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Principio di cassa: cos’è e come si gestisce in dichiarazione dei redditi

Nella determinazione del reddito, il principio di cassa assume un ruolo molto importante. È fondamentale nella dichiarazione dei redditi dei professionisti. Questi infatti in fase di dichiarazione annuale sono tenuti a verificare che i compensi dovuti per le prestazioni eseguite nel corso dell’anno, siano effettivamente incassati. Quindi il reddito dei professionisti è dato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute.

Mentre le imprese applicano il principio di competenza economica, i professionisti si attengono a quello di cassa. Secondo quanto previsto da questo fondamento, al calcolo del reddito concorrono solo i compensi effettivamente incassati nell’arco dell’anno. Allo stesso modo, solo le spese effettivamente sostenute nel corso del periodo d’imposta, possono essere considerate e ritenute valide per la deduzione. In quest’ultimo caso comunque esistono diverse eccezioni, come ad esempio i canoni di leasing, oppure la quota del TFR. 

I problemi, se così si possono definire, possono sorgere quando i pagamenti delle prestazioni avvengono a fine, o a cavallo dell’anno, oppure quando i saldi sono eseguiti non in contanti, ma con altre modalità di pagamento.

Principio di cassa e pagamenti in contanti

Si tratta del caso più semplice relazionato al principio di cassa. Nonostante il pagamento in contanti oggi sia sempre meno incentivato dalle autorità, dal mercato e dagli strumenti a disposizione dei professionisti (come la fattura elettronica e lo scontrino elettronico), rimane comunque una tipologia di pagamento accettata. In questo caso i pagamenti in contanti si considerano eseguiti completamente nel momento in cui il denaro entra nelle disponibilità del professionista. Il momento del pagamento, quindi, coincide con quello dell’incasso.

Principio di cassa e pagamento con bonifico (bancario o postale)

Il secondo caso prevede il pagamento eseguito sotto forma di bonifico bancario/postale. In questo caso l’importo pagato al professionista concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo quando riceve l’accredito sul proprio conto corrente.

Questo momento è individuato dalla così detta “data disponibile”. Quest’ultima indica la data dalla quale in poi il denaro è disponibile per essere utilizzato da parte del professionista. Vale solo e soltanto questa specifica data, mentre la data di valuta, la data di emissione ordine bonifico, oppure quella in cui la banca avvisa il cliente dell’accredito, non hanno alcuna rilevanza.

Qualche volta questa modalità di pagamento può dare vita a delle difficoltà. Questo avviene soprattutto quando il pagamento è eseguito a cavallo dell’anno fiscale. In altre parole il momento dell’incasso non coincide con quello utile per rilevare il periodo/mese in cui il soggetto che ha pagato, deve effettuare il versamento della ritenuta. Si tratta comunque di una problematica facilmente risolvibile. Infatti, in caso di verifiche e/o contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria, è necessario portare come prova gli estratti conti bancari dai quali è possibile attestare la data di effettivo incasso.

Principio di cassa

Principio di cassa e pagamenti con carte di credito

Altro caso sempre più frequente. I compensi per le prestazioni/servizi al professionista sono saldati mediante carta di credito. In questo funziona un po’ come per i pagamenti con bonifico bancario. Per la determinazione del reddito da lavoro autonomo fa fede la data dalla quale l’importo ricevuto si rende disponibile sul proprio conto corrente. In materia Agenzia delle Entrate non ha mai rilasciato nulla di preciso e ufficiale, ma nella pratica il principio di cassa ha seguito le stesse indicazioni in essere per i pagamenti avvenuti tramite bonifico bancario.

Assegni bancari e circolari

Per questa modalità di pagamento l’Agenzia delle Entrate (AdE) ha stabilito, mediante la circolare n° 38/E/2010, che ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo, il pagamento è ritenuto concorsuale al momento in cui la somma di denaro si rende disponibile al professionista, cioè quando l’assegno è consegnato in mano al lavoratore. Quindi, un assegno che rappresenta un titolo di credito che si sostanzia al mento dell’ordine scritto, secondo il principio di cassa, si considera ai fini del calcolo del reddito da lavoro autonomo nel momento in cui il titolo di credito è consegnato al ricevente. Non conta invece, in questo caso, che la data di versamento e incasso dell’assegno sia successiva a quella di ricezione.

Pagamento con Carte di debito

Sempre più diffuse, le carte di debito rappresentano una delle molteplici modalità attraverso le quali i professionisti ricevono i propri compensi. Al pari dei pagamenti con bonifici bancari/postali, in base al principio di cassa per la determinazione del reddito da lavoro autonomo, la cifra si considera solo al momento in cui il denaro è reso disponibile sul conto corrente del ricevente.

 

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Campioni gratuiti: fatturazione elettronica e adempimenti fiscali

Nell’articolo precedente: “Fattura elettronica omaggi: cos’è e come funziona” abbiamo visto come comportarsi in materia di omaggi ai propri clienti. Tra questi abbiamo distinto una categoria identificata come: “campioni gratuiti di modico valore”. Si tratta di una particolare tipologia di cessione di beni, che rientrano a far parte del più ampio argomento relativo alla cessione dei beni gratuiti e che prevedono specifici adempimenti fiscali.

Campioni omaggio: cosa sono e quando vengono usati

I campioni gratuiti sono solitamente beni e prodotti che rientrano a far parte dell’attività stessa dell’impresa. Questo significa che sono beni prodotti e/o venduti dall’azienda. Solitamente sono impiegati per fini propagandistici. Servono cioè a promuovere e pubblicizzare l’attività, oppure sono impiegati per controllare la qualità del prodotto stesso, o ancora per testarne la resa e l’apprezzamento sul mercato (indagini di mercato).

Di solito presentano le stesse caratteristiche qualitative dei beni prodotti e venduti normalmente dall’attività. Stessa qualità, ma non stessa dimensione e/o quantità. Le ridotte dimensioni, o la minore quantità distribuita, rende questi beni NON VENDIBILI SEPARATAMENTE-SINGOLARMENTE.

In base a quanto stabilito dalla legge i campioni gratuiti sono esclusi dal campo di applicazione IVA. Art. 2, comma 3, lett. D) del D.P.R. 633/1972: “cessioni di campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati”.

Campioni gratuiti: requisiti

Affinché questi beni siano considerati a tutti gli effetti campioni gratuiti di modico valore, devono rispondere ad alcune caratteristiche specificate dalla norma.

Distribuzione gratuita

La cessione deve avvenire a titolo completamente gratuito. Non deve quindi essere versato alcun corrispettivo a seguito dell’omaggio. E per qualunque corrispettivo si intende di qualunque natura, soldi, o altri beni in cambio. Devono essere beni prodotti dall’attività con lo scopo di promuovere l’azienda produttrice stessa. Questa propaganda deve essere protratta a fini pubblicitari, per far conoscere al pubblico il prodotto e favorirne la vendita.

Campioni gratuiti

Marchiatura chiara ed indelebile

È il secondo requisito fondamentale. Ogni campione omaggio deve essere contrassegnato in modo indelebile sulla propria superficie con la dicitura: “campione gratuito”. La dicitura può essere stampata, lacerata, punzonata, perforata, marcata, ecc… Qualunque sia la tecnica utilizzata per marchiare il campione, l’importante è che sia ben evidente, leggibile e comprensibile a tutti. La tecnica inoltre non deve inficiare sul funzionamento e la qualità del prodotto ceduto.

È stata Agenzia delle Entrate stessa a precisare quanto sopra, riportando i criteri di marchiatura dei campioni nella Risoluzione 83/E/2003. La marchiatura serve per evitare che il prodotto venga commercializzato, ma anche a evitare che l’eventuale concorrenza possa intervenire modificandone il contenuto.

Nella Risoluzione n. 381445/1980 è specificato che la marchiatura dei campioni gratuiti può avvenire anche mediante apposizione, in un angolo della busta, del disco a mezzo di un timbro a perforazione, ovvero sull’involucro in plastica a mezzo di un timbro di inchiostro indelebile.

Modico Valore

Terza ed ultima caratteristica. Per capire cosa si intende per “modico valore” è necessario leggere quanto riportato nella Risoluzione n°430288/1991 di AdE:

“nella pratica applicazione, si deve farsi riferimento agli usi commerciali, restando in ogni caso esclusi dall’agevolazione i beni di valore significativo”.

Non è necessario che i beni siano di valore o dimensioni inferiori a quelli prodotti e commercializzati dall’azienda, possono anche essere singoli esemplari di suddetti beni. La Risoluzione n° 360021/1980 considera campioni gratuiti anche i libri sulla cui copertina è riportata la seguente dicitura: “il presente volume è destinato signori insegnati in esame per eventuale adozione, quale campione gratuito”.

Se tutti questi requisiti sono rispettati, allora il bene può essere considerato come campione gratuito ed ogni operazione relativa è considerata fuori campo IVA. Ne consegue che l’attività non è obbligata a emettere fattura elettronica, o altro documento che ne attesti la cessione.

È anche vero che, per superare la presunzione di cessione, al momento della consegna del bene sarebbe opportuno emettere un documento che ne attesti la natura di omaggio. Tutto questo solo per confermare la natura dei beni ed evitare eventuali contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria. Non volendo però ricorrere all’emissione di tale documento, è possibile, in alternativa, redigere uno specifico registro degli omaggi.

Sanzione invio tardivo fattura elettronica: cosa prevedono le disposizioni di legge

È prevista una Sanzione invio tardivo fattura elettronica, o per mancata emissione delle fatture elettroniche. La normativa è contenuta per l’esattezza nell’articolo 6 del Decreto Legislativo n° 471/1997, che prevede le “Violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.

In particolare l’articolo cita che:

Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati e’ punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, e’ soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta. La sanzione e’ dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Sanzione invio tardivo fattura elettronica

Nel caso invece di operazioni non imponibili, esenti, o non soggette a IVA, il medesimo articolo specifica che:

Il cedente o prestatore che viola obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti, non soggette a imposta sul valore aggiunto o soggette all’inversione contabile di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e’ punito con sanzione amministrativa compresa tra il cinque ed il dieci per cento dei corrispettivi non documentati o non registrati.

Tuttavia, quando la violazione non rileva neppure ai fini della determinazione del reddito si applica la sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000”.

In ogni caso è prevista una sanzione minima di €500.

Sanzione invio tardivo fattura elettronica: D.L. 119/2018

Il D.L. 119/2018, legato alla legge Bilancio 2019, aveva previsto una periodo transitorio, durante il quale era previsto una riduzione, o addirittura l’annullamento della sanzione invio tardivo fattura elettronica. Da quando il periodo transitorio in questione si è esaurito, le disposizioni dell’articolo 6 Decreto Legislativo n° 471/1997 si attuano a pieno.

Si conseguenza anche le sanzioni amministrative previste dal suddetto articolo sono applicate totalmente. E questo vale per tutte le operazioni effettuate entro il 30/06/2019 per i soggetti trimestrali, oppure entro il 30/09/2019 per i soggetti mensili, quando la fattura elettronica è emessa dopo il 19/11/2019. Le sanzioni sono applicabili anche nel caso di operazioni a decorrere dal 01/07/2019 per i soggetti trimestrali, o dal 1/10/2019 per i soggetti mensili.

Termini e condizioni

Affinché non si vada incontro alla sanzione invio tardivo fattura elettronica, i documenti devono essere regolarmente emessi:

  • Fatture immediate – entro 12 giorni dalla data di effettuazione dell’operazione;
  • Fatture differite – entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.

Le fatture elettroniche si considerano regolarmente emesse quando queste sono trasmesse al Sistema di Interscambio (SdI). È infatti quello e solo quello il momento in cui una fattura elettronica si può considerare consegnata/spedita alla controparte.

 

Codice CIG e codice CUP: cosa sono, a cosa servono e come si inseriscono nella fattura elettronica

Codice CIG e codice CUP: cosa sono, a cosa servono e come si inseriscono nella fattura elettronica

Il codice CIG e il codice CUP sono due particolare codici alfanumerici che devono essere inseriti nelle fatture elettroniche relative alla Pubblica Amministrazione (PA). Entrambi i codici identificano in modo univoco e assoluto una gara d’appalto, per quanto riguarda il CIG e gli investimento pubblici, per quanto concerne il CUP.

Nella fatturazione elettronica è possibile, oggi, inserire più codici CIG e CUP. Questo è possibile nelle note tecniche contenute nella rappresentazione tabellare della fattura elettronica. Vediamo prima di capire cosa sono questi codici, a cosa servono e come si inseriscono nelle e-fatture.

Codice CIG: cos’è e a cosa serve

Il codice CIG è il codice identificativo di gara. Si tratta di un codice alfanumerico utilizzato in Italia per identificare nello specifico i contratti pubblici stipulati in seguito a gara di appalto. Si tratta quindi di un codice che identifica i contratti pubblici o gli affidamenti tramite una delle modalità consentite dal codice dei contratti pubblici.

É una sequenza di 10 caratteri alfanumerici e serve a tracciare i pagamenti relativi ai contratti pubblici. É inoltre un identificativo molto importante per comunicare le informazioni agli enti preposti al controllo delle gare d’appalto, dei lotti e dei contratti. Infine serve anche per assolvere in modo lineare e semplificato agli obblighi contributivi.

codice CIG

É obbligatorio quindi che il codice CIG sia inserito nei contratti lavorativi e nelle fatture elettroniche quando queste sono rivolte alle PA. Questo codice esiste dal 2010, quando venne introdotto dalla legge n°13 di agosto, relativa alla tracciabilità dei pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione italiana.

Prima dell’inizio della gara d’appalto è richiesto direttamente online dal responsabile del procedimento ANAC. Il codice CIG deve essere trascritto nel contratto e nei bonifici di pagamento. In caso di mancata trascrizione sono applicate delle sanzioni amministrative. Queste possono arrivare fino al 10% dell’importo della transazione stessa. I casi in cui il codice CIG non è necessario e la sua trascrizione non è obbligatoria, sono indicati direttamente dall’ANAC.

Codice CUP: cos’è e a cosa serve

Altro codice alfanumerico relativo alla Pubblica amministrazione da riportare in fatturazione elettronica. Il codice CUP rappresenta il codice Unico Progetto ed è composto da 15 caratteri alfanumerici che identificano, per l’appunto, un progetto di investimento pubblico.

Il codice CUP è utilizzato per garantire la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari, ma serve anche a evitare che infiltrazioni criminali siano introdotte negli affari degli investimenti pubblici. Inoltre serve per il monitoraggio da parte del MIP, Monitoraggio Finanziario delle Grandi Opere.

Come per il codice CIG, il CUP è obbligatorio inserirlo in diversi documenti ufficiali come, ad esempio:

  1. documenti relativi ai bandi
  2. documentazione concernente le richieste di investimento
  3. flussi finanziari
  4. diverse tipologie di documenti contabili.

Fatturazione elettronica e codice CIG e CUP

Con documenti contabili si intendono anche le fatture elettroniche. Il codice CIG e il codice CUP devono quindi essere obbligatoriamente presenti nelle fatture elettroniche relative alla Pubblica Amministrazione. É possibile inoltre inserirne più di uno per ciascuna e-fattura.

Questa possibilità è specificata nelle note tecniche contenute nella rappresentazione tabellare della fattura elettronica. Infatti il blocco 2.1.2, “DatiOrdineAcquisto” può essere ripetuto N volte. La sigla 0.N significa infatti che il blocco in questione è facoltativo e che può essere ripetuto per N volte che si desideri.

In particolare il codice CIG è identificato dal blocco 2.1.2.6, mentre il codice CUP lo si trova sotto il blocco 2.1.2.7. L’importante è che vi sia un unico codice alfanumerico per ciascuna riga. Quindi a ogni riga un solo codice CIG e codice CUP.

Aprire una partita IVA: procedura e costi da sostenere

L’apertura di una nuova attività prevede una serie di regole da rispettare e vari elementi da valutare. Aprire una partita IVA richiede impegno economico e un calcolo preciso di tutti i vantaggi e gli svantaggi a cui potrebbe portare. L’apertura in se per se non è molto difficile, ma richiede qualche passaggio che deve essere seguito alla lettera. Decidere di “mettersi in proprio” e non essere un dipendente a stipendio fisso mensile però, comporta delle responsabilità alle quali non è possibile sottrarsi. Obblighi previdenziali e regolari tasse da pagare. Vediamo quindi come fare per aprire una partita IVA, chi può farlo, quanto costa e quali sono le spese da sostenere.

Aprire una partita IVA: i passaggi da seguire

La partita IVA è una sequenza di 11 cifre che identifica, in modo inequivocabile, un soggetto che esercita un’attività. La partita IVA è importante ai fini dell’imposizione fiscale diretta (IVA). La partita IVA è composta da una sigla dello stato di appartenenza (nel caso dell’Italia corrisponde a IT), le prime 7 cifre indicano invece il contribuente, i 3 numeri seguenti indicano il Codice dell’Ufficio delle Entrate e, infine, l’ultimo numero ha carattere di controllo.

In Italia la partita IVA è rilasciata dall’Agenzia delle Entrate (AdE). Il numero assegnato rimane invariato per tutto il periodo in cui è svolta l’attività e vale sull’intero territorio nazionale.

La partita IVA si apre inoltrando richiesta telematica ad AdE, utilizzando due diversi modelli:

  1. modello AA9/11 per le ditte individuali
  2. modello AA7/10 per le società

Entrambi i modelli sono presenti e scaricabili sul sito di Agenzia delle Entrate. Il modello può essere presentato direttamente presso l’ufficio AdE territorialmente competente, oppure inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno o, infine, per via telematica, utilizzando il software sul sito AdE.

La comunicazione ad AdE deve essere fatta entro 30 giorni dal primo giorno di inizio attività.

Codice ATECO, regime contabile ed INPS

Al momento in cui si decide di aprire una partita IVA, deve essere scelto il codice ATECO. Come abbiamo visto nell’articolo: “Codice Ateco cos’è a cosa serve e dove trovare quello di appartenenza”, il codice ATECO rappresenta la Classificazione delle attività economiche ed è una tipologia di classificazione adottata dall’Istituto Nazionale di Statistica italiano (ISTAT). Serve per le rivelazioni statistiche nazionali di carattere economico.

Inoltre l’apertura della partita IVA comporta anche la scelta del relativo regime contabile: regime forfettario, regime dei minimi o regime ordinario.

Come ultimo step al quale adempiere, non rimane che l’INPS. É necessario recarsi presso l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale per comunicare la propria posizione previdenziale. In alcuni casi, ad esempio per le ditte individuali la dove è richiesto, è necessario anche iscriversi alla Camera di commercio (dipende comunque dall’attività svolta) e comunicare al comune di appartenenza l’avvio dell’attività.

I soggetti che possono aprire partita IVA

In linea generale chiunque. Nello specifico diciamo che lavoratori autonomi, professionisti e titolari di società, sono tenuti ad aprire una partita IVA.

Quanto costa aprire una partita iva

Veniamo ai costi, la parte, forse, più importante. Aprire una partita IVA non costa nulla. Mantenerla invece si. Tutto dipende dal regime contabile scelto.
In regime di contabilità ordinaria, chi apre partita IVA e deve registrare l’attività presso la Camera di Commercio, deve pagare alla stessa circa € 80-100/annui. A questo costo dovrà essere aggiunto l’importo da corrispondere all’eventuale commercialista, nonché i contributi INPS. Infine sono da considerare anche il pagamento delle imposte IRPEF e IRAP, calcolate sul reddito e sul valore aggiunto.

Chi invece appartiene al regime forfettario, godrà di qualche agevolazione in più. Questo regime, come abbiamo già visto, prevede l’esenzione IVA e una tassazione ad aliquote molto ridotte per l’IRPEF (pari al 15% e al 5% per i primi cinque anni di attività). Da tenere comunque in considerazione che nel forfettario non è possibile portare in detrazione le spese sostenute (unica eccezione i contributi previdenziali obbligatori).

Il consiglio generale è di evitare di aprire una partita IVA con introiti annui al di sotto di € 5000.

Aprire una partita iva: la procedura da seguire e i costi da sostenere

Mantenere una partita IVA: i costi

Aprirla è gratis, ma mantenerla costa. Tutto dipende dal regime scelto e dal tipo di attività svolta. Quando si apre un’attività nel calcolo dei costi da sostenere per il suo mantenimento troviamo:

Obblighi fiscali

Chi apre una partita iva ricordiamo che dovrà anche adempiere a precisi obblighi fiscali, tra i quali:

Regime ordinario: cos’è e come funziona

In alcuni precedenti articoli abbiamo visto requisiti, limiti, vantaggi e svantaggi, del regime forfettario e del regime dei minimi. Oggi invece prendiamo in esame il classico regime ordinario. Cos’è? Come funziona? Chi deve aderirvi e quali sono i documenti obbligatori da presentare al Fisco? Partiamo dall’inizio.

Regime ordinario: definizione

Si tratta di un regime fiscale al quale sono tenuti ad aderire alcune società e imprese di grandi dimensioni. Solitamente aderiscono a questo regime le grandi società e le imprese con un fatturato molto elevato.

Prerogativa del regime ordinario è la contabilità particolarmente articolata e la complessità dei vari registri da redigere, conservare e consegnare alle autorità competenti.

Le aziende che devono aderire al regime ordinario

Le società che sono tenute ad aderire obbligatoriamente a questo regime fiscale sono:

  • S.p.A, S.r.l., S.r.l.s., S.a.p.a., società cooperative e mutue assicuratrici;
  • Enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;
  • Stabili organizzazioni di società ed enti non residenti;
  • Associazioni non riconosciute e consorzi che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.

Nel caso in cui vengano poi superati i seguenti limiti:

  1. 400.000 euro per la vendita di servizi
  2. 700.000 euro per altri tipi di attività

Regime ordinario

sono tenuti a registrarsi alla contabilità ordinaria anche:

  • Persone fisiche che esercitano attività commerciali;
  • Società di persone (s.n.c. e s.a.s.);
  • Enti non commerciali che esercitano anche un’attività commerciale in misura non prevalente.

È comunque possibile passare da un regime semplificato, a quello ordinario, presentando tutta la dovuta documentazione.

I registri del regime ordinario

Uno degli obblighi al quale devono sottostare le società a regime ordinario è quello di redigere, conservare e presentare alle autorità alcuni specifici registri. Tra questi ricordiamo:

  1. Il libro giornale
  2. Il libro degli inventari
  3. le scritture di magazzino
  4. il libro mastro
  5. il registro dei beni ammortizzabili
  6. libri sociali
  7. registri IVA

Libro giornale

Si tratta di un libro di contabilità previsto dall’art. 2214 del Codice Civile che recita: “L’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori.

Il libro giornale ha esclusivo fine tributario. In questo registro sono annotati tutti i movimenti contabili di una ditta. Esistono vari modi per redigere questo libro, ma quello oggi più diffuso è il sistema a partita doppia. Per spiegare nel modo più semplice possibile di cosa si tratta, si potrebbe dire che la partita doppia elenca l’insieme degli scambi tra le attività e la passività dell’azienda.

Libro degli inventari

In questo registro sono contenute varie informazioni:l’inventario all’inizio dell’attività, gli inventari per i diversi anni, l’indicazione delle risorse dell’azienda e il loro valore, lo stato patrimoniale e il conto economico oltre che il capitale contribuito dall’imprenditore.

Su questo documento è necessario apporre una marca da bollo virtuale, o cartacea e deve essere numerato.

Libro Mastro

È il registro di tutti i conti (mastrini) che compongono un dato sistema contabile. Quindi è l’insieme dei conti accesi di una contabilità.

Il libro è strutturato in due colonne, una del dare e una dell’avere. In più è presente una rubrica alfabetica per debitori e creditori.

Le scritture di magazzino

Questo registro è riservato a tutte quelle attività che, per due esercizi consecutivi, hanno registrato ricavi maggiori di 5.164.568,99 euro e rimanenze alla fine del periodo superiori a 1.032.913,80 euro. Nel caso in cui gli importi registrati successivamente per due esercizi successivi siano inferiori ai limiti sopracitati, l’obbligo di compilazione di questo registro viene meno

Il registro dei beni ammortizzabili

Qui sono registrati gli immobili, i beni annotati nei registri pubblici e tutti gli altri beni. Per ciascuno deve essere indicato l’anno e il costo di acquisizione, eventuali modifiche di valore, il valore e il coefficiente di ammortamento. Anche questo tomo deve essere numerato.

Registri IVA

La tenuta e la stampa dei registri IVA non è più obbligatoria dal 2019 per effetto dell’entrata in vigore della fattura elettronica B2B.

Libri sociali

Permettono una rappresentazione sociale della struttura interna dell’azienda e consento la verifica del funzionamento degli organi societari (libro delle adunanze e libro delle deliberazioni assembleari).

Il regime dei minimi: cos’è e come funziona

L’articolo: “Regime forfettario: limiti ricavi e fatture elettroniche” ha spiegato nel dettaglio cos’è e come funziona il regime forfettario. Questo particolare regime fiscale non è l’unico esistente nel sistema fiscale italiano, che preveda delle agevolazioni per i contribuenti. Oggi infatti vogliamo parlarvi di un altro regime in vigore dal 1° gennaio 2008 e introdotto dalla Legge 21/12/2007 n° 244 art. 1 comma 96-117. Il regime dei minimi è stato creato con l’intento di abbattere i costi amministrativi e introdurre un regime semplice e vantaggioso. Vediamo come funziona.

Il regime dei minimi: requisiti soggettivi

Non tutti i soggetti possono accedere al regime agevolato dei minimi. Per farlo devono essere rispettati determinati requisiti soggettivi. Al regime possono acceder imprese individuali e professionisti che:

  • presumono di avere un volume di ricavi entro il limite dei trentamila euro annui;
  • non hanno effettuato cessioni all’esportazione;
  • non hanno dipendenti o collaboratori;
  • non hanno erogato utili ad associati in partecipazione con apporto di solo lavoro;
  • non hanno acquistato nel triennio precedente beni strumentali per un importo superiore a quindicimila euro.

Quindi il regime dei minimi può essere richiesto dalle persone fisiche residenti in Italia che non superano € 30,000/annui. Non devono avere dipendenti o collaboratori, né spese per beni strutturali (cioè necessari alla professione, come ad esempio affitti, computer, ecc…) superiori a € 15,000. Inoltre non devono vendere all’estero e non distribuiscono utili soci.

Il limite di € 30,000 è riferito ai compensi, cioè i ricavi, non il reddito (vale a dire ricavi-spese).

I beni strumentali

Abbiamo detto che uno dei requisiti per accedere al regime dei minimi è quello di non avere spese per beni strutturali superiori a € 15,000/annui. Per beni strumenti si intendono:

  • i beni utilizzati sia per l’attività che ad uso personale si considerano in misura pari alla metà del relativo corrispettivo;
  • i canoni di locazione o noleggio;
  • non rilevano i beni in comodato d’uso.

Chi è escluso dal regime dei minimi

Per esclusione in base al paragrafo precedente, da questo sistema fiscale, sono esclusi:

  • i non residenti;
  • chi operi in attività a regime speciale Iva quali editoria, agricoltura, agenzie di viaggi o simili;
  • coloro che partecipano in società di persone, associazioni tra professionisti, o società a responsabilità limitata in regime di trasparenza fiscale;
  • chi effettua attività di cessione di immobili ovvero mezzi di trasporto nuovi.

I vantaggi del regime dei Minimi

Il regime dei minimi prevede tutta una serie precisa di agevolazioni. Prima fra tutte l’IRPEF secca al 20%, come imposta sostitutiva della normale tassazione ad aliquote progressive.

Oltre a questa è prevista anche un’esenzione dall’IVA, l’imposta sul valore aggiunto, che non deve essere inserita nella fattura elettronica o normale, né versata al fisco.

Ci anche altre semplificazioni burocratiche, come ad esempio l’esonero dall’obbligo delle scritture contabili e degli elenchi clienti e fornitori, nonché della comunicazione annuale IVA. Per il fisco è sufficiente numerare progressivamente le fatture e conservarle. Questo vale anche per le fatture di acquisto per le spese da detrarre.

Sulle fatture elettroniche e normali deve essere riportata la seguente dicitura:

“Operazione ai sensi dell’art. 1, comma 100, della Legge finanziaria 2008”.

Un regime che non conviene a tutti

Visti i vantaggi, passiamo agli svantaggi. Questo regime è conveniente, ma non per tutti. Ad esempio il tetto massimo stanziato ad € 30,000 è abbastanza basso, ed è facile superare la soglia.

Quando e se questo dovesse avvenire può accadere che:

  • se si supera il tetto di meno del 50% (cioè fino a 45.000 euro di compensi) si perde l’agevolazione l’anno successivo;
  • se si supera il tetto di oltre il 50% (cioè oltre 45.000 euro) il regime agevolato cessa nell’anno in corso e il contribuente deve rimanere nel regime ordinario per almeno 3 anni.

Il regime dei minimi

Inoltre, sarà dovuta l’IVA sulle operazioni dell’intero anno di superamento del limite.

Ancora peggio è superare il tetto e non dichiararlo, perché in questo caso scattano pure le sanzioni. Sanzioni piuttosto salate, aumentate del 10% se il maggior reddito accertato supera quello dichiarato di almeno il 10%.

Prima di accettare e inserirsi in questo regime è bene calcolare bene la propria effettiva convenienza. Alle volte la tassazione ordinaria potrebbe essere addirittura più conveniente, perché consente le detrazioni d’imposta, mentre il regime dei minimi no.

A chi conviene di più il regime dei minimi

Questo sistema fiscale conviene soprattutto a chi ha poche detrazioni e pochi costi da sostenere e scaricare. A chi ha anche altri redditi (per esempio come lavoratore dipendente) e tiene separate le tassazioni evitando l’aumento dell’aliquota progressiva. Ed infine conviene a chi ha clienti privati, non interessati a scaricare l’iva, che non si ritrovano sulle fatture elettroniche.

Ultima cosa da considerare: i contributi previdenziali. Questi ammontano a circa il 26,72% e restano a carico del lavoratore, come comunque già succede per tutte le altre partite IVA.

Regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche

Nell’articolo: “Quanto si paga di tasse in Italia: IRPEF, IRES e IRAP” abbiamo accennato al fatto che chi ha scelto regime forfettario, non è tenuto a pagare l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). Questa effettivamente è una delle tante agevolazioni riconosciute a questo particolare regime fiscale.

Lo sentiamo nominare tante volte e sempre più spesso è scelto come formula lavorativa, per godere di maggiori agevolazioni e minor pressione fiscale. Vediamo allora tutto quello che riguarda il regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche per cercare di capirne i pro e i contro.

Cos’è il regime forfettario: definizione

Il regime forfettario è un particolare regime fiscale riservato a partite IVA individuali. Permette di fruire di particolari agevolazioni fiscali e contabili.

Introdotto dalla legge 190/2014 – Legge di Stabilità 2014, è stato poi riformato con la successiva Legge 208/2015 (Legge di stabilità d2016). Le ultime modifiche introdotte sono quelle entrate in vigore il 1° Gennaio 2019.

Questo regime è l’unico, attualmente in vigore, che permette di gestire la propria partita IVA individuale con alcune agevolazioni rispetto al regime ordinario. É un regime solitamente adottato dalle piccole imprese e dai professionisti.

Per poter godere delle agevolazioni previste da questo regime è necessario rispettare alcuni requisiti di accesso e permanenza. I requisiti da verificare sono quelli riferiti all’anno di imposta precedente a quello in cui verrà applicato il regime fiscale.

Regime forfettario limiti ricavi e requisiti

Possono fruire del regime forfettario le persone fisiche esercenti un’attività d’impresa, di arte o professione e le Imprese Familiari, sempre se in possesso dei giusti requisiti.

I requisiti per accedere al regime forfettario nel 2020 sono:

  1. Il limite dei ricavi/compensi è tarato a massimo € 65,000 (ragguagliati ad anno)
  2. Le spese per il lavoro accessorio, dipendente o collaboratori devono ammontare al massimo ad € 20,000 lordi
  3. Per i beni strumentali invece non è richiesta nessuna condizione specifica.

Regime forfettario: limiti dei ricavi

Per accedere al Regime Forfettario è necessario non aver superato € 85,000 di ricavi e/o compensi. Indipendentemente dal codice Ateco di riferimento. Se le attività svolte sono più di una, la somma da considerare è quella derivante dal fatturato dei singoli codici Ateco.

Per la verifica del limite dei compensi, occorre fare riferimento anche delle cessioni o prestazioni eventualmente non ancora fatturate. Cessioni e prestazioni per le quali, si sono verificati i presupposti dell’articolo 109, comma 2, del DPR n. 917/86.

Regime forfettario limiti ricavi

Spese per lavoro accessorio, dipendente o collaboratori

Questo è il secondo limite e requisito imposto per accedere al Regime forfettario. Le spese
sostenute per lavoro accessorio, dipendente o collaboratori non devono superare € 20,000.

Le spese si riferiscono a:

  1. Lavoro accessorio
  2. Lavoratori dipendenti e collaboratori di cui all’art. 50 comma 1 lett. c) e c-bis) del TUIR
  3. Gli utili erogati agli associati in partecipazione con apporto costituito da solo lavoro e le somme corrisposte per le prestazioni di lavoro effettuate dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Limite beni strumentali

Il regime forfettario 2020 non prevede più alcun limite o vincolo legato al valore dei beni strumentali.

Regime forfettario limiti ricavi e agevolazioni

Abbiamo quindi visto finora i limiti e i ricavi previsti per accedere e mantenere il Regime Forfettario. Ma quali sono i principali vantaggi di questo regime fiscale?

Anzitutto la franchigia IVA. Infatti esiste l’esonero da buona parte degli adempimenti previsti per l’imposta valore aggiunto. La disciplina IVA del regime forfettario prevede solo alcuni adempimenti specifici in base al tipo di operazione eseguita.

Operazioni Nazionali

Nelle operazioni Nazionali, il Regine Forfettario prevede che sulle fatture elettroniche emesse, scontrino elettronico e/o ricevute fiscali, L’IVA non debba essere addebitata a titolo di rivalsa.

Acquisto di beni Extra-UE

Entro la soglia di € 10.000 annui sono considerati non soggetti ad IVA nel Paese di destinazione.

Prestazioni di servizi

Prestazioni di servizi ricevuti da non residenti o rese ai medesimi, rimangono soggette alle ordinarie regole.

Altra agevolazione per gli operatori in regime forfettario è quella di non essere obbligati alla registrazione e conservazione delle scritture contabili. Tuttavia c’è l’obbligo di numerare e conservare le fatture d’acquisto e le bollette doganali, e di certificare i corrispettivi.

I ricavi conseguiti e i compensi percepiti non sono assoggettati a ritenuta d’acconto.

Fattura in regime forfettario

Le fatture in regime forfettario devono riportare la seguente dicitura:

Operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, commi da 54 a 89, della Legge n. 190/2014, e articolo 1, commi da 111 a 113, della Legge n. 208/2015, e s.m. – Regime forfetario

Questo serve per informare il cliente che non è prevista l’applicazione dell’IVA.

I soggetti che rientrano nel regime forfettario sono esonerati dall’obbligo di emettere la fattura elettronica. Questo significa che possono emettere normale fattura.

Agevolazioni contributive

Sono previste delle agevolazioni contributive per i soggetti che rientrano nel regime forfettario.
L’agevolazione vale solo per chi è iscritto alla gestione IVS Artigiani e commercianti, i professionisti, di qualsiasi genere, ne sono esclusi.

Questa agevolazione consiste in una riduzione del 35% dei contributi previdenziali dovuti annualmente.

Valuta estera e fatturazione elettronica

In alcuni casi è necessario emettere una fattura elettronica con valuta estera. L’Agenzia delle Entrate (AdE) ha previsto una serie di indicazioni ufficiali da seguire per non cadere in errori banali di forma e sostanza.
La necessità di emettere una fattura elettronica con una valuta diversa dall’euro, può capitare, ad esempio, nei settori delle commodities o in quello del bunkeraggio. La stessa esigenza può manifestarsi anche difronte a soggetti committenti esteri.

Valuta estera e fatturazione elettronica: la normativa di riferimento

Premesso che a oggi non esiste ancora un chiarimento ufficiale, è necessario fare quindi riferimento alle norme in vigore di derivazione UE.
L’amministrazione finanziaria non ha quindi chiarito del tutto come comportarsi quando la base imponibile, imposte (IVA) e totale fattura elettronica devono essere espresse in valuta estera (in valuta quindi diversa dall’euro).

In assenza di specifiche è necessario quindi fare riferimento alla Direttiva n° 2010/45/UE. Questa che contiene le indicazioni sulle modalità di emissione della fattura.

 

Valuta estera

 

In una precedente direttiva (n° 2006/112/CE) veniva stabilito quanto segue:
“gli importi figuranti in fattura possono essere espressi in qualsiasi moneta. Questo purché l’importo dell’IVA da pagare o da regolarizzare sia espresso nella moneta nazionale dello Stato membro”

Di conseguenza questo significa che l’emissione di una fattura elettronica con valuta estera è possibile. Rimane però vincolante che l’importo IVA deve per forza essere espresso nella moneta nazionale (EURO).
In questo caso il tasso di cambio da utilizzare deve essere l’ultimo pubblicato dalla Banca Centrale Europea al momento in cui l’imposta diventa esigibile (cioè al momento dell’emissione della fattura).

Valuta estera e fatturazione elettronica: la normativa italiana

Queste indicazioni però non sono state rispettate alla lettera dalla nostra normativa nazionale. Infatti l’articolo 21 comma 2 lettera 1) del DPR n° 633/72 stabilisce che in fattura sono obbligatori i seguenti dati:

  • aliquota
  • ammontare dell’imposta
  • imponibile con arrotondamento “al centesimo di euro”

Si parla quindi di centesimi di euro. In soccorso a questa precisazione arriva la Circolare n°12/E/2013 dell’Agenzia delle Entrate. Qui è presente un rimando al dettato normativo della Direttiva europea n°2006/112/CE.

É stabilito inoltre che: “vale la regola generale dettata al comma 2, lettera l), che dispone l’indicazione dell’imposta e dell’imponibile con arrotondamento al centesimo di euro”.

Da questo sembra effettivamente che non sia possibile emettere una fattura elettronica con valuta estera. Esiste un’eccezione. Questa è data dall’emissione dell’e-fattura in doppia valuta con l’adozione del tasso di cambio del giorno in cui l’IVA è divenuta esigibile.

Valuta estera: una situazione di incertezza generale

La situazione rimane quindi molto incerta. Da una parte una Direttiva Europea concede la possibilità di emettere fatture elettroniche con valuta estera. Dall’altra la normativa italiana dice il contrario. Nel mezzo ci sono migliaia di aziende che a oggi hanno comunque necessità di emettere e-fatture con valute straniere.

É necessario muoversi con cautela. Una soluzione potrebbe essere quella di indicare in euro gli importi relativi a base imponibile e imposta (IVA). Nel campo “descrizione” del file XML sarà necessario quindi indicare il tasso di cambio e la conversione degli importi nella valuta desiderata.

Esiste una soluzione alternativa. Questa prevede di emettere la fattura elettronica in Euro e allegare a questa un documento fiscalmente irrilevante (una copia di cortesia per il cliente), nella valuta estera che si desidera, con la relativa conversione in euro.

Fatturazione elettronica: i risultati ottenuti ad oggi

L’introduzione della fatturazione elettronica ha permesso allo stato di incassare oltre 2 miliardi in più di gettito IVA da quando è entrata in vigore a oggi. Inoltre si è rivelata essere un metodo efficace contro l’evasione fiscale.

Nonostante il lockdown e la crisi economica derivante dalla pandemia globale, la crescita della fatturazione elettronica non si è fermata. Obbligatoria da oltre un anno, ha visto inizialmente un periodo di assestamento per le grandi e piccole aziende, per marciare adesso a pieno regime.

Fatturazione elettronica: Commissione Finanza della Camera

Dei molteplici benefici derivanti dall’adozione della fatturazione elettronica ne ha ampiamente parlato Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate (AdE). Benefici e vantaggi che ammontano, a oggi, a 3,5 miliardi di euro. A completare il quadro dei guadagni anche il gettito IVA, aumentato di oltre 2 miliardi di euro. Una stima redatta di recente invece vuole l’aumento delle imposte dirette a circa 580 milioni di euro.

Raggiunti quindi gli obiettivi che la fatturazione elettronica si era prospettata: lotta all’evasione fiscale e un maggior gettito fiscale.

Il discorso del direttore di AdE

Ruffini, nell’audizione alla Camera tenuta il giugno scorso, ha evidenziato:

“… “in una prospettiva di lungo termine, lo scopo è di favorire la nascita di una cultura digitale che pervada non solo il settore produttivo, ma l’intera società italiana. In quest’ottica, la fatturazione elettronica è, a oggi, una realtà ormai collaudata e apprezzata dagli operatori, è un processo che ha dimostrato la sua efficacia soprattutto durante l’attuale situazione emergenziale dovuta alla crisi epidemiologica da Covid-19, in cui la dematerializzazione dei documenti ha assunto un ruolo cruciale”.

Nel discorso ha tenuto a precisare ed elencare tutti i vantaggi derivanti dall’adozione della fatturazione elettronica:

  1. semplificazione fiscale
  2. riduzione del numero degli adempimenti
  3. modernizzazione del settore produttivo italiano
  4. riduzione dei costi amministrativi per le imprese.

Fatturazione elettronica

Inoltre è stato fatto riferimento a tutti gli strumenti che Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione degli utenti, tra i quali:

  • procedure web
  • app per tablet e smartphone
  • software stand alone
  • servizi per la conservare le fatture elettronicamente (con valenza sia civilistica che fiscale)
  • servizio per la generazione di un QR Code, un codice da stampare o salvare sul proprio smartphone
  • registrazione dell’indirizzo telematico dove l’operatore intende ricevere dal Sistema di Interscambio (SdI), di default, tutte le sue fatture passive
  • un servizio di consultazione e acquisizione di tutte le fatture emesse e ricevute.

Fatturazione elettronica: un unico obiettivo

Guardando al di fuori dei confini nazionali, il direttore Ruffini ha ricordato lo scopo primario di realizzare un mercato digitale unico. La fatturazione elettronica è uno degli obiettivi comuni di semplificazione che l’Europa si è posta di raggiungere. L’Europa ha voluto introdurre ampi processi di digital transformation, nei processi di aziende pubbliche e private, per raggiungere risultati comuni a tutti i suoi membri.

Il segreto del successo della fatturazione elettronica

Il successo della fatturazione elettronica è dovuto, per la maggiore, alla semplicità di piattaforme nate per l’emissione, l’invio e la conservazione dei documenti fiscali. Piattaforme come FatturaPRO.click, facili e intuitive, che hanno permesso a chiunque, sin da l’inizio della digitalizzazione, di sapere tener testa a tutte le novità introdotte da AdE.

Fatturazione elettronica: tutti i numeri del 2020

Il trend della fattura elettronica è in costante crescita, anche durante questo difficile 2020. Nei primi cinque mesi dell’anno infatti (compreso quindi il periodo del lockdown) sono state inviate oltre 770 milioni di fatture da circa 3,3 milioni di operatori. Numeri da record, vista la situazione precaria e di crisi generale. Numeri che hanno comunque voluto sottolineare una crescita anche rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

All’inizio di questa nuova iniziativa molti si sono fatti trovare impreparati e hanno dovuto recuperare strada facendo. Altri invece sono arrivati più che pronti all’appuntamento del 1° Gennaio 2019, quando è entrata in vigore la fatturazione elettronica. Nonostante l’andamento dell’adattamento un po’ frastagliato, oggi sono tutti (o quasi) ormai allineati con le nuove richieste.

Le piattaforma di gestione ed emissione delle fatture elettroniche sono in costante aggiornamento e sviluppo e consento a tutti gli operatori di rimanere al passo con i tempi.