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Ritenuta d’acconto condominio: ecco come funziona in caso di detrazioni fiscali

In merito alla ritenuta d’acconto condominio sussistono sempre moltissimi dubbi e perplessità, soprattutto quando sono previste delle detrazioni fiscali. Le domande sorgono sulle modalità di emissione di una relativa fattura, oppure su quando e come è applicata la ritenuta. Un argomento complesso e delicato che vogliamo cercare di spiegare in maniera semplice e lineare.

Ritenuta d’acconto condominio: la regolarità delle fatture

Negli ultimi anni sono aumentati sempre di più i casi in cui, professionisti e imprese, emettono fatture nei confronti di condomini necessarie a ottenere delle detrazioni fiscali. Infatti, quando i professionisti o le imprese emettono fattura al condominio per lo svolgimento delle proprie attività, è necessario che stiano molto attenti alla regolarità dei dati inseriti. Una regola che vale sempre, ma in particolar modo quando la fattura deve essere utilizzata dal condominio per accedere e avere diritto a specifiche detrazioni fiscali.

Per garantire l’accesso alla detraibilità fiscale, il documento deve rispettare determinati criteri e riportare specifici dati. Infatti, il condominio, in qualità di sostituto d’imposta, deve versare una precisa ritenuta al momento del pagamento di tutte le fatture emesse. Che si tratti quindi di fatturazione da parte d’imprese o liberi professionali per lavori o prestazioni eseguite nei confronti di un condominio, le fatture devono essere emesse rispettando una determinata forma e sostanza.

Ritenuta d'acconto condominio

Condominio ritenuta d’acconto al 4% e 20%

L’attuale normativa vigente prevede l’applicazione di due differenti ritenute d’acconto per i condomini: al 4% e al 20%. L’art. 25-ter  D.p.r. 600/1973 stabilisce una ritenuta al 4% a titolo di acconto dell’imposta sul reddito, per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o di servizi svolte da imprese. Per meglio identificare le prestazioni soggette a tale ritenuta, l’Agenzia delle Entrate ne ha chiarito la natura con la Circolare n°7/2007. A titolo esemplificativo, sono assoggettate a ritenuta del 4% le seguenti prestazioni:

  1. manutenzione o ristrutturazione di edificio condominiale
  2. manutenzione o ristrutturazione degli impianti elettrici o idraulici
  3. esecuzione di attività di pulizia e manutenzione di caldaie
  4. manutenzione ascensori
  5. manutenzione giardini
  6. esecuzione di attività di pulizia e manutenzione piscine
  7. pulizia e manutenzione di altre parti comuni dell’edificio

Sempre l’art. 25-ter  D.p.r. 600/1973 ha invece stabilito che è applicata una ritenuta pari al 20% a titolo di acconto dell’imposta sul reddito quando il condominio deve elargire compensi per lavoro autonomo. Ad esempio per:

  1. compensi all’Amministratore del condominio
  2. compensi al commercialista per l’attività fiscale svolta a favore del condominio
  3. ecc…

Fattura a condominio per detrazioni fiscali: la ritenuta corretta da applicare

Gli adempimenti fiscali non sono tutti uguali. Cambiano in base alle prestazioni di professionisti e imprese svolte a favore dei condomini. Infatti le spese che possono essere recuperate tramite detrazione fiscale sono diverse a seconda che si tratti di costi sostenuti per riqualificazione energetica, o per il recupero del patrimonio edilizio.

A stabilirlo è il D.L. 78/2010 a decorrere dal 1° luglio 2010. Per spese sostenute a favore di ristrutturazione edilizia o risparmio energetico, gli istituti di credito o le Poste possono operare una ritenuta a titolo d’acconto all’atto dell’accreditamento della somma sul conto del beneficiario. La ritenuta relativa ha cambiato più volte l’importo, nel corso degli anni. Inizialmente prevista al 10% nel 2010, è passata poi al 4% dal 6 luglio 2011 per tornare all’8% dal primo gennaio 2015.

Di fronte all’emissione di una fattura per prestazione a favore di un condomini, si corre quindi il rischio di un doppio prelievo nel momento dei pagamenti. La prima ritenuta operata dal condominio (al 4% o al 20% a seconda della diversa prestazione) e una seconda operata dalla banca dell’8% all’atto di accredito della somma.

Fatture a condominio con ritenuta d’acconto

Il problema sollevato nel paragrafo precedente è risolto grazie alla Circolare n°40/2010. Per evitare il doppio prelievo, la circolare ha chiarito che deve essere applicata esclusivamente la ritenuta pari all’8%, così come stabilito anche dal Decreto Legislativo 78/2010.

Quindi, i condomini che pagano con bonifico bancario le prestazioni e gli interventi, non devono operare su tali somme la ritenuta ordinariamente prevista dal DPR 600/1973.

Fatturazione Elettronica in Spagna

I paesi europei stanno guardando con attenzione e interesse all’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica. Non tutti però hanno ancora ben chiaro scadenze, soggetti coinvolti e formati utilizzabili. La Francia, ad esempio, ha previsto la progressiva introduzione della fatturazione elettronica tra il 2023 e il 2025. La questione però deve prima essere messa al vaglio della Commissione Europea e procedere poi, con deroga, proprio come è successo per l’Italia. Anche la Spagna ha recentemente annunciato l’interesse al passaggio definitivo alle e-fatture. Vediamo quindi qual è la situazione attuale nella Penisola Iberica.

Fatturazione elettronica Spagna: tutti i passaggi

Dal 2015, in Spagna, è in vigore l’obbligo di fatturazione elettronica solo alla Pubblica Amministrazione (PA). A fine luglio 2021, il Governo spagnolo ha però annunciato un disegno di legge chiamato: “Creación y Crecimiento de Empresas”, che tradotto suona come “Creazione e crescita delle imprese”.

Punto focale di questo progetto è l’adozione e l’introduzione obbligatoria per tutte le aziende e liberi professionisti, della fatturazione elettronica nell’ambito dello svolgimento delle loro attività. Come per l’Italia, l’introduzione della fatturazione elettronica prevedere degli step progressivi. All’inizio, infatti, questa sarà obbligatoria solo per tutti i privati il cui fattura annuo supera gli otto milioni di euro. Nei tre anni successivi, tale obbligo, verrà poi esteso a tutte le altre aziende.

FACe

Nonostante le buone intenzioni, però, non sono ancora note le date d’introduzione dell’obbligo, né le tecniche di trasmissione previste. È comunque probabile che si tratti di una semplice estensione dell’attuale modello, simile a quello adottato anche dall’Italia. In Spagna infatti esiste il corrispettivo del nostro Sistema d’Interscambio. È chiamato FACe ed è una piattaforma centrale che permette l’interscambio delle fatture elettroniche nel formato nazionale Facturae e la traduzione del formato UBL europeo.

A oggi, alla piattaforma sono connesse oltre 8.000 Pubbliche Amministrazioni e conta già il transito di oltre 12 milioni di fatture all’anno. Il suo utilizzo, al momento, è obbligatorio per le PA centrali, ma non per le regioni e i comuni. Quest’ultime, infatti, stanno utilizzando una soluzione diversa, cioè una piattaforma fornita da un’altra amministrazione. Da giugno 2018 è stata inoltre affiancata una nuova piattaforma FACeB2b che permette lo scambio di fatture tra privati su base volontaria.

Fatturazione elettronica: cosa succede in Europa

Nell’ambito della fatturazione elettronica, l’Italia è stata una precorritrice. Si è mossa prima e meglio, rispetto a tutti gli altri paese dell’Unione Europea. Adesso, anche la Spagna, sembra volersi muovere in questa direzione, andando a sfruttare tutte le risorse messe a disposizione  dell’Europa con il Next Generation EU. Ricordiamo che quest’ultimo è il Piano per le ripresa economica dell’Europa. Uno strumento temporaneo che messo a disposizione oltre 800 miliardi di Euro per contribuire a trasformare le economie dei paesi europei. Fondi stanziati anche per permettere ai vari Stati d’introdurre e adottare un sistema digitalizzato di fatturazione che serve anche a combattere l’evasione fiscale che dilaga come una piaga in tutta Europa.

Fatturazione Elettronica in Spagna

Un sondaggio internazionale  condotto a fine del 2020 dall’Osservatorio Digitale B2B, ha messo in evidenza i principali motivi che hanno spinto i Paesi ad adottare l’obbligo della fatturazione elettronica:

  • migliorare il rapporto tra PA e imprese
  • aumentare il livello di digitalizzazione di PA e imprese
  • rendere più competitivo il sistema interno del proprio Paese

I Governi, si stanno lentamente rendendo conto dei molteplici vantaggi che ci sono ad adottare un sistema di fatturazione elettronico simile a quello dell’Italia:

  • riduzione delle spese di gestione
  • semplificazione delle attività
  • accelerazione dei tempi di pagamento delle PA

Il passaggio successivo all’adozione di un unico sistema di fatturazione elettronico a livello europeo, sarà quello di passare anche a un unico formato europeo. Un formato che garantirà interoperabilità nelle relazioni commerciali internazionali. L’introduzione di un unico formato dovrà comunque essere accompagnata dalla possibilità, per ciascuno Stato, di poter continuare a utilizzare i propri formati, almeno inizialmente. In questo modo si eviterà di creare situazioni non gestibili di migliaia di formati non in grado di comunicare tra loro.

Comunicazione Unica: cos’è, a cosa serve e chi deve inviarla

Nel precedente articolo: “Partita iva per e-commerce: tutto quello che c’è da sapere” abbiamo visto i passaggi che un imprenditore digitale deve seguire per aprire partita IVA e vendere online. Tra questi troviamo la comunicazione unica, detta anche comunicazione unica d’impresa. Si tratta di un adempimento che concretizza un’idea, trasformandola da sogno in business. Una procedura telematica che permette, in un unico step, di assolvere diversi adempimenti. Vediamola nel dettaglio.

Comunicazione Unica: cos’è

Specifichiamo subito che oggi non è più possibile, o necessario, recarsi di persona presso i singoli uffici per aprire partita IVA, iscriversi alla Camera di Commercio, alla Gestione INPS Artigiani e Commercianti, oppure all’INAIL. Oggi basta fare la comunicazione unica.

Uno strumento che consente di depositare l’iscrizione di una nuova attività presso il Registro delle Imprese. La legge che l’ha introdotto è la n°40/2007 art.9 ed è diventata obbligatoria a partire dal 01 aprile 2010 nei casi di:

  • Presentazione domanda iscrizione Registro delle Imprese
  • Richiesta di variazione/cessazione per imprese già in essere

La comunicazione Unica d’Impresa è un modello da compilare online che contiene i seguenti dati:

  • Dati del richiedente
  • Oggetto della comunicazione
  • Riepilogo richieste inoltrate ai vari enti

A seconda poi della necessità può contenere anche uno o più dei seguenti modelli:

Ci sono casi in cui, oltre a quanto riportato sopra, è necessario presentare anche la SCIA (Segnalazione Certificata d’Inizio attività) al SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive) del proprio comune.

Comunicazione Unica

Comunicazione unica d’impresa: i soggetti obbligati

Non tutti i lavoratori autonomi sono obbligati a presentare la comunicazione unica. Si tratta infatti di uno step obbligatorio per le ditte individuali che devono essere iscritte al Registro delle Imprese. L’iter burocratico che invece devono seguire i liberi professionisti è molto semplice, veloce e non costa nulla.

Non è sempre facile inquadrare e definire l’ambito di ciascuna attività. In alcuni casi i confini sono sottili e poco delineati, soprattutto per quanto concerne attività innovative. Nonostante tutto proviamo ugualmente a generalizzare per indicare i soggetti obbligati a presentare la dichiarazione unica d’impresa:

  • Imprenditori del settore commerciale – in questa categoria rientrano i titolari di negozi fisici, ma anche gli imprenditori digitali di siti di e-commerce
  • Titolari di agenzie (es. Agenzie di marketing, organizzazione eventi, pubblicità, ecc…)
  • Titolari di esercizi pubblici – facciamo qualche esempio: bar, ristoranti, pub, ecc…
  • Imprenditori artigiani – questa categoria, in particolare, comprende:
  • Parrucchieri, estetiste, tatuatori, onicotecniche, ecc…
  • Fabbri, falegnami, idraulici, elettricisti, giardinieri, ecc…
  • Pasticceri, cuochi, cake-designer, ecc…
  • Sarti, stilisti, tappezzieri, ecc…
  • Imprese di pulizie, addetti alle disinfestazioni e sanificazioni, ecc…

Comunicazione Unica: funzioni e procedura

In passato tutto la documentazione cartacea da presentare per aprire una partita IVA doveva essere consegnata a mano presso:

  • Camere di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato (CCIAA)
  • Agenzia delle Entrate
  • INPS
  • INAIL

Oggi, invece, grazie alla comunicazione Unica d’Impresa con un solo documento e in via telematica, si può presentare le seguenti richieste:

  • Iscrizione al Registro delle Imprese
  • Iscrizione al Repertorio Economico – Amministrativo (REA) o all’Albo Artigiani
  • Codice Fiscale e Partita IVA, comprensiva di:
  • Indicazione Codice ATECO
  • Indicazione regime fiscale
  • Iscrizione all’INPS (Gestione Artigiani e Commercianti)
  • Apertura posizione assicurativa presso l’INAIL

L’intero iter burocratico è stata quindi semplificato, i tempi di attesa ridotti e le possibilità di commettere errori, sono notevolmente diminuite. Per adempiere alla comunicazione è necessario aver aderito al servizio Telematico – Consultazione e Invio Pratiche della Comunicazione Unica, essere in possesso della firma digitale e di un indirizzo PEC – Posta elettronica certificata. Quest’ultimo deve essere indicato all’interno della pratica che viene inviata telematicamente. Serve per ricevere comunicazioni da parte degli enti coinvolti e per seguire l’intero iter della pratica stessa. La procedura può essere svolta in completa autonomia dal diretto interessato, oppure può essere seguita da un esperto del settore, come ad esempio un commercialista o studio associato.

Grazie a questa pratica unica, oggi è ancora più semplice e veloce aprire partita IVA e iniziare anche a vendere online. Un accorgimento che ha permesso, in Italia, d’incentivare il commercio online e l’apertura di partita IVA per e-commerce. Di conseguenza anche l’emissione di fatture elettroniche direttamente dal web e dai propri siti realizzati con Woocommerce ha registrato una crescita sorprendente grazie al plugin sviluppato da Gestisco Italia che serve a emettere e-fatture e scontrini elettronici direttamente dal proprio sito.

Fattura elettronica sbagliata: ecco come correggere la partita iva se trascritta in modo errato

Con l’interpello n°133 del 18 maggio 2020 inoltrato ad Agenzia delle Entrate, aveva chiesto ad AdE come correggere una fattura elettronica nel caso in cui la partita IVA riportata fosse sbagliata. Chiarito come correggere l’eventuale errore, vediamo nel dettaglio le indicazioni dell’Amministrazione Fiscale.

Fattura elettronica sbagliata: interpello n°133 del 18 Maggio 2020

La partita IVA è uno dei dati obbligatori e necessari affinché una fattura elettronica possa considerarsi valida e accettata dal Sistema di Interscambio. Ma cosa succede se il numero di partita IVA riportato sulla e-fattura viene indicato in modo errato?

È quanto è stato chiesto nell’interpello n° 133 del 18 Maggio 2020 da un operatore economico caduto in errore. Nel caso specifico, che prevedeva soggetti appartenenti a un gruppo IVA, Agenzia delle Entrate ha risposto come segue:

“In sintesi, l’istante ritiene di poter emettere una nota di variazione con data 31 dicembre 2019, al fine di esercitare la detrazione dell’IVA addebitata in fattura entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa al 2019, anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione”.

Trovate il testo completo a questo link.

Cosa stabilisce il decreto MEF

La partita IVA è un dato obbligatorio da indicare in fattura. Deve essere presente sia quella del cessionario che del committente, per quanto riguarda i soggetti passivi IVA stabiliti dall’UE. Mentre, per quanto riguarda i soggetti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione, è obbligatorio indicare il codice fiscale.

Quando la fattura elettronica tratta cessione di beni o servizi effettuati nei confronti di un soggetto facente parte di un gruppo IVA, l’operazione è considerata effettuata nei confronti del gruppo stesso.

Questo significa che obblighi e diritti sull’IVA sono a carico e a favore del gruppo IVA. È quanto stabilito dall’articolo 3 comma 2 del decreto MEF del 6 aprile 2018:

“Ai fini della fatturazione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuati nei confronti del Gruppo IVA, il rappresentante del Gruppo o i partecipanti comunicano ai fornitori la partita IVA del Gruppo ed il codice fiscale del singolo acquirente. Al momento della ricezione della fattura i medesimi soggetti verificano l’indicazione del codice fiscale e provvedono al suo inserimento ove mancante”.

Quindi, se un soggetto appartenente a un gruppo IVA, riceve una fattura elettronica con indicata una partita IVA errata, deve necessariamente correggere quel dato.

Fattura elettronica sbagliata

Come correggere la partita IVA sbagliata sulle fatture elettroniche

Il cessionario deve quindi emettere un’autofattura al sistema di Intercambio. Nell’autofattura deve indicare il codice TD20 nel campo documento, deve compilare le sezioni anagrafiche del cedente/prestatore e del cessionario/committente utilizzando i dati del fornitore e i propri.

Una correzione che richiede, obbligatoriamente, la presentazione dell’autofattura in formato analogico all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente. La correzione, così apportata, presuppone comunque che il cessionario/committente abbia segnalato l’errore al prestatore/cedente. Solo così può avere la possibilità di emettere nota di variazione a storno della fattura, emettendo un documento nuovo e valido.

Fattura elettronica sbagliata: basta l’autofattura per la correzione

Quando e se il prestatore/cedente non ha avuto comunicazione da parte dell’errore, basta che il committente/cessionario emetta autofattura per correggere l’eventuale partita IVA errata. In questo caso specifico se il committente regolarizza la fattura per correggere la partita IVA errata, ma non comunica preventivamente l’errore commesso, al prestatore non è richiesta l’emissione di una nota di variazione.

Agenzia delle Entrate, nell’interpello 133 del 18 Maggio 2020 specifica che è sufficiente un’annotazione sul registro IVA vendite. L’annotazione deve riportare la regolarizzazione della fattura in questione che è avvenuta mediante emissione di autofattura da parte del committente. Il documento deve comunque essere sempre conservato agli atti senza bisogno di essere comunque annotato nel registro IVA vendite.

Nell’interpello è possibile leggere questa casistica propria in chiusura di risposta:

“Nel caso prospettato, dunque, avendo il committente già regolarizzato mediante autofattura l’errata indicazione in fattura della sua partita IVA in luogo di quella del gruppo IVA, senza preventivamente comunicare all’istante l’errore commesso, quest’ultimo non ha più necessità di emettere una nota di variazione di cui all’articolo 26 del D.p.r. n. 633 del 1972 per correggere, a sua volta il medesimo errore. In tale evenienza, infatti, è sufficiente che l’istante annoti sul registro IVA vendite che la regolarizzazione della fattura in argomento è avvenuta mediante

emissione di autofattura da parte del committente, documento che deve essere conservato agli atti senza essere anch’esso annotato nel registro IVA vendite”.

Copia analogica fattura elettronica: quando, perché e validità

La fattura elettronica è ormai diventata obbligatoria per legge. Solo è in regime forfettario poteva ancora scegliere se emettere o meno fatturazione elettronica, o mantenere quella cartacea. L’emissione di un eventuale copia analogica della fattura elettronica non è comunque un documento avente validità fiscale. Infatti, a oggi, la e-fattura è l’unico mezzo utilizzabile per fatturare le operazioni B2B e B2C. La fattura elettronica, a oggi, è l’unico documento rilevante a fini fiscali in Italia. Ci sono casi in cui, però, è necessario che l’operatore emetta anche copia cartacea, vale a dire la copia analogica della fattura elettronica.

Fattura elettronica: quando e chi deve riceverla

Abbiamo quindi detto che la fattura elettronica è considerata l’unica con validità fiscale nel nostro paese. I destinatari che, obbligatoriamente, la devono ricevere sono:

  • imprese
  • professionisti
  • Enti non commerciali che svolgono attività commerciale al di fuori delle attività istituzionali
  • Operatori economici in Regime Forfettario
  • Operatori economici in Regime dei Minimi
  • Imprenditori agricoli in Regime di Esonero
  • Privati consumatori
  • condomini

Imprese, professionisti ed Enti possono ricevere la fatturazione elettronica esclusivamente tramite Sistema di Interscambio (SdI). I soggetti che invece si trovano in regime di vantaggio (regime dei minimi, forfettario e di esonero) ricevono la e-fattura tramite posta elettronica certificata (PEC) o codice destinatario. Se il recapito avviene tramite PEC non è necessario indicare il codice destinatario. In caso contrario, deve essere indicato il codice “0000000“ (sette volte zero). Chi emette fattura nei confronti di questi tre distinti regimi, deve avvisare i destinatari che la fattura è messa anche a disposizione nell’area riservata del sito web dell’Agenzia delle Entrate. In questo caso la comunicazione avviene attraverso il rilascio della copia analogica fattura elettronica.

In questo caso è quindi obbligatorio rilasciare anche la copia cartacea della fattura elettronica.

Copia analogica fattura elettronica

E-fattura a privati consumatori e condomini

Ai privati consumatori e ai condomini è obbligatorio la consegna della copia analogica fattura elettronica. In questo caso e solo in questo, il documento valido ai fini fiscali è solo quello emesso sotto forma cartacea. La fattura elettronica deve comunque essere emessa e deve riportare il codice destinatario “0000000” (sette volte zero). Il consumatore può comunque accedere al sito di Agenzia delle Entrate, nella sezione Fatture e Corrispettivi e visualizzare e scaricare le eventuali copie di fatture elettroniche.

Copia analogica fattura elettronica: validità e digitalizzazione

Come abbiamo avuto modo di vedere l’emissione della fattura elettronica non elimina sempre e automaticamente l’obbligo di emettere copia analogica fattura elettronica. La e-fattura vale a fini civilistici e fiscali, ma qualche volta è obbligatorio emettere anche copia cartacea. Infatti, per un privato consumatore, è solo la copia cartacea quella che ha validità fiscale. Oggetto di contabilizzazione fiscale è solo la e-fattura. La contabilizzazione non può avvenire in una data anteriore a quella di ricevimento da parte del Sistema di Interscambio. Una regola stabilita dall’articolo 25 del DPR n°633/72 (Circolare n. 1/E/2018 Agenzia delle Entrate).

Il cliente finale ha facoltà di rinunciare all’emissione della consegna di una copia della fattura. La cosa migliore sarebbe quella di presentare la rinuncia sotto forma scritta (anche se alla fine non è una prassi fattibile nella realtà).

Conclusioni

La fattura elettronica deve essere obbligatoriamente emessa da tutti gli operatori economici. Esistono tre distinte categorie di soggetti destinatari. Di queste tre, due (privati consumatori e i soggetti appartenenti ai regimi semplificati) hanno l’obbligo di ricevere anche copia analogica fattura elettronica. Per i soggetti appartenenti al regime di vantaggio, l’emissione della e-fattura deve seguire il normale iter, ma deve anche essere consegnata in formato PDF al destinatario. Stesso discorso vale per i consumatori finali privati. Loro possono controllare e scaricare le fatture elettroniche direttamente dal sito web di AdE.

In questi unici due casi emettere anche copia cartacea della fattura elettronica è obbligatorio. Rimane invece facoltativa la possibilità di emettere copia cartacea nei confronti degli operatori economici.

Un’ultima precisazione. Quando i dati riportati in fattura elettronica sono discordanti da quelli riportati sulla fattura cartacea, hanno validità tributaria solo ed esclusivamente i dati riportati della fattura elettronica. Infine una copia di cortesia della fattura elettronica è solo un documento privo di valore fiscale, che il venditore ha facoltà di rilasciare al cliente  come semplice anteprima del documento fiscale vero e proprio.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa si rischia e come rimediare

La disciplina vuole che l’emissione della fattura elettronica avvenga entro 24 ore massime dal momento in cui si effettua un’operazione. Invece per le fatture differite il termine di emissione è stabilito al 15 del mese successivo a quello in cui l’operazione si è conclusa. Il legislatore ha quindi previsto una serie di sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. Inizialmente, al fine di agevolare la fase di avvio della fatturazione elettronica, erano stati previsti degli esoneri sull’applicazione di eventuali sanzioni. Ad oggi, invece, non esistono esoneri e sono quindi applicate sistematicamente le sanzioni previste dall’ dall’art. 6 del D.Lgs. n 471/97. Vediamo qualche dettaglio in più.

Emissione fattura elettronica: termini e scadenze

Le fatture elettroniche non sono tutte uguali. Ne esistono di vari tipi e, a seconda della tipologia di appartenenza, prevedono un termine di emissione diverso. Le fatture elettroniche possono essere:

  • immediate
  • differite

 

Una e-fattura è considerata emessa solo se inviata al Sistema di Interscambio e se non risulta scartata. Le fatture immediate devono essere emesse entro 12 giorni dal momento dell’effettuazione dell’operazione, come stabilisce l’art. 6 del DPR n. 633/72. Le fatture elettroniche differite, invece, deve essere emessa e registrata entro il 15 del mese successivo a quello in cui si è conclusa l’operazione di riferimento. Per quest’ultime è d’obbligo indicare il mese di riferimento, perché l’operazione rientra nella liquidazione periodica dello stesso mese e l’IVA è da versare entro il 16 del mese successivo.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: cosa prevede la legge

Visti i termini entro i quali una e-fattura deve essere emessa, il legislatore ha previsto anche delle sanzioni tardiva emissione fattura elettronica. A stabilire la misura della sanzione amministrativa applicata, ci pensa l’ art. 6 del D.Lgs. n. 471/97, che cita:

“La sanzione varia dal 90% al 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato, con un minimo di 500 euro. La sanzione è dovuta nella misura da 250 a 2.000 euro, se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Entrando nel dettaglio, la norma prevede una diversa sanzione a seconda della violazione commessa:

  • Fra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato (con un minimo di 500 euro)
  • Da 250 a 2.000 euro, qualora la violazione non abbia inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

Le sanzioni possono comunque essere ridotte grazie all’esercizio del ravvedimento operoso. L’esercizio del ravvedimento operoso è previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo n°472/1997. Sono previste diverse casistiche a seconda della data entro la quale avverrà il pagamento richiesto.

Anche le fatture scartate dal Sistema di Interscambio, potrebbero essere soggette a sanzioni amministrative. Per ovviare al problema è possibile rinviare la fattura elettronica in questione entro 5 giorni dalla data di notifica dello scarto (provvedimento 30 aprile 2018 dell’Agenzia delle Entrate).

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica: le conseguenze per il cessionario o committente

Inviare una fattura elettronica in ritardo, comporta delle conseguenze e relative sanzioni, anche da parte del committente o cessionario. Nell’ art. 6 co. 8 del D.Lgs. n. 471/97 è stabilito che tali sanzioni debbano ammontare al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro per ogni violazione. Per evitare di dover pagare questi importi, il committente/cessionario deve adempiere a una serie precisa di obblighi documentali.

Sanzioni tardiva emissione fattura elettronica

 

Nel caso in cui il committente/cessionario non riceva la fattura elettronica entro 4 mesi dalla data dell’operazione deve trasmettere, al SddI, un’autofattura di regolarizzazione. Inoltre deve pagare l’imposta entro il tredicesimo giorno successivo. Nella documentazione inviata deve indicare, alla sezione anagrafica del cedente/prestatore i dati del fornitore e in quella del cessionario/committente i propri. Infine, il campo “TipoDocumento” deve essere compilato con il codice “TD20”.

Nel caso in cui, invece, il cessionario/committente riceva una fattura elettronica irregolare deve trasmettere lo stesso documento previsto nell’altra casistica, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo alla registrazione. Inviare digitalmente l’autofattura di regolarizzazione al Sistema di Interscambio solleva il committente dall’obbligo di presentare la fattura in formato analogico, direttamente presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente.

Codice tributo F24

Le sanzioni tardiva emissione fattura elettronica possono essere pagate tramite un modello F24. È necessario compilare la sezione erario e utilizzare il codice tributo 8911. Il modello chiede inoltre l’indicazione dell’anno di riferimento. Quello da indicare è l’anno in cui è avvenuta la violazione stessa.

Abbuono: attivo, passivo e in contabilità

Abbuono è uno dei tanti termini utilizzati in contabilità. Conoscerne il significato aiuta a capire come poter utilizzare questo particolare strumento e soprattutto come e quando indicarlo nelle fatture elettroniche. Assieme a una vasta terminologia utilizzata da contabili, commercialisti, ragionieri, ecc… L’abbuono fa parte di un ricco dizionario che può tornare davvero molto utile a chi vuole aprire una partita IVA da zero, oppure per chi è già “navigato” nel mare delle microimprese e piccole e medie attività. Vediamo quindi di capire meglio la terminologia specifica del settore contabile e come applicarla in pratica, nella vita di tutti i giorni.

Abbuono: definizione

Partiamo dalle basi, vale a dire spieghiamo cos’è materialmente un abbuono. Si tratta di una riduzione concessa  sul pagamento di una prestazione, oppure sul prezzo pattuito con il cliente/committente.

Ci sono vari motivi che spingono un soggetto a concedere un abbuono. Ad esempio è molto comune quando, per errore, viene spedita della merce sbagliata.

Esistono poi due diverse tipologie di abbuono:

  • attivo
  • passivo

Vediamole nel dettaglio.

Abbuono attivo

Si tratta di un abbuono, vale a dire di una riduzione di prezzo, concessa dal fornitore, dopo che la fattura elettronica è già stata emessa. Una condizione piuttosto comune che si verifica quando, ad esempio, la prestazione o i prodotti venduti si rivelano essere inferiori (quantitativamente o qualitativamente) al prezzo pattuito.

Abbuono

Abbuono passivo

In questo caso è richiesto un pagamento inferiore al cliente/committente, rispetto a quanto previsto di solito.

Anche questa casistica si verifica quando, ad esempio, il servizio reso è inferiore alle aspettative pattuite in fase preliminare. Altro caso in cui si presenta la necessità di ricorrere a un abbuono passivo è quello in cui si tratta merce qualitativamente inferiore agli accordi presi. È prassi, in questi casi, prima di emettere la fattura elettronica, ricalcolare il pagamento dovuto, a favore del cliente.

Abbuono: clienti e venditori

Quando si parla di abbuono, si devono distinguere due diversi soggetti interessati dall’elemento in questione: i clienti e i venditori.

Si parla quindi di contabilità cliente e contabilità fornitore. Nella prima è prevista una variazione finanziaria attiva che deve essere registrata in DARE del conto Fornitori, o Debiti v/fornitori per l’importo dell’abbuono e dell’IVA. Si tratta quindi di una variazione economica negativa. Questa è pari all’importo dell’abbuono da rilevare in AVERE del conto Abbuoni attivi. Inoltre deve essere rivelata anche una variazione finanziaria passiva da registrare in AVERE del conto IVA ns/debito per l’importo dell’IVA relativa all’abbuono.

La contabilità fornitore invece è una variazione finanziaria passiva da registrare in AVERE del conto Clienti o Crediti v/clienti per l’importo dell’abbuono e dell’IVA. Questa corrisponde a una variazione economica positiva pari all’importo dell’abbuono da rilevare in DARE del conto Abbuoni passivi e una variazione finanziaria attiva da registrare in DARE del conto IVA ns/credito per l’importo dell’IVA relativa all’abbuono.

Conclusioni

In conclusione questo elemento rappresenta una riduzione. Tale riduzione è concessa al debitore direttamente sulla somma da pagare. In alcuni casi (più unici che rari!) può addirittura arrivare fino alla totale rinuncia della riscossione da parte del creditore. In alcuni casi, le due parti, cliente e venditore, possono prevedere un abbuono reciproco. Questo accade quando, ad esempio, sono rilevate e accertate una o più differenze, nella merce consegnato e/o promessa. In tal modo, è garantita la possibilità di una rettifica di fattura in favore dell’una o dell’altra parte contraente.

Merita una menzione particolare anche l’abbuono d’imposta. Si tratta di uno sgravio, totale o parziale, di un’imposta. È concesso di solito in via temporanea, in seguito a serie decurtazioni del reddito. Le decurtazioni possono avvenire in seguito, ad esempio, di gravi calamità, oppure qualora si paghi un’imposta straordinaria in un tempo minore del previsto.

È spesso utilizzato anche come sinonimo di sconto, reso o arrotondamento. In realtà, ciascuno di questi termini, indica una specifica condizione che si caratterizza in modo particolare rispetto alle altre. In linea generale comunque, può essere definito come una riduzione del prezzo pattuito, previsto per andare a compensare un disagio subito da parte del cliente. L’operazione è documentata da una nota di credito. Quest’ultima è emessa dalla ditta venditrice per l’importo  accordato e della relativa IVA. La scrittura in Partita Doppia viene effettuata al momento dell’emissione del documento.

Rimborso spese e regime forfettario: cosa sono e come funzionano

Per rimanere nel regime forfettario è necessario non superare la soglia di compensi e ricavi pari a 85.000€ annui, come visto nell’articolo: “Regime forfettario limiti ricavi e fatture elettroniche”. Il rimborso spese contribuisce alla formazione del reddito e al raggiungimento del limite di fatturato di 85.000€ annui imposto per il regime forfettario. È inoltre impossibile, per questo regime, dedurre le spese sostenute per lo svolgimento della propria attività. Esiste però un’eccezione. Infatti il rimborso spese non concorre al calcolo del reddito imponibile, quando queste sono sostenute dal professionista come anticipazione a nome e per conto del cliente.

Vediamo di capire meglio come funziona.

Rimborso spese: le varie tipologie di rimborsi

La definizione: “anticipazione a nome e per conto del cliente”, assume, per il regime forfettario, una particolare accezione. Esistono diverse tipologie di spese che il forfettario può trovare a dover sostenere e, di conseguenza, per ciascuna di esse, un determinato rimborso.

Ad esempio, le spese prepagate dal committente, altro non sono che costi sostenuti in via anticipata dal cliente/committente, prima dell’inizio del lavoro stesso. Per capire meglio di cosa si tratta, si può pensare ai biglietti del treno, dell’aereo o del noleggio di un’autovettura, prima il viaggio del forfettario abbia inizio. Affinché il rimborso spesa possa rientrare in questa specifica categoria, la fattura elettronica deve, obbligatoriamente, essere intestata al cliente/committente. Può, ma non è obbligatorio, contenere il riferimento al forfettario, vale a dire a colui che ha beneficiato del bene/servizio.

Il Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), nell’articolo 54, comma 1, ha specificato dettagliatamente che, in questo caso, le spese sostenute non corrispondono a un compenso. Essendo poi un costo sostenuto direttamente dal committente/cliente, non c’è bisogno nemmeno del rimborso. A tal proposito, il professionista non deve inserire questa voce nella fattura elettronica che emette al cliente per le proprie prestazioni.

Rimborso spese effettuate a nome e per conto del cliente

Altro caso relativo al rimborso spese per il regime forfettario è quello nel quale le spese sono sostenute direttamente dal professionista, ma la fattura è intestata al cliente. In pratica, paga materialmente il forfettario, ma la fattura è fatta intestare al cliente. Questa è l definizione vera e propria di “anticipazioni a nome e per conto del cliente”.

In questo caso, il professionista, in seguito, può chiedere al cliente il rimborso della spesa sostenuta. Il rimborso è richiesto direttamente in fattura elettronica, con una voce specifica relativa la prestazione effettuata. La voce deve essere accompagnata dalla dicitura: “spese anticipate ex. Art. 15 DPR 633/72”. Sarebbe importante, inoltre, allegare alla fattura anche le spese intestate al cliente. Valgono come controprova per gli importi sostenuti.

Rimborso spese

È necessario stabilire a priori con il cliente queste precise spese. Alla fine del lavoro, il loro importo deve poi corrispondere a quello concordato con il committente.

La scelta del metodo di rimborso spese è molto importante. Infatti i rimborsi a forfait sono considerati sempre un ricavo. Significa che contribuiscono all reddito imponibile.

Rimborso spese a nome e per conto proprio

Altra categoria molto importante di rimborso spese per il regime forfettario. A differenza delle spese precedenti, queste sono sostenute e intestate, direttamente a nome del forfettario. Concorrono al raggiungimento del limite della fattura, previsto per il regime (85.000€). Sono inoltre oggetto di calcolo di imposte e contributi, fiscali e previdenziali.

In questo caso il professionista che ha sostenuto la spesa, nella fattura elettronica che emette al cliente per la sua prestazione, deve indicare il rimborso spese da ricevere. Essendo parte del compenso, le spese sostenute dal professionista sono soggette alla ritenuta d’acconto e alla rivalsa previdenziale e contribuiscono alla formazione del reddito imponibile. In altre parole sono considerate imponibile ai fini di IVA.

Esistono due diverse tipologie di rimborso: analitico e forfettario.

Il rimborso spese analitico si ha quando il professionista raccoglie semplicemente le note spese e i documenti attestanti i costi sostenuti e li mostra al cliente. Il rimborso forfettario invece consiste in una somma concordata con il cliente da destinare al professionista per far fronte alle diverse spese.

Forma giuridica: cos’è, quante ne esistono e come sceglierla

Un forma giuridica è un’organizzazione creata da uno o più soggetti per fare business. Esistono diverse tipologie di forme giuridiche. Sceglierne una, piuttosto che un’altra, determina la struttura, l’organizzazione e la tassazione di un’azienda. Al momento in cui si decide di aprire partita IVA una delle prime cose da fare, prima ancora di iniziare a emettere fatture elettroniche, o prendere un software gestionale per la fatturazione elettronica, è quella di scegliere la forma giuridica. Si tratta di una scelta veramente importante perché da questa dipendono differenti conseguenze finanziarie, legali e una diversa esposizione al rischio in caso di contenziosi legali. Vediamo quindi di capire quante forme giuridiche esistono in Italia e quale scegliere per lo svolgimento della propria attività.

Forma giuridica: le diverse tipologie

Come abbiamo già detto, esistono molteplici forme giuridiche in Italia:

Per quanto la scelta possa essere varia, in Italia, la maggior parte delle piccole e medie imprese tende sempre a scegliere tra una s.n.c., piuttosto che una s.a.s., una s.r.l., o un’s.r.l.s. Scegliere una forma, oppure un’altra significa determinare a priori un diverso sistema di struttura interno e una diversa tassazione da parte dello Stato e del Fisco. Iniziamo quindi, in questo articolo, a vedere nel dettaglio ogni singola forma giuridica per capirne meglio le conseguenti implicazioni e la struttura organizzativa interna.

Ditta individuale

Si tratta della forma giuridica più semplice in assoluto. Titolare e gestore della ditta è un’unica persona. Per aprire partita iva come ditta individuale basta iscriversi alla Camera di Commercio della propria provincia. Molti liberi professionisti, Freelancer e consulenti scelgono questa forma giuridica per la propria attività.

La ditta individuale è facile da avviare, non richiede alcuna formalità aziendale (come ad esempio la sottoscrizione di un verbale. Di riunione o di uno Statuto) e permette di detrarre la maggior parte delle spese sulla dichiarazione dei redditi.

Forma giuridica

Società in Nome Collettivo (s.n.c.)

È molto simile alla ditta individuale, la differenza fondamentale è che al “timone” si trovano due o più soci (persone). In una s.n.c. ogni socio gestisce l’attività personalmente e condivide perdite e profitti. Anche questa forma giuridica è piuttosto facile da avviare, non vuole anch’essa nessuna formalità aziendale e le perdite aziendali sono sempre suddivise tra i vari soci.

Società in accomandita semplice (s.a.s.)

Anche in questa forma giuridica l’azienda è gestita e amministrata attivamente da più soci. A differenza della s.n.c. però, ci sono due diverse tipologie di soci:

  • Accomandatari – possiedono, gestiscono e si assumono la responsabilità per l’azienda
  • Accomandanti – agiscono solo come investitori.

In una s.a.s. è facile raccogliere fondi grazie ai soci accomandanti, mentre i soci accomandatari possono mantenere il controllo totale sull’attività svolta.

Società a responsabilità limitata (s.r.l.)

Come dice il nome stesso, una società a responsabilità limitata offre il vantaggio di una responsabilità limitata a ogni socio in base al proprio capitale sociale. Avviarla richiede qualche formalità legale in più, ma i titolari non hanno alcuna responsabilità  personale per gli eventuali debiti dell’azienda. Questo vuol dire che se qualcosa andasse storto, i debiti dovrebbero essere saldati esclusivamente con il patrimonio aziendale. Il patrimonio personale di ciascun socio, rimarrebbe quindi integro e salvo.

Forma Giuridica: Scegliere in modo oculato

La scelta della forma giuridica è davvero molto importante. L’organizzazione scelta infatti, può influenzare la percezione dell’attività stessa da parte delle persone che ne prendono parte. Senza contare che è una scelta che determina precise conseguenza legali e fiscali. Il trattamento fiscale di ciascuna forma giuridica è, difatti, ben diverso l’uno dall’altro. Inoltre, per alcune di esse, è richiesto anche un cospicuo investimento iniziale, mentre per altre non è necessario disporre di grandi somme di denaro per avviarle. Anche dal punto di vista amministrativo possono esserci delle sostanziali differenze. Si parla in termini di fattura elettronica, dichiarazione dei redditi e pagamento di determinate imposte.

Nei prossimi articoli continueremo l’approfondimento sulle ultime forme restanti (Società per azioni – S.p.A.- , Società in accomandita per azioni – S.a.p.A. – e la Cooperativa) e cercheremo di capire come scegliere quella più adatta alla propria attività, in base anche al trattamento fiscale previsto per ciascuna forma giuridica.

Lavoro freelance: cosa significa e come funziona in Italia

Il lavoro freelance non è una passeggiata. Ci vuole impegno, passione, dedizione e buone conoscenze per lavorare da freelance in Italia. Chi decide per questo genere di “carriera” deve, prima di tutto, informarsi bene, su pro, contro e ogni altro aspetto contabile e fiscale che riguarda questa sfera di competenza specifica. Iniziamo comunque spiegando che un freelance altro non è che un lavoratore indipendente che offre il suo operato a società, organizzazioni e privati.

Si tratta di una figura che, negli ultimi anni, si è andata sempre più diffondendo anche nel nostro paese. Incentivata da agevolazioni fiscali e regimi semplificati, questa forma lavorativa è sempre più richiesta. Le aziende, ad esempio, si avvalgono di freelance quando all’interno del loro organico non hanno dipendenti qualificati su una precisa materia. O ancora, le imprese si rivolgono ai lavoratori freelance anche quando hanno bisogno di lavoro/consulenza spot. I privati invece preferiscono il lavoratore indipendente perché fornisce un lavoro più accurato e soprattutto veloce. Insomma, il lavoro freelance sta davvero andando alla grande. Ma non è tutto oro quel che luccica. Ci sono anche dei risvolti negativi per chi sceglie questa strada. Vediamo di capire meglio.

Lavoro freelance in Italia: numeri e ragioni

In Italia il lavoro freelance va davvero alla grande. Siamo il primo paese della zona europea in quanto a percentuale più alta di lavoratori autonomi. Cifre da capogiro, visto che contiamo oltre 5 milioni di lavoratori autonomi. Siamo primi assoluti da molti anni ormai, in cima alla classifica prima di Germania, Francia e Regno Unito.

Tante le motivazioni che hanno portato ‘Italia a vantarsi di questo primato:

  • evoluzione della tecnologia
  • miglioramento dal punto di vista fiscale e burocratico
  • entrata in vigore del Job Act

La tecnologia è complice del nostro successo. Oggi molti giovani scelgono la strada del lavoro freelance perché sanno di poter essere supportati da strumenti e mezzi innovativi che semplificano molte le varie attività operative e pratiche. Inoltre ci sono stati sostanziali miglioramenti dal punto di vista fiscale e burocratico. È più facile oggi, rispetto al passato, aprire Partita IVA, meno dispendioso e macchinoso. Esistono poi vari regimi agevolati, come ad esempio il regime forfettario (e prima ancora il regime dei minimi), che hanno reso possibile attivare con tranquillità un’attività da freelance. Il Job Act, infine ha posto le basi per una maggiore tutela di tutti quei lavoratori indipendenti e titolari di Partita IVA senza albo di riferimento.

Lavoro freelance: pro e contro

Tanti pro, ma tanti anche i contro che possiamo riscontrare nel lavoro freelance. Tra i pro vanno sicuramente annoverati:

  • Libertà Di Orari – essere liberi di scegliere quando iniziare e quando finire l’orario di lavoro, è una delle soddisfazioni più grandi che possa esserci. La routine quotidiano si semplifica e spesso si spezza pure.
  • Libertà Di Lavorare Dove Si Preferisce – Niente più code interminabili per arrivare sul posto di lavoro in orario, niente sveglie all’alba, o rientri ad orari improponibili. Chi lavora da casa poi, ha vinto il jackpot!
  • Minori Spese Quotidiane Da Sostenere – non avendo orari e sedi, si affrontano e si sostengono davvero molte meno spese.

Lavoro freelance

  • Ferie E Permessi Autogestiti – essere il capo di noi stessi significa che è possibile decidere quando andare in ferie senza dover aspettare l’approvazione (spesso tardiva) di un piano ferie aziendali. Non è necessario rendere conto a nessuno, se non a noi stessi.
  • Guadagni Più Alti (Potenzialmente Parlando) – maggiori rischi, maggiori guadagni. Se tutto va per il verso giusto, lo stipendio aumenta sicuro.
  • Crescita Personale E Professionale Assicurata – investire sulla propria attività, significa investire su se stessi. Di conseguenza vuol dire anche una crescita e un miglioramento personale, oltre che professionale.

Contro

Come abbiamo detto, però, non è tutto oro quel che luccica. Quindi il lavoro freelance presenta anche qualche difficoltà:

  • È difficile staccare la spina – l’attività di freelance non si ferma mai. Un lavoratore indipendente ha sempre la mente fissa al proprio lavoro: alle fatture elettroniche, alle scadenze da rispettare, ai corrispettivi telematici, ai pagamenti da dover sostenere, ecc…
  • Ci sono molte più responsabilità – Tutte le responsabilità ricadono sulle proprie spalle e non possono essere condivise con altri dipendenti dell’azienda
  • Nessuno sicurezza di uno stipendio fisso – le cose possono anche andare bene, ma possono anche andare male. Una cosa è certa, lo stipendio fisso non è un’opzione del lavoro freelance. I soldi arrivano quando e se si lavora.
  • È richiesto un investimento iniziale – Ogni attività, per essere avviata, richiede un primo investimento. Che si tratti di una piccola cifra, o di una ragguardevole partecipazione, bisogna spendere prima di guadagnare.
  • Bisogna pensare autonomamente alla contabilità e all’amministrazione dell’attività – Nota dolente per molti. Nel lavoro freelance ciascuno è amministratore e contabile di sé stesso.