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Stato patrimoniale e conto economico: definizione e differenze

Qualche articolo fa abbiamo iniziato a conoscere e a definire cos’è il Bilancio d’esercizio. In linea di massima, possiamo affermare che si tratta di un insieme di documenti che un’impresa è obbligata a redigere per definire la propria situazione patrimoniale e finanziaria, nonché il risultato economico d’esercizio. É composto da cinque diversi documenti: lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico, il rendiconto finanziario, la Nota Integrativa e la relazione sulla gestione. Sviscerato l’argomento “Rendiconto finanziario”, passiamo adesso a definire e capire lo Stato Patrimoniale e conto Economico.

Stato patrimoniale e conto economico: cosa sono e a cosa servono

Stato Patrimoniale e Conto Economico rappresentano i principali prospetti contabili del Bilancio d’esercizio e tra i due esistono dei collegamenti. Entrambi sono indispensabili nella contabilità aziendale. I dati che i due documenti contengono devono essere d’aiuto a ogni analista economico-finanziario, per giudicare correttamente lo stato di “salute” di un’impresa. L’analisi di questi due documenti deve portare a un giudizio obiettivo sulla situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale d’impresa.

Stato patrimoniale

È il documento che rappresenta la situazione del patrimonio aziendale in un determinato momento di vita dell’impresa. Solitamente questo “momento”, coincide con la fine dell’anno solare (31 Dicembre) e nello stato patrimoniale sono riportate tutte le attività, le passività e il patrimonio netto d’impresa.

Finanziariamente questo significa che l’analisi del patrimonio di una società serve a capire se l’azienda è in grado di mantenere un corretto equilibrio patrimoniale e finanziario. Quindi le “attività” si identificano come i mezzi finanziari impiegati dalla ditta. Mentre le passività e il patrimonio netto sono da intendersi come fonti di finanziamento di tali impieghi.

Conto Economico

Si tratta del documento facente parte del Bilancio d’Esercizio che riassume l’insieme delle operazioni aziendali che hanno contribuito a determinare il risultato economico finale di un certo esercizio, comprende i costi e i ricavi di un’azienda.

Stato patrimoniale e conto economico

Le due sezioni contrapposte dello stato patrimoniale

Lo Stato patrimoniale definisce il patrimonio di un’azienda in un preciso momento. Inoltre definisce i diritti dei terzi che gravano sull’attività stessa. Si suddivide in:

  • Attivo
  • Passivo

L’attivo comprende il magazzino, le immobilizzazioni, le disponibilità liquide e i crediti. Si identifica come la somma di tutti gli investimenti eseguiti da un’impresa per svolgere al meglio la propria attività

Il passivo invece comprende le riserve, il capitale sociale, gli utili e le perdite dell’esercizio riportati a nuovo, ossia i debiti a breve, medio e lungo termine. In altre parole rappresenta i mezzi propri o di terzi, di cui si è dotata l’azienda per finanziare gli investimenti in modo da svolgere al meglio la propria attività.

Conto Economico: componenti positive e negative di reddito

Il conto economico è quindi l’insieme di tutte le operazioni che l’azienda ha compiuto per arrivare a un determinato risultato economico. É formato da due componenti: positivi e negativi di reddito, che si riferiscono sempre a un determinato periodo temporale.

In altre parole il conto Economico è formato da due voci:

  1. Ricavi – corrispondono alle vendite dei propri beni, agli interessi attivi o ai fitti attivi.
  2. Costi – riguardano gli acquisti, le utenze, le spese del personale, i fitti passivi, le imposte (IRAP, IRPEF, IRES) e le tasse. Tra quest’ultime l’IVA non è considerata un costo per la società. L’IVA infatti rappresenta un debito e al tempo stesso un credito che l’azienda ha nei confronti dell’Erario. Per questo motivo, a seconda del momento preso in esame, la voce IVA si potrebbe trovare da una parte o dall’altra del conto economico.

Documenti indispensabili per una gestione responsabile

Stato patrimoniale e conto economico sono documenti indispensabili per raggiungere una gestione responsabile delle risorse di una società e in generale della sua amministrazione complessiva.

Entrambi i documenti sono necessari alla definizione della situazione finanziaria, utilizzata poi per determinare il carico fiscale. Inoltre stato patrimoniale e conto economico servono anche a fornire tutti i dati aziendali all’erario. Questi documenti servono a fornire una misura tangibile di tutte le operazioni fatte durante il corso dell’anno solare. In base ai dati contenuti in essi, un’attività si rende conte se è necessario un miglioramento, oppure se è possibile continuare sulla stessa strada.

Aprire una partita IVA: procedura e costi da sostenere

L’apertura di una nuova attività prevede una serie di regole da rispettare e vari elementi da valutare. Aprire una partita IVA richiede impegno economico e un calcolo preciso di tutti i vantaggi e gli svantaggi a cui potrebbe portare. L’apertura in se per se non è molto difficile, ma richiede qualche passaggio che deve essere seguito alla lettera. Decidere di “mettersi in proprio” e non essere un dipendente a stipendio fisso mensile però, comporta delle responsabilità alle quali non è possibile sottrarsi. Obblighi previdenziali e regolari tasse da pagare. Vediamo quindi come fare per aprire una partita IVA, chi può farlo, quanto costa e quali sono le spese da sostenere.

Aprire una partita IVA: i passaggi da seguire

La partita IVA è una sequenza di 11 cifre che identifica, in modo inequivocabile, un soggetto che esercita un’attività. La partita IVA è importante ai fini dell’imposizione fiscale diretta (IVA). La partita IVA è composta da una sigla dello stato di appartenenza (nel caso dell’Italia corrisponde a IT), le prime 7 cifre indicano invece il contribuente, i 3 numeri seguenti indicano il Codice dell’Ufficio delle Entrate e, infine, l’ultimo numero ha carattere di controllo.

In Italia la partita IVA è rilasciata dall’Agenzia delle Entrate (AdE). Il numero assegnato rimane invariato per tutto il periodo in cui è svolta l’attività e vale sull’intero territorio nazionale.

La partita IVA si apre inoltrando richiesta telematica ad AdE, utilizzando due diversi modelli:

  1. modello AA9/11 per le ditte individuali
  2. modello AA7/10 per le società

Entrambi i modelli sono presenti e scaricabili sul sito di Agenzia delle Entrate. Il modello può essere presentato direttamente presso l’ufficio AdE territorialmente competente, oppure inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno o, infine, per via telematica, utilizzando il software sul sito AdE.

La comunicazione ad AdE deve essere fatta entro 30 giorni dal primo giorno di inizio attività.

Codice ATECO, regime contabile ed INPS

Al momento in cui si decide di aprire una partita IVA, deve essere scelto il codice ATECO. Come abbiamo visto nell’articolo: “Codice Ateco cos’è a cosa serve e dove trovare quello di appartenenza”, il codice ATECO rappresenta la Classificazione delle attività economiche ed è una tipologia di classificazione adottata dall’Istituto Nazionale di Statistica italiano (ISTAT). Serve per le rivelazioni statistiche nazionali di carattere economico.

Inoltre l’apertura della partita IVA comporta anche la scelta del relativo regime contabile: regime forfettario, regime dei minimi o regime ordinario.

Come ultimo step al quale adempiere, non rimane che l’INPS. É necessario recarsi presso l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale per comunicare la propria posizione previdenziale. In alcuni casi, ad esempio per le ditte individuali la dove è richiesto, è necessario anche iscriversi alla Camera di commercio (dipende comunque dall’attività svolta) e comunicare al comune di appartenenza l’avvio dell’attività.

I soggetti che possono aprire partita IVA

In linea generale chiunque. Nello specifico diciamo che lavoratori autonomi, professionisti e titolari di società, sono tenuti ad aprire una partita IVA.

Quanto costa aprire una partita iva

Veniamo ai costi, la parte, forse, più importante. Aprire una partita IVA non costa nulla. Mantenerla invece si. Tutto dipende dal regime contabile scelto.
In regime di contabilità ordinaria, chi apre partita IVA e deve registrare l’attività presso la Camera di Commercio, deve pagare alla stessa circa € 80-100/annui. A questo costo dovrà essere aggiunto l’importo da corrispondere all’eventuale commercialista, nonché i contributi INPS. Infine sono da considerare anche il pagamento delle imposte IRPEF e IRAP, calcolate sul reddito e sul valore aggiunto.

Chi invece appartiene al regime forfettario, godrà di qualche agevolazione in più. Questo regime, come abbiamo già visto, prevede l’esenzione IVA e una tassazione ad aliquote molto ridotte per l’IRPEF (pari al 15% e al 5% per i primi cinque anni di attività). Da tenere comunque in considerazione che nel forfettario non è possibile portare in detrazione le spese sostenute (unica eccezione i contributi previdenziali obbligatori).

Il consiglio generale è di evitare di aprire una partita IVA con introiti annui al di sotto di € 5000.

Aprire una partita iva: la procedura da seguire e i costi da sostenere

Mantenere una partita IVA: i costi

Aprirla è gratis, ma mantenerla costa. Tutto dipende dal regime scelto e dal tipo di attività svolta. Quando si apre un’attività nel calcolo dei costi da sostenere per il suo mantenimento troviamo:

Obblighi fiscali

Chi apre una partita iva ricordiamo che dovrà anche adempiere a precisi obblighi fiscali, tra i quali:

Regime semplificato: caratteristiche e funzionamento

Abbiamo già visto in cosa consiste il regime forfettario, il regime dei minimi e infine il regime ordinario. Adesso occupiamoci del regime semplificato. Un particolare regime fiscale nel quale gli obblighi di contabilità sono ridotti per alcune attività entro un certo limite di volume d’affari. Vediamo nel dettaglio quali sono le sue caratteristiche, come funzione e i vantaggi riservati a chi vi aderisce.

Regime semplificato: che cos’è

Il regime di contabilità semplificata, lo dice la parola stessa, ha il vantaggio di essere di facile applicazione e di richieder epoche conoscenze contabili. É un regime particolarmente caro e utilizzato soprattutto a chi ha intenzione di aprire una partita IVA. Questo regime infatti permette la gestione di una piccola attività in modo molto più semplice e meno onerosa.

Regime semplificato: chi può aderirvi

Vi possono aderire:

  1. Liberi professionisti
  2. Ditte individuali
  3. Società di persone
  4. Enti non commerciali

Un requisito importante è che il fatturato non superi i limiti previsti agli art. 57 e 85 TUIR. La normativa di riferimento è comunque l’art. 18 del DPR n°600/1973.

Limite dei ricavi

Il regime semplificato prevede anche un limite massimo di ricavi, oltre il quale non è possibile andare. Questi limiti prevedono che nell’ultimo anno intero, i ricavi totali non abbiano superato:

  • 400.000 euro per le imprese aventi a oggetto prestazioni di servizi;
  • 700.000 euro per le imprese aventi a oggetto altre attività.

Invece se l’attività dovesse essere iniziata durante il corso dell’anno, la verifica è da eseguire al ragguaglio dei ricavi.

Chi desidera aprire una partita IVA deve sapere che al momento dell’attribuzione del numero, il controllo per l’assegnazione del regime fiscale è eseguito sul volume d’affari presunto. Se questo dovesse essere al di sotto dei limiti sopra indicati, il regime contabile assegnato è in automatico quello semplificato.

Regime semplificato

Multi attività e regime semplificato

Nel caso in cui l’impresa svolga più di un’attività, a determinare il regime di appartenenza sarà l’attività prevalente, vale a dire quella con il maggior volume d’affari.

Se i ricavi delle attività svolte non fossero registrati separatamente, allora si deve fare riferimento al limite delle attività diverse dalla prestazione di servizi, vale a dire € 700,000,00.

I vantaggi del regime semplificato

Chiariti i requisiti di accessibilità, veniamo ora ai vantaggi. Primo fra tutti che aderisce al regime semplificato non ha l’obbligo di redigere il bilancio ed è esonerato dal conservare le scritture contabili. Questo quindi esclude il libro giornale, il libro inventari e le scritture ausiliarie.

La contabilità è appunto semplificate. Questo significa che i soli registri obbligatori sono:

  • I registri IVA – nei quali devono comunque essere riportate anche le annotazioni non utili ai fini d’imposta
  • registro dei beni ammortizzabili (in alternativa gli stessi dati possono essere forniti all’amministrazione Finanziaria)
  • Libro Unico del Lavoro – in caso di dipendenti
  • Registro di incassi e pagamenti – entro 60 giorni dall’avvenuto pagamento o dell’incasso registrato

Non è più obbligatoria la bollatura del registro dei beni ammortizzabili ne dei registri IVA. É invece ancora obbligatoria la numerazione progressiva, che deve essere eseguita autonomamente dal soggetto incaricato della tenuta delle scritture.

Infine il soggetto incaricato può registrate le spese per prestazioni di lavoro dipendente cumulativamente nel registro IVA acquisto. Questo deve avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi e sempre che queste pagine vengano annotate anche nel Libro Unico del Lavoro.

Il principio di cassa

La Legge 232/2016 – Legge di Stabilità 2017 – ha previsto che le imprese in regime semplificato debbano calcolare il redditto d’imposta (anche ai fini IRAP) in base al principio di cassa (alternativo a quello di competenza). Oggi esiste un calcolo misto cassa-competenza che prevede la determinazione del reddito d’impresa calcolato dalla differenza tra il totale:

+ ricavi e proventi percepiti;
– spese sostenute.

Regime ordinario: cos’è e come funziona

In alcuni precedenti articoli abbiamo visto requisiti, limiti, vantaggi e svantaggi, del regime forfettario e del regime dei minimi. Oggi invece prendiamo in esame il classico regime ordinario. Cos’è? Come funziona? Chi deve aderirvi e quali sono i documenti obbligatori da presentare al Fisco? Partiamo dall’inizio.

Regime ordinario: definizione

Si tratta di un regime fiscale al quale sono tenuti ad aderire alcune società e imprese di grandi dimensioni. Solitamente aderiscono a questo regime le grandi società e le imprese con un fatturato molto elevato.

Prerogativa del regime ordinario è la contabilità particolarmente articolata e la complessità dei vari registri da redigere, conservare e consegnare alle autorità competenti.

Le aziende che devono aderire al regime ordinario

Le società che sono tenute ad aderire obbligatoriamente a questo regime fiscale sono:

  • S.p.A, S.r.l., S.r.l.s., S.a.p.a., società cooperative e mutue assicuratrici;
  • Enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;
  • Stabili organizzazioni di società ed enti non residenti;
  • Associazioni non riconosciute e consorzi che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.

Nel caso in cui vengano poi superati i seguenti limiti:

  1. 400.000 euro per la vendita di servizi
  2. 700.000 euro per altri tipi di attività

Regime ordinario

sono tenuti a registrarsi alla contabilità ordinaria anche:

  • Persone fisiche che esercitano attività commerciali;
  • Società di persone (s.n.c. e s.a.s.);
  • Enti non commerciali che esercitano anche un’attività commerciale in misura non prevalente.

È comunque possibile passare da un regime semplificato, a quello ordinario, presentando tutta la dovuta documentazione.

I registri del regime ordinario

Uno degli obblighi al quale devono sottostare le società a regime ordinario è quello di redigere, conservare e presentare alle autorità alcuni specifici registri. Tra questi ricordiamo:

  1. Il libro giornale
  2. Il libro degli inventari
  3. le scritture di magazzino
  4. il libro mastro
  5. il registro dei beni ammortizzabili
  6. libri sociali
  7. registri IVA

Libro giornale

Si tratta di un libro di contabilità previsto dall’art. 2214 del Codice Civile che recita: “L’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori.

Il libro giornale ha esclusivo fine tributario. In questo registro sono annotati tutti i movimenti contabili di una ditta. Esistono vari modi per redigere questo libro, ma quello oggi più diffuso è il sistema a partita doppia. Per spiegare nel modo più semplice possibile di cosa si tratta, si potrebbe dire che la partita doppia elenca l’insieme degli scambi tra le attività e la passività dell’azienda.

Libro degli inventari

In questo registro sono contenute varie informazioni:l’inventario all’inizio dell’attività, gli inventari per i diversi anni, l’indicazione delle risorse dell’azienda e il loro valore, lo stato patrimoniale e il conto economico oltre che il capitale contribuito dall’imprenditore.

Su questo documento è necessario apporre una marca da bollo virtuale, o cartacea e deve essere numerato.

Libro Mastro

È il registro di tutti i conti (mastrini) che compongono un dato sistema contabile. Quindi è l’insieme dei conti accesi di una contabilità.

Il libro è strutturato in due colonne, una del dare e una dell’avere. In più è presente una rubrica alfabetica per debitori e creditori.

Le scritture di magazzino

Questo registro è riservato a tutte quelle attività che, per due esercizi consecutivi, hanno registrato ricavi maggiori di 5.164.568,99 euro e rimanenze alla fine del periodo superiori a 1.032.913,80 euro. Nel caso in cui gli importi registrati successivamente per due esercizi successivi siano inferiori ai limiti sopracitati, l’obbligo di compilazione di questo registro viene meno

Il registro dei beni ammortizzabili

Qui sono registrati gli immobili, i beni annotati nei registri pubblici e tutti gli altri beni. Per ciascuno deve essere indicato l’anno e il costo di acquisizione, eventuali modifiche di valore, il valore e il coefficiente di ammortamento. Anche questo tomo deve essere numerato.

Registri IVA

La tenuta e la stampa dei registri IVA non è più obbligatoria dal 2019 per effetto dell’entrata in vigore della fattura elettronica B2B.

Libri sociali

Permettono una rappresentazione sociale della struttura interna dell’azienda e consento la verifica del funzionamento degli organi societari (libro delle adunanze e libro delle deliberazioni assembleari).

Regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche

Nell’articolo: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” abbiamo accennato al fatto che chi ha scelto regime forfettario, non è tenuto a pagare l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). Questa effettivamente è una delle tante agevolazioni riconosciute a questo particolare regime fiscale.

Lo sentiamo nominare tante volte e sempre più spesso è scelto come formula lavorativa, per godere di maggiori agevolazioni e minor pressione fiscale. Vediamo allora tutto quello che riguarda il regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche per cercare di capirne i pro e i contro.

Cos’è il regime forfettario: definizione

Il regime forfettario è un particolare regime fiscale riservato a partite IVA individuali. Permette di fruire di particolari agevolazioni fiscali e contabili.

Introdotto dalla legge 190/2014 – Legge di Stabilità 2014, è stato poi riformato con la successiva Legge 208/2015 (Legge di stabilità d2016). Le ultime modifiche introdotte sono quelle entrate in vigore il 1° Gennaio 2019.

Questo regime è l’unico, attualmente in vigore, che permette di gestire la propria partita IVA individuale con alcune agevolazioni rispetto al regime ordinario. É un regime solitamente adottato dalle piccole imprese e dai professionisti.

Per poter godere delle agevolazioni previste da questo regime è necessario rispettare alcuni requisiti di accesso e permanenza. I requisiti da verificare sono quelli riferiti all’anno di imposta precedente a quello in cui verrà applicato il regime fiscale.

Regime forfettario limiti ricavi e requisiti

Possono fruire del regime forfettario le persone fisiche esercenti un’attività d’impresa, di arte o professione e le Imprese Familiari, sempre se in possesso dei giusti requisiti.

I requisiti per accedere al regime forfettario nel 2020 sono:

  1. Il limite dei ricavi/compensi è tarato a massimo € 65,000 (ragguagliati ad anno)
  2. Le spese per il lavoro accessorio, dipendente o collaboratori devono ammontare al massimo ad € 20,000 lordi
  3. Per i beni strumentali invece non è richiesta nessuna condizione specifica.

Regime forfettario: limiti dei ricavi

Per accedere al Regime Forfettario è necessario non aver superato € 85,000 di ricavi e/o compensi. Indipendentemente dal codice Ateco di riferimento. Se le attività svolte sono più di una, la somma da considerare è quella derivante dal fatturato dei singoli codici Ateco.

Per la verifica del limite dei compensi, occorre fare riferimento anche delle cessioni o prestazioni eventualmente non ancora fatturate. Cessioni e prestazioni per le quali, si sono verificati i presupposti dell’articolo 109, comma 2, del DPR n. 917/86.

Regime forfettario limiti ricavi

Spese per lavoro accessorio, dipendente o collaboratori

Questo è il secondo limite e requisito imposto per accedere al Regime forfettario. Le spese
sostenute per lavoro accessorio, dipendente o collaboratori non devono superare € 20,000.

Le spese si riferiscono a:

  1. Lavoro accessorio
  2. Lavoratori dipendenti e collaboratori di cui all’art. 50 comma 1 lett. c) e c-bis) del TUIR
  3. Gli utili erogati agli associati in partecipazione con apporto costituito da solo lavoro e le somme corrisposte per le prestazioni di lavoro effettuate dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Limite beni strumentali

Il regime forfettario 2020 non prevede più alcun limite o vincolo legato al valore dei beni strumentali.

Regime forfettario limiti ricavi e agevolazioni

Abbiamo quindi visto finora i limiti e i ricavi previsti per accedere e mantenere il Regime Forfettario. Ma quali sono i principali vantaggi di questo regime fiscale?

Anzitutto la franchigia IVA. Infatti esiste l’esonero da buona parte degli adempimenti previsti per l’imposta valore aggiunto. La disciplina IVA del regime forfettario prevede solo alcuni adempimenti specifici in base al tipo di operazione eseguita.

Operazioni Nazionali

Nelle operazioni Nazionali, il Regine Forfettario prevede che sulle fatture elettroniche emesse, scontrino elettronico e/o ricevute fiscali, L’IVA non debba essere addebitata a titolo di rivalsa.

Acquisto di beni Extra-UE

Entro la soglia di € 10.000 annui sono considerati non soggetti ad IVA nel Paese di destinazione.

Prestazioni di servizi

Prestazioni di servizi ricevuti da non residenti o rese ai medesimi, rimangono soggette alle ordinarie regole.

Altra agevolazione per gli operatori in regime forfettario è quella di non essere obbligati alla registrazione e conservazione delle scritture contabili. Tuttavia c’è l’obbligo di numerare e conservare le fatture d’acquisto e le bollette doganali, e di certificare i corrispettivi.

I ricavi conseguiti e i compensi percepiti non sono assoggettati a ritenuta d’acconto.

Fattura in regime forfettario

Le fatture in regime forfettario devono riportare la seguente dicitura:

Operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, commi da 54 a 89, della Legge n. 190/2014, e articolo 1, commi da 111 a 113, della Legge n. 208/2015, e s.m. – Regime forfetario

Questo serve per informare il cliente che non è prevista l’applicazione dell’IVA.

I soggetti che rientrano nel regime forfettario sono esonerati dall’obbligo di emettere la fattura elettronica. Questo significa che possono emettere normale fattura.

Agevolazioni contributive

Sono previste delle agevolazioni contributive per i soggetti che rientrano nel regime forfettario.
L’agevolazione vale solo per chi è iscritto alla gestione IVS Artigiani e commercianti, i professionisti, di qualsiasi genere, ne sono esclusi.

Questa agevolazione consiste in una riduzione del 35% dei contributi previdenziali dovuti annualmente.

Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP

Nei tre precedenti articoli abbiamo approfondito i concetti di IRPEF, IRES e IRAP. Si tratta di tre diverse imposte nella quali aziende, liberi professionisti e lavoratori autonomi, si imbattono ogni anno. Ciascuna ha le sue caratteristiche e rappresenta una diversa quota dei contributi che i soggetti sono obbligati a versare ogni anno all’erario.

Il gravame fiscale in Italia è uno dei più alti tra i Paese della Comunità. Recenti analisi, hanno infatti dimostrato che la pressione fiscale ammonterebbe a circa il 42%. Questo di conseguenza porta a chiedere perché ci sono così tante tasse in Italia e perché sono così alte.

In pratica quasi il 50% dei guadagni di un imprenditore va a finire in tasse. Ma di preciso quanto si paga di tasse in Italia? Cerchiamo di rispondere a questa domanda nel modo più semplice possibile (per quanto un argomento così complesso possa permetterlo).

Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF e IVA

Al primo posto della classifica delle imposte che più di altre pesano sui portafogli degli italiani, troviamo proprio l’IVA e l’IRPEF. Dalla riscossione di queste due imposte infatti, l’Erario trae circa il 55,4% del totale del gettito tributario.

IVA e IRPEF le pagano tutti i cittadini, indipendentemente che siano persone fisiche, piuttosto che giuridiche.

Per l’IRPEF sono previsti i seguenti scaglioni di aliquote in base al reddito imponibile:

  • fino a 15.000 23% aliquota 23% sulla parte eccedente la no tax area
  • da 15.000,01 a 28.000 (23% e) 27% aliquota
    imposta dovuta 3.450 € + 27% sulla parte eccedente i 15.000 €
  • da 28.000,01 a 55.000 (23%, 27% e) 38% aliquota
    imposta dovuta 6.960 € + 38% sulla parte eccedente i 28.000 €
  • da 55.000,01 a 75.000 (23%, 27%, 38% e) 41% aliquota
    imposta dovuta 17.220 € + 41% sulla parte eccedente i 55.000 €
  • oltre 75.000 (23%, 27%, 38%, 41% e) 43% aliquota
    imposta dovuta 25.420 € + 43% sulla parte eccedente i 75.000 €

Quanto si paga di tasse in Italia

Mentre l’IVA prevede attualmente:

  • 4% – aliquota minima – per l’IVA sui generi di prima necessità;
  • 10% – aliquota ridotta – per l’IVA su servizi turistici, alimentari ed edili;
  • 22% – aliquota ordinaria – per l’IVA da applicare in tutti i casi non rientranti nelle prime due aliquote.

Quanto si paga di tasse in Italia: l’IRAP

L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive è un vero e proprio incubo per chi possiede una Partita IVA ed emette regolarmente fatture elettroniche.
Questa è infatti calcolata sul valore della produzione netta e ha un aliquota che va dal 4,25% al 8,50%.

Per fortuna i liberi professionisti e chi ha scelto il regime forfettario, non è tenuto a pagare l’IRAP. Esistono comunque delle eccezioni. É il caso in cui, per svolgere le proprie attività, si avvalga dell’aiuto di collaboratori.

Ogni regione ha facoltà di diminuire o aumentare la percentuale applicabile fino a un punto percentuale. Questo dipende anche dal tipo di attività svolta.

Pressione fiscale alle stelle

Secondo i dati contenuti nelle ultime “Revenue Statistics” dell’Osce, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 42,1%. Nella classifica stilata per l’occasione, L’Italia si posiziona purtroppo settima su 37 paesi in gara. Dietro di noi l’Austria, ma di poco, -0,1%. Invece in vetta alla classifica troviamo:

  1. Francia – 42,7%
  2. Danimarca – 44,9%
  3. Belgio – 44,8%
  4. Svezia – 43,9%
  5. Finlandia – 42,7%

Vero è che si tratta di paesi che offrono migliori servizi, assistenza e agevolazioni, rispetto all’Italia.
Nell’area OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) la pressione fiscale si attesta attorno al 34,3%. Negli Stati Uniti invece è più bassa, “solo” il 24,3%, mentre in Irlanda è addirittura del 22,3%.

Che cos’è l’iva, come funziona e come si calcola

Continua l’esplorazione delle imposte italiane che i contribuenti devono periodicamente versare. Dopo IRPEF e IRES, nonché l’IRAP, adesso è il momento dell’IVA. L’imposta sul valore aggiunto è una delle più note imposte a imprenditori, società e liberi professionisti. Presente su tutte, o quasi, le fatture elettroniche è nota ai più, ma c’è ancora chi non ha ben chiaro perché debba effettivamente essere versata. Vediamo quindi di chiarire in breve che cos’è l’IVA, come funziona e perché è applicata sulla fatturazione elettronica e sulle transazioni.

Che cos’è l’IVA: definizione

Acronimo di Imposta sul Valore Aggiunto, è un’imposta adottata nel 1968 da parte di numerosi Paesi nel mondo. Si tratta di un contributo richiesto e applicato sul valore aggiunto di ogni fase della produzione, di scambio di beni e servizi.

L’IVA ha sostituito la più datata IGE= imposta generale sull’entrata. La sostituzione è avvenuta per adeguare il sistema tributario italiano a quello di altri Paesi Comunitari. Tutti i paesi della UE l’adottarono, anche se rimasero delle sostanziali differenze fra le aliquote stabilite nei diversi territori.

L’IVA ha fatto il suo ingresso in Italia grazie al DPR n° 633/1972. Come per le altre imposte sugli scambi (dette sugli affari), l’IVA occupa un posto di rilievo nel sistema tributario italiano. Questo perché assicura un’entrata notevole allo stato. Si parla quasi del 30% degli incassi tributari statali e il 60% di quelle delle imposte dirette.

Basi imponibili IVA

Esistono tre diverse basi imponibili, tipo:

  1. prodotto (VAp)
  2. reddito (VAr)
  3. consumo (Vac)

La differenza è sulla deducibilità delle spese di investimento. Nel VAp nessuna spesa di investimento è deducibile, di conseguenza la base imponibile è il prodotto lordo (PL).

Nel Var sono deducibili le spese per accantonamento per ammortamenti (PL-Invs). Infine nel VAc sono deducibili gli acquisti di beni strumentali nell’anno in cui sono compiuti (PL-Invs-Inva).

Da tenere presente che in fase di conteggi e valutazioni, l’IVA non deve essere considerata. Questo perché si tratta, a tutti gli effetti, di un debito verso l’erario e non un ricavo o un costo.

Come si calcola l’Iva

Si calcola in due diversi modi, uno più semplice e l’altro più complesso.
Il primo, più facile, si calcola per addizione. In questo caso si applica l’aliquota dell’imposta alla somma delle remunerazioni dovute ai fattori produttivi (L+IP+∏).

Mentre nel secondo caso, più complesso, il calcolo è eseguito per sottrazione. Si divide in due tipologie:

  1. base effettiva: aliquota applicata alla differenza fra valore dei beni prodotti in un dato arco temporale e valore delle materie prime impiegate alla produzione
    oppure su base effettiva
  2. Su base finanziaria: in altre parole l’aliquota dell’imposta (tc) viene moltiplicata alla differenza fra le vendite (V) e gli acquisti (A)

Che cos’è l’iva

Cos’è lo scorporo

Lo scorporo dell’IVA è un’operazione contabile che consiste nel separare l’IVA dal prezzo comprensivo dell’IVA stessa, determinando così l’imponibile. Per semplificare il concetto riportiamo la formula matematica utilizzata nel calcolo.

I= CX100/122=C/1,22

Legenda:
I= imponibile
C= prezzo ivato
Iva al 22%

Il denominatore è ottenuto sommando l’IVA all’unità: dunque nell’ipotesi dell’IVA al 22%, esso è pari a 1,22.

Le aliquote IVA

L’Iva, come abbiamo detto, è un’imposta proporzionale. Questo perché il suo valore dipende dal prezzo del bene moltiplicato per l’aliquota di riferimento.

Le aliquote attuali previste sono:

  • 4% – aliquota minima – per l’IVA sui generi di prima necessità;
  • 10% – aliquota ridotta – per l’IVA su servizi turistici, alimentari ed edili;
  • 22% – aliquota ordinaria – per l’IVA da applicare in tutti i casi non rientranti nelle prime due aliquote.

Operazioni soggette a IVA

Ne esistono di quattro diverse tipologie:

  • imponibili – per i quali sussistono i presupposti soggettivi, oggettivi e territoriali
  • non imponibili – per le quali mancano uno o più dei presupposti precedenti
  • operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10 del d.p.r. 633/1972 – non danno luogo a obblighi particolari
  • operazioni escluse ai sensi dell’articolo 15 del d.p.r. 633/1972 – non danno luogo a obblighi particolari

Agenzia Entrate: agevolazioni fiscali per imprese e lavoratori autonomi

Nel precedente articolo: “Detrazione fiscale e deduzione: cosa sono e come funzionano” abbiamo visto cosa sono le detrazioni fiscali, come vengono calcolate e la differenza che c’è con le deduzioni. Rimanendo sempre in tema, vediamo quali sono le agevolazioni fiscali previste per le imprese da Agenzia delle Entrate (AdE).

AdE ha predisposto sul proprio un vademecum per cittadini e imprese, dove è possibile trovare un pdf scaricabile con tutte le indicazioni. Nel documento sono presentate in forma smart e schematica le disposizioni contenute del Dl n° 34/2020. Il Decreto Legislativo ha un raggio d’interesse molto ampio, che va dalle misure urgenti in materia di salute, a quelle per il sostegno al lavoro e all’economia, fino a quelle di politiche sociali connesse all’emergenza Covid-19.

Agenzia Entrate: agevolazioni fiscali per le imprese

Nel documento messo a disposizione da Ade sono quindi indicate e sintetizzate tutte le novità di carattere fiscale, descritti i bonus e le agevolazioni introdotte dal decreto legge per aiutare famiglie e imprese a fronteggiare i disagi causati dall’emergenza del Coronavirus.

In particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese, sono stati predisposti contributi a fondo perduto e soprattutto niente IRAP.
Come si può intuire dal nome, i contributi a fondo perduto, sono particolari agevolazioni dati dall’ente pubblica all’azienda, che non prevede alcun tipo di rimborso. L’ente, che in generale può essere Regione, Comune, Camera di Commercio, Ministero, ecc… Eroga l’importo stabilito senza chiedere nulla in cambio.

In altre parole è un aiuto economico che viene dato alle PMI. Questo è riconosciuto per l’acquisto di beni e servizi utili alla crescita, allo sviluppo e alla digitalizzazione. In particolare l’aiuto predisposto quest’anno dall’Esecutivo per le piccole/medie imprese e i titolari di partita IVA, prevede l’erogazione di un contributo a chi, nel mese di aprile 2020, hanno registrato un fatturato inferiore ai 2/3 di quello di aprile 2019.

Il DL ha anche predisposto altro. Il contributo infatti non concorrerà alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi. Inoltre non verrà considerato per la formazione del valore della produzione netta, ai fini IRAP.

Agenzia Entrate: agevolazioni fiscali ed IRAP

Acronimo di Imposta Regionale sulle Attività Produttive, l’IRAP è una delle tante imposte che alcune categorie di professionisti, imprenditori e chi svolge attività produttiva, deve versare ogni anno. L’IRAP è da versare ogni anno alla propria Regione. Tassa il valore della produzione. Questo è il guadagno netto dell’impresa. Si calcola facendo la differenza tra il ricavato complessivo annuale e una quota che comprende i principali costi di gestione.

Il Decreto Legislativo 446/1997 e s.m. stabilisce che debbano versare l’IRAP:

  • le società per azioni, le società cooperative e di mutua assicurazione, con sede legale in Italia;
  • le società di persone;
  • imprenditori commerciali e ditte individuali;
  • professionisti ed artisti (limitatamente ad alcuni casi, che vedremo meglio in seguito);
  • amministrazioni ed enti pubblici.

Agenzia Entrate agevolazioni fiscali

L’IRAP è stata oggetto di alcune agevolazioni previste quest’anno dal DL n° 34/2020. AdE infatti ricorda che imprenditori e lavoratori autonomi con ricavi o compensi che non hanno superato i 250 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente non dovranno versare il saldo 2019 e la prima rata dell’acconto 2020.

È infine stato predisposto un’ altra agevolazione relativa alle locazioni. Un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione versato per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020.

Agenzia Entrate: agevolazioni fiscali, sospensione cartelle di pagamento e attività di riscossione

Agenzia delle Entrate ha stabilito la sospensione fino al 31 agosto dei termini di versamento per alcuni obblighi. Tra questi quelli derivanti da cartelle di pagamento, avvisi di addebito e avvisi di accertamento affidati all’Agente della riscossione.

La sospensione interessa anche la notifica di nuove cartelle esattoriali e atti di riscossione. Infine Agenzia delle Entrate ha stabilito un altra agevolazione. Pur emettendo entro il 31 dicembre gli atti relativi ai controlli in scadenza nel 2020, questi verranno comunque notificati solo nel 2021 e senza l’addebito di interessi.

Detrazione fiscale e deduzione: cosa sono e come funzionano

Se ne sente sempre un gran parlare, ma alla fine pochi sanno cosa sono, come funzionano e soprattutto qual è la differenza tra detrazione fiscale e deduzione. Vediamo di fare chiarezza, cercando di spiegarlo in modo semplice e conciso.

Detrazione fiscale: cos’è e differenze con deduzione

La detrazione fiscale è un importo che il contribuente ha il diritto di sottrarre all’imposta lorda, per ricavarne l’imposta dovuta. L’imposta lorda corrisponde al totale delle tasse sui redditi da corrispondere allo Stato.

La deduzione invece agisce in termini di diminuzione della base imponibile. In altre parole si calcola sull’ammontare complessivo dei redditi tassabili. Facciamo un esempio. I redditi dell’anno, vale a dire la base imponibile, sono pari a 100. Un’ipotetica deduzione del 30, porterebbe i redditi tassabili a scendere a 70. Se lo scaglione di reddito è tassabile al 25%, a seguito della deduzione, si avrebbe un’ipotetica tassa del 17,5 (cioè 70×25%). Sempre meglio che a regime pieno che vedrebbe il calcolo salire a 100X25%= 25.

Le deduzioni più comuni che si possano trovare sono quelle relative ai carichi familiari, alle addizioni applicate dagli enti locali, o quelle concesse a certe categorie.

Detrazioni fiscali: come vengono calcolate

Le detrazioni fiscali mirano a ridurre direttamente l’imposta lorda (anche quella calcolata a seguito di eventuali deduzioni). Riprendendo l’esempio di prima, per spiegare meglio il funzionamento delle detrazioni, eseguendo tutti i conteggi, l’imposta da pagare sarebbe quindi pari a 15 e la detrazione massima concessa è 5. Di conseguenza l’importo massimo da pagare, sempre nell’esempio precedente, è 10.
Quindi per ricapitolare e semplificare. Le detrazioni fiscali agiscono direttamente sull’imposta lorda, mentre le deduzioni fanno diminuire l’imponibile tassabile. L’una non esclude l’altra.

Detrazioni fiscali e dichiarazione dei redditi

Le detrazioni fiscali si ritrovano in dichiarazione dei redditi. Qui devono essere documentate e calcolate. Si riferiscono sempre a un preciso anno fiscale, chiamato “periodo d’imposta”. Le normative che regolano l’anno fiscale, sono soggette a continue variazioni e aggiornamenti.

Per quanto riguarda la dichiarazione dei redditi, va fatta poi un’altra grande suddivisione tra:

  1. lavoratori autonomi
  2. lavoratori dipendenti, o assimilati.

Le detrazioni sui redditi da lavoratore dipendente o assimilato, sono fatte direttamente dal datore di lavoro. Quelle che invece riguardano detrazioni per efficienza energetica e il risparmio energetico, è lo stesso contribuente (o un suo consulente) a dichiararle e giustificarle nella propria dichiarazione dei redditi.

Per quanto riguarda invece i lavoratori autonomi, imprese, aziende e liberi professionisti (per intendersi quindi, tutti i soggetti che emettono e ricevono fatture elettroniche) dotati di partita IVA devono presentare il Modello Unico persone fisiche (vera e propria dichiarazione dei redditi non semplificata). Nel Modello Unico devono quindi essere indicate tutte le eventuali detrazioni fiscali. Il Modello può essere presentato dal libero professionista stesso, da un suo consulente, oppure può essere preparato e inoltrato dai CAF, oltre che dai professionisti abilitati.

Dichiarazione dei redditi: cos’è e come funziona

La dichiarazione dei redditi è il modello con il quale i cittadini residenti in Italia, dichiarano i propri redditi percepiti durante l’anno fiscale e calcolano l’imposta dovuta. La dichiarazione dei comprendere tutti i redditi: da lavoro e pensione, derivanti da terreni e fabbricati, quelli di capitale (investimenti tassati), derivanti da lavoro autonomo e di impresa (per i titolari di partita IVA), e tutti quelli diversi e non classificati.

La dichiarazione dei redditi può essere presentata da persona fisica, o da persona giuridica. Nel caso di persona giuridica la dichiarazione dei redditi è presentata attraverso il Modello Unico, che indicavamo nel precedente paragrafo.

Detrazione fiscale

Esistono vari tipologie di Modello Unico, in base alla posizione fiscale e all’attività svolta.

Modello Unico SP, valido per:

Modello Unico SC, valido per:

  • società per azioni
  • società in accomandita per azioni
  • società a responsabilità limitata
  • società cooperative
  • società di mutua assicurazione
  • società europee
  • enti commerciali (pubblici e privati)
  • trust che operano come attività commerciale
  • società di gestione del risparmio
  • banche e assicurazioni

Modello Unico ENC, utilizzato per la dichiarazione da:

  • enti non commerciali (residenti e non nel territorio italiano)
  • ONLUS
  • società semplici e altre non reside

Valuta estera e fatturazione elettronica

In alcuni casi è necessario emettere una fattura elettronica con valuta estera. L’Agenzia delle Entrate (AdE) ha previsto una serie di indicazioni ufficiali da seguire per non cadere in errori banali di forma e sostanza.
La necessità di emettere una fattura elettronica con una valuta diversa dall’euro, può capitare, ad esempio, nei settori delle commodities o in quello del bunkeraggio. La stessa esigenza può manifestarsi anche difronte a soggetti committenti esteri.

Valuta estera e fatturazione elettronica: la normativa di riferimento

Premesso che a oggi non esiste ancora un chiarimento ufficiale, è necessario fare quindi riferimento alle norme in vigore di derivazione UE.
L’amministrazione finanziaria non ha quindi chiarito del tutto come comportarsi quando la base imponibile, imposte (IVA) e totale fattura elettronica devono essere espresse in valuta estera (in valuta quindi diversa dall’euro).

In assenza di specifiche è necessario quindi fare riferimento alla Direttiva n° 2010/45/UE. Questa che contiene le indicazioni sulle modalità di emissione della fattura.

 

Valuta estera

 

In una precedente direttiva (n° 2006/112/CE) veniva stabilito quanto segue:
“gli importi figuranti in fattura possono essere espressi in qualsiasi moneta. Questo purché l’importo dell’IVA da pagare o da regolarizzare sia espresso nella moneta nazionale dello Stato membro”

Di conseguenza questo significa che l’emissione di una fattura elettronica con valuta estera è possibile. Rimane però vincolante che l’importo IVA deve per forza essere espresso nella moneta nazionale (EURO).
In questo caso il tasso di cambio da utilizzare deve essere l’ultimo pubblicato dalla Banca Centrale Europea al momento in cui l’imposta diventa esigibile (cioè al momento dell’emissione della fattura).

Valuta estera e fatturazione elettronica: la normativa italiana

Queste indicazioni però non sono state rispettate alla lettera dalla nostra normativa nazionale. Infatti l’articolo 21 comma 2 lettera 1) del DPR n° 633/72 stabilisce che in fattura sono obbligatori i seguenti dati:

  • aliquota
  • ammontare dell’imposta
  • imponibile con arrotondamento “al centesimo di euro”

Si parla quindi di centesimi di euro. In soccorso a questa precisazione arriva la Circolare n°12/E/2013 dell’Agenzia delle Entrate. Qui è presente un rimando al dettato normativo della Direttiva europea n°2006/112/CE.

É stabilito inoltre che: “vale la regola generale dettata al comma 2, lettera l), che dispone l’indicazione dell’imposta e dell’imponibile con arrotondamento al centesimo di euro”.

Da questo sembra effettivamente che non sia possibile emettere una fattura elettronica con valuta estera. Esiste un’eccezione. Questa è data dall’emissione dell’e-fattura in doppia valuta con l’adozione del tasso di cambio del giorno in cui l’IVA è divenuta esigibile.

Valuta estera: una situazione di incertezza generale

La situazione rimane quindi molto incerta. Da una parte una Direttiva Europea concede la possibilità di emettere fatture elettroniche con valuta estera. Dall’altra la normativa italiana dice il contrario. Nel mezzo ci sono migliaia di aziende che a oggi hanno comunque necessità di emettere e-fatture con valute straniere.

É necessario muoversi con cautela. Una soluzione potrebbe essere quella di indicare in euro gli importi relativi a base imponibile e imposta (IVA). Nel campo “descrizione” del file XML sarà necessario quindi indicare il tasso di cambio e la conversione degli importi nella valuta desiderata.

Esiste una soluzione alternativa. Questa prevede di emettere la fattura elettronica in Euro e allegare a questa un documento fiscalmente irrilevante (una copia di cortesia per il cliente), nella valuta estera che si desidera, con la relativa conversione in euro.