPS, anche se hanno corrisposto somme e valori per i quali non è prevista l’applicazione delle ritenute alla fonte
  • titolari posizione assicurativa INAIL
  • Amministrazioni che operano come sostituto d’imposta

CU: le novità sulle informazioni contenute nel documento

Il provvedimento  di AdE ha introdotto una serie di novità sui contenuti della CU. Ogni certificazione unica infatti, deve contenere:

  • frontespizio – dove sono riportate le informazioni relative alla tipologia di comunicazione, ai dati del soggetto che inoltra la CU, i dati del rappresentante firmatario della comunicazione stessa, firma e impegno alla comunicazione telematica
  • quadro CT – in questa sezione sono da riportare tutte le informazioni relative alla comunicazione telematica dei dati relativi ai modelli 730 – 4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate
  • certificazione unica 2020 – sezione principale del modulo che deve contenere: dati fiscali, dati previdenziali, assistenza fiscale, certificazione lavoro autonomo, provvigioni, redditi diversi e i dati fiscali relativi alle certificazioni dei redditi relativi alle locazioni brevi.

Istruzioni certificazione unica

Certificazione Unica 2021: scadenze

Altra grande novità introdotta da Agenzia delle Entrate con il medesimo provvedimento del 15 gennaio, è quella relativa al calendario scadenze. Infatti il Decreto Fiscale 2020 e il Decreto Legislativo numero 9 del 2020 hanno stabilito un nuovo scadenzaria per far fronte anche all’attuale situazione pandemica dovuta alla diffusione del Covid-19. Entra quindi in ballo la scadenza unica datata 16 marzo (Consegna della Certificazione Unica ai lavoratori e Consegna dei dati CU all’Agenzia delle Entrate). Invariata invece la data del 31 ottobre 2021 pre presentare la CU relativa ai redditi esenti o non dichiarabili con CU precompilata.

La trasmissione della CU deve avvenire in forma telematica. Questa può essere fatta direttamente dal soggetto obbligato alla comunicazione, oppure tramite un intermediario abilitato.

Inoltre Agenzia delle Entrate specifica:

“Il flusso si considera presentato nel giorno in cui è conclusa la ricezione dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate. La prova della presentazione del flusso è data dalla comunicazione attestante l’avvenuto ricevimento dei dati, rilasciata per via telematica”.

Istruzioni certificazione unica 2021: modelli e novità fiscali

Quest’anno sono stati messi a disposizione due diversi modelli CU definitivi:

Assieme a questi sul sito di AdE sono presenti anche il Modello CU 2021 – Istruzioni dell’Agenzia delle Entrate  e la Certificazione Unica 2021 – Specifiche tecniche.

Molte le novità fiscali previste vista l’attuale situazione:

  • trattamento integrativo
  • detrazione redditi di lavoro dipendente e assimilati
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del sostituto del bonus IRPEF
  • clausola di salvaguardia per l’attribuzione del trattamento integrativo in presenza di ammortizzatori sociali
  • attribuzione premio ai lavoratori dipendenti nel mese di marzo

Principio di competenza economica: cos’è e come si applica

Il principio di competenza economica, così come il principio di cassa, è un principio contabile. Si basa sulla correlazione tra costi e ricavi e serve per calcolare un preciso risultato economico che si riferisce ad un determinato lasso di tempo considerando solo costi e ricavi. Non prende in considerazione quello che potrà essere, né quello che è già avvenuto. Guarda solo ora e qui. Non prende quindi in considerazione la così detta manifestazione finanziaria. Un bilancio aziendale deve rispettare il principio di competenza economica sul quale si basa il calcolo annuale delle tasse. È un principio obbligatorio per la maggior parte delle aziende. Chi non vi è obbligato, significa che segue il principio di cassa. La competenza economica è materia di economia aziendale e si basa su tre diverse regole, chiamate, nello specifico, corollari.

Principio di competenza economica: che cos’è

Quando si parla di principio di competenza economica si generalizza semplicemente riferendosi ad una correlazione tra costi e ricavi. In realtà è più opportuno specificare che sono considerati di competenza i ricavi ottenuti dallo scambio o dalla produzione avvenuti e terminati nell’esercizio. Allo stesso modo si considerano di competenza quei costi sostenuti nell’esercizio stesso.

Per capire bene cos’è il principio economico basta fare un semplice esempio. Mettiamo che un imprenditore abbia emesso fattura elettronica a novembre, per un bene/servizio offerto durante lo stesso anno. Questa fattura elettronica però verrà saldata dal cliente solo a fine gennaio successivo, come precedentemente stabilito dagli accordi tra le parti. Questo significa che l’imprenditore non riscuoterà nulla fino ad anno nuovo. Nonostante il pagamento avverrà a distanza di qualche mese, tasse ed IVA previste e riportate in e-fattura devono comunque essere pagate. Questo perché una volta emessa fattura, questa deve comunque essere calcolata nel bilancio di chiusura.

In altre parole, quello che possiede manifestazione economica nel corso dell’anno, deve essere riportato in bilancio a prescindere dal reale movimento di denaro. Questo concetto vale sia per quanto riguarda i ricavi, che per quanto concerne i costi.

Assume quindi un ruolo di fondamentale importanza la manifestazione economica. Questa però è riconosciuta e gestita diversamente, a seconda del tipo di ricavo o di costo. Per quanto riguarda la vendita  o l’acquisto  di un bene/servizio è piuttosto facile, perché in questo caso la manifestazione economica avviene con l’emissione/ricezione della fattura elettronica.

Altro discorso invece i costi non finanziari, gli abbonamenti e/o affitti che si manifestano a cavallo tra più esercizi, la cui gestione è molto più complessa.

Principio di competenza economica: i tre corollari

I tre corollari altro non sono che regole utili a capire come e quando applicare il principio di competenza economica all’interno del bilancio. Indicano inoltre le scritture di assestamento e di rettifica per poterlo applicare.

1° Corollario

La prima delle tre regole del principio di competenza economica sostiene: “Non si possono imputare al conto economico costi o ricavi per i quali non siano stati conseguiti i relativi ricavi o sostenuti i correlativi costi”.

In altre parole, se non c’è stata una manifestazione economica, totale o parziale del ricavo/costo, allora questo elemento non può finire nel conto economico. Al contrario, quando un ricavo/costo dell’anno successivo ha invece manifestazione economica e quindi effetto, nell’anno in corso, deve allora essere registrato in bilancio. Questa operazione è possibile tramite:

Le prime, cioè le rimanenze, sono beni destinati alla vendita, o impiegati per la produzione degli articoli da rivendere, ma che rimangono in giacenza in magazzino al momento della chiusura dell’esercizio annuale. Le rimanenze sono classificate in:

  1. materie prime e semilavorati
  2. materie sussidiarie e di consumo
  3. prodotti in corso di lavorazione
  4. merci destinate alla rivendita
  5. prodotti finiti

Gli ammortamenti invece sono scritture di assestamento, vale a dire voci inserite nel conto economico solo al termine dell’esercizio. Queste voci riguardano solo beni durevoli, anche immateriali, dell’azienda, come ad esempio:

  1. capannone
  2. terreni
  3. macchinari
  4. veicoli

Infine i riscontri sono voci contabili che rettificano costi e ricavi la cui competenza cade a “cavallo” di due annualità.

Principio di competenza economica

2° Corollario

La seconda regola cita testualmente: “Si rinviano costi già sostenuti o ricavi già conseguiti al risultato economico dell’esercizio successivo, in quanto sia attendibile che, nel futuro esercizio, debbano essere conseguiti o sostenuti i correlativi costi o ricavi”.

Questo vuol dire che le rettifiche nell’anno in corso, diventeranno costi e ricavi per l’anno successivo.

3° Corollario

L’ultima delle tre regole del principio di competenza economica riporta: “È necessario imputare al conto economico costi o ricavi che durante l’esercizio non si sono manifestati finanziariamente, qualora i correlativi ricavi o costi abbiano già avuto sostenimento o conseguimento”.

Per dirla con altre parole sono ricavi e costi non sono ancora stati incassati o pagati, ma hanno già avuto manifestazione economica nel corso dell’esercizio:

  • Accantonamenti
  • Ratei

Dove viene applicata la competenza economica

Quasi tutti i bilanci seguono il principio della competenza economica, almeno buona parte di quelli previsti dal Codice Civile. Le società di persone e di capitali sono obbligate a farlo. I liberi professionisti e le ditte individuali invece che usano la contabilità semplificata non sono obbligati ad applicarlo, visto che possono invece seguire il principio di cassa.

Principio di cassa: cos’è e come si gestisce in dichiarazione dei redditi

Nella determinazione del reddito, il principio di cassa assume un ruolo molto importante. È fondamentale nella dichiarazione dei redditi dei professionisti. Questi infatti in fase di dichiarazione annuale sono tenuti a verificare che i compensi dovuti per le prestazioni eseguite nel corso dell’anno, siano effettivamente incassati. Quindi il reddito dei professionisti è dato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute.

Mentre le imprese applicano il principio di competenza economica, i professionisti si attengono a quello di cassa. Secondo quanto previsto da questo fondamento, al calcolo del reddito concorrono solo i compensi effettivamente incassati nell’arco dell’anno. Allo stesso modo, solo le spese effettivamente sostenute nel corso del periodo d’imposta, possono essere considerate e ritenute valide per la deduzione. In quest’ultimo caso comunque esistono diverse eccezioni, come ad esempio i canoni di leasing, oppure la quota del TFR. 

I problemi, se così si possono definire, possono sorgere quando i pagamenti delle prestazioni avvengono a fine, o a cavallo dell’anno, oppure quando i saldi sono eseguiti non in contanti, ma con altre modalità di pagamento.

Principio di cassa e pagamenti in contanti

Si tratta del caso più semplice relazionato al principio di cassa. Nonostante il pagamento in contanti oggi sia sempre meno incentivato dalle autorità, dal mercato e dagli strumenti a disposizione dei professionisti (come la fattura elettronica e lo scontrino elettronico), rimane comunque una tipologia di pagamento accettata. In questo caso i pagamenti in contanti si considerano eseguiti completamente nel momento in cui il denaro entra nelle disponibilità del professionista. Il momento del pagamento, quindi, coincide con quello dell’incasso.

Principio di cassa e pagamento con bonifico (bancario o postale)

Il secondo caso prevede il pagamento eseguito sotto forma di bonifico bancario/postale. In questo caso l’importo pagato al professionista concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo quando riceve l’accredito sul proprio conto corrente.

Questo momento è individuato dalla così detta “data disponibile”. Quest’ultima indica la data dalla quale in poi il denaro è disponibile per essere utilizzato da parte del professionista. Vale solo e soltanto questa specifica data, mentre la data di valuta, la data di emissione ordine bonifico, oppure quella in cui la banca avvisa il cliente dell’accredito, non hanno alcuna rilevanza.

Qualche volta questa modalità di pagamento può dare vita a delle difficoltà. Questo avviene soprattutto quando il pagamento è eseguito a cavallo dell’anno fiscale. In altre parole il momento dell’incasso non coincide con quello utile per rilevare il periodo/mese in cui il soggetto che ha pagato, deve effettuare il versamento della ritenuta. Si tratta comunque di una problematica facilmente risolvibile. Infatti, in caso di verifiche e/o contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria, è necessario portare come prova gli estratti conti bancari dai quali è possibile attestare la data di effettivo incasso.

Principio di cassa

Principio di cassa e pagamenti con carte di credito

Altro caso sempre più frequente. I compensi per le prestazioni/servizi al professionista sono saldati mediante carta di credito. In questo funziona un po’ come per i pagamenti con bonifico bancario. Per la determinazione del reddito da lavoro autonomo fa fede la data dalla quale l’importo ricevuto si rende disponibile sul proprio conto corrente. In materia Agenzia delle Entrate non ha mai rilasciato nulla di preciso e ufficiale, ma nella pratica il principio di cassa ha seguito le stesse indicazioni in essere per i pagamenti avvenuti tramite bonifico bancario.

Assegni bancari e circolari

Per questa modalità di pagamento l’Agenzia delle Entrate (AdE) ha stabilito, mediante la circolare n° 38/E/2010, che ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo, il pagamento è ritenuto concorsuale al momento in cui la somma di denaro si rende disponibile al professionista, cioè quando l’assegno è consegnato in mano al lavoratore. Quindi, un assegno che rappresenta un titolo di credito che si sostanzia al mento dell’ordine scritto, secondo il principio di cassa, si considera ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo nel momento in cui il titolo di credito è consegnato al ricevente. Non conta invece, in questo caso, che la data di versamento e incasso dell’assegno sia successiva a quella di ricezione.

Pagamento con Carte di debito

Sempre più diffuse, le carte di debito rappresentano una delle molteplici modalità attraverso le quali i professionisti ricevono i propri compensi. Al pari dei pagamenti con bonifici bancari/postali, in base al principio di cassa per la determinazione del reddito da lavoro autonomo, la cifra si considera solo al momento in cui il denaro è reso disponibile sul conto corrente del ricevente.

 

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Scopri il nostro approfondimento: Per cassa o per competenza?

Digital Tax: cos’è e quando si paga

La digital tax è l’imposta sui servizi digitali contenuta nel provvedimento dell’agenzia delle entrate del 15 gennaio 2021. La tassa sui servizi dell’economia digitale ha trovato ispirazione nella direttiva europea COM (2018) 148 final. Mentre l’Europa si prepara a far debuttare una web tax europea, l’Italia si porta avanti (almeno per una volta) dotandosi di una propria imposta sui servizi online.

È vero che si tratta di una nuova tassa, che si va a sommare al carico già abbastanza pesante che i contribuenti italiani devono sostenere ogni anno, ma, per fortuna, i soggetti passivi rientrano in una specifica categoria. Ne verranno colpiti infatti gli esercenti attività d’impresa, anche non residenti in Italia, che, nel corso dell’anno, hanno realizzato ovunque nel mondo (da solo o in gruppo) ricavi non inferiori a 750.000.000 di euro, di cui almeno 5.500.000 nel territorio dello Stato. I piccoli commercianti, artigiani e liberi professionisti possono quindi stare tranquilli, per questa volta.

Digital Tax: soggetti inclusi ed esclusi dal pagamento

La digital tax è l’imposta sui servizi digitali con aliquota imposta al 3%. La tassa è stata istituita dalla Legge di Bilancio 2019 e modificata in seguito dalla Manovra dell’anno successivo. La tassa è quindi applicata alla fornitura di servizi digitali. I soggetti che singolarmente, o a livello di gruppo, nell’anno solare precedente, hanno realizzato:

  • un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro;
  • un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali conseguiti nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni di euro.

Sono considerati soggetti passivi. L’imposta è applicata sui rivani annuali, totalizzati in un anno solare. Non è calcolata o applicata trimestralmente. È probabile che il versamento debba essere effettuato entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello di riferimento. Le imprese interessate devono presentare una dichiarazione annuale contenente l’ammontare dei servizi tassabili, entro il 31 marzo dello stesso anno. Per quanto riguarda le società di gruppo, ne viene indicata una singola che debba far fronte agli obblighi derivanti dalle disposizioni relative all’imposta sui servizi digitali.

Web Tax Europea: tutto è iniziato da qui

La Commissione Europea, nel marzo del 2018, aveva proposto la Web Tax applicabile a:

  • ricavi da vendita di pubblicità
  • cessione dati
  • intermediazione tra utenti e business

Digital Tax

L’obiettivo della Commissione era quello di tassare i profitti dei grandi di Internet (come ad esempio Amazon). Inoltre l’UE desiderava che ogni Stato Membro potesse tassare i loro proventi generati sul proprio territorio, anche se le aziende in questione non avevano una presenza fisica nello stato.

Affinché una società possa essere riconosciuta come una “presenza digitale tassabile” devono essere rispettati tre diversi criteri:

  • deve superare i 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno stato membro
  • contare avere oltre 100mila utenti registrati in uno stato
  • deve avere oltre 3000 contratti per servizi digitali ad utenti business.

Nonostante gli obiettivi della Commissione Europea siano piuttosto chiari, la situazione rimane comunque in stallo. Questo perché molti paesi, come ad esempio Irlanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, si oppongono fermamente. Il motivo è da ricercare nella bassa imposizione fiscale e nel meccanismo che consente ai colossi del web di eludere il fisco nazionale spostando liberamente i propri ricavi da un paese all’altro.

In attesa di una soluzione univoca, alcuni stati membro, come appunto Italia, ma anche Francia, Spagna, Ungheria e Gran Bretagna, hanno deciso di adottare soluzioni “locali”.

Digital Tax: immediata esecuzione

La disciplina in questione è stata trattata e studiata ampiamente con la Legge di bilancio 2019 ed è entrata immediatamente in vigore. Non c’è infatti stato bisogno di richiedere un apposito decreto ministeriale affinché l’imposta diventasse esecutiva. Nella norma sono quindi riportate tutte le indicazioni per:

  • prevedere le modalità applicative del tributo circa i corrispettivi colpiti
  • dichiarazioni
  • periodicità del prelievo
  • individuazione di ipotesi di esclusione
  • inserito l’obbligo per i soggetti passivi non residenti di nominare un rappresentante fiscale.

Le esclusioni italiane

La digital tax italiana prevede l’esclusione dall’imposta digitale per fornitura diretta di beni e servizi, nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia, da parte del soggetto che gestisce l’interfaccia stessa, di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento”; la messa a disposizione di un’interfaccia digitale utilizzata per gestire diversi servizi bancari e finanziari

In altre parole sono esclusi dal pagamento della digital tax:

  1. banche
  2. siti aziendali
  3. soggetti finanziari già soggetti ad accise
  4. operatori telefonici
  5. fornitori di contenuti digitali, come TV e giornali.

Scadenze Fiscali 2021: tutti gli appuntamenti di quest’anno con il Fisco

Anche quest’anno, come ogni altro anno, gli appuntamenti con il Fisco sono molti. Nonostante l’emergenza Coronavirus abbia fatto emanare diversi decreti e norme che hanno provveduto a posticipare alcune scadenze, molti adempimenti rimangono pur sempre validi. Le agevolazioni del governo per favorire imprenditori, liberi professionisti, aziende, società e possessori di partita IVA, sono stati improntanti a proroghe, esenzioni e/o sospensioni per il pagamento di alcune delle più importanti tasse. Tra queste, ad esempio, ricordiamo: IVA, IRPEF, IRES, IRAP e IMU. Le scadenze fiscali, mese per mese, sono riportate anche sul sito ufficiale di Agenzia delle Entrate (AdE) ed è disponibile a questo link. Nella pagina è disponibile un menù a tendina dal quale è possibile selezionare il mese di interesse per visualizzarne le diverse scadenze. Riepiloghiamo quindi quelle più importanti dell’anno.

Scadenze fiscali mensili

Appuntamenti (quasi) fissi a scadenza mensile, che ricadono, più o meno, intorno alla metà di ogni mese:

  • pagamento imposta IVA per i contribuenti IVA mensili;
  • versamento ritenute e imposta sostitutiva incrementi produttività;
  • versamento ritenute sui bonifici da parte di Banche e Poste.

Dal 2021 l’invio dei dati delle spese sanitarie e veterinarie deve essere fatto tramite il sistema TS mensile entro fine mese in cui le operazioni sono state effettuate. Dati e spese dei rimborsi del 2020 devono poi essere comunicati entro l’8 febbraio.

Scadenze fiscali gennaio 2021

A gennaio troviamo diverse scadenze fiscali a cui bisogna prestare attenzione:

  • 15 gennaio – IVA/Fatturazione differita del mese precedente;
  • 18 gennaio – scade il termine per i sostituti d’imposta per il versamento delle ritenute operate sui canoni o corrispettivi incassati o pagati;
  • 20 gennaio – scadenza per il versamento imposta di bollo del quarto trimestre 2020 sulle fatture elettroniche;
  • 25 gennaio – una scadenza che si riferisce a tutti gli operatori intracomunitari che devono ricordarsi di presentare gli elenchi riepilogativi (INTRASTAT) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese nel mese precedente nei confronti di soggetti UE.

Il 31 gennaio invece raccoglie un’altra serie di scadenze fiscali molto importanti:

  • versamento IVA per acquisti intracomunitari per enti non commerciali ed agricoli;
  • versamento mensile sui premi incassati per le imprese di assicurazione;
  • pagamento canone RAI.

Febbraio 2021

1° febbraio – esterometro per il quarto trimestre 2020 per ogni operazione non documentata da fattura elettronica

16 febbraio

  • INPS / Versamento contributi lavoro dipendente
  • INPS / Versamento contributi collaboratori e lavoratori autonomi
  • INPGI / Denuncia e versamento contributi giornalisti dipendenti
  • TFR / Versamento saldo imposta sostitutiva
  • ENASARCO, pagamento 4° trimestre 2020.

28 febbraio –

  • IMU 2020;
  • termine per aderire al servizio di consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche e dei loro duplicati informatici;
  • FASI, Per aziende industriali: versamento contributi dirigenti
  • INAIL / Richiesta della riduzione del tasso medio di tariffa INAIL per prevenzione

Marzo 2021

1° Marzo – a questa data è stata spostata la scadenza fiscale per i contribuenti che hanno aderito alla Rottamazione ter e al saldo e stralcio, hanno pagato le rate 2019 ma che sono in ritardo con le rate 2020

10 Marzo – Regolarizzazione presentazione tardiva Dichiarazione Redditi 2020

16 Marzo – A questa data sono slittati i pagamenti previsti al 16 dicembre relativi a:

  • ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e soggetti assimilati e delle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale
  • acconto IVA 2020
  • contributi previdenziali e assistenziali

Sempre al 16 marzo scadono i termini per:

  • società di capitali per il versamento della tassa annuale di concessione governativa 2021 per la vidimazione dei libri sociali in misura forfetaria;
  • trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate delle Certificazioni Uniche (scadenza inizialmente prevista per il 7 marzo);
  • trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati da utilizzare per le dichiarazioni dei redditi precompilate.

17 Marzo – saldo IVA 2019 senza maggiorazione

31 Marzo –

  • quarta rata del saldo e stralcio;
  • versamento annuale del contributo FIRR;
  • dichiarazione all’INPS di eventuali  redditi da lavoro autonomo/impresa percepiti nel 2019 che possano comportare riduzioni dell’indennità NASpI o DIS-COLL;
  • richiesta di indennità di disoccupazione agricola;
  • trasmissione ad INAIL dei dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria.

Scadenze Fiscali

Scadenze fiscali Aprile 2021

Aprile è un mese particolarmente ricco di scadenze fiscali.

10 Aprile – scadenza pagamento INPS per i lavoratori domestici;

20 Aprile – versamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche per il primo trimestre;

25 Aprile – scadenza che si riferisce a tutti gli operatori intracomunitari che devono ricordarsi di presentare gli elenchi riepilogativi (INTRASTAT) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese nel mese precedente nei confronti di soggetti UE.

30 Aprile –

  • versamento secondo o unico acconto IRAP/IRPEF/IRES 2020
  • comunicazione all’Anagrafe Tributaria dei dati relativi all’anno precedente
  • messa a disposizione della dichiarazione dei redditi precompilata;
  • dichiarazione IVA annuale per l’anno 2020;
  • Esterometro primo trimestre 2021

Maggio 2021

20 maggio – versamento primo trimestre 2021 ENASARCO

31 maggio – pagamento imposta di bollo sulle fatture elettroniche  relativo al primo trimestre 2021 (per importi inferiori a 250€ la scadenza è posticipata al 30 settembre 2021).

Giugno 2021

30 giugno – saldo IRPEF + primo acconto pari al 40% de l’importo è superiore a 257,52€

Luglio 2021

10 luglio – versamenti contributi INPS da parte dei datori di lavoro domestico

16 luglio – versamenti contributi INPS da parte dei lavoratori agricoli;

20 luglio – versamento contributi a Fondo CCNL Logistica

31 luglio –

  • scadenza quinta rata per adesione dei contribuenti al “saldo e stralcio” delle cartelle
  • Esterometro, secondo trimestre 2021

Agosto 2021

20 agosto –

  • ENASARCO secondo trimestre
  • Versamento INPS dei contributi artigiani e commercianti fissi

Settembre 2021

30 settembre –

  • scadenza per presentare istanza per il rimborso IVA assolta in un altro Stato membro         in relazione a beni e servizi ivi acquistati o importati, relativi al periodo d’imposta 2020;
  • dichiarazione dei redditi 2020, modello 730
  • pagamento imposte di bollo sulle fatture elettroniche del secondo trimestre (se la somma del bollo del primo e secondo trimestre è inferiore a 250 euro si può pagare entro il 30 novembre 2021).

Ottobre 2021

10 ottobre – versamento INPS da parte dei datori di lavoro domestico;

31 ottobre – ultima data per trasmettere la Certificazione Unica

Novembre 2021

2 novembre – Esterometro terzo trimestre

15 novembre – versamento seconda rata imposta sostitutiva prevista nella misura unica dell’11%, per la rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti alla data del 1°luglio 2020;

20 novembre – ENASARCO terzo trimestre

30 novembre –

  • dichiarazione IRPEF 2020
  • Acconto unico IRPEF 2021 per importi inferiori a 257,52€
  • Comunicazione ad AdE delle spese per adeguamenti ambienti di lavoro
  • Pagamento bollo su fatture elettroniche TERZO TRIMESTRE 2021

 Dicembre 2021

16 dicembre –

  • saldo IMU 2021
  • Versamento acconto imposta sostitutiva del TFR

28 dicembre – acconto IVA

Ricevuta prestazione occasionale: come si compila e a cosa serve

Nell’articolo precedente abbiamo visto cos’è una quietanza di pagamento, chi la emette, chi la richiede e le principali differenze con una fattura elettronica. Oggi invece trattiamo della ricevuta prestazione occasionale, un documento che deve essere consegnato dal lavoratore che presta lavoro occasionale al proprio committente.

L’emissione e la compilazione di una ricevuta per prestazione occasionale, deve sottostare a precise regole. Regole che riguardano, ad esempio la ritenuta d’acconto, o l’eventuale marca da bollo. Dal punto di vista giuridico, la prestazione occasionale è stata normata dal Decreto Legislativo 81/2015 e dall’articolo 2222 del Codice Civile, che tratta del contratto d’opera.

Ricevuta prestazione occasionale: cos’è e come si compila

Chi svolge un lavoro occasionale per un altro privato, oppure per un’azienda, con rapporto non continuativo, non occorre aprire partita IVA. Senza partita IVA però non è possibile emettere fattura elettronica che attesti il lavoro svolto e il pagamento da incassare. Serve quindi un altro documento che certifichi la prestazione lavorativa e richieda al committente l’importo a saldo. In questo caso si emetterà una ricevuta prestazione occasionale.

Affinché questo documento possa essere ritenuto valido deve contenere dei dati precisi:

  1. Dati del prestatore del lavoro occasionale (nome, cognome, indirizzo, codice fiscale, ecc…)
  2. Generalità del committente (vale a dire tutti i dati della persona fisica, piuttosto che quelli dell’azienda)
  3. Compenso pagato:
    • Importo lordo
    • Ritenuta d’acconto del 20% sul totale
    • Somma netta percepita effettivamente
  1. Descrizione dell’attività svolta
  2. Data
  3. Numero progressivo della ricevuta e se verrà prestato in futuro altri servizi alla stessa azienda
  4. Firma
  5. Riferimenti alla normativa nel caso di esenzione dall’IVA per prestazione occasionale (articolo 5 del DPR 633/72) e in caso di assoggettamento alla ritenuta d’acconto (articolo 25 del DPR 633/72)
  6. firma del prestatore
  7. eventuale marca da bollo se il valore della prestazione è superiore a 77,46 euro.

È possibile ricorrere alla ricevuta per prestazioni occasionali solo se la prestazione lavorativa è veramente “occasionale” e non continuativa. È imposta una soglia massima annuale pari a 5000 €.

Ricevuta prestazione occasionale

Ritenuta d’acconto e marca da bollo

Quando si compila una ricevuta per prestazione occasionale si rende necessario fare attenzione al soggetto al quale è stato prestato servizio. Se il committente ha partita IVA, infatti, il creditore dovrà obbligatoriamente versare la ritenuta d’acconto pari al 20% del compenso lordo in qualità di sostituto d’imposta.

Tale versamento deve avvenire entro il 16 del mese successivo alla data della ricevuta per prestazione occasionale.

Se invece il committente è un altro privato, il compenso dovuto non è soggetto a ritenuta d’acconto e quindi deve essere versato l’importo complessivo del compenso pattuito.

Per ricevute di importo superiore ai 77,47 euro, è poi necessario ricordarsi di versare la marca da bollo da 2€.

Se il lavoratore che presenta ricevute per prestazioni occasionali, dovesse, nell’anno, superare i 5000 , dovrà obbligatoriamente iscriversi alla Gestione Separata presso l’INPS. Infatti, per importi superiori a tale cifra, diventa obbligatorio il versamento dei contributi previdenziali.

Lavoro autonomo occasionale

Il lavoro autonomo occasionale è una particolare tipologia di prestazione a carattere sporadico, non stabile, derivato dalla cessione di un’opera, o di un dato servizio, da parte di un soggetto nei confronti di un committente.

Il vantaggio del lavoro autonomo occasionale e delle relative ricevute, è che non è necessario aprire una partita IVA. Basta però ricordarsi di pagare la ritenuta d’acconto, dove necessario. Per essere definito tale, il lavoro occasionale non deve:

  • avere durata continuativa nel tempo, oppure abituale
  • avere alcun tipo di coordinamento da parte del committente
  • possedere vincolo di subordinazione

Inoltre la prestazione da eseguire deve essere svolta in autonomia da parte del prestatore, senza vincoli di tempo e/o modalità di esecuzione. Questo significa che il prestatore deve essere libero di svolgere l’attività richiesta, quando e come vuole, in piena libertà decisionale.

Lavoro dipendente e partita Iva: è possibile contemporaneamente?

Molti si sono chiesti e si continuano a domandare se sia possibile svolgere contemporaneamente un lavoro dipendente di una società e avere una partita IVA attiva. Per rispondere in modo esaustivo a questa domanda è importante conoscere bene e a fondo le regole che disciplinano i due diversi rapporti di lavoro, gli aspetti giuridici, quelli fiscali e previdenziali coinvolti.

La prima distinzione da fare è tra dipendenti pubblici e privati, in quanto le regole che disciplinano queste realtà sono assai diverse. Di ogni aspetto è importante conoscere ogni aspetto giuridico, fiscale e previdenziale.

Lavoro dipendente privato e partita IVA

I lavoratori dipendenti nel settore privato possono tranquillamente avere una partita IVA ed esercitare liberamente un’attività professionale propria o d’impresa. L’importante è che non vi sia concorrenza tra le due attività svolte.

A regolare l’aspetto giuridico in questa situazione ci pensa l’articolo 2105 del codice civile, che cita:

“prestatore di lavoro non deve trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”

Si tratta dell’obbligo di fedeltà che, quando e se viene a mancare, rende possibile per il datore di lavoro licenziare per giusta causa il dipendente.

Il dipendente non è comunque obbligato ad avvisare della propria partita IVA, il proprio datore di lavoro. È comunque consigliato farlo.

Lavoro dipendente pubblico e partita IVA

Chi è dipendente pubblico è obbligato per legge a prestare servizio in esclusiva all’Amministrazione da cui dipende. Questa è la regola generale a cui però sono applicate delle eccezioni. Esistono infatti alcuni regimi speciali che possono fare sia l’uno che l’altro. Ne sono un esempio i docenti che possono tranquillamente svolgere la loro professione. Altra eccezione è costituita dai dipendenti pubblici part time a orario di lavoro inferiore al 50%.

I dipendenti pubblici full time che vogliono avere una propria partita IVA rischiano il licenziamento, o la decadenza dall’impiego. In alcuni casi la Pubblica Amministrazione (PA) può richiedere ai propri dipendenti full time di svolgere funzioni e incarichi di diversa natura. In questo caso però è richiesto solo al verificarsi di determinate condizioni:

  1. temporaneità d’incarico
  2. occasionalità di lavoro
  3. assenza di conflitto di interessi
  4. compatibilità con l’impiego principale svolto per la PA.

Lavoro dipendente

 

I part time al 50% possono essere contemporaneamente dipendenti PA e svolgere una propria attività con partita IVA. Basta che l’attività non sia in contrasto con la PA e che non venga svolta con alta Pubblica amministrazione.

I dipendenti pubblici di PA con orario inferiore al 50% e iscritti ad albi professionali, non possono lavorare con e per conto di altre PA.

Lavoro dipendente e partita IVA

Fiscalmente non sussiste alcun problema alla coesistenza di redditi da lavoratore dipendente e redditi d’impresa o di lavoro autonomo. In tutti i casi quello che importa è dichiarare sempre e comunque ogni reddito percepito.

I lavoratori dipendenti possono presentare dichiarazione dei redditi usando gli appositi modelli 730. Chi invece svolge entrambe le attività dovrà presentare l’Unico.

Chi volesse accedere al regime forfettario non possono farlo chi nell’anno precedente ha percepito un reddito superiore a 30.000€ derivante da lavoro dipendente e non.

Contributi e pensione

Per quanto riguarda invece il punto di vista previdenziale, occorre fare distinzione tra attività d’impresa o lavoro autonomo.

Nel primo caso infatti il contribuente deve iscriversi alla gestione IVS (artigiani e commercianti). Questo però se e solo se l’attività come dipendente non costituisca l’attività prevalente (tempo e reddito), perché in questo caso non è necessaria l’iscrizione e il relativo versamento dei contributi.

Nel secondo caso invece, quello che prevede lo svolgimento di lavoro autonomo, è necessaria l’iscrizione alla Gestione separata INPS e il versamento dei relativi contributi, con applicazione di aliquote ridotte. I lavoratori autonomi iscritti a un albo professionale possono non iscriversi alla relativa cassa.